Ombra inesplorata del padre mio

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

di Ennio Abate

Guagliò, non devi rubare un carezza!
Puoi abbracciare, essere corpo baciato, non ladro che fugge nel suo batticuore.
Non prede da mordere siamo, ma continenti e possiamo combaciare.

Del piacere che bambino mi facesti provare
resta il ricordo d’una gelida sera sotto Natale
quando, per placare l’ansia che cresceva
col buio della sera e il ritardo di mamma
dalla visita ai parenti, ci preparasti il presepe
là, nell’angolo semibuio della sala da pranzo
sul tavolino così stretto
che pochi pastori e pecore potevamo metterci su
e sotto quel quadro di Gesù
inquietante per i lunghi capelli femminei
e la misteriosa raggiera di luce ghiaccia
che gli sfondava la tunica rossa in petto e il blu mantello.
Ogni volta che avanzavo in direzione di lui lungo il corridoio
insinuante e testardo m’imponeva
il suo Sacro Cuore in fiamme
sanguinolento per le spine dei peccati
che anch’io – mi dissero – di sicuro commettevo.

E di un caldo, luminoso pomeriggio in campagna ad Antessano
dove a spasso lungo il campo di spighe alte e dritte del grano
nella terra di tua sorella Luigia
la preferita, la compagna di giochi e fatiche
in altre stagioni e ombre e luci quando voi pure foste bambini
col coltello mi facesti uno zufolo
sfilando la scorza fresca dal ramo umido del nocciolo.

Nulla da te mai seppi, invece, del piacere che donasti e ricevesti
dalle tue donne
nulla delle due grandi guerre che ti abbatterono e azzittirono.
Poi altri padri – più istruiti, preteschi, signori delle carte –
assecondanti la torva mia voglia di crescere riconosciuto da loro
e contro di te e per me solo mi cercai affannato.
E ti sostituii, svilendo e cancellando il tuo tempo.

*

Di te ora mi resta quest’ombra inesplorata.
Debole, goffa, inferiore s’agita. Briccona, militaresca, assassina forse.
Un moncherino di come allora, vero, fosti.
Ah, se il corpo mio subito avessi riconosciuto come il tuo maschile
lesto slacciandolo da preterie, smancerie e dotte fesserie!
Non mi sarei trascinato nel cuore e nel ventre
belve tanto riottose e mugolanti una incomprensibile zuffa.
Le avrei nominate, ammansite, cavalcate
come facesti tu coi cavalli bai nella tua gioventù.

 

(2 ottobre 1989/ 8 giugno 2014)

13 pensieri su “Ombra inesplorata del padre mio

  1. Ho molto gradito questa tu poesia, Ennio. Se mi ha emozionato è per ragioni personali, relative alla ricerca del maschile: ricerca che inevitabilmente porta ogni uomo al padre che resta dentro. L’incontro e la conoscenza possono avvenire anche se il padre non c’è più, ma se non accade sarà più difficile conoscere noi stessi.
    Mi sembra prosegua felicemente la tua indagine introspettiva, da “Donne seni petrosi” agli scritti sui sogni che hai postato recentemente su Poesia e Moltinpoesia. Qui riconosco la solarità maschile, tenuta per troppo tempo in ombra dal giudizio di maschilismo.
    La tua scrittura è spedita e incalzante quando nel crescendo si fa scopertamente ritmica, qui poi si fa sentire l’urgenza di condividere una comprensione che si è fatta chiara, una presa di coscienza.
    Complimenti.

  2. …caro Ennio, ti vedo, sai, cavalcare sui cavalli bai insieme a tuo padre…liberi e felici. Le riconciliazioni avvengono per connessioni strane e fuori dal tempo, come suggerisce la visione verticale del Tao. La poesia è bellissima, mi ha commosso e, a proposito di coincidenze, mi ha richiamato anche la figura di mio padre…al nord come al sud nel mondo contadino era forte la devozione per il presepe e per una visione della vita legata alla sofferenza, come espiazione dei peccati…e poi c’erano i campi di grano, lo zufolo…
    Il contadino raffigurato nel dipinto in atteggiamento quasi dimesso in realtà nasconde e protegge la sua grande potenza di fertilità della terra…Anche il guaglio è felice e ringrazia

  3. Parlare del padre per me significa toccare un nervo scoperto, sia come figlio sia per il fatto di esserlo. Per tutto quello che passa per la conoscenza di se attraverso di lui, come ha detto bene Mayoor.
    E infatti non lo tocco.
    Questa poesia di Ennio, bella perché autentica, mi fa ora muovere la mano per avvicinarmi un po, a quel nervo…grazie.

  4. Un nodo alla gola forte, per non piangere. Sì perché questa poesia merita applausi, ma siccome l’emozione va da sé la lascio andare. Un padre che ancora corre sul suo cavallo insieme a te….evvviaaa correte! Ennio, grandioso! Poesia da non dimenticare.

  5. Il dipinto:
    Ah, quella sedia rossa in tutto quel candore, in quella modestia . La stanchezza e il suo lasciarsi andare , non in posa, solo : fai in fretta che ho da fare.
    Il cappello conferma.

    Bella scelta.

  6. Tra i tanti (troppi) complimenti una critica mi è venuta in privato da un’amica e mi va di farla conoscere: tutta la parte della poesia che riguarda l’evocazione della figura di Cristo appesantirebbe la composizione e andrebbe tolta.
    La mia opinione è, invece, che essa rende in concreto il clima cattolico della situazione familiare, fa da contrappeso negativo (idealistico, religioso e minaccioso) alla vitalità dei due concreti e fisici ricordi del padre e spiega infine anche la ragione sotterranea della riduzione nel tempo della figura paterna a “ombra inesplorata”.

  7. Io direi di piu. La figura del Cristo figlio e padre, umano e divino, toccabile e suscettibile di peccato e intoccabile perchè essenza paterna. Sono fondamentali quei versi. Io non ho voluto inoltrarmi perchè con mio padre il rapporto non è stato idillico, lotte, guerre e fiamme di parole. Ho solo capito, dopo morto, che ho un dovere: cantarlo. E cantarlo col suo nome, non Luciano Nota, ma Giulio Nota ( avevo pensato il cognome all’incontrario), ma no, pupubblicherò una plaquette di 12 poesie col suo nome. In fondo era mio padre, ed io suo figlio.

  8. Poesia splendida. Sottoscrivo, per simili esperienze personali, il commento di Annamaria Locatelli. Anche io, caro Ennio, ti vedo galoppare sui cavalli bai insieme a tuo padre in un incontro spirituale, non necessariamente riconciliatore. Con il padre che ci portiamo dentro continueremo per sempre a discutere, a dissentire e ad amare (anche nell’«ombra inesplorata»).

  9. …anche secondo me quella parte della poesia va conservata perchè importante per capire un aspetto del mondo familiare del poeta, come lo sono le due stagioni in cui si colloca la descrizione della figura del padre, in quanto rappresentano le due anime del mondo contadino…In inverno, cioè in “una gelida sera sotto Natale” si descrive la forte venerazione del padre per la natività, attraverso la realizzazione ingenua e sacra del presepio, un amore per la vita che tuttavia è indissolubilmente legato all’idea della morte, della sofferenza, del senso di colpa, infatti addita al figlio il sacro cuore di Gesu’ trafitto dai nostri peccati…Era quanto il cattolicesimo concedeva ai poveri: mettere al mondo figli ma poi non svincolarsi mai da un sentimento di colpa, di sottomissione e di espiazione…Segue l’estate in “un caldo, luminoso pomeriggio in campagna” e qui la descrizione del padre si fa piu’ solare, tra spighe di grano e nei luoghi dei giochi infantili mentre realizza con le sue mani da un ramo di nocciolo uno zufolo da consegnare al figlio: sii felice, non rinunciare al piacere della vita! Sono due messaggi contrastanti quelli che il padre trasmette al figlio, ma sempre all’interno di un forte vincolo affettivo, in cui ci si puo’ riconoscere…L’ombra inesplorata dei nostri padri…e i nostri figli che diranno di noi?

  10. Per essere precisi nell’individuare i significati della poesia:

    1. le due stagioni (inverno gelido «sotto Natale», estate solare) sono in netto contrasto come ben rileva Annamaria;

    2. Non è desumibile dal testo una «forte venerazione del padre per la natività, attraverso la realizzazione ingenua e sacra del presepio». Il padre prepara il presepe al bambino ( o bambini: «ci preparasti») « per placare l’ansia che cresceva/ col buio della sera e il ritardo di mamma /dalla visita ai parenti». La preparazione ha, semmai, uno scopo esorcistico, distraente, sdrammatizzante;

    3. Non è, ancora una volta, il padre ad additare al figlio il sacro cuore di Gesù. Il quadro *sta lì*, è una presenza data in quella stanza, segnala l’influenza in quella famiglia del cattolicesimo e, se si vuole, di questo particolare culto “feticista” risalente alla mistica tedesca medievale, rafforzatosi poi e non senza contrasti nel Seicento («Durante il XVIII secolo si accese un forte dibattito circa l’oggetto di questo culto: nel 1765 la Congregazione dei Riti affermò essere il cuore carneo, simbolo dell’amore. I giansenisti interpretarono questo come atto di idolatria, ritenendo essere possibile un culto solo al cuore non reale, ma metaforico», da http://it.wikipedia.org/wiki/Sacro_Cuore_di_Ges%C3%B9). Arrivato tramite il padre o la madre? Questo elemento è lasciato nell’incertezza.

    4. Questa influenza del cattolicesimo tramite un’immagine che fa ormai parte del “paesaggio di famiglia” è «inquietante» almeno per il bambino che ora parla, sia pur attraverso la voce poetica adulta: ha introdotto elementi – « i lunghi capelli femminei»,
    «la misteriosa raggiera» – per lui “perturbanti” (diremmo con Freud) e un senso di colpa “discutibile” e non accertabile («sanguinolento per le spine dei peccati/ che anch’io – mi dissero – di sicuro commettevo»).

    5. Sull’«ombra inesplorata» dei nostri padri. Sarebbe ora che tiraste fuori anche le vostre… È mitica? È storica? Eccetera…

  11. AL PADRE

    La guerra da fare

    Ci sedemmo intorno e lui incominciò:
    -Ho fatto la guerra , ma se fossi fuggito
    non avrei fatto la guerra-
    -Fuggire no allora non avresti potuto-
    -Sì che avrei potuto e
    non avrei fatto la guerra capite
    questo fare è per tutti forse sarei morto
    ma non avrei fatto la guerra-
    La sua testa ciondolava a destra e a sinistra
    la gamba rigida fredda sola immobile
    chiedeva rabbia ed io la sentii tutta
    -Lui sì che scappò smise di suonare
    tra le bombe nessuno ascoltava
    era là appeso sull’unico albero
    lui non fece la guerra
    si doveva fare la guerra va fatta
    Se non fosse stato per mia madre-
    (pausa lunga)
    -Tua madre?-
    -Mia madre mi scrisse era orgogliosa
    mia madre mi amava ma era orgogliosa
    diceva che la Patria era fiera
    e che mi aspettava
    Quella notte sognai bombe
    cadere dal cielo erano petali di rose-
    -Petali di rose?-
    -Le rose in guerra non le vedi mai
    ed io al mattino guardai quel cielo
    mutilato offeso accanto a mia madre
    avevo fatto la guerra.-

    Emilia Banfi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *