Divagazioni sulla lingua dell’Eden

adamo ed eva durer

di Giorgio Mannacio

1.
Chi ha osato parlarci dell’Eden, cioè di quel luogo di delizie in cui vissero Adamo ed Eva per qualche tempo ( ammesso che a tale categoria kantiana possa farsi riferimento nel loro caso ) non ci ha riportato alcuna frase che sia intercorsa tra i nostri progenitori. Sì, certo, lo stato dell’innocenza fu brevissimo e loro, forse, non ebbero neppure il tempo di parlarsi ma, probabilmente, la ragione di una tale lacuna è meno banale. Chi legge Genesi si accorge subito che fino ad un certo punto la descrizione biblica non fa che riportare un lungo ed ininterrotto monologo del Signore, monologo che finisce là dove ( Genesi, 3 ) quest’ultimo domanda ad Adamo: “ dove sei ? “ ed ottiene la risposta che è la prima parola attribuita all’uomo dalla Scrittura.
Dunque da essa non risulta che Adamo abbia parlato dal momento della creazione a quello successivo della risposta al Signore. Se, da un lato, è difficile immaginare che si possa interrompere il monologo del Supremo signore, dall’altro, cosa avrebbe potuto dire Adamo se, come pare, tutto ciò che il Signore diceva ( e, dicendo, attuava ) era detto ed attuato per “ il bene “ dei nostri remotissimi antenati ? Tutto era detto e predisposto “al meglio per loro “.
All’apparenza, è meno comprensibile che la Scrittura non riporti alcuna dialogo, ancorché minimo, tra lo coppia primigenia. Si può pensare che abbiano parlato poco tra loro, scambiandosi parole assolutamente banali, indegne di essere ricordate. Ma proprio su tale punto può innestarsi una spiegazione un po’ più sottile . Di cosa avrebbero potuto parlare Adamo ed Eva ? Per quale “interesse“ avrebbero dovuto consultarsi a vicenda ?
La loro posizione edenica rendeva in tutto e per tutto inutile la parola. Conoscevano già il sapore dei frutti del giardino; sapevano che solo la mela era loro proibita. Non avevano pene che interrompessero la loro felicità e, dunque, degne di essere comunicate almeno in funzione consolatoria. Parole di seduzione? Erano già sedotti ab origine e nessun’altra persona si aggirava tra gli alberi lussureggianti del Paradiso terrestre nel tentativo di insidiare la loro reciproca fedeltà. Infine, la morte non poteva essere oggetto di alcun dialogo dato che era stato detto: “ perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti “ ( Genesi,2,6 ). Queste parole mostrano che la morte, prima della violazione del comando, era una mera ipotesi non degna di considerazione e discussione.
Tutto porta a concludere che Adamo ad Eva si aggirarono nel lussureggiante Eden senza parlare.
Così si risolve il curioso indovinello della lingua dell’Eden.

2.
A dire il vero la coppia primigenia non fu mai particolarmente loquace. Ma è certo – rispettando, sempre le Scritture, che Adamo parlò solo dopo il furto della mela e parlò dando il nome Eva alla propria compagna ( Genesi, 3, 22 ). Si tratta, diversamente dalle parole del Signore ( che sono di comando ), di una vera e propria identificazione di un essere diverso da colui che lo nomina e della conseguente denominazione di esso. In questa denominazione ed attraverso di essa si definisce la struttura di un possibile dialogo e, dunque, del linguaggio come comunicazione. E ciò in un duplice senso. Perché si identifica e si riconosce un interlocutore. Perché – dopo quanto si è detto – vi è ormai “ materia “ di discorso. Eccome! Basterebbe pensare, maliziosamente, a quello che Adamo avrebbe potuto dire ad Eva nei termini di una violenta accusa e quanti argomenti avrebbe potuto opporvi Eva.
Semplifico e banalizzo: “ siamo arrivati a questo per colpa tua “; “ tu avresti potuto opporti e dissuadermi “ e così via.
Inutile aggiungere quanti oggetti di dialogo si sono aggiunti nel mondo dei nostri antenati dopo il momento fatale rappresentato dalla disobbedienza.
Va anche ricordato che la voce del Signore, che è, originariamente, un monologo di comandi, si trasforma in una previsione, certa, di mali, in una minaccia che, data la qualità di chi la pronuncia, è certezza di mali. “ Con dolore partorirai i tuoi figli “ ( Genesi,3,22 )
Il linguaggio, dopo la caduta, si iscrive in un quadro caratterizzato da alterità/separazione e aggressione/soggezione.

3.
Tutta la Terra aveva una sola lingua e le stesse parole ( Genesi, 11, 1 ). Le Sacre Scritture fondano la proliferazione delle lingue parlate dagli uomini sul fatto che gli uomini, arrivati nel paese di Sennaar e constatata la presenza di condizioni idonee alla costruzione di edifici ( la pianura, il bitume, la terra adatta per laterizi ), decisero di costruire una torre “ la cui cima tocchi il cielo “ ( Genesi, 11, 1 ). Non vi è una esplicita condanna da parte della divinità alla realizzazione di tale progetto, ma il contesto di esse non mi pare lasciare ombre di dubbio sul fatto che il Signore rimase indispettito da tale tracotanza ( forse anche spaventato? )
Genesi si esprime, infatti, così: “ Il Signore disse: ecco, essi sono un solo popolo ed hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera, ora, e quanto hanno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo, dunque, e confondiamo la loro lingua perché non comprendano l’uno la lingua dell’altro “
Non ci sono dubbi, dunque, su ciò che muove il Signore a determinare la pluralità di lingue e la conseguente confusione che determinò la fine “ del progetto di costruire la città “.
Il Signore punisce la tracotanza degli uomini che vogliono raggiungere il cielo.
Il passo suggerisce alcune interessanti osservazioni.
La confusione delle lingue che impedisce di fatto la costruzione della torre si presenta, dunque, come un ulteriore castigo per gli uomini e ne peggiora la situazione. Costoro, che pur condannati per il peccato di Adamo avrebbero potuto almeno raccontarsi i loro guai, non si capiscono più.
Va detto, però, che il tipo di castigo che consegue alla costruzione è diverso da quello che è stato irrogato per la colpa di Adamo. Infatti non vi è stato, da parte del Signore Dio, un preventivo divieto a costruire la torre. Egli si è limitato a constatare che la costruzione stava per iniziare e che il programma umano era quello di elevarla fino al cielo, suo regno. A mio giudizio la colpa è qui connessa con l’intangibilità del regno del Signore Dio e attiene dunque non più alla sfera morale ma a quella, per così dire, teologica. Bisogna osservare che il delitto di Caino precede la costruzione della torre e che quest’ultimo, per l’uccisione del fratello non subì un castigo sostanzialmente diverso rispetto a quello già inferto ad Adamo e ai suoi discendenti. Sembra, dunque, che l’eresia sia più grave dell’omicidio come, del resto, i secoli hanno più volte mostrato.
Nella confusione delle lingue vi è un tratto schiettamente ” diabolico “, in quanto il Diavolo è colui che divide e si può facilmente immaginare che – sull’equivoco nascente dalla non comprensione relativa alla pluralità dei linguaggi – possa essere nata anche una causa di litigi più o meno furiosi. Infine, mentre il castigo della confusione delle lingue finisce per avvicinarci agli animali che non parlano, quello inflitto ad Adamo ci allontana da essi imponendoci una attività che appare sempre più tipica della specie umana.

4.
La nostra “ sacra scrittura “ ( Dante ) , a proposito dei linguaggi infernali li descrive così:
“ diverse lingue, orribili favelle “ ( Inferno, III, 23 ). Il primo aggettivo, quello che ci interessa, viene spiegato da alcuni commentatori in modo un po’ banale con l’osservazione che i dannati provengono da ogni paese e si ritrovano insieme all’Inferno. Spiegazione – dicevo – banale perché non si muove verso la ricerca della radice del mantenimento della diversità, diversità che non è attribuita, ad esempio, alle lingue parlate in Paradiso. Ma anche in questo luogo convengono – o almeno così è sperabile che sia – creature provenienti da paesi diversi dove sono praticate lingue diverse.
La ragione è più profonda e più semplice. La diversità delle lingue infernali è connaturale al mantenimento della condanna originaria non espiata ed anzi giustificata ulteriormente dalla vita terrena dei dannati.
Nel Paradiso “attuale “ – così come nell’Eden originario – tutte le creature vivono in armonia, senza opposizioni di sorta. Non vi possono essere discussioni. Le quali, come si è detto, sono alla radice della prima parola di Adamo.
Se non il Silenzio ( Sighè ) – che nella tradizione gnostica valentiniana è un ente primordiale unito più o meno indivisibilmente col Progenitore o Abisso – è certo che nel Paradiso “ attuale “ si parla una sola lingua.
Potrebbe essere altrimenti se in questo luogo v’è assoluta concordia su tutto ? ( 1 ).

NOTA.
( 1 ) Una singolarissima ed emblematica notizia riporta il mio testo – ironico e scherzoso – ad una dramma dei nostri giorni. L’Enciclopedia GE 20 De Agostini sotto la voce ” ucraino” ricorda come nel lessico ucraino le stesse parole hanno spesso significato totalmente diverso rispetto al russo: ‘urodlyvyi’ significa in ucraino ‘molto bello’  e in russo ‘molto brutto’.

6 pensieri su “Divagazioni sulla lingua dell’Eden

  1. Se intendiamo la comunicazione di Dio come autocomunicazione, o comunicazione di sé, allora vien da pensare che i suoi discepoli, in quel della Torre di Babele, si mossero secondo i suoi insegnamenti. Ma nella storia delle religioni è sempre andata così, che qualcuno inizi e altri finiscano male. Dopodiché tutti i religiosi si riservano il compito di rimediare a quel che loro stessi han combinato, per errore d’imitazione.
    Nella Bibbia, Dio si manifesta spesso con comportamenti umani, ad esempio- e mi dispiace di non ricordare il passo delle Genesi – vien detto che Dio che si trovava a passare di lì, dove si nascondevano Adamo ed Eva dopo il fattaccio della mela: Dio che passava? non è strano?
    L’antico Maestro probabilmente insegnava il silenzio, vale a dire non la comunicazione ma la comunione nell’agape, che è un sentimento. Insomma, per me è la storia terrena degli insegnamenti di un antico maestro, risalente ai tempi in cui ancora non si conosceva la scrittura. Se ci fosse stata comunicazione scritta, probabilmente la Torre di Babele sarebbe ancora qui. O no?

    1. … questo per dire che la comunicazione scritta è la più silenziosa che riesco a immaginare. Ma se qualcuno dicesse che per questo è la più vicina a Dio sbaglierebbe: una cosa è comunicare e un’altra è essere in comunione. Probabilmente, se in comunione, la comunicazione sarebbe solo un diletto. Sembra fantascienza.

  2. Grazie a L.Mayor per le sue osservazioni che colgono aspetti essenziali del mio testo.A parte l’origine mitica della confusione delle lingue è certo che esse fanno parte della storia e la storia è sin dall’origine lotta, separazione, distacco. Si, credo che se il Paradiso esistesse non si parlerebbe affatto perchè -giusta l’osservazione – una cosa è comunione e una comunicazione. Gli gnostici avevavno mitizzato IL SILENZIO ( Sighè ) come entità primordiale. Storicamente e parlando dell’attuale si pone la domanda ( nd mia nota ) : come mai un identico fonema ha significati antitetici in due popoli vicini? Tale antiteticità sicuramente segnala antichissime lotte, rancori insepolti. O sbaglio? Ci consoliamo con linguaggi diversi…..Un saluto. G.M

  3. …c’é un interrogativo che mi assilla da tempo: perchè l’uomo é tanto distruttivo e autodistruttivo(il pianeta e la specie umana a rischio)? Ringrazio Giorgio per questo ironico e arguto racconto della Genesi, come Mayoor per le sue riflessioni che mi hanno fornito un barlume di risposta( una delle possibili, immagino). Il mito della Genesi parla di un uomo e di una donna che vivevano nell’Eden felici…e silenziosi. Secondo me, perchè i primi uomini erano del tutto integrati nella natura e in quella comunione di sentimenti di cui riferisce Mayoor. Non escludo che ci fossero la sofferenza, il dolore del parto e la morte, ma erano del tutto accettati all’interno di un equilibrio naturale, non c’era consapevolezza dolorosa. La comunicazione avveniva attraverso il corpo intero(la voce nella parola veicola soprattutto il cervello) e non interferiva con l’armonia del cosmo. L’uomo partecipava all’intelligenza della natura, che è di tipo costruttivo o conservativo (anche “le catastrofi naturali” ), ma l’uomo variò la sua intelligenza in intelligenza altra, e introdusse distinzioni, separazioni tra sè e gli altri, tra sè e e l’ambiente( ma oggi la scienza non ci riporta alla consapevolezza dell’ unità di ogni organizzazione di vita?), da qui la necessità di comunicare attaverso la lingua orale. Ma quando il progetto umano si fece più ambizioso le lingue si moltiplicarono, come le divisioni e l’incomunicabilità…Se ne predomina una é quella del più forte, che gioca a suo vantaggio il sistema degli strappi, dei nodi della rete. Per fortuna il ricordo della natura natura resta in tutti noi e anche l’intelligenza se ne é accorta

    1. Tempo fa scrissi questi versi che, dato l’argomento , mi sembra il caso di proporre. Ringrazio Giorgio per il suo scritto come al solito permeato di grande originalità e acuta intelligenza.

      Eden

      Il fioco interesse per il futuro
      regge il mondo in una mano,
      la stessa che ruppe il mistero.
      Bastò un colpo e tutto si abbandonò
      all’uomo e alla donna
      un tornaconto, una comoda vita, sempre.
      Anche la guerra finì per riempire
      le tasche degli dei, loro sapevano
      che tutti avrebbero creduto,
      persino il passero si fece allevare
      e il forte cavallo, la volpe e il castoro
      rientravano nel disegno ,nell’omicidio,
      nulla fermò il dominio , per niente
      cantavano gli usignoli e ruggiva la foresta
      e il pane non fu per tutti.
      Solo un giorno, un’ora ancora
      e tutto avrebbe avuto un senso,
      ma si sa la mela e il serpente
      avevano ormai fatto
      il loro sporco affare.

      E:Banfi

  4. Mi spiace di non aver più tempo per cui dovrò solo buttare là alcuni flash su questo interessante post di G. Mannacio.

    a) *La loro posizione edenica rendeva in tutto e per tutto inutile la parola. Conoscevano già il sapore dei frutti del giardino; sapevano che solo la mela era loro proibita* (G. Mannacio).

    E’ già un primo indizio di ‘crisi’ nel sistema edenico, ovvero: “tutto ad eccezione di questo”.
    Erano stati ‘informati’ che dell’albero del Bene e del Male – che è l’Albero della Conoscenza – non dovevano attingere nulla. L’avessero fatto, la pena conseguente sarebbe stata il ‘conoscerai la morte’. Prima ne avevano avuto ‘sapienza’ ma solo ‘a mela concupita e mangiata’, la ‘consapevolezza’.
    Questo la dice lunga sui diversi gradi di consapevolezza che partono comunque dalla differenza e dal conflitto.

    b) Sulla ‘confusione delle lingue’: questa operazione è presente non solo nella Torre di Babele ma anche in altri racconti mitici (di cui al momento non riesco a trovare le citazioni).
    Anche in altre saghe mitologiche la funzione della Parola è stata guardata con sospetto.
    Gli Dei olimpici quando seppero che la Dea Parola, sciocchina e ciarliera come sempre, si era invaghita di un mortale e stava concependo un figlio da lui, fecero di tutto per strapparle dal seno quel frutto perché ciò avrebbe significato la loro sconfitta.

    c) quando JHVE’ (nome che l’essere umano non poteva pronunciare per intero) chiese “Adamo, dove sei?” con questa stessa domanda istituì le coordinate del tempo e dello spazio.
    L’onnipotenza dell’Essere – ‘sempre in ogni luogo’ e che ‘sa tutto’ (= “io sono colui che è”) – viene così a mancare e cede il passo alla relatività temporospaziale dell’essere umano.

    d) Osservazione a fronte della NOTA.
    Spesse volte, nelle lingue meno evolute – ma anche nel greco antico – un termine poteva esprimere la qualità di una cosa e il suo contrario. E’ l’Assoluto che ha in Sé tutte le cose, il Bene e il Male.
    Sarà il contesto a decrittarlo.
    Anche per queste ragioni l’ambiguità della parola poetica che unisce tempi e spazi tra loro diversi e incompatibili, implica uno speciale rapporto con il divino.

    R.S.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *