La “Madonna del solletico”, detta di Foligno

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di Augusto Vegezzi

Questa splendida pala d’altare (308×198 cm.), dipinta in tempera grassa su tavola e poi trasferita su tela fu commissionata a Raffaello nel 1511 da Sigismondo de’Conti (1432–1512), nobile folignate, storico e segretario di papa Giulio II della Rovere, ed esposta l’anno dopo nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma, ma nel 1565 la nipote del donatore la destinò a Foligno. In seguito a varie peripezie approdò ai Musei Vaticani. Ora è esposta a Milano.

D’acchito questa tavola colpisce per la stupenda continuità e omogeneità tra terra e cielo, tra la figura della madre e del bambino, incorniciate dal globo solare e a sua volta circondato da un arco popolato da serafini che sfuma nelle nuvole che sfiorano boschi e colline di un vibrante paesaggio ricco di verzure ed edifici padani. Qui si distingue la casa di Sigismondo, protetta da un arcobaleno monocromo, verso la quale è diretto un fuoco, probabilmente un meteorite, in un borgo che rappresenta Foligno. Infatti, il dipinto sarebbe l’ex voto di gratitudine del committente perché la sua dimora, pur colpita da un fuoco misterioso, non era stata distrutta.
L’impronta veneziana è evidente nella suggestione misteriosa della campagna in una gamma di verdi e di colpi di luce, che ricorda il Giorgione, nelle strutture architettoniche, forse ispirate da Lotto e Dosso Dossi e nella melodiosa tavolozza di colori tonali, così intensi e fiammeggianti, che unificano organicamente il dipinto, facendone un unicum nella produzione del Sanzio. Il dipinto incanta per l’armoniosa sinfonia cromatica, in particolare i colori blù, azzurro, rosso e verde, che con giochi magistrali di tonalità e luminosità esalta la coerenza unitaria, l’osmosi tra terreno e divino che si rivela di una freschezza, una naturalezza e una spontaneità agli antipodi di ogni simbolismo astruso e metafisico.
Evidente è la continuità organica dello spazio chiuso in alto da un arco gremito di serafini che ne serra un altro aureo alle spalle di Maria e del figlio sulle nubi che scendono a incorniciare il paesaggio. In primo piano si stagliano il committente inginocchiato, protetto da san Gerolamo, da un lato, e, dall’altro, san Giovanni Battista e san Francesco; mentre al centro campeggia un angelo con un cartiglio enigmatico. Tutti questi personaggi sono nel paesaggio e poggiano i piedi su un praticello. In modi diversi tutti, grazie a una sapiente regia di gesti e sguardi, fanno convergere l’attenzione su Maria e il figlio, anche in funzione mediatrice verso noi spettatori, genialmente introdotti e coinvolti nella scena. Infatti, Sigismondo, Girolamo e Francesco guardano la coppia al centro; ci invita quest’ultimo anche con la mano, mentre Giovanni ci guarda e la indica con l’indice deittico di leonardesca memoria.
Maria con il figlio si staglia al centro della scena non nella tradizionale mandorla, invece entro un globo dorato, simbolo del sole. La sua grazia è accentuata dalla lieve flessione della testa, che ricorda l’Adorazione dei Magi di Leonardo.

leonardo madonnaNon è ieratica, una divina regina assisa in trono nella gloria dei cieli ma una bella e mesta signora seduta su una nuvola, piuttosto rilassata, tanto che la gamba destra, quasi diritta, appoggia su una nuvola inferiore e il suo piede è all’altezza delle spalle di Giovanni e Girolamo e della testa di Sigismondo. Ciò le conferisce una notevole altezza e un’esplicita presenza nel mondo, del resto sottolineata dal fatto che le nuvole nel retro sfiorano e si saldano in continuità a boschi e colline. Non si vede il cielo. La madre, avvolta da uno scialle, che copre la sua testa e quella del figlio, e da un largo mantello è pensierosa, imbronciata, concentrata sul figlio in un dolce rapporto amoroso e ludico. Gli occhi sono semichiusi e forse fissi su Sigismondo.
Del pari il figlio, bellissimo, sereno, sonnolento, è in posizione speculare: appoggia la gamba sinistra piegata sulla coscia della madre, mentre con la destra, diritta, si regge su una nuvola, con analogo effetto longitudinale. Maria sostiene col braccio sinistro l’infante, che si divincola graziosamente o meglio subisce uno di quei guizzi torsionali che sono provocati dal solletico. Infatti, il medio della mano destra della madre giocherellona sembra titillare il bimbo sotto l’ascella con ludica affettuosità.

Madonna,Casini,MasaccioNella storia della pittura mariana, forse di quella mondiale, questa è la seconda rappresentazione di un solletico. Prima di Raffaello, infatti, già la Madonna Casini, forse di Masaccio, esposta agli Uffizi, raffigurò una madre che fa solletico al bimbo ignudo, supino e inerte. L’originalità di Raffaello, tuttavia, sta nel cogliere perfettamente la fulmineità del guizzo incontrollato e nel significato di questa ardita innovazione.
Va ricordato che strutturalmente la pittura è un mezzo espressivo statico, che rappresenta con immagini o scene statiche oggetti dinamici bloccati nell’attimo del presente. Si direbbe una sorta di metonimia. La sfida di cogliere il movimento, che suppone lo spazio e lo scorrere del tempo, iniziò nella scultura del tardo Egitto e fu vinta già in Grecia sia nella scultura che nell’iconografia vascolare. In seguito innumerevoli sono stati gli esempi di persone, cavalieri, navi, comete, animali in movimento fermati dal mezzo figurativo con una resa perfetta. Ma il guizzo stimolato dal solletico, che vediamo in questo dipinto, è particolarmente bizzarro e rappresenta una sfida ardua che Raffaello vince magnificamente. Un grande maestro che padroneggerà questa maestria sarà il Caravaggio, del quale rammento il flash formidabile del Ragazzo morso da un ramarro.

caravaggio ramarroQuale obiettivo semantico si poneva Raffaello introducendo questo dettaglio insolito e irrituale? Cos’è il solletico? E’ uno stimolo fisico che proviamo fin dalla nascita e che fa reagire il nostro corpo al di fuori del nostro controllo, a volte irritandoci, altre facendoci ridere. Ve ne sono di due tipi: la gargalesi è il solletico insistente e indirizzato a piedi, ascelle, ventre, che ci fa ridere e contorcere in forme incontrollate; la knismesi è la reazione a un leggero sfioramento della pelle in qualsiasi parte del corpo che provoca eccitazioni di tipo erotico. In entrambi i casi si tratta di fenomeni indipendenti dalla coscienza e dalla volontà, specificamente appartenenti alla naturalità e fisicità dell’essere umano. Il figlio, insomma, sembra sottolineare il pittore, è un bambino fisicamente e naturalmente come tutti gli altri. E così la madre giocherellona.

Molti sono i problemi d’interpretazione che ha suscitato questa pala, a cominciare dalle infuocate diatribe ispirate dalla dotta citazionedall’Apocalisse (XII, 1) della donna vestita di sole, mulier amicta sole”, intesa in rapporto al mistero dell’Immacolata, fino alle recenti speculazioni di Sgarbi su i serafini e i cherubini, e ad altri occasionali interventi, come quello del prof. Paolucci, che ha esaltato Raffaello come il più grande pittore del mondo e questa Madonna la più bella di tutte. “Non si può essere più bravi di così nel dominio delle forme e del colore”. Modestamente dissento: si può fare di meglio. Non molti lo possono, ma qualcuno sì, certo Sanzio stesso, che dipinse almeno una decina di figure femminili più belle. Inoltre, se potessimo ruotare di 60 gradi il volto di Maria, forse troveremmo un viso paffutello.
Molti specialisti, va osservato, come molti di noi semplici appassionati d’arte, giudicano secondo le proprie idee preconcette o i propri pregiudizi, trascurando uno studio accurato dei dettagli dell’opera d’arte. Certo, come dice Nietzsche, non esistono fatti ma solo interpretazioni. E questo è tanto più vero nel caso dei dipinti, che sono sempre interpretazioni ma pur sempre al grado zero, da cui partire e a cui sempre tornare per rigorose verifiche.
Perciò non basta un’occhiata meravigliata ed esaltante, ma bisogna controllare e ricontrollare le ipotesi col dipinto. Perciò invito i lettori, sperando che ce ne sia qualcuno, a vedere e rivedere attentamente la pala con occhi stupiti ma anche critici.

A mio avviso in quest’opera si evidenzia una forte radicalizzazione di quell’avvicinamento dell’umano e del divino che costituiva il cardine del Rinascimento. Rivediamola: in una visione complessiva la terra finisce nelle candide nubi che si coagulano in azzurre presenze angeliche, serafini, simboli di razionalità, attorno alla sfera solare alle spalle di Maria e del figlio. O, reciprocamente, gli azzurri serafini svaniscono nelle bianche nuvole che a loro volta si dissolvono nelle nebbie e infine nella terra. Insomma, notiamo una continuità, un ciclo unitario, un’osmosi tra lo spirituale e il materiale. Raffaello sembra preludere con questo suo manifesto visivo alla teoria spinoziana di una realtà unitaria e onnicomprensiva, espressa dalla duplice formula: deus sive natura oppure natura sive deus.

Sotto i citati due archi sovrapposti, dominanti, la struttura dell’opera mostra uno sviluppo piramidale con una scansione soft di due piani omogenei. Al culmine e centrale si stagliano Maria e il figlio. Alla base i tre santi e il committente sono presentati in modo originale come esseri terreni, con i piedi ben piantati sulla terra e nel quadro di un panorama affascinante e misterioso. I loro visi come quello di Sigismondo non esprimono i tradizionali sentimenti estatici e devozionali ma, scolpiti con maestria, mostrano caratteri umani forti e drammatici. Particolarmente Giovanni e il folignese rivelano la genialità celebrata di Raffaello ritrattista nel far trasparire dai visi la complessità degli animi.
La madre e il bambino si librano tra le nuvole ma si rivelano profondamente umani. In essi non è dato di vedere alcun elemento, aureola, segno o simbolo sacrale, celestiale o trascendente. A differenza della Madonna Sistina, dipinta negli stessi due anni, dove la madre e il suo figlio, sono umani ma con caratteri che evocano esplicitamente la loro dominante missione religiosa. Si pensi al viso serio del bimbo, al suo sguardo severo e profondo che sembra trafiggerci senza scampo. Un altro unicum, forse, tra i dipinti mariani di Raffaello. Infine, il ludico solletico al figlio accentua ancora di più la naturale affettività e carnalità della madre in dolce rapporto col suo birichino. Ciò mi sembra organico alla visione unitaria, all’osmosi di spirito e materia, di divino e terrestre e agli antipodi di una visione dualistica che contrapponga il mondo e la trascendenza.

Ovviamente secondo l’opinione contraria, ortodossa e prevalente, Raffaello in questa tela fa scendere il divino nel mondo, unendo armoniosamente la dimensione trascendente e quella terrestre, il divino e l’umano, addirittura secondo alcuni annunciando trionfalmente che il divino è tra noi.
No, noi siamo senza rimedio fuori dal quadro. Sanzio annunciava agli uomini del suo tempo, geniali creatori e fruitori della civiltà umanistica rinascimentale, che il divino era tra loro.
Suggerisco da un lato di rileggere il capolavoro senza pregiudizi e con animo problematico; dall’altro di riconfrontarsi con il nostro Zeitgeist, con questo mondo e questa civiltà di oggi, in cui è sempre più facile constatare una dilagante eclisse sia dell’umano che del divino.

 

4 pensieri su “La “Madonna del solletico”, detta di Foligno

  1. …la mia è solo un’interpretazione, ben inteso, da ignorante nel campo dell’arte.
    E’ davvero molto simpatica e umana questa Madonna di Raffaello cosi’ scomposta che sembra star per scivolare dalla nuvola nell’atto di fare il solletico al suo bambinello imbronciato da rasserenare…Anche il paesaggio sottostante è rischiarato da un arcobaleno, fenomeno che appare spesso nel cielo dopo le tempeste. Raffaello, certo dotato di molto spirito umoristico, vuol forse trasmettere un invito alla rappacificazione? Rivolto a chi? Alle spalle della mamma e del bambino risplende la sfera del sole nascente. Una speranza che si rinnova? E tutt’intorno si affollano i serafini strabiliati, gli angioletti della razionalità: sembrano confabulare tra loro su quel gesto insolito dall’effetto esilarante che si propaga sul corpo del bambino, come su tutto il dipinto. Ma ancora piu’ forte, per contrasto, l’effetto sui santi e il committente posti ai piedi ma in continuità con il paesaggio intermedio e la madonna con il bimbo: l’arcobaleno sembra legare il tutto in un patto di alleanza del tutto naturale tra cielo e terra, tra spirito e materia. Forse un invito rivolto a uomini dediti alla fustigazione del corpo e all’astinenza a riconsiderare il rapporto con il proprio corpo e anche con la femminilità in termini di naturalezza, di armonia tra le parti del creato e non di peccato…dove umano e sacro trovano la loro riconciliazione. Sembra quasi un messaggio “laico”, non penso epicureo,
    quello che Raffaello vuole trasmetterci con questo meraviglioso dipinto, dalle tinte quasi naif…il putto in primo piano con il cartiglio scolorito potrebbe suggerirci la parola “Amor”, piu’ un amorino pagano che un angioletto. E senza togliere nulla al mistero…

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  3. Mi era sfuggito a suo tempo questo bel testo di A. Vegezzi e sono contenta di questa riproposizione a seguito di un nuovo intervento.
    A proposito della sfida *di cogliere il movimento, che suppone lo spazio e lo scorrere del tempo* – e quindi, in un certo qual modo, il fare violenza alla staticità del mezzo figurativo (pittura o scultura che sia), non possiamo dimenticare Antonello da Messina (1430-1479), con la sua “Annunciata” (1476) che si trova a Palazzo Abatellis a Palermo.
    Ogni volta che mi incontro con questo quadro (perché lo seguo nelle varie Mostre in cui viene portato), la commozione che sperimento è massima ed incontrollata, benchè sappia perfettamente di ciò che ho di fronte.
    Anche tutto ciò che mi dico per cercare di dare un senso al mio sentire, poco giova all’evitare quella esperienza di grande coinvolgimento.
    Innnzitutto, il pittore ti fa direttamente entrare nella scena dell’Annunciazione.
    Lo sguardo di Maria non è rivolto allo spettatore – che invano tenta di agganciarlo -, bensì all’ignoto, di fronte al quale la fanciulla sembra, con la mano avanti, adombrare perplessità mentre, nel contempo, le dita che trattengono pudicamente il velo sembra che debbano improvvisamente rilasciarsi e aprirsi allo svelamento.
    E questo ‘doppio movimento’ ti fa stare con il cuore in gola.
    Ma la cosa che ‘esteticamente’ (nel senso di aisthesis, e che qui tocca non solo il senso della vista ma anche quello dell’udito) colpisce di più è il palpitare delle pagine del libro che Maria sta sfogliando sul leggio. Come a dare l’impressione che lo Spirito stia aleggiando lì, in quel momento, e le possa muovere.
    Questa ‘attesa estenuante’ sembra rappresentare iconograficamente il nostro vissuto conflittuale di fronte ad ogni annunciazione/rivelazione di qualche evento nuovo.

    Grazie per questa opportunità di parlarne.

    R.S.

    1. Grazie anche a te Rita per questa tua interpretazione così delicatamente esposta , molto precisa e soprattutto coinvolgente. E’ una scena piena di significati e dai colori che emozionano. Ciao buona estate.

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