Le parole e la serpe

Daria Petrilli 3

di Paolo Ottaviani

 

(…suo arbritatu mundum effinxere
[dipinsero il mondo secondo la loro
arbitraria immaginazione]
Bernardino Telesio,
De rerum natura juxta propria principia)

Se mai ci fu un inizio
fu di fuoco e fanghiglia
e di là pietre, rami,
pesci, serpi e l’umana
carne esaltata e torta
nel pianto autocosciente
di immaginaria morte.

Ma la foglia e la serpe
in un soffio appagato
s’accartocciano ignare
senza fine o lamento.

Sia la parola un dono
oltre il fuoco e le ceneri,
tra la cenere e il vento
in ricerca di luce:
sia la parola il suono
di una pioggia di grazia.

 

 

 

Nota dell’autore

Pur nella sua brevità – 17 versi in tre piccole stanze – questo testo ha molti padri ideali – uno di questi è citato in epigrafe – e ha potuto quindi attingere a molti vasti tesori lasciatici in eredità: dalle filosofie e cosmologie presocratiche, alla fisica del taoismo (così sorprendentemente vicina alle più recenti indagini astronomiche), al naturalismo italiano – Deus sive Natura – (Campanella, Bruno e appunto Telesio). Un universo, o meglio, molteplici universi ab aeterno, che inglobano in sé, da sempre e per sempre, spirito e materia, in perenne divenire e trasformazione. In questa concezione non è contemplata alcuna superiorità dell’uomo sugli altri elementi della natura, vi è invece una parificazione ontologica del tutto con il tutto e del singolo con la molteplicità. Di qui “l’immaginaria morte” e l’inesausta tensione del pensiero e della poesia in perenne ricerca di bellezza e di “grazia”.

4 pensieri su “Le parole e la serpe

  1. Paolo Ottaviani insiste nel suo generoso sforzo di voler ricordare che l’arte, per essere compresa, ha bisogno di conoscenza e di studio. E’ sempre stato così, ma forse, fino a non molto tempo fa, le parti in causa, autore e lettore, erano ben distinte e tutti sapevano quale gli spettava. Tuttavia io credo che la confusione non derivi tanto dal fatto che tante più persone vogliono farsi autori, quanto perché si vorrebbe tutto e subito, e la poesia piace se la si capisce all’istante, senza la fatica che solitamente costa a chi proprio in questa fatica trova piacere e divertimento. Dal che uno potrebbe pensare che tutti classici, per essere apprezzati pubblicamente, oggi dovrebbero essere tradotti in cinema. E non sbaglierebbe.
    Ho letto con interesse questa poesia. Paolo insegna amorevolmente e rischiara con le parole Grazia, e Bellezza nel suo commento. La parola che verbalizza , in qualche modo ci alleggerisce, mette ordine e chiarezza, ci libera dal peso della sovrabbondanza, traduce e interpreta il caos… ma proprio per il fatto che non vi è “alcuna superiorità dell’uomo sugli altri elementi della natura”, secondo me, grazia e bellezza, per quanto le parole ne possano contenere, a guardar bene si trovano ovunque.

  2. *Pur nella sua brevità* – così scrive Paolo Ottaviani nella sua nota – ritengo alta la capacità del poeta di metterci di fronte ad una sofferta nascita del mondo che condensa le immagini bibliche in poche pennellate, ma cariche di senso, sia di quello che ci è stato tramandato …* e l’umana/carne esaltata e torta/nel pianto autocosciente/di immaginaria morte*, e sia di quello che è il lascito che supera la morte, quell’ “immortale” che coinvolge la parola…* in ricerca di luce/sia la parola il suono/di una pioggia di grazia*.
    Concordo con il commento di Mayoor quando ricorda *che l’arte, per essere compresa, ha bisogno di conoscenza e di studio*. Ma non nel senso che, allora, essa è accessibile soltanto a coloro che hanno *conoscenza e studio*. Essa richiede al fruitore l’uso di un modello analogo a quello utilizzato dall’artista il quale attinge sia all’emozione e sia all’intelletto. L’opera d’arte è quindi una sollecitazione al conoscere oltre che al sentire. E’ un ampliamento della esperienza e non una ‘fotografia’ della stessa.
    R.S.

  3. …questa poesia di Paolo Ottaviani contiene, pur nella sua brevità, tesori di saggezza, perchè sembra scritta da un uomo antico, non ancora contaminato da false credenze e da pregiudizi…Nella prime due stanze, secondo me, si parla della vera Genesi (quella biblica, pur tanto suggestiva, si riferisce piuttosto alla genesi della prepotenza dell’uomo sull’uomo e del suo presunto primato sulla natura), quando dagli elementi ebbero origine, non senza travaglio, tutti gli esseri viventi, uomo compreso, con una sola caratteristica distintiva, la consapevolezza della morte immaginaria, che é solo trasformazione…Nell’ultima stanza é contenuta un’esortazione “Sia la parola un dono…”, ben sapendo che la parola é uno strumento potente impiegato spesso per esprimare maldicenza, generare confusione e dare l’ordine per le stragi. Solo se dono verso gli altri, la parola diventa “una pioggia di grazia”

  4. Sì, certo, una “genesi” più vicina a quella che potrebbe immaginare Stephen Hawking che a quella meravigliosamente e favolisticamente descritta nel Pentateuco… grazie comunque a tutti per tanta appassionata attenzione!

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