Poesie

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di Luigi Paraboschi

Ibrahim ha letto Chatwin

e Sara disse “ siamo vecchi, resta “,
poi Agar mi sussurrò “ ti darò un figlio,
portami con te “, ma io mi leverò da questo letto
senza abbuffarmi sopra i suoi fianchi ad anfora
e muoverò i passi prima che il sole sia,

non lascerò fuggire un giorno cosi azzurro.

Oltre le colline ci sono passi da valicare,
lascio alle donne l’eredita’ di questi armenti
la noia di contrattare nei baratti,
poiché è secca la mia stirpe
e il giaciglio ha ormai preso la forma del mio corpo,
non serve rivoltarlo, ho già dormito sull’altro lato.

La cenere s’è fatta fredda
e l’olio nella lampada scarseggia
posso far vero l’ultimo sogno
d’inseguire tutte le stelle in una notte
e scoprire perché la luna non è sempre piena.

Dentro ho figure che ritornano, presenze,
mani che m’invitano e promesse
che la mia genia sarà più numerosa
della sabbia nelle dune.

Sono ingannatori, i sogni, questo lo so,
ma l’essenziale ora è andare, perché
la sete è immensa e il pozzo s’è prosciugato.

Ecco, m’avvio verso quella lontana chiazza
di neve che resiste, e non ho rimpianti
so che alla fine nuoterò nel mare.

 

 

*

Il mio Macondo

Conservare i ricordi dentro i vasi
con la formaldeide, come feti abortiti
dalla mente è pura necrofilia?
o forse è perché c’è ancora
troppo spazio da colmare
tra le braccia?

Il mare, quello vero, cominciava subito dopo
la rocca di San Leo, quello di prima non era mare
ma la prolunga del Po per coloro che lasciavano Mirafiori.

Nel ’60 il Verdicchio aveva un altro sapore
e anche se David Lynch con le sue allucinazioni
sarebbe venuto dopo, quella fustigazione
alla colonna vista ad Urbino, e il gioco
delle prospettiva nella Città Ideale
lanciavano perplessità nel giovane provinciale.

C. era di Cesena, lenti affumicate ed un neo
sopra il labbro, si sbellicava per Gargantua
e Pantagruel, avrebbe fatto l’assistente sociale
allora era di moda, come frequentare giornalismo.

Sulla terra rossa di Senigallia, l’australiano Mulligan
faceva un tappetino di Barazzutti e Pancho Gonzales
centrava otto lattine di coca su dieci tiri di servizio.

Era Pantagruel il testo da meditare e non le rime
sanguigne di Garcia Lorca che mi suggeriva l’altra amica,
ma io allora scendevo a rete subito dopo la prima palla
e mi lasciavo infilare facilmente da un rovescio in corridoio.

 

 

*

Dove vanno d’inverno le anitre del Central Park ?
( da “ il Giovane Holden” di Salinger) “

Le domande del vecchio Holden

Dimmi di te, di dove racchiudi la tua estate,
se quando passi sotto il viale di casa tua
hai voglia di mettere le radici in quella pace
fatta di rami lunghi e d’ ombre che discendono,

e se un po’ t’inteneriscono quelle giovani radici
che non vanno sottoterra ma cercano la luce
e si sporgono dai ceppi, anche se c’è qualcuno
che le estirpa perché la vitalità non sia troppo manifesta
e non si debba modificare l’aiuola prestabilita.

Forse tu pensi ancora che uso troppo l’ocra
nei miei quadri, ma quale colore più di quello
trasmette il senso di far casa e di restare?

Perché il blu lo sai che da’ la pace, ed il vigore
viene dal rosso, ma il giallo Napoli ed il Siena scuro
sono la terra da cui provengo, è lì che stendo
i miei pensieri quando rintoccano d’ assenze, lì ho pace,

mentre allineo parole, pause e virgole ed impregno anche
le lenzuola con la lontananza e mastico con lentezza
una foglia di mate per trovare la forza alla rinuncia,

e come Holden faccio domande che non trovano risposte
– pur se quel taxista gli ha mai spiegato dove vanno a svernare
le anatre del Central Park quando l’acqua ghiaccia –

io credo di saperlo, non vanno in altro luogo, restano là
ferme, immobili nel gelo guardano dal sotto i pattinatori,
sorprese e paghe di tanta grazia che gli volteggia attorno.

 

 

*

Moldavia

A tratti piove sopra lo struscio cittadino
nelle provincia di confine a est, e palpi
nell’aria la mestizia delle donne accovacciate
sui gradini, l’abbandono dei vecchi appisolati
accanto alle catene delle scarnite vacche
al pascolo su terreni rasati dalla capre
e dai cavalli dalle zampe impastoiate.

……nella domenica la strada si distende piana
tra le querce, e sotto nuvole di Constable
s’allarga una pianura dove l’occhio annega,
fluttua dentro lo spazio e poi fonde l’infinito
con lo sfarzo dei girasoli che sfumano
nel grigio perla dell’orizzonte basso.

…….e poi carri, carri dalle ruote disassate
che ondeggiano nell’occhio che le osserva,
portando in viaggio un mondo al quale,
i jeans colati a pelle su perizoma inesistenti
e le magliette strizzate all’ombelico
stanno murando i più sperduti accessi
ove la povertà nasconde dietro un velo
i molti desideri indotti e insoddisfatti.

 

*

Nangha Parbat

E’ quasi sempre in solitaria sopra pareti a vetro
e sotto zero, la salita, le corde forse aiutano
certi passaggi ma non contarci troppo,
devi sperimentare ove poggia il piede
e poi procedere incerto, timoroso sui cedimenti,
occhio che non può vedere ciò che la mente spera.

La sicurezza sta dentro un tenda
un punto rosso lasciato all’alba
ma contro il cuore c’è una roccia da carpire
e conservare anche dopo la fatica.

Sulla montagna della luce non sali con gli sherpa
né con viaggi organizzati, la scali in solitudine
spesso rabbiosa, usando ramponi, chiodi
e picozza avuti in dono, e poi in cima
arrivi sempre in carestia d’ossigeno,
t’ illudi di possederla e fai foto per la memoria
e discendi in fretta verso quella tenda rossa
d’accoglienza, vela che ti aspetta,
sottile come una placenta.

 

 

*
Dall’isola di Aràn

Steso da mesi è il pesce ad essiccare ai raggi di questo sole glabro,
l’ accarezzano le ali dei gabbiani dalle strida acidule e vetrose,
prima che cali il lungo buio passerà il cargo per lo stoccafisso,
mi porterà il cibo per l’inverno e poi l’oceano addenterà
questa scogliera con la spuma bianca dei marosi
e dalla grotta che mi fa da tana osserverò la vita
delle pozze che crea l’acqua quando si ritira.

Raccolgo intanto foglie secche e rami e gli do fuoco
quand’è sera, brucio ogni giorno qualche cianfrusaglia
( lo spazio è poco e devo utilizzarlo al meglio ) :
prima le lettere scritte e non spedite
poi tra le fiamme ho messo Il principe,
la scorsa settimana ho arso Kant e la sua Critica
ieri è andato a fuoco Inconscio e sogno
oggi sarà la volta di Anna Karenina.

Senza gioia ma con sollievo osservo i fogli accartocciarsi
tra le fiamme e farsi poi polvere grigiastra,
ma il calore non me lo dà che il legno
specie quello nodoso ed anche un po’ tarlato
come questa tavola sopra la quale scrivo.

Forse domani sarà tempo dei Canti e dell’Infinito,
terrò soltanto Giobbe e l’Ecclesiaste,
poi brucerò anche il resto del libro sacro.

Lo scontro a due è quasi terminato
sento che lei mi tiene d’occhio
presto udirò la frase di trionfo
“ scacco in tre mosse al re “
e deporrò l’orgoglio d’essere solo.

5 pensieri su “Poesie

  1. Fa davvero simpatia e quasi tenerezza la modestia di Luigi Paraboschi, se si confronta il suo commento («ringrazio la direzione per lo spazio che mi è stato concesso e che so di non meritare») coi toni vanagloriosi di tanti poetanti e criticanti d’oggi .
    È un autore “appartato” o “in ombra”, che ho conosciuto da pochi giorni grazie alla segnalazione di Luciano Nota che sul blog “La presenza di Erato” ha pubblicato altre sue poesie (http://lapresenzadierato.com/2014/04/18/cinque-poesie-di-luigi-paraboschi/).
    Che mi paiono belle, terse e rigorose. Hanno un andamento narrativo disteso. Connettono tempi arcaici e tempi d’oggi. Alludono a sentimenti sensuali («senza abbuffarmi sopra i suoi fianchi ad anfora») non cedendo al crudismo realistico gratuito ed esibizionistico-porno oggi di moda dappertutto. Lavorano su figure archetipiche della letteratura ben assimilate, rivivendole dall’interno con serietà e facendone personaggi-maschera (non solo della propria esistenza).
    Anche quando accenna ad esperienze più sue ed autobiografiche, da «giovane provinciale», come mi pare in «Il mio Macondo», le narra con leggerezza e vivacizzando il testo di richiami a luoghi e cose e opere d’arte e nomi di sportivi poeti o opere, riassumendo, in pochi semplici versi, problemi da trattati filosofici. Si veda, ad es., la dialettica tra liberazione e repressione allusa qui:

    e se un po’ t’inteneriscono quelle giovani radici
    che non vanno sottoterra ma cercano la luce
    e si sporgono dai ceppi, anche se c’è qualcuno
    che le estirpa perché la vitalità non sia troppo manifesta
    e non si debba modificare l’aiuola prestabilita.

    Oppure questo bilancio di vita e passione letteraria assieme:

    […] brucio ogni giorno qualche cianfrusaglia
    ( lo spazio è poco e devo utilizzarlo al meglio ) :
    prima le lettere scritte e non spedite
    poi tra le fiamme ho messo Il principe,
    la scorsa settimana ho arso Kant e la sua Critica
    ieri è andato a fuoco Inconscio e sogno
    oggi sarà la volta di Anna Karenina.
    […]
    Forse domani sarà tempo dei Canti e dell’Infinito,
    terrò soltanto Giobbe e l’Ecclesiaste,
    poi brucerò anche il resto del libro sacro.

    Poi Paraboschi dirà che lui non è un critico. Ma non bisogna credergli: è un poeta-critico.

  2. …Anche a me sembrano molto vigorose e potenti queste poesie. L’autore è mosso da forti passioni, ma non ama le promesse di felicità, i traguardi facili, vive la vita come una sfida. Da esploratore e pellegrino, lascia alle spalle la vita semplice per intraprendere i suoi viaggi in solitaria: cammina di notte sino a squarciare il cielo per vedere le stelle, sale sulle vette irraggiungibili rischiando la vita, viaggia nel tempo tra i ricordi, viaggia nel mondo dello spirito…sino a quella grotta davanti all’Oceano dove la sfida con i limiti dell’uomo, con il destino, prosegue in un duello mortale. Vuole arrivare fino in fondo ed é pronto a disfarsi di tutto il suo passato, gli affetti e le amate letture, per affrontare, solo, l’ultima partita con la morte…D’altra parte il poeta viaggiatore, come Ulisse, vagheggia la sua isola, la sua dimora, ma allora la passione si trasforma in una forma di rigore verso se stesso fino ad arrivare al sacrificio d’amore rappresentato dalle paperelle di Central Park che rinunciano a migrare d’inverno per poter continuare a contemplare, ibernate e felici, l’oggetto del loro amore…Poesie molto belle

  3. non so come ringraziare il sig. Abate che ha saputo leggere tra le mie righe ( avevo scritto ” rughe “, che lapsus freudiano .))) con tanta serietà e cordiale bonarietà, lui che so appassionato a ben altri livelli di poesia, rispetto a quelli che io ho tentato di mettere sulla carta, e ringrazio anche la signora Locatelli che mette il dito sulla piaga delle mie passioni sia morali che politiche che letterarie, passioni che mi hanno accompagnato (e mi accompagnano tuttora, pur se dalla mia isola di Aràn …))) dall’adolescenza alla vecchiaia.

    Siete stati molto molto gentili.
    grazie mille

  4. Non ci si stanca mai di leggere le poesie di Luigi Paraboschi: esse sono come dei fascinosi caleidoscopi dove il reale (mitico, letterario e storico) si fonde con l’immaginario e si trasfigura in situazioni rappresentate eideticamente, dalle quali poi se ne creano altre ancora in un incessante rimando.
    E’ una poesia ‘aperta’, non chiusa su se stessa, un sottile invito
    alla curiosità per chi si avvicina e impara a porsi domande; e questo dovrebbe essere uno dei criteri che sorreggono il poetare.
    Tessere il passato col presente, inoltre, è indice di una grande capacità simbolica e ideativa e fare questo lavoro di memoria con forza e leggerezza assieme aggiunge pennellate di colore che rimangono impresse nella mente.

    R.S.

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