Morte di un uomo

Russland, Gefangennahme von Partisanen

di Augusto Vegezzi

Dal romanzo pubblicato in ebook, editore lulu.com, in cartaceo a questo indirizzo http://tinyurl.com/qcqnzsd, col titolo “Quella rossa primavera 1943-1945″.

“Gli elementi erano così composti in lui, che la natura potrebbe levarsi e proclamare a tutto il mondo: “Questo era un uomo!” (William Shakespeare)

Sandrino non si vedeva da un po’ di tempo, sempre più impegnato nella sua fabbrica e preoccupato dalle minacce del capitano Hermann Berg, il controllore tedesco. La produzione aveva subito un forte calo a causa di rotture di pezzi, cadute di corrente, carenza di forniture, diserzioni di operai. Il capitano condusse un’inchiesta ma l ’impegno di Sandrino risultò ineccepibile.Un giorno, però, sparì il misterioso “cervello” della fabbrica, un congegno segreto, costruito su modelli americani, assolutamente insostituibile. Prive dell’organo di comando, tutte le macchine si bloccarono, ridotte a una montagna di ferro inutile. La reazione dei tedeschi fu violentissima. Gli investigatori della Gestapo sottoposero dirigenti e operai a indagini frenetiche e brutali. Non scoprirono nessuna traccia di effrazioni, violenze, movimenti. Nessuno aveva visto e udito nulla. Anche la promessa di forti taglie non portò risultati. Su labili basi (pettegolezzi, frasi sentite e riferite, una denuncia anonima) le indagini si strinsero su Sandrino e Otello, il capofabbrica, che furono interrogati e torturati finché confessarono: alcuni ribelli armati, rivendicando il diritto di difendere la fabbrica dall’evacuazione delle macchine in Germania, li avevano costretti a consegnare il cervello, che avevano smontato e trafugato. Non vennero creduti e furono di nuovo seviziati. Sandrino e Otello confessarono che il prezioso congegno era stato nascosto in un pozzo abbandonato. I tedeschi lo ricuperarono e lo reinserirono nell’impianto ma non funzionava. Sandrino e Otello si rifiutarono di collaborare. Di nuovo sevizie crudeli, inutili e infine mortali. Prima dell’alba, i corpi orrendamente martoriati vennero portati nella piazza del Comune e appesi a lampioni. Al risveglio il paese scoprì quell’orrore. La gente rimase terrorizzata e inerte.
Una settimana dopo Bianca, i suoi figli e tutti gli amici vestiti a lutto, io compreso, partecipammo ai funerali, rigorosamente laici, sotto gli occhi del capitano Berg e dalla Gestapo. Le strade erano deserte. La gente era chiusa nelle case. Soldati armati sorvegliavano il corteo. Un caccia d’argento (qualcuno sentenziò: britannico) saettò sul paese, scomparve nel cielo latteo, ritornò. Tutti cercarono riparo nelle case e sotto i portici, anche i tedeschi. Davanti al Comune rimasero solo il carro funebre e la pariglia di cavalli roani, indifferenti. Un’attesa spasmodica. Meglio non rischiare. L’aereo riapparve e non tornò. Il glaciale corteo riprese, lento, dimesso. Bianca subito dietro al feretro, allacciata ai figli. Noi seguivamo, impietriti. Le zie sussurrarono: «Lei, nemmeno una lacrima». Io mi unii ai miei due amici, pallidi e sperduti. Una giornata invernale di guerra. Nulla di eccezionale. Così si viveva. Così si moriva. Così si veniva assassinati

La fabbrica rimase bloccata per settimane, finché fu rimessa in funzione da un ingegnere giunto dalla Germania e la produzione riprese. Ma solo per pochi giorni. Una mattina il camioncino della posta si presentò ai cancelli alla solita ora con il solito autista; tutti i documenti risultavano regolari, perciò fu fatto passare dalle sentinelle. Tuttavia non raggiunse gli uffici. Fece invece un giro tortuoso grazie all’apertura di due cancelli interni con chiavi adulterine, e si fermò accanto alla palazzina che ospitava il cervello. Il postino scese e si allontanò L’automezzo esplose. L’edificio crollò. Si parlò di cento chili di tritolo. L’autista sparì nella confusione delle centinaia di operai e tedeschi in fuga. Tutti pensarono a un bombardamento aereo. La fabbrica dovette chiudere definitivamente.
Le indagini furono ancora più frenetiche e selvagge. L’autista cercò scampo tra i partigiani. L’unica traccia: le chiavi. L’unica indagata: Bianca. Giurò di di ignorare tutto della fabbrica e di non sapere nulla delle chiavi. Venne arrestata, interrogata, minacciata. Torturata?
«Non esattamente. Piuttosto, umiliata», precisò lei in seguito agli amici, con tono di sfida: «Mi sono sempre difesa dalle accuse. Io, la moglie di Sandrino, come si può insinuare che abbia distrutto la mia fabbrica, appena ereditata insieme ai miei figli da mio marito, il martire? L’assassino pagherà con la vita».

Qualche settimana dopo, inforcai la bicicletta e mi recai da Giuliano e Gian Andrea, i figli di Sadrino. Il sole bruciava le campagne con le file nere di alberi ancora spogli tranne i primi verdi germogli. Aprile è il più crudele dei mesi, dice il poeta Eliot. La primavera è una stagione di transizioni naturali dalla morte alla vita che si rigenera. Non c’era sollievo. Anche gli uccelli disertavano i cieli. Solo qualche falco, alto e impavido, planava a larghe volute per poi risalire con forti colpi d’ala. Solitudine e silenzio, accentuati dal gracchiare monotono delle gazze.
Arrivato al castello, mi accolse con un bacio Bianca, glaciale, la bocca stretta e gli occhi fissi altrove, elegante in un lungo abito di seta viola: «Benvenuto. Felice di rivederti. Mi trovi per caso. I miei poveri figli stanno arrivando. Va incontro a loro».

Io decisi di attenderli bighellonando, poi m’inoltrai nel grande parco, al fresco sotto i secolari tigli verso il boschetto delle fragole. Una pernice frullò e con un largo arco sparì tra i cespugli. La inseguii finché s’involò di nuovo e di nuovo la stanai. Le gazze spietate gracchiavano spietate. Scorsi qualcuno in lontananza. Era Bianca che si affrettava con lunghe, decise falcate lungo un sentiero stretto, quasi abbandonato. Mi parve strano. Di solito incedeva nei grandi viali, lungo il laghetto dei candidi cigni, trascinata dai grandi alani al guinzaglio, ai quali impartiva ordini in tedesco.
M’ incantava. Bionda, zigomi pronunciati, occhi di cielo, lineamenti taglienti, viso forte. Certo ai miei occhi era vecchia, aveva oltre quarant’anni ma era alta, elegante e sotto gli abiti sempre svolazzanti s’intuivano lunghe gambe e morbide curve.

“Dove va?”, mi chiesi incuriosito e decisi di seguirla da lontano. Non passeggiava oziosamente, camminava a lunghe falcate, come chi ha una meta. Ma in quella direzione non c’era niente. A un tratto svoltò verso di me; subito mi nascosi in un fossato. “Mi ha scoperto”, pensai. Invece la contessa proseguì la sua passeggiata e allora capii: “Va a protestare ancora una volta per le prepotenze di Hermann.”
Il capitano aveva requisito la casa del boscaiolo, dove abitava come fosse il padrone. Prendeva il sole nudo, tagliava alberi, coltivava kren, cavoli e canapa. Chissà che ne faceva della canapa? Era stato lui a far fucilare Sandrino e Otello.

Avevo sentito il racconto degli scontri che Bianca aveva avuto con il capitano e pregustavo il piacere di assistere al prossimo: vibranti e sferzanti recriminazioni da una parte e baciamani, schioccare di tacchi e gelidi dinieghi dall’altra. Scene da commedia. alla fine Bianca si ritirava furiosa, minacciando di rivolgersi al generale, al federale, al vescovo; e Hermann cerimonioso batteva i talloni e s’inchinava di scatto, sorridendo impassibile.
Infatti, la scena si svolse come da copione. Il contralto isterico della contessa contro il basso cerimonioso ma non remissivo del capitano. Strisciando bocconi, mi avvicinai, nascosto dai bossi, fino a una ventina di metri. Lui era più alto di lei, con il viso sfregiato da duelli e ferite di guerra. La leggenda narrava di imprese temerarie e feroci che gli avevano fatto guadagnare medaglie e punizioni. Correva voce che avesse sterminato e saccheggiato un intero villaggio di polacchi. Poi però era stato silurato e destinato a quell’insignificante comando in una fabbrica di lamine blindate.
A un tratto Bianca alzò la voce, quasi urlando, poi barcollò e sembrò sul punto di cadere. L’uomo la sostenne, poi, di forza, la strinse tra le braccia, l’attrasse a sé e tentò di baciarla.

Ero emozionato. Mi sentivo in colpa, anche se non sapevo di che. Lo sguardo fisso, non perdevo un particolare. Lei lo respinse e sussurrò imperiosa qualcosa. Il tedesco sorrise e disse: «Yawohl, gnaedige contessa. Certamente».
Ora Bianca era in piedi, con le braccia abbandonate lungo il colpo. Il tedesco con un largo gesto le strappò con violenza la gonna e le mutande. Scorsi un bellissimo, procace, candido culo e il vello del pube, rosso come una bandiera. Mai l’avevo immaginata così. Quasi svenivo, sconvolto. Non capivo, capivo solo, ancora una volta, di non capire. I miei dubbi svanirono in pochi attimi. Di colpo Bianca si avventò contro l’uomo e con una baionetta tedesca gli tagliò la gola. Poi gettò a terra l’arma, si ricompose, per quanto possibile con gli abiti stracciati e corse verso il paese, seminuda, urlando a squarciagola: «Aiuto! Aiuto! Il porco tedesco! Il boia di Sandrino! Aiuto! Mi ha aggredito, violentata! Aiuto!»

Rimasi sconcertato. Sapevo confusamente di essermi affacciato su uno dei segreti più gelosi, nascosti e vitali dei grandi. Intuivo l’esistenza di qualcosa di terribile, di tragico, di eroico. Cercavo di riflettere ma la crudezza delle immagini e la drammaticità della scena mi toglievano lucidità. Più tardi nella notte forse capii: Bianca aveva fatto giustizia inscenando un rito primordiale e tremendo, in cui la vittima, corpo e animo stretti in un groviglio abissale, si vendica delle sofferenze e umiliazioni inflittele dal carnefice. In filigrana, nella sua vendetta leggevo il riscatto dell’Italia, caduta in servitù ma decisa a conquistare ad ogni costo la catarsi e la liberazione. “Ma così non è giusto. Quante lacrime e quanto sangue dovremmo ancora versare se ognuno in nome della purezza degli ideali e delle intenzioni si facesse giustizia da sé?”

3 pensieri su “Morte di un uomo

  1. … dal bel romanzo di Augusto Vegetti, una pagina molto drammatica…
    Sempre durante la guerra, una fabbrica, credo di importanza militare per i tedeschi, viene sabotata e la rappresaglia sui due uomini considerati responsabili, affinchè parlino, é durissima: tortura sino alla morte…La voce narrante é quella di un ragazzino, forse bambino ( da come si diverte ad inseguire una pernice nel parco, inoltre parla della morte dei due partigiani per fucilazione, quindi é stato tenuto all’oscuro di come si siano svolti davvero i fatti), che però sarà costretto a crescere velocemente trovandosi ad essere testimone di eventi terribili, che attengono alla vita degli adulti e alla morte…La sua delicata figura viene accostata a quella della moglie della stessa vittima, una donna coraggiosa e risoluta che riesce a vendicarsi con l’astuzia sul crudele capitano tedesco responsabile della barbara uccisione del marito…Il ragazzo, testimone nascosto e sconvolto dei fatti, vede la donna come un’eroina a rappresentare un’Italia sottomessa che riesce a ribellarsi e a liberarsi dal nemico. Ma gli resta aperto un interrogativo, che sembra rivolto anche a noi lettori, cioè se sia giusto, anche se guidati da ideali, farsi vendetta da soli…Un interrogativo morale giusto, secondo me, per un ragazzo che si deve comunque preparare a vivere in una società di pace, ma noi anziani sappiamo che esistono delle eccezioni e che questa donna ha obbedito a una legge, se vuoi primordiale, di difesa della sua dignità e di quella dei suoi cari. .. In questa pagina, inoltre, viene rievocata molto bene l’atmosfera del tempo di guerra: le incursioni aeree che interrompono la vita quotidiana, il mese di Aprile che non riconosce l’arrivo della primavera come evento felice…Insomma, la guerra quante cose che attengono alla natura umana deve scombinare?

  2. non un commento perchè non ho ancora letto il libro,ma una semplice domanda:l’autore è lo stesso augusto vegezzi che tra gli anni 60 e 70 insegnava a milano e che partecipava al movimento insegnanti di porta nuova?

    1. @ Eugenio

      Sì, è lui.
      A questo link:http://www.lulu.com/spotlight/LIBERAZIONE
      si legge una sua autopresentazione:

      About Augusto Vegezzi

      Mi sono laureato in Filosofia con Antonio Banfi.
      Ho insegnato Italiano e Storia, poi Storia e Filosofia infine sono stato preside di un Liceo Scientifico
      Ho collaborato con note e articoli ai Quaderni Piacentini, Altro Impegno e ho fatto parte dei gruppi dei Quaderni rossi e Classe operaia.
      Nel 1969 ho co-fondato il centro milanese LOTTA PER LA RIFORMA DELLA SCUOLA.
      Ho progettato, scritto e pubblicato vari manuali per le scuole superiori: Gli Argomenti umani, con F. Fortini, Morano Editore
      Un manuale di storia per il Biennio, con G. Toffoli, Sansoni
      Un manuale di storia per il triennio, con M. Legnani e R. Parenti, Zanichelli Editore
      Una Storia e Antologia della letteratura italiana, con R. Parenti e I. Viola, Zanichelli Editore
      Ho diretto due collane della Morano Editore
      Ho pubblicato note e articoli su Micromega, La Libertà, Piacentini.
      Ho studiato la società degli USA vivendoci tre anni. Scrivo racconti di vita e riesplorazioni della grande Arte, iniziando da Raffaello.

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