Lavarsi la faccia al mattino

lenin mayoor

di Lucio Mayoor Tosi

Sulla terrazza delle circostanze un lupo solitario legge quattro righe in versi. Prima di coricarsi tossisce alla tristezza, stempera un rigagnolo di parentesi quadre per l’indomani, chiude gli occhi e sta nel corridoio buio, davanti all’uscio, fedele, povero, infreddolito.La notte chiama sospirando i suoi cerchi a raccolta: nel primo un pensiero celeste conta i percorsi delle scarpe, il secondo sta di profilo, che gliene importa? il terzo fruga nel mucchio delle parole dismesse, due da aggrovigliare alla finestra. Non piove, non c’è rifugio. Sono tutte spente le cose belle. I padri si riscattano dormendo sul fianco. Presenze numeriche inferiori a mille. Un villaggio. La prima donna canta ancora, sottovoce, se la guardi sorride e intona una lirica al suo amore strofinaccio. Il primo uomo abita nei suoi calzoni e da lì non esce. Il primo figlio è come morto ma il secondo vuole ancora marmellata, mentre il terzo aspetta il suo turno davanti a nomi e cognomi in fila indiana. Il lupo distribuisce parole dolci prendendole dall’armeria. Le donne bruciano e pare che nessuno se ne accorga.
Sarà mezzanotte, sulle cime dei monti canta l’usignolo che si è perduto.

19 pensieri su “Lavarsi la faccia al mattino

  1. Questa scrittura ci porta alla meraviglia. Vorrei tanto capirne di più. Il poeta ha i suoi segreti , i suoi sogni, la sua verità, la sua bugìa. Tutto ciò è così suo che a svelarlo perderebbe tutto il suo potere la sua grande magìa e qui ce n’è tantissima. Lucio sorprende, sempre. Bravissimo.

  2. E’ poetico tutto ciò che consideriamo razionale, sensato, storico, civile; tutto ciò che trattiamo con serietà e rispetto; sono poetici gli ideali, le persone che ci hanno spronato e ispirato, i valori che abbiamo condiviso; è poetico Lenin, è poetico Marx; poetici sono Pasolini, Fortini; poetica la poesia, la filosofia. E’ poetico tutto ciò che è stato cancellato, accantonato, deriso. Poetico reinventare la realtà con oggetti che abbiano nuove luci e ombre; è poetica la distanza tra osservato e osservatore, la distanza che il pensiero dilata nello spazio e nel tempo ma non deforma. Non è poetico far rivivere quel che è stato e non c’è più, ma è poetico saper ascoltare e cercar di capire; così come è poetico sapere amare, è poetico saper piangere e ridere, è poetico saperlo fare.

  3. Un po’ spiazzato dalla scelta dell’immagine di Lenin associata ai suoi versi, ho chiesto a Lucio (Mayoor Tosi) il perché. Mi ha risposto così:

    Perché Lenin era un movimentista, non un capo di partito. Io sto tra la gente, anche come poeta, finisce sempre che il mio scontento fuoriesca nel guardarmi attorno, si fa sociale ma senza perdere nulla di ciò che mi riguarda personalmente. E’ stato il titolo, che ho scritto successivamente alla poesia, a suggerirmi l’immagine di Lenin: in questo caso anche l’abbinamento è poetico, è come un verso. “Lavarsi la faccia al mattino” potrebbe stare in coda al Che fare, ma è metaforico, dice che dovremmo darci una scossa… a come viviamo, alla storia, e il suo viso (di Lenin) è perfetto: severo, impettito, sicuro di se’ e del suo giudizio. Mi chiedo sempre come fare per restare poeta senza ricorrere a proclami o ragionamenti, che non sono il mio forte, non più di tanti altri, sapendo di avere una coscienza ben desta su quanto ci accade o accade nel nostro paese, però non abbandono per un attimo la via alla conoscenza che offre la poesia. Mi sembra che questa poesia parli di generazioni, di degenerazioni e di sogni “il terzo aspetta il suo turno davanti a nomi e cognomi in fila indiana.” sono i ragazzi senza lavoro, senza che qualcuno creda in loro. E’ una scrittura tutta metaforica, solo metaforica, quasi surreale. Non sono certo che si capisca, va sul sentire. Tornando al titolo, è anche ironica, è rivolto ai “passatisti” per usare un termine futurista che mi diverte ancora.

    Discutiamone!

  4. …e si sente tutto…magistralmente raccolto in quella scrittura sospesa tra la magìa e la realtà. Qualcosa da imparare, un nuovo che non s’arrende alla tristezza di questi tempi. Che ne dite cari poeti?

  5. …penso anch’io che si tratti di un lupo sornione, dai gesti lenti e misurati, ma tutt’altro che arreso, come covasse sotto le ceneri. E’ il suo momento contemplativo, riflessivo, ma giusto quello che precede la scelta, il movimento. Anch’io vado sul sentire…
    Il lupo poeta e solitario raccoglie le sue idee sul mondo, che trova tanto sconfortante, dove le strade da imboccare sono quelle segnate dal’indifferenza, dal già percorso, dal confuso… “Sono tutte spente le cose belle…”, i ruoli negativi (i senza voce, gli accaparratori, le vittime…) si ripetono all’infinito, le generazioni degenerano, lasciando lunghe file di giovani senza sogni, senza speranze…Sembra un quadro della società di oggi, il lupo non abbandona il suo sorriso, vuole continuare ad amare a credere in quello in cui ha sempre creduto, ma affila le armi…”lavarsi la faccia al mattino”, come dire allontanare gli incubi della notte, le paure, le incertezze per riflettersi nel volto chiaro di un uomo,Lenin, che ha dato il via ad un movimento rivoluzionario…
    Questa poesia molto bella di Mayoor mi ha richiamato un’altra letta sul blog “Si lavava di notte all’aperto” di Mandelst’am, in entrambe leggo un forte idealismo

    1. Sì, Annamaria, mi sa che è la stesa notte. La notte di chiunque stia con le cose belle. A volte siamo infermieri, e sotto sotto anche dei rompiscatole, però anche degli strumenti perché le parole ci vengono date: uno sfoglia, sceglie, appiccica… è un lavoro così.

  6. … capisco il modo di concepire la poesia di Mayoor (lo condivido) anche se non penso sia il solo modo di fare buona poesia. Certo la maggior parte delle scritture di Mayoor mi colpisce, certe mi sembrano magnifiche…

  7. La logica dell’inconscio guida questa poesia-sogno di Mayoor. Un’immagine- simbolo («un lupo solitario») appena pare antropomorfizzarsi (sta per coricarsi, tossice, è infreddolito) viene subito sostituita da altre immagini: una notte- chioccia che chiama a raccolta i suoi pulcini-cerchi, un villaggio (appena nominato e indistinto) e poi un Eva ( prima donna in senso di mitica progenitrice o cantante di spicco?) e un Adamo ( progenitore mitico un po’ imbarazzato) attorniati da figli ( tre – numero simbolico – come i cerchi-pulcini). A prima vista non c’è nulla da “capire” in questa poesia. Facile è ammirarla, meravigliarsene. Magari applaudire il poeta-mago. E Lucio volentieri si mette in queste vesti. Nell’autocommento distribuisce benevolo patenti di poeticità a tutti e a tutto. Indistintamente. Proprio come nella poesia. Ma per far questo deve ridurre a immagini (a pure immagini) tutto e tutti. Persino Lenin, Marx, Pasolini e Fortini, la poesia e la filosofia. ( Mancano forse le scienze…). Ma qual è il rischio oggi di questa equivalenza surrealista che tutto riduce a spettacolo? (Ricordiamoci che siamo invasi dalle immagini…). Direi che ad essere ucciso non è il chiaro di luna, ma la storia. Sentirmi rispondere da Lucio che ha scelto l’immagine di Lenin «perché Lenin era un movimentista, non un capo di partito» a me fa ancora sobbalzare, strofinare gli occhi. Dormo o son desto? Non mi metto qui a precisare pedantemente o rimandando a un manuale di storia che Lenin fu antimovimentista per eccellenza e inventore di un partito di «rivoluzionari di professione». Se poi Lucio chiarisce: «è stato il titolo, che ho scritto successivamente alla poesia, a suggerirmi l’immagine di Lenin», posso apprezzare l’abbinamento «viso (di Lenin) […] perfetto: severo, impettito, sicuro di sé e del suo giudizio»/lavarsi la faccia al mattino, come atto di risveglio, e gli perdono – in questa sede – anche la sua disinvoltura da storico. Ma non posso non chiedermi però, sperando di scandalizzare, perché il poeta debba ancora oggi (o pure oggi) abbandonarsi a «una scrittura tutta metaforica, solo metaforica, quasi surreale». Chi lo obbliga?

  8. Premetto che quello che scrive Mayoor mi piace molto, un piacere sopraffino, il che vuol dire che è sempre necessaria una seconda, terza lettura per far splendere il brillante che ci sta sotto: più letture, non tanto per cercare di capire ma per ‘scoprire’ ciò che c’è tra le pieghe: un equivalente, appunto, del “Lavarsi la faccia al mattino”.
    In qualche modo mi richiama l’Ettore Petrolini, inimitabile nel giocare con le parole, con i doppi sensi, che, con la sua gestualità, faceva saltellare qua e là come un prestigiatore.

    Ma, ovviamente, non posso limitarmi a questi miei apprezzamenti personali. Anche perché, di metafora in metafora, metà-fora e metà-dentro, si può anche morire senza aver concluso niente.
    Ma torniamo al tema.
    Quello che percepisco nei lavori di Mayoor è la destrutturazione di una narrazione e dei codici di senso che sono generalmente condivisi e dove l’originalità sta nel sovvertire dall’interno il senso delle immagini oltre che nel fare accostamenti surreali.
    Giustamente Lucio afferma che tutto è poetico, * Poetico reinventare la realtà con oggetti che abbiano nuove luci e ombre; è poetica la distanza tra osservato e osservatore, la distanza che il pensiero dilata nello spazio e nel tempo ma non deforma*: e come dargli torto!
    Quindi viene mostrata la rottura dei comuni nessi interpretativi dove la nominazione delle cose occupava un suo ‘posto’ prestabilito. In altri termini, ‘fotografa’ a livello verbale la sconnessione tra le parole e un loro significato originario dando ad esse connotazioni altre per cui vediamo “un lupo solitario….. . sta nel corridoio buio, davanti all’uscio, fedele, povero, infreddolito”.
    Questa operazione di ‘straniamento’ – presente anche nel suo altro lavoro “Il tempo” – mette il singolo lettore nella condizione di stabilire lui quelle connessioni di cui Mayoor si fa solo portatore, stimolatore e non interprete. Ognuno si creerà la sua ‘ecclesia’ di riferimento, o la sua ‘poesia’.
    Così vale per il *terzo della fila* che può o meno appartenere al contesto dei *ragazzi senza lavoro, senza che qualcuno creda in loro*. Da un lato la precisazione di Lucio ci porta lì, ma, dall’altro, questa immagine ci porterebbe anche alle lunghe code per la sussistenza post-bellica, o per una ‘terza generazione’ il cui sogno di un mondo migliore si allontana sempre più.
    La libertà interpretativa viene dunque data al lettore che può leggere il testo a seconda del suo sentire (dice Mayoor: * Non sono certo che si capisca, va sul sentire*); il contesto gliene dà solo una flebile traccia: non si tratterà certo del terzo della fila che va ad un concerto o a imbarcarsi per una crociera.
    Quanto al Lenin poetico o al Marx poetico, perché no? La loro idea di trasformazione del mondo può anche essere vista come ‘poetica’, perché la poesia è ‘poiesis’, trasformazione, appalesa mento.
    La poesia ha sempre un ‘retro’. Contempla sempre il fatto che ci sia un lato nascosto delle cose ma, come Husserl non si stancava mai di dire – e io non mi stanco mai di ricordare – bisogna partire ‘dalle cose’ non dalle nostre teorie, o fantasticherie, o desideri sulle cose. Lenin parlava appunto di “analisi concreta della situazione concreta”.
    Dire che Lenin era *un movimentista, non un capo di partito* o dire che Marx era un ‘umanista’, non un ‘materialista’, è una falsa ‘traduzione’ storica, è un ‘tradimento.
    Cambiare ‘faccia’ alla storia glissando ogni realtà storica.
    Fare così significa non tanto ‘lavarsi la faccia al mattino’ ma sperimentare che “sotto quella faccia, niente”.
    Per cui, i versi di Mayoor “Lavarsi la faccia al mattino”, immagine molto bella e densa di significati – che potrebbero essere l’accedere ad una visione più libera dai condizionamenti sovrastrutturali, oppure lavarsi la faccia dagli incubi notturni e poterci vedere più chiaro – possono portare al rischio di non trovare niente sotto quella faccia, o ‘non avere più faccia’.
    Significa perdere ogni specifica individualità e identità. Anche l’arte deve confrontarsi con dei limiti, almeno a mio parere.
    Se nel film di Q. Tarantino “Bastardi senza gloria”, la licenza trasformativa della realtà, metabolizzata dal regista e restituita in forma caricaturale (Hitler che muore nell’incendio di un cinema) permetteva un accesso ironico alla stessa, non posso accettare i palesi tradimenti dei fatti storici solo per far passare una tesi anziché un’altra (vedi film “La vita è bella” oppure “La meglio gioventù”).
    Sarebbe come: ‘dai passatisti ai passatelli’.

    R.S.

  9. @Ennio
    non posso mettermi a discutere di storia con te, non ne sono all’altezza, io posso dare spiegazioni imparaticce e lo so che non dovrei e dovrei invece impegnarmi di più, ma sono davvero molto negligente, vivo di slanci e per il resto zero, l’assoluto vuoto (buddista). Però non mi sfugge la differenza tra Lenin e Stalin (a questo alludevo dicendo del movimentismo e dei capi partito), vale a dire la differenza tra creare un partito per consenso e aggregazione e la gestione dello stesso a rivoluzione avvenuta.
    Tendo ad esprimermi sbrigativamente anche nella vita, perché vado per sentieri paralleli al buon senso, o al senso comune condiviso: la logica va a farsi friggere ma l’importante, mi pare, è che si arrivi ad un punto di incontro, un po’ come nella musica indiana dove si va per estenuanti sedicesimi ma all’ultimo tocco ci si deve incontrare. Procedendo in modo assolutamente intuitivo sono arrivato a dire che l’immagine di Lenin è poetica: capisco lo scandalo perché in qualche modo sto dicendo che Lenin è una faccenda estetica (riduce a spettacolo – Ennio), e un po’ è vero, faccio presente però che spettacolo non è di per sé sinonimo di intrattenimento, che c’è spettacolo e spettacolo, a meno di voler buttare a mare, che so, anche Carmelo Bene ( che ricordo iniziava spesso i suoi spettacoli, appunto, con la sua voce fuori campo che diceva: tra cinque minuti inizia lo spettacolo!). Quindi per favore non mi mettete in ambiti che non sono i miei, quelli “della società dello spettacolo”, che poi è un’espressione usata solo da una parte del pubblico, chi se ne occupa non è certo disposto ad ammetterlo.
    Quanto alla scrittura metaforica, che ho così definito nel tentativo maldestro di darmi una posa critica e razionale, sbagliavo: l’unica metafora è nell’ultimo verso “Sarà mezzanotte, sulle cime dei monti canta l’usignolo che si è perduto.”, per il resto secondo me è semplicemente altro linguaggio; e qui dovrei dilungarmi, anche sul surrealismo, e aprire una parentesi sull’iperrealismo di Tranströmer, ma magari un’altra volta.
    Comunque non è la poesia ad aver creato degli equivoci, sono stato poi io con le mie spiegazioni: l’immagine di Lenin era a corredo, nella poesia non se ne parla proprio.

    @Rita
    … spero così di aver risposto in parte anche ad alcune tue osservazioni. Come sempre ti ringrazio per il tuo apprezzamento. Avrai capito che sulla “rottura dei comuni nessi interpretativi” si basa un po’ tutta la mia ricerca: ne ricerco di nuovi, creativamente, in modo febbrile direi, e se da un lato “obbligo” chi legge a fare uno sforzo semantico (?) da parte mia cerco di sostenere arrivando in qualche modo a costruire una immagine unitaria, seppur nebulosa, che vada a conclusione (esattamente come, mi pare, fan tutti i poeti). Sì, il mio Lenin è un po’ tarantino.

    Comunque a parer mio questa poesia non contiene elementi particolari di novità: oggi è in forse anche l’altro linguaggio perché in qualche modo deforma, o non incoraggia, la visione del reale. Questo lo si fa meglio con la prosa poetica, e io sto tenendo i piedi in due scarpe.

  10. Teneva il piede in due scarpe
    Faceva parole faceva arte
    con gli a capo o senza
    era una grande presenza
    il piede messo a dure prove
    e le scarpe sempre nuove.
    La metafora si faceva più ardita
    quando iniziavan a far mal le dita
    Magìa soprattutto nella vita
    era per lui la cosa più gradita
    era anche pittore
    con fiocchi di colore
    faceva della piccola città
    un caleidoscopio di umanità.

    BYEMY un abbraccio

      1. Avrei voluto specificare l’uso del tempo, poi non l’ho fatto…era solo per la rima, ma comunque conservalo, mi raccomando!!!!

  11. Questa storia delle icone mi intriga, davvero non ho rispetto per nessuno. Lenin sul portachiavi o sul cruscotto della macchina: ai tempi del neorealismo avrebbe avuto il significato che gli ho dato io, ma oggi è diverso, si sta perfino attenti a dirsi comunisti.

  12. I tempi cambiano. Siamo sempre lì, le cose essenziali di cui l’uomo ha bisogno sono sempre le stesse ma oggi mancano, in compenso telefonini, palestre. cibi conservati, animali ridotti a prigionieri per poter sfogare le voglie nei fast food, guerre travestite da pace, politici delinquenti assolti e messi per un giorno alla settimana a far ridere gli anziani nelle case di riposo, sconti,saldi per toglierci le ultime monete. Niente lavoro, niente dignità, niente pudore, niente vergogna, niente scuola,niente casa. Date e vi sarà dato dicevano…
    Ma la foto di Lenin no eeeehhh! I comunisti via per sempre , quelli vogliono dare pane a tutti e giustizia, ma che stiamo scherzando ?!?!? Non se ne parli neppure!
    Certa gente al mattino dovrà lavarsi la faccia con la varichina e forse non basterà…

  13. @ Mayoor

    A proposito di surrealismo. Copio dal blog di Paolo Statuti questo brano di un articolo ( si legge per intero qui:http://musashop.wordpress.com/2014/04/07/a/ ) che qualcosa a che fare con le cose che qui diciamo:

    Una delle poesie che mi hanno più colpito di questa raccolta è del poeta Włodzimierz Słobodnik (1900-1991) e si intitola Le visite notturne del signor Brahms. Eccola nella mia versione, seguita da un bel commento della stessa Anna Kamieńska.

    Le visite notturne del signor Brahms

    Signor Brahms, perché di notte viene a visitarmi
    E le sue quattro sinfonie, come quattro pietre,
    Mi scaglia o piuttosto come quattro pianeti
    Dolenti come arcobaleno tagliato coi coltelli?
    Basso grassone con la grande testa di Giove,
    Fumatore di sigaro e bevitore di birra,
    Da che ti viene l’oscurità che tutto avvolge
    Come gigantesca sala, dove arde una sola candela,
    La tua disperazione gotica? Tu crocifisso
    Alla musica, come Cristo di toni e dissonanze,
    Perché vieni da me di notte sorridente
    Con filosofia, come se sapessi più di noi,
    Cos’è l’immensità della notte e il limite dell’uomo,
    Cos’è la fuga d’un fiore dalla propria ombra
    E cosa sono gli occhi ciechi delle stelle?
    Inoltre sai alquante cose riguardanti il caos,
    Che nella notte irrompe, quando non si può dormire,
    E tu forse l’hai racchiuso nella tua musica minacciosa,
    Per addomesticarlo come animale rapace.
    Nelle tue sinfonie le forze naturali vogliono mutarsi
    Nelle cose umane, come l’uomo tanto fugaci.
    E così il fuoco trasformi in pani infocati,
    L’acqua nella trasparenza della fine umana,
    L’aria nell’oscuro grido che la trafigge.
    Sono già abituato alle tue visite notturne,
    Alla tua barba, alla tua alta fronte,
    Alla tua pancetta e al tuo sigaro,
    Che arde per me come fiammella di una nota.
    E vago tra le tue sinfonie come nei cerchi dell’inferno,
    E mi dimeno come pesce gettato sulla riva.
    Le tue sinfonie mi trasportano come onde agitate
    E il destino della tua musica al mio destino umano
    Si lega come l’ombra della mia lampada
    Alla mia ombra, come l’insonnia allo spavento.
    Basso grassone, sei l’incarnazione di tale musica,
    Che prima salverà il mondo, per poi distruggerlo
    Con una sola sferzata di giganteschi toni,
    Catastrofici come i tuoi occhi e la tua fronte.
    Nella tua musica accosti le cose distanti tra loro,
    E così un violino al bisturi del chirurgo accosti,
    Un uccello a uno scaffale della biblioteca, in cui
    I libri invidiano all’uccello le sue ali,
    Un vecchio, che si prepara il tè, a un antico coro,
    Una donna che dorme all’insonnia della lontananza,
    Una scultura alla fuga di tutte le forme,
    I cortei di ombre al puro freddo dell’astrazione,
    La serenità della mano, quando un raggio di sole
    Vi cade, alle cinque disperazioni delle sue dita,
    La quiete dopo il boato del vulcano a foglie danzanti,
    L’aspra solitudine umana alla solitudine di ogni Dio,
    L’ira del tuono alla tolleranza delle gocce di pioggia,
    La caduta nell’abisso alle gambe bel salde sulla terra.
    Signor Brahms! Aspetto la tua prossima visita.
    Ma forse verrai, quando io non ci sarò più?

    (Versione di Paolo Statuti)

    Dialogo tra il poeta e il silenzio

    Monologo o dialogo? A dire il vero è una poesia per una sola voce, la voce del poeta. Ma solo in apparenza. In realtà su questa scena poetica ci sono due personaggi: il poeta e il silenzioso Brahms.

    Signor Brahms, perché di notte viene a visitarmi
    E le sue quattro sinfonie, come quattro pietre,
    Mi scaglia o piuttosto come quattro pianeti…

    La conversazione inizia in modo quasi consueto, in tono amichevole e convenzionale: “Signor Brahms”… Ma subito avvertiamo che non sarà una conversazione convenzionale. E’ una conversazione in cui una sola voce crea due personaggi, una sola voce imbastisce un dialogo. In questa poesia si delinea chiaramente una situazione teatrale. Si svolge una grande conversazione, in cui sentiamo soltanto una voce. La seconda voce è il silenzio. Brahms risponde con il silenzio, ma in questo silenzio si sente tutta la sua potente musica, piena di enorme caos e di saggezza. L’antica saggezza cinese della filosofia Lao-Tse afferma che, chi parla – non sa niente, colui che sa – tace.
    E’ così anche nella poesia di Słobodnik – colui che non sa parla, parla, racconta, descrive, chiede. Colui che sa – tace. Il sapere di Brahms è la conoscenza di una grande arte, nonché la conoscenza dell’altra sponda, la conoscenza della morte.
    Nel suo ruolo, nel suo monologo il poeta traccia l’inconfondibile figura del compositore. Lo vediamo. C’è in lui qualcosa di Socrate, qualcosa di Villon e qualcosa di Baudelaire. Un basso grassone con la grande testa di Giove, che sorride con filosofia, barbuto, con un boccale di birra, il sigaro in bocca, con la fronte sporgente e gli occhi ardenti. Questo Brahms non è un nebuloso fantasma, è concreto e vero, vero soprattutto grazie alla sua caratteristica bruttezza. Egli è vero, ma in modo inquietante si fondono in lui diversi personaggi: Giove, l’ubriacone di Villon, il “Cristo crocifisso dei toni e delle dissonanze”, il sorridente filosofo dalla grande testa, il borghese panciuto che fuma il sigaro. Brahms tratteggiato con alcuni tocchi e accenni del poeta è pluridimensionale e misterioso. Tanto più misterioso è il suo linguaggio, il linguaggio della sua musica. Qui anche la saggezza del poeta è nella concretezza della parola. Dapprima le quattro sinfonie di Brahms sono paragonate a quattro pietre, poi invece a quattro pianeti. Le quattro pietre, così concrete e pesanti, costituiscono un facile aggancio per la nostra immaginazione. Ora seguiamo agevolmente la fantasia del poeta che ci conduce verso immagini sempre più tridimensionali, cosmiche, surreali. Ma l’immaginazione poetica di Słobodnik ruota incessantemente nella concretezza. Gli inferni che questa poesia non può lasciare, determinano la sua forza e il suo fascino peculiare. Anche la tecnica del sonno, la tecnica del surrealismo non va oltre il grottesco in senso classico, oltre la metamorfosi, dove le forme dei corpi passano in altre forme e si legano ad esse. Questa splendida caratteristica della sua immaginazione il poeta l’attribuisce anche a Brahms:

    Nella tua musica accosti le cose distanti tra loro,
    E così un violino al bisturi del chirurgo accosti,
    Un uccello a uno scaffale della biblioteca, in cui
    I libri invidiano all’uccello le sue ali,
    Un vecchio, che si prepara il tè, a un antico coro,
    Una donna che dorme all’insonnia della lontananza,
    Una scultura alla fuga di tutte le forme,
    I cortei di ombre al puro freddo dell’astrazione…

    E benché le immagini legate tra loro in modo ibrido, raggiungano gradualmente una sempre maggiore rarefazione – fino all’astrazione, esse non si perdono mai nella sola retorica della parola. L’immaginazione di Słobodnik è fino al midollo sensitiva, sensualistica. La sua fantasia si può forse definire surrealismo classicistico. Le forme dell’immaginazione sono qui create dall’accostamento di immagini concrete, intese come dissonanze plastiche. Sulla creazione di immagini irreali scriveva già Orazio nella sua Ars poetica, del resto con disapprovazione:

    Se un pittore volesse unire a una testa d’uomo
    un collo di cavallo, se volesse ornare di piume
    multicolori membra accozzate da cento parti,
    se volesse far terminare il corpo di una donna,
    bella in viso, in uno sporco pesce, davanti
    al quadro, amici miei, sapreste trattenere le risa?

    Noi non ridiamo. Ciò che Orazio invitava a deridere, esisteva già nell’arte antica, sia nella pittura che nella poesia. In seguito tuttavia ci ha abituati a questo ibridismo delle forme la pittura surrealista, che crea le sue visioni anche da forme concrete fino all’ossessione, fino alla volgarità del sangue, delle ferite sanguinanti, delle teste troncate, ecc. Del resto anche la scultura romanica e gotica è piena di cose “incredibili”, nate da una immaginazione concreta, fino alla ingenuità popolare. Per questo anche la “disperazione gotica” della poesia di Słobodnik si richiama per noi a questa arte, che al tempo stesso è elevata e peculiare.

  14. Tempo fa scrissi un racconto dove, parlando della musica di Satie, dicevo di come la musica si posi sulle cose tutte, senza che vi siano differenze: sulla bella statua del giardino come sul secchio della monnezza. Cos’è dunque la bellezza, mi chiedevo (o portavo a chiedere)? Scrive Włodzimierz Słobodnik:

    Nella tua musica accosti le cose distanti tra loro,
    E così un violino al bisturi del chirurgo accosti,
    Un uccello a uno scaffale della biblioteca, in cui
    I libri invidiano all’uccello le sue ali,
    Un vecchio, che si prepara il tè, a un antico coro,
    Una donna che dorme all’insonnia della lontananza,
    Una scultura alla fuga di tutte le forme,
    I cortei di ombre al puro freddo dell’astrazione…

    La sola differenza sta nel fatto che Słobodnik dà vita alle cose, per così dire le anima, mentre io, perdonate la presunzione, mi accontento di fare cronaca, o comunque è a questo che penso: nomino, faccio elenchi che sono racconti, che la scrittura rende a tratti incalzanti, ma non riesco a pensarmi surrealista se non talvolta; come talvolta vado nell’astrazione in un verso, uno solo: come nelle Tr3 pannocchie, ricordi? “Prenderò il pesce dorato, il pesce per la coda.”, che è surrealismo (nota: vivo da 10 anni in compagnia di un pesce rosso!), e nel successivo verso”Nell’acqua dei libri.” che invece è puro astrattismo, vale a dire non-decodificabile. Anche di Tranströmer si dice che sia surrealista ( sarò grato in eterno a Moltinpoesia per avermelo fatto conoscere), ma lo è solo a tratti, e quando lo è si capisce subito che lo fa intenzionalmente. Ma le sue tempeste, le case, i luoghi della sua poesia, lui li restituisce anche più di quanto possa fare una fotografia: ti ci mette dentro.
    Tutto quel che facciamo ora porta l’eco della citazione post moderna, a parer mio non può non essere così: siamo gli ultimi arrivati dopo millenni di civiltà, dal punto di vista darwiniano dovremmo essere quanto di meglio l’evoluzione umana abbia prodotto fin qui (vien da piangere), ma come non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, così è impossibile che si possa stare nel rifacimento: questo lo può pensare solo un critico farlocco. Aggiustiamo il tiro, farlo insieme di giorno in giorno è dir poco appassionante: un passo indietro e uno sulla luna, come si fa per una rincorsa o un salto. Ma, come direbbe una mia cara amica, senza la sbatta della modernità, perché che quella ci ha già fregato a tutti. Ciao

  15. Surrealimo?

    Sul fondo del Po il leone
    sdraiato aspetta
    ampolle d’oro a liberarlo
    l’Africa insorge tra Emilia Romagna e Lombardia
    anguille danzano a ventre nudo
    la festa inizia col maiale a costine
    dietro il verde delle divise
    nasce ignorante il triste avvenire
    intanto il leone fa strage di cuori
    persino la gatta vestita di rosso
    s’adatta all’amplesso
    non è leonessa ma ora distesa e felice
    aspetta quel gatto azzurrino ormai senza fiato
    cornuto e mazziato.
    E’ festa sul fiume nessuno si salva
    nemmeno un pesce con la coda di paglia.

    Byemy

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