Polivalenza di un sospiro

biancaneve

di Giorgio Mannacio

1.
Ho assistito qualche mese fa – per ragioni del tutto personali – ad una rappresentazione destinata a bambini dai cinque ai dieci anni. Si trattava della trascrizione in forma teatrale della celebre fiaba Biancaneve e i Sette Nani di cui non si può non ricordare il magistrale film per cartoni animati di Walt Disney. Dal testo originario erano stati estrapolati e sceneggiati gli episodi più significativi e suggestivi. Dal punto di vista dello spettatore adulto, interessato ad esperimenti teatrali, lo spettacolo presentava una caratteristica. I personaggi che, nella realtà, avrebbero potuto essere veri soggetti umani ( una ragazza di nome Biancaneve, una regina, un guardiacaccia ) erano interpretati da attori in carne ed ossa. Gi essere fantastici (i sette nani) erano marionette di legno e altro materiale, mosse mediante fili da altrettanti operatori. Veniva così creata una sorta di ulteriore contrappunto tra realtà e fantasia.Mi siedo tra le prime file ( a teatro ho sempre cercato le prime file per meglio seguire la mimica degli attori ) e, mentre aspetto, entrano nel locale due persone che attirano immediatamente la mia attenzione. Si trattava di un uomo e un donna enormemente grassi (due obesi in senso clinico) e dai tratti somatici alquanto deformati. Nonostante tali deformazioni – che mi provocarono insieme compassione e repulsione – i loro volti mostravano una fortissima somiglianza, tale da farmi concludere che si trattava di fratello e sorella. Furono fatti sedere in poltrone particolari approntate dal personale di sala e collocate non molto lontano da me che potei così seguire, in parte, i loro movimenti e le loro espressioni verbali.

2.
Notai subito una diversità di comportamento tra fratello e sorella. Il primo, che sembrava più oppresso della seconda, dal proprio peso, si manteneva alquanto silenzioso e tranquillo. La sorella si agitava in continuazione sia con il corpo che con la faccia. Strabuzzava gli occhi, muoveva il capo a destra, a sinistra, in alto e in basso e, infine, parlava senza pause in modo molto disordinato (anche nel tono) e non sempre comprensibile. Pensai subito – anche perché il fratello dava segni di volerla indurre a un comportamento diverso – che la donna, e solo lei, fosse affetta da un qualche malattia. Mancando di ogni preparazione professionale medica non tentai neppure una classificazione del suo stato catalogandolo, un po’ approssimativamente, tra i disturbi mentali e/o psichici, pur sapendo come tale distinzione sia oggetto di discussioni tra gli specialisti.

3.
Il comportamento della sorella non cambiò sostanzialmente durante lo svolgimento dello spettacolo e la sue espressioni verbali, continue, non cessarono ma assunsero una particolare caratteristica, favorita anche dagli artifici teatrali adottati dal regista. Gli attori, infatti, in alcune occasioni (ad esempio quando la Regina travestita da vecchia venditrice di frutta offre la mela avvelenata al Biancaneve) si rivolgevano ai piccoli spettatori coinvolgendoli direttamente nella vicenda scenica. Alla domanda dei primi (“Cosa deve fare Biancaneve“) i secondi rispondevano insieme e con forza : “Biancaneve non mangiarla; la mela è avvelenata“. A tale coro si univa la donna che vi aggiungeva anche considerazioni personali un po’ più complesse, a volta non chiaramente intellegibili ma non incoerenti rispetto al contenuto del testo. La sua voce commentava, poi, costantemente anche altri passaggi della fiabe e della relativa rappresentazione . In sostanza le sue espressioni verbali vennero a costituire, per così dire, una sorta di coro a voce sola.

4.
Una delle scene mostrò un bosco, di notte. Gli alberi erano resi secondo forme estremamente stilizzate, come usano i piccoli nei loro infantili disegni. La luce di alcuni riflettori conferiva ad essi una tinta irreale. La profondità dell’ambiente era assicurata dal posizionamento degli alberi (bidimensionali : vere e proprie sagome piatte) uno dietro l’altro. Tutto ciò era molto suggestivo. Pensavo: così è, e così non è la realtà in cui mi trovo. Il silenzio dei piccoli spettatori fu rotto, improvvisamente, dalla voce della donna: non una parola ma un oh! prolungato e ripetuto, che sorprese tutti, una sorta di sospiro. Seguirono i battimani, soliti e banali, e alcuni : bravi, bravi…

5.
Si conclusero così lo spettacolo e la mia giornata, incisa da quella esclamazione, flebile ed incisiva. I grandi dolori e le grandi gioie sono fuochi che bruciano sé stessi, i primi nella certezza che non li incontreremo più, le seconde nella speranza che verranno ancora a visitarci. Ma le piccole ferite restano là, memorabili perché la memoria cerca di riprodurne il senso, il qui ed ora del loro accadimento mai più possibile e forse neppure desiderabile. Tornando a casa a piedi – Nietzsche ci ammonisce a non seguire i pensieri che ci trovano seduti – ho meditato su quella esclamazione ripetuta e prolungata, più suono che parola e che avevo catalogato subito come sospiro. Cos‘è quest’ultimo, oltre che un moto fisiologico, se non un conato delle parole o, meglio, il velo pietoso che ne vela l’insufficienza? Perché – mettendomi per un istante nel corpo di quella donna e rimodellandomi nelle sue fattezze che avevo osservato con repulsione – ho creduto di capire quello che ella aveva cercato di dire e forse avrebbe saputo dire e che aveva invece nascosto per non cedere alla multiforme ferocia della realtà. Ecco, salendo dal banale ad una sorta di sublime: oh, come è bello tutto quello che vedo, oh, come è stato bravo il regista, oh, come è remota la bellezza, oh, come sono irrimediabilmente infelice.

15 pensieri su “Polivalenza di un sospiro

  1. Fantastico Giorgio! Hai reso felice anche me.
    Io spesso sospiro, sbuffo, ansimo e nessuna parola rende meglio ciò che provo, ma tu qui con le tue parole hai svelato il mistero del respiro. Bravissimo è poco… GRAZIE!

  2. …ha commosso molto anche me questo racconto di Giorgio, che assiste ad un uno spettacolo teatrale per bambini (per caso, forse, l’ho visto anch’io: è Biancaneve dei marionettisti fratelli Colla?) e riferisce le sue reazioni emotive alle finzioni sceniche e raccoglie quelle di una insolita spettatrice. A colpire lo scrittore è soprattutto il lungo sospiro che segue la comparsa di un bosco incantato e bidimensionale da parte della spettatrice che gli siede accanto, insieme al fratello… sospiro acui attribuisce diversi significati. Se posso permettermelo, questo sospiro, ovviamente mediato dal racconto che Giorgio ne fa, mi è sembrato un’espressione di meraviglia, di incanto, di bellezza, anche di mistero ma non di infelicità…Secondo me, la presenza del fratello, simile alla donna nella malattia, è fondamentale, attutisce nella donna il senso di diversità, quindi di infelicità. Il fratello, piu’ consapevole di lei del loro handicap, la protegge, la incoraggia(anche se apparentemente le raccomanda maggiore discrezione) nelle sue manifestazini infantili, serene…è come la sua bambina inconsapevole. La donna non è piu’ infelice di me e di molti altri.

  3. Caro Giorgio,
    grazie di questa particolare prosa-poesia.
    La diversità è rappresentata con lucida partecipazione e indagata senza esprimere giudizi,ma emerge con l’ osservazione dei comportamenti reali.
    Quel sospiro finale è da un punto di vista narrativo la sintesi felice di un percorso originalissimo che solo uno scrittore attento e sensibile poteva fare.
    Maria Maddalena Monti

  4. Il sospiro e la difficile metamorfosi

    Toccare questo lieve e suggestivo testo di Giorgio traducendolo in un commento è come rischiare di ‘dissacrare’, e anche ‘tradire’, quell’ “Oooh” prolungato che viene dalle profondità di un sentire dove la parola è ancora un *conato*, *il velo pietoso che ne vela l’insufficienza*: una sensazione ancora allo stato selvaggio e quindi non addomesticata. Nonostante tutto portatrice di una ‘purezza’, di una non contaminazione, ma assieme anche di una maledizione (*mi provocarono insieme compassione e repulsione*).
    E’ pure l’esperienza di un sublime – che non c’entra con il Bello – perché ancora non ha potuto toccare quel limen a cui ogni parola porta e che poi fa pagare a caro prezzo il vantaggio della comunicabilità.
    E’ il rovesciamento della condizione immobile di Biancaneve, bellissima e inaccessibile dentro la trasparente teca di cristallo. Della spettatrice non sappiamo nulla di quanto è celato, tutto è nascosto e coperto dal magma della roccia. Come correlato fiabesco, potremmo pensare a “La Bella e la Bestia”.

    Solo l’animo sensibile del poeta è in grado di intercettare quella chiamata, di portarla con sé, nel suo cammino meditativo e di renderne partecipi gli altri. Perché è inquietante la percezione di contatto con l’indicibile.
    L’epifania della bellezza e delle sue vicissitudini, qual è la fiaba di Biancaneve, rimane invece imbozzolata in quella massa priva di eidos, di forma: *si agitava in continuazione sia con il corpo che con la faccia. Strabuzzava gli occhi, muoveva il capo a destra, a sinistra, in alto e in basso e, infine, parlava senza pause in modo molto disordinato*. Solo quel sospiro lascia intuire la presenza di un pathos interiore, affascinato dalle forme teatrali e capace di ‘maraviglia’.
    Ma la ferocia della realtà strega non può che lasciar cadere quel lieve barlume e passarci sopra. Non rimane che sperare che qualcuno lo possa raccogliere e traghettare verso un lido più espressivo.

    R.S.

  5. Che ci facevano quei due… pachidermi, e anche lo scrittore, ad uno spettacolo per bambini? Trovo tutto molto buffo, anche le silenziose osservazioni di Mannacio. Mi ricordano Tati, oppure alcune situazioni comiche ( spettacolo nello spettacolo) come quelle di Mr Bean ( metto i comici, per importanza, un gradino sopra i poeti). Ho riflettuto su quel sospiro, e in generale sul comportamento della cicciona, e mi è parso di vedere i fratelli come due bambini obesi ma cresciuti (la donna rideva e partecipava al pari degli altri bimbi). Chissà, forse sospirava per ingordigia. Infanzia e fame infinita. Complimenti a Giorgio, oh com’è stato bravo.

  6. @ Lucio,
    hai ragione a dare il giusto valore ai comici in quanto i soli portatori di quel tragico di cui noi oggi non riusciamo a dare alcuna rappresentazione, ragion per cui: a) non abbiamo più comici veri, e b) la tragedia siamo costretti a viverla crudamente nella realtà .
    Poi, quanto a gradini, magari ci si può mettere d’accordo: un gradino più su o uno più giù (rispetto ai poeti, dico), non si litigherà certo per questo.
    Solo che Mr Bean non saprei dove metterlo: da quando ha capito che ci poteva ‘marciare’ con la sua comicità demenziale si è immarcescito nella demenza. Peccato, perchè prometteva bene.
    Interessante l’idea ‘surrealista’ dei ‘pachidermi’ che vorresti introdurre tu…è un po’ dissacrante, fa tanto pensare al teatro dell’assurdo di Ionesco e al suo “Rinoceronte”: ma lì c’era ben poco di buffo da trovare!
    O magari si potrebbe pensare a quelle immagini de-formi di F. Botero…ma anche lì c’è qualche cosa che non quadra perchè ci vedrei poco gli aspetti infantili di abbuffata negata come suggerisci tu (*forse sospirava per ingordigia*).
    Possiamo ripiegare su Fellini, sulla sua visionarietà e sullo scrittore che entra in contatto con questo teatrino e le figure obese da circo… Ma sono cose già viste e poi Fellini è sempre Fellini.
    No. Forse la cosa migliore, perché stimola un po’ di pensieri, è ancora quella di Mannacio.

    R.S.

    1. Sì, avevo pensato anch’io a Fellini. La situazione si fa comica se poniamo l’autore tra i personaggi. Mi pare che Mannacio lo faccia, in modo discreto ma lo fa. La chiusura è da clown bianco.

      1. Quanto siamo disposti a capire, a sentire, davanti a ciò che spesso si confronta con un mondo con difetti e tristezze! Nulla resta incontaminato dal nostro voler entrare negli animi di chi è diverso da noi. Ognuno di noi è diverso nel tempo da ciò che eravamo prima. Quel sospiro , quell’oooh ! Ripeto è anche il mio quando nell’infelicità del momento scorgo improvvisamente uno squarcio di gioia che percorre il corpo, quel contenitore che non dimentica né entusismi né dolori. Con un respiro profondo resto ancora un po’, forse, a sognare.

        * Nota. Vabbé, correggo. Ma perché non rileggete almeno due volte prima di…? [E.A.]

  7. …si’, Rita, questo bel racconto di Giorgio stimola molti pensieri e riflessioni. Uno potrebbe essere sulla pesantezza dei corpi di tutti noi. Le cause possono essere molteplici: la presenza di malattie, l’età avanzata, la povertà, le costrizioni psicologiche e sociali…ma anche i limiti delle nostre potenzialità fisiche. Ci capita di ammirare l’uccello che si eleva in volo, il verme che esplora i segreti della terra, il pesce nelle profondità marine perchè ci sentiamo ai margini della natura. L’immaginazione puo’ aiutare a sentirci piu’ liberi (certo non basta per soddisfare i bisogni primari) e a recuperare alcune dimensioni, ma è molto importante anche l’apporto del corpo nelle sue espressioni vitali: movimento, voce, mimica…E il teatro per i bambini lo prevede, anzi lo incoraggia. La signora presente allo spettacolo puo’ cosi’ recuperare l’agilità del suo corpo pesante nella partecipazione gestuale e vocale…diventa lei stessa spettacolo…molti bambini presenti avranno forse pensato di lei: “come si diverte e ride quella donna grassa e bellissima…”. La comicità leva la pietà, per fortuna

  8. Ringrazio tutti quelli che hanno dimosrtato interesse per il mio testo.,del quale l’autore -ovviamemnte – NON DEVE PARLARE. Posso dire soltanto che scrivere quella storia mi è costata molta fatica psicologica quasi dovessi entrare in una intimità vietata a tutti. Giorgio.

    1. Quel NON DEVE PARLARE mi giunge come un insegnamento. Giorgio Mannacio: le spiacerebbe approfondire questo aspetto, che a me non sembra ancora tanto ovvio? grazie

  9. Caro Luca Mayor Tosi, se insegnamento c’è è verso me stesso.La risposta che posso dare è complessa in quanto coinvolge diversi aspetti dello scrivere e dello scrìttore.
    Quello che escludo categoricamente è che lo scrittore possa difendere i propri scritti adducendo ragioni più o meno credibili del perchè ha scritto una certa cosa e del perchè l’ha scritta in un certo modo. Deve accettare o quantomeno sopportare senza repliche le critiche altrui in quanto queste provengono da ” un altro luogo di riflessione ” . Le proprie critiche sono solo una giustificazione di qualcosa di già ” commesso ” e che è irretrettabile.
    Nel caso specifico ribadendo la difficoltà che ho incontrato nello scrivere il testo preciso che in essa rientrano solo motivi extraestetici. Ed è per questo che posso parlarne. Mi sono sempre chiesto se i nostri scritti possano impunemente varcare il confine oltre il quale si offende ” la pietas ” . Si può essere crudeli fino in fondo con gli altri? Ecco il motivo della mia perplessità.
    Un cordiale saluto. G.M

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