S’io fossi Gaza. Riprese

gaza macerie 3

1.

SEGNALAZIONE: A GAZA OGGI. FOTO DI ELOISA D’ORSI

http://www.eloisadorsi.com/album/gaza-strip#27

2.

“AM STIL HERE”

di Ennio Abate

 a Elosia d’Orsi che ha fotografato il cielo di Gaza

 

Abitare le rovine.
Mangiare defecare dormire tra le rovine.
Conservare negli occhi il dolore di prima delle rovine
e quello di dopo.
Aggiungere il tuo silenzio a quello delle rovine.
Inchinarsi davanti alle rovine.
Appoggiare il corpo dei vivi sulle rovine
come fosse una poesia e una speranza.

Restare caparbiamente
coperta
cucchiaio
pecora
specchio
bimbo
giovane
adulto
anziano
donna
tra le rovine.

Ascoltare il lamento e il suggerimento delle rovine
mentre diventano il nostro passato.

 

3

SEGNALAZIONE: VARI MATERIALI SUL DRAMMA DI GAZA SULLA RIVISTA “GALATEA”
http://www.galatea.ch/

 

24 pensieri su “S’io fossi Gaza. Riprese

  1. Ho trasferito qui le segnalazioni dei giorni precedenti inserite sotto il post “Peggio dei nazisti”.
    [E. A.]

    Ennio Abate
    7 settembre 2014 alle 0:28

    SEGNALAZIONE: 31 luglio. Nessuno protesta più
    ( Tratto dalla rivista UNA CITTA’: http://www.unacitta.it/newsite/articolo.asp?id=976)

    “Cosa sente un pilota quando sgancia una bomba da una tonnellata su un’abitazione civile?”, “Mah, appena una piccola scossa all’ala del jet”. Così Dan Halutz rispondeva nel 2002, anno in cui era comandante delle forze aeree israeliane, a un giornalista che lo intervistava su un episodio che quell’anno aveva suscitato molto sdegno, in Israele: il lancio sull’abitazione di un capo di Hamas di una potentissima bomba che aveva ucciso quattordici civili, di cui otto bambini. Lo ha ricordato Yuli Novak, che dodici anni fa serviva l’Idf come ufficiale delle forze aeree, in un contributo pubblicato sul Guardian del 28 giugno. “Un’affermazione che a un civile suona fredda e distaccata. Ma per noi, Halutz era un’autorità morale. Lui prendeva le decisioni etiche, a noi spettava l’esecuzione tecnica”. Come tanti coetanei, la Novak si era ritrovata appena ventenne a dover convivere con un fardello di immani responsabilità morali. Come non provare un senso di colpa per quella carneficina? L’Idf aveva provato a difendere la legittimità dell’operazione, ma l’opinione pubblica aveva reagito con orrore all’assassinio deliberato di piccoli innocenti. Infine l’Idf si era anche scusata, riconoscendo l’errore. “Ero assolutamente convinta che l’esercito avesse un fondamento morale e che quello fosse stato un incidente isolato”. Oggi che l’eccezione e l’errore sono diventati la norma, prosegue Novak, è sparita l’indignazione. “In quest’ultima operazione abbiamo già sganciato cento bombe da una tonnellata sulle case di Gaza, ma adesso nessuno, nell’esercito, sente più il bisogno di chiedere scusa”. (theguardian.com)

    ro
    7 settembre 2014 alle 7:43

    «Siamo indi­spo­ni­bili»

    La mani­fe­sta­zione del 13 chie­derà in par­ti­co­lare che siano sospese le eser­ci­ta­zioni dell’aviazione israe­liana in pro­gramma a Teu­lada tra un mese. «Vogliamo — scri­vono gli orga­niz­za­tori — che la Sar­de­gna diventi un’isola di pace e che il suo ter­ri­to­rio sia indi­spo­ni­bile per le eser­ci­ta­zioni di guerra, di qua­lun­que eser­cito (com­preso quello ita­liano) e sia inter­detto a qua­lun­que atti­vità o pre­senza con­nesse con chi usa la guerra per aggre­dire altri popoli o per cri­mini con­tro i civili, col­pendo case, ospe­dali, scuole, rifugi per sfol­lati. Chie­diamo che la Sar­de­gna sia imme­dia­ta­mente e per sem­pre inter­detta all’aviazione mili­tare israeliana».

    *
    Sabato della pros­sima set­ti­mana a Capo Fra­sca, nel cuore del poli­gono di Teu­lada, i movi­menti sardi hanno con­vo­cato una mani­fe­sta­zione con­tro le ser­vitù mili­tari e per il blocco imme­diato di tutte le eser­ci­ta­zioni mili­tari nell’isola.
    Pro­prio a Capo Fra­sca l’altro ieri intorno alle 15, durante uno dei gio­chi di guerra dell’esercito, lo scop­pio di un pro­iet­tile di arti­glie­ria ha inne­scato un grosso incen­dio che ha distrutto tren­ta­cin­que ettari di mac­chia medi­ter­ra­nea di grande pre­gio. Per spe­gnere il rogo sono inter­ve­nute le squa­dre a terra del Corpo di poli­zia fore­stale con l’aiuto di un eli­cot­tero.
    Il per­so­nale del poli­gono si è rifiu­tato di accom­pa­gnare le squa­dre, com’era stato loro richie­sto per evi­tare le aree a rischio. I fore­stali sono comun­que entrati, ma si sono dovuti riti­rare quando ci sono state nuove defla­gra­zioni (pro­iet­tili lasciati ine­splosi sul ter­reno) ad appena cin­quanta metri dai mezzi di soccorso.
    A quel punto, per non cor­rere inu­tili rischi, il lavoro di spe­gni­mento è andato avanti, ovvia­mente con ritardo, solo con l’elicottero.La noti­zia dell’incendio è stata data non
    dall’esercito (che anzi ha ten­tato sino all’ultimo di smen­tire e di mini­miz­zare) ma su Face­book dal depu­tato Mauro Pili, ex pre­si­dente diri­gente di Forza Ita­lia ed ex pre­si­dente della Regione, oggi lea­der di una for­ma­zione di cen­tro­de­stra, Uni­dos, fuo­riu­scita dal par­tito berlusconiano.

    Da Roma il governo minimizza
    L’episodio ha riac­ceso la pole­mica sulle basi (l’isola sop­porta il 65 per cento delle ser­vitù pre­senti nell’intero ter­ri­to­rio nazio­nale). «È incon­ce­pi­bile — ha detto il pre­si­dente della Regione Sar­de­gna Fran­ce­sco Pigliaru — che la giunta abbia sco­perto da fonti non uffi­ciali che un grave inci­dente fosse avve­nuto a Capo Fra­sca nel corso di una eser­ci­ta­zione mili­tare. È altret­tanto incon­ce­pi­bile che la con­ferma reale delle dimen­sioni dell’incendio sia arri­vata solo dopo l’intervento degli uomini del Corpo fore­stale, e che il mini­stero della Difesa, da noi inter­pel­lato, abbia par­lato di un pic­colo incen­dio già domato quando invece l’elicottero del Corpo fore­stale è stato in azione sino alle 18.30, cin­que ore dopo che un pro­iet­tile aveva inne­scato il fuoco». Piglia­ruha denun­ciato, come già aveva fatto nel corso della con­fe­renza nazio­nale sulle ser­vitù mili­tari che s’è tenuta lo scorso 18 giu­gno a Roma, gli alti rischi con cui i sardi sono costretti a con­vi­vere per della mas­sic­cia pre­senza di poli­goni mili­tari. E ha ripe­tuto che tra le richie­ste pre­sen­tate alla Difesa «c’è quella di pro­lun­gare il blocco delle eser­ci­ta­zioni, anti­ci­pando l’inizio al primo giu­gno e posti­ci­pando la con­clu­sione al 30 set­tem­bre. In par­ti­co­lare il pro­blema riguarda pro­prio il poli­gono di Capo Fra­sca, dove il blocco delle eser­ci­ta­zioni è il più breve: solo luglio e agosto».

    Troppi silenzi e menzogne
    Pigliaru ha poi chie­sto al pre­si­dente del con­si­glio regio­nale una con­vo­ca­zione straor­di­na­ria dell’assemblea per discu­tere del caso.
    Dura e allar­mata la presa di posi­zione di Michele Piras, depu­tato di Sel : «L’incendio a Capo Fra­sca è la dimo­stra­zione del rischio costante che si corre nelle aree inte­res­sate da eser­ci­ta­zioni mili­tari. Mi auguro che sull’accaduto si apra imme­dia­ta­mente un’inchiesta che ne chia­ri­sca le cause e indi­vi­dui i respon­sa­bili. Un danno duplice: quello ambien­tale e quello all’attività turistica».
    Infine, il pres­sing su Pigliaru: «Chiedo che ora il pre­si­dente della Regione sbatta i pugni sul tavolo del mini­stro Pinotti. La Sar­de­gna dal 1956 ad oggi ha già dato troppo agli inte­ressi della Difesa e dell’Alleanza atlan­tica. È giunta l’ora di cam­biare radi­cal­mente il senso di mar­cia». L’ex pre­si­dente della giunta regio­nale, Ugo Cap­pel­lacci (Forza Ita­lia), ha chie­sto le scuse uffi­ciali del governo e le dimis­sioni della Pinotti.

    Indi­pen­den­ti­sti e non solo
    La mani­fe­sta­zione di sabato 13 è orga­niz­zata da diverse sigle paci­fi­ste e indi­pen­den­ti­ste (A manca pro s’indipendentzia, Sar­di­gna natzione, Comi­tato Get­tiamo le basi, Comi­tato Su giassu e Comi­tato Su sen­tidu). «Invi­tiamo tutto il popolo sardo, le asso­cia­zioni, i par­titi e i comi­tati — scri­vono in un docu­mento dif­fuso nei giorni scorsi — ad ade­rire e a par­te­ci­pare alla gior­nata di mobi­li­ta­zione del 13 a Capo Fra­sca per pre­ten­dere il blocco imme­diato di tutte le eser­ci­ta­zioni mili­tari e la chiu­sura di tutte le ser­vitù mili­tari, con la boni­fica e la ricon­ver­sione delle aree inte­res­sate. L’occupazione mili­tare della Sar­de­gna è un sopruso che dura da sessant’anni e che non siamo più dispo­sti a tol­le­rare. Col pas­sare del tempo lo stato ita­liano inten­si­fica il ritmo e il peso delle eser­ci­ta­zioni mili­tari. La Sar­de­gna è ridotta ad un campo di spe­ri­men­ta­zione mili­tare in cui diventa lecita qual­siasi soglia di inqui­na­mento e viene testata qual­siasi tec­nica di ster­mi­nio. È giunto il momento di dire basta».

    «Siamo indi­spo­ni­bili»
    La mani­fe­sta­zione del 13 chie­derà in par­ti­co­lare che siano sospese le eser­ci­ta­zioni dell’aviazione israe­liana in pro­gramma a Teu­lada tra un mese. «Vogliamo — scri­vono gli orga­niz­za­tori — che la Sar­de­gna diventi un’isola di pace e che il suo ter­ri­to­rio sia indi­spo­ni­bile per le eser­ci­ta­zioni di guerra, di qua­lun­que eser­cito (com­preso quello ita­liano) e sia inter­detto a qua­lun­que atti­vità o pre­senza con­nesse con chi usa la guerra per aggre­dire altri popoli o per cri­mini con­tro i civili, col­pendo case, ospe­dali, scuole, rifugi per sfol­lati. Chie­diamo che la Sar­de­gna sia imme­dia­ta­mente e per sem­pre inter­detta all’aviazione mili­tare israeliana».
    *

    Oltre quella del 13 set­tem­bre nella base di capo Fra­sca, altre mani­fe­sta­zioni sono in pro­gramma in Sar­de­gna con­tro le ser­vitù mili­tari. Si comin­cia oggi alle 10 al poli­gono di tiro del lago Omo­deo, a Sor­ra­dile, per con­te­stare le atti­vità di eser­ci­ta­zione del cen­tro di adde­stra­mento della poli­zia che ha sede ad Abba­santa. La mani­fe­sta­zione è orga­niz­zata dalle comu­nità che si affac­ciano sul lago.
    «Par­te­ci­pe­remo insieme ad ammi­ni­stra­tori e cit­ta­dini per chie­dere la chiu­sura imme­diata di un poli­gono che ha bloc­cato ogni tipo di inve­sti­mento turi­stico», annun­ciano gli indi­pen­den­ti­sti di ProgReS-Progetu repu­blica sarda, il movi­mento che alle ultime regio­nali, quelle del 16 feb­braio scorso, ha soste­nuto la can­di­da­tura a pre­si­dente della scrit­trice Michela Mur­gia. «Saremo pre­senti per difen­dere il nostro ter­ri­to­rio dagli abusi scon­si­de­rati di chi crede di poter disporre a pro­prio pia­ci­mento delle nostre risorse, per­ché cre­diamo in un modello alter­na­tivo a quello delle ser­vitù, che finora si è rive­lato fal­li­men­tare, con rica­dute nega­tive sia sotto il pro­filo eco­no­mico e sia sotto quello culturale».
    Pro­gReS sarà anche alla mani­fe­sta­zione del 13 set­tem­bre. «A Capo Fra­sca met­te­remo il primo passo di una grande mobi­li­ta­zione popo­lare che nes­suno potrà più igno­rare o far finta di non vedere», avverte Pro­gReS.
    Capo Fra­sca è un poli­gono di tiro sulla costa occi­den­tale della Sar­de­gna, uti­liz­zato dalle aero­nau­ti­che e dalle marine ita­liana, tede­sca e Nato per eser­ci­ta­zioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra. Ci sono situati impianti radar, eli­porto e basi di sus­si­stenza. Occupa una super­fi­cie a terra di 14 Kmq e impe­gna un’ampia «area di sicu­rezza» a mare inter­detta alla navi­ga­zione. Le rica­dute sul ter­ri­to­rio com­pren­dono il divieto di eser­ci­tare la pesca e la pre­senza di ordi­gni ine­splosi in mare e in terra.

    Un’altra gior­nata di pro­te­sta è orga­niz­zata dalla rete Pesa­Sar­di­gna, alla quale ade­ri­scono asso­cia­zioni, par­titi e comi­tati che il 24 ago­sto scorso si sono riu­niti a Cagliari nella sede della Caro­vana sarda della pace per invi­tare alla mobi­li­ta­zione in occa­sione della prima udienza del pro­cesso per disa­stro ambien­tale a carico dei coman­danti dell’aeronautica mili­tare che si sono alter­nati alla guida del poli­gono inter­forze del Salto di Quirra: un pre­si­dio è pre­vi­sto davanti al tri­bu­nale di Lanu­sei mar­tedì 23 set­tem­bre, giorno in cui comin­cia il pro­cesso.

    La base di Quirra è la più grande d’Europa. E’ divisa in due sot­to­si­stemi: un poli­gono a terra, con sede a Per­da­sde­fogu, dove si trova il comando, e un poli­gono a mare, con sede a Capo San Lorenzo. Il primo occupa una super­fi­cie di 12.000 ettari per tutta la zona del Salto di Quirra che, dai con­fini sud orien­tali del comune di Per­da­sde­fogu arriva sino ai mar­gini della baia di Capo San Lorenzo. Il secondo, invece, occupa una super­fi­cie di 2.000 ettari e si estende per cin­quanta chi­lo­me­tri lungo il tratto sud orien­tale della costa sarda com­preso fra Capo Bel­la­vi­sta e Capo San Lorenzo.

    «Chia­miamo i sardi a dichia­rarsi con­trari all’utilizzo della Sar­de­gna per scopi mili­tari e industriali-bellici, estra­nei agli inte­ressi del popolo sardo», è l’appello lan­ciato da rete Pesa­Sar­di­gna. «Chie­de­remo, attra­verso un incon­tro con il pre­si­dente del con­si­glio regio­nale della Sar­de­gna, che tutti i con­si­glieri si costi­tui­scano parte civile al pro­cesso di Lanu­sei, per por­tare anche davanti ai giu­dici la posi­zione di asso­luta con­tra­rietà dei sardi alla pre­senza dei poli­goni militari»

    Costantino Cossu
    In sardegna la guerra è un disastro
    Il Manifesto, 6 settembre 2014

  2. Non potendomi permettere un’analisi tecnica nel nostro Ennio Angiolieri rispetto alle correnti dominanti, “come” fu il suo antenato Cecco rispetto ai vari Alighieri, prendo spunto dal nuovo slogan, pardon pardon volevo dire titolo di questa poesia di Abate, per “riprendere” uno dei fili precedenti (e su questi fili e non solo rinnovo in anticipo umile perdono agli avi, nonna in primis, del poeta Ottaviani)…

    in apertura e chiusura di questo mio intervento, la domanda può essere identica:
    lo slogan precedente “israele peggio dei nazisti”, sarebbe andato ” meglio” nelle nostre (non)conversazioni se quel peggio fosse stato semplicemente “come” i nazisti? parimenti ai nazisti? alla pari dei nazisti? o senza i nazisti, con un come riferito ai mille e più assassini o criminali di Stato?

    In fin dei conti, per “come” sono andate (cioè per come non sono andate) le cose fra le diverse posizioni degli intervenuti nelle pagine precedenti, chi voleva sostenere che la Storia ha dato già il suo punto massimo di “peggio”, anche se voleva sostenerlo tirando in ballo argomentazioni solide e fondate su altre questioni dialettiche/retoriche, ha ottenuto il suo arroccamento e tutti gli altri profughi..clandestini della Storia, come uno scudetto di altre serie minori, o in fuori gioco, o espulsi per non rimanere in tema…

    A questo punto mancano varie anime e oggetti, fra le quali sicuramente un “transit” che fermamente e/o timidamente si è fatto vivo qui e là con la sua gloria poetica e fra gli oggetti del nostro contemporaneo Angiolieri, non mancano le gemelle del peggio delle rovine, ovvero le macerie.

    Il servizio di Elena d’Orsi potremmo nominarlo, come un Leone a Venezia, “Sacro Pal” tanto come, per compiere un’altra sigizia o coppia o gemellaggio, per queste di Elena mancano invece tutte le foto cancellate di The Indipendent. Quattordici cartelle da un mega ognuna, salvate su un pc di un mio amico, col quale ci chiedevamo proprio ieri, come la nota lobby avesse colpito nella ennesima azione a margine (protettivo?) su tutti i servizi occidentali, vuoi a titolo preventivo (vedi tutti i nostri nuovi eserciti mercenari della società mediatica tradizionale o dei “nuovi” media), vuoi a titolo successivo.

    In pratica, “come” esiste il negazionismo, non poteva mancare, sempre per le leggi della sigizia, ciò che ho definito con un mio “slogan” il negasionismo….e chi si è fermato alla storia del passato per individuare il peggio di questa o quella azione criminale, non ha molto compreso che ciò che accade è già accaduto in mille e infinite forme, e che ciò che è accaduto se portato all’assoluto del male si ripeterà in un suo peggio in mille e infinite forme, in palestina e ovunque nella geografia e nella storia.

    Ovviamente noi tutti qui siamo mezzi mediterranei e mezzi mittel europei , dunque dovremmo almeno in teoria, se non in pratica (visto che alcuni di questo blog vorrebbero invitare altri a rimanere in tema con argomentazioni mega-logico-intellettuali), ecco dovremmo essere curiosi di tutto per sapere sempre “meglio” come i potenti hanno gettato il mondo nel caos, per poterne ordinare lo schema nella continuità militare-economica- energetica del nostro spazio più vicino (fino anche agli pseudo corridoi umanitari, comprese le migliaia di cadaveri “marini”, tali che né un cristiano né un ateo, né un musulmano né un ebreo, che si dicano tali possano più andarsi a fare un bagno con i morti in una amena vacanza in sicilia o a malta, in tunisia o a pantelleria).

    Ma dall’ucraina alla siria, dal libano alla libia, alcuni rivendicano che si è usciti fuori tema, altri cercano di barcamenarsi, e altri ancora stanno in silenzio e chi rimane col cerino in mano, sia esso un razzetto o un profugo in una bagnarola, è il solito Cecco sloganatore.

    A volte, questo nostro poeta, laddove stizzito segnalava ai lettori (poeti come lui o più semplicemente suoi “simili”) che nessuno di loro era intervenuto con suoi pensieri o segnalazioni su questa o quella pagina o post o tema, ho pensato che non ne aveva il diritto e che doveva solo regalare, senza alcun cenno o nulla in cambio da parte di tutti gli altri che semplicemente lo leggono o che addirittura si dicono a lui amici, o grati, o riconoscenti. Tuttavia in questo caso non la penso così, perché non è il nostro Ennio Angiolieri ad essere in qestione: questo Cecco (che non è il papa Ceccone con i suoi discorsetti da bacio perugina) , questo Angiolieri, la sua voce o il suo corpo o i suoi scritti, semplicmente incarna un profugo millenario, ebreo errante compreso, di un “immigratorio globale” fra cui Gaza e tutto il vicino mediterraneo è il nostro punto geografico-storico più vicino dallle premesse della prima guerra mondiale al condominio militare globale di oggi. S’io fossi profugo, non è così condizionale.

    Siamo macerie con i ricordi delle nostre rovine. Chi nel peggio di queste(gaza), chi nel meglio. Fra questi secondi noi, che abbiamo ancora un acquedotto che ci dà da bere, fra i primi loro che non hanno nemmeno più lacrime per dissetarsi.

  3. SEGNALAZIONE: NOAM CHOMSKY, QUEI CESSATE IL FUOCO INCESSANTEMENTE VIOLATI. COME ANDRÀ A FINIRE PER ISRAELE, HAMAS E GAZA?

    E tuttavia si tratta solo dell’ultimo di una serie di cessate il fuoco raggiunti in seguito alle eriodiche escalation nell’incessante aggressione israeliana a Gaza. I termini di accordi come questo restano sempre, essenzialmente, i medesimi. In un secondo momento, lo schema di comportamento seguito di norma da Israele è quello d’ignorare qualsiasi accordo in vigore, mentre Hamas lo rispetta — come del resto Israele ha ufficialmente riconosciuto — fino al momento in cui un’impennata nella violenza da parte di Israele finisce per stimolare una risposta da parte di Hamas, seguita da un ulteriore crescendo di brutalità. Escalation come queste — che in poche parole equivalgono a sparare ai pesci in un barile — nel gergo israeliano vengono normalmente definite “tosatura del prato”. A dire il vero la più recente è stata meglio descritta da un alto ufficiale dell’esercito statunitense — disgustato dalle pratiche adottate dal sedicente “esercito più morale del mondo” — come “rimozione del soprassuolo”.
    […]
    Operazione Margine Protettivo

    Le cose sono andate avanti più o meno così fino all’aprile del 2014, quando è successo qualcosa d’importante. Le due principali formazioni politiche palestinesi — Hamas, con la sua base politica a Gaza, e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania, dominata da Fatah — hanno firmato un’accordo unitario. Hamas ha fatto concessioni importanti. Il governo d’unità non avrebbe ospitato nessuno dei suoi membri o alleati. In sostanza, come osserva Nathan Thrall, Hamas ha affidato il governo di Gaza all’AP. Migliaia di uomini delle forze di sicurezza dell’AP vi sono stati inviati, e l’AP ha disposto le proprie guardie lungo i confini e alle frontiere, senza alcuna posizione di reciprocità per Hamas nell’apparato di sicurezza della Cisgiordania. Infine, il governo di unità ha accettato le tre condizioni a lungo richieste da Washington e dall’Unione Europea: la non-violenza, il rispetto degli accordi passati, e il riconoscimento di Israele.

    Questo ha scatenato la furia d’Israele. Il suo governo ha dichiarato d’un tratto che avrebbe rifiutato ogni accordo col governo d’unità, cancellando i negoziati. Una furia accresciuta quando gli Stati Uniti, insieme alla maggior parte del resto del mondo, hanno manifestato il loro sostegno al governo d’unità.

    Ci sono delle buone ragioni per cui Israele si oppone all’unificazione dei palestinesi. Innanzitutto il conflitto Hamas-Fatah ha fornito un utile pretesto per rifiutare d’impegnarsi in negoziati seri. Del resto come si può trattare con un’entità divisa? E, cosa ancor più significativa, per più di vent’anni Israele si è impegnato a separare Gaza dalla Cisgiordania, in violazione degli Accordi di Oslo siglati nel 1993, che dichiarano Gaza e la Cisgiordania un’unità territoriale inseparabile.

    Uno sguardo alla mappa ne spiega bene il movente. Separata da Gaza, qualsiasi enclave cisgiordana lasciata ai palestinesi non avrà accesso al mondo esterno. Si ritrovano schiacciati fra due potenze ostili, Israele e la Giordania, entrambi stretti alleati degli USA — e per sfatare qualsiasi illusione in proposito, gli Stati Uniti sono molto lontani dall’essere un “mediatore onesto” e neutrale.

    Inoltre Israele sta sistematicamente prendendo possesso della Valle del Giordano, scacciando i palestinesi, stabilendo insediamenti, costruendo pozzi, insomma facendo tutto il necessario per assicurarsi che la regione — circa un terzo della Cisgiordania, con gran parte delle sue terre coltivabili — finisca per essere assorbita da Israele insieme alle altre regioni di cui il Paese si sta impossessando. Ecco perché i rimanenti cantoni palestinesi finiranno completamente imprigionati. La loro unificazione con Gaza interferirebbe con questi piani, che risalgono agli albori dell’occupazione, e hanno stabilmente goduto dell’appoggio delle principali formazioni politiche, incluse figure solitamente raffigurate come “colombe” del calibro dell’ex presidente Shimon Peres, uno degli architetti degli insediamenti nel profondo della Cisgiordania
    […]
    Alcuni commentatori israeliani ben informati, e in particolare l’editorialista Danny Rubinstein, ritengono che Israele si stia preparando a invertire la rotta, allentando la sua presa su Gaza.

    Vedremo.

    L’esperienza degli ultimi anni sembra prospettarci esiti diversi, e i primissimi segnali non sono certo di buon auspicio. Con la fine dell’Operazione Margine Protettivo, Israele ha annunciato la più vasta appropriazione di terra in Cisgiordania da trent’anni a questa parte, quasi mille acri. La radio israeliana sostiene che l’occupazione è in risposta all’omicidio dei tre adolescenti ebrei da parte di “miliziani di Hamas”. Come rappresaglia per l’omicidio, un ragazzino palestinese è stato bruciato vivo, ma nessun terreno israeliano è stato consegnato ai palestinesi, né alcuna reazione c’è stata quando un soldato israeliano ha ucciso Khalil Anati, dieci anni, lungo una silenziosa stradina del campo per rifugiati vicino Hebron, il 10 agosto — cioè mentre l’esercito più morale del mondo stava facendo a pezzi Gaza — per poi andarsene via a bordo della propria jeep mentre il bambino moriva dissanguato.

    Anati era uno dei ventitré palestinesi (inclusi tre bambini) uccisi dalle forze d’occupazione israeliane in Cisgiordania mentre l’offensiva di Gaza era in corso — stando alle statistiche compilate dall’ONU — insieme a più di duemila feriti, il 38 per cento dei quali da colpi di arma da fuoco. “Nessuno di coloro che sono rimasti uccisi stava mettendo a rischio le vite dei soldati”, ha scritto il giornalista israeliano Gideon Levy. Non c’è stata alcuna reazione di fronte a nessuna [di queste morti], così come non ce ne sono state quando Israele ha ucciso, in media, più di due bambini palestinesi ogni settimana nel corso degli ultimi quattordici anni. Nonpersone, per l’appunto.

    Ormai da ogni parte si tende a sostenere che, se l’accordo per i due stati è ormai morto in seguito all’occupazione delle terre palestinesi, l’esito finale sarà quello di uno Stato a ovest del Giordano. Fra i palestinesi c’è chi accoglie questa possibilità, in vista di una campagna per i diritti civili sul modello di quella contro l’apartheid in Sud Africa. Molti opinionisti israeliani avvisano che il rischio di un “problema demografico” — rappresentato dal superiore numero di nascite fra gli arabi rispetto agli ebrei, e dalla diminuzione dell’immigrazione degli ebrei — finirà per minare alle fondamenta la loro speranza in uno “stato ebraico democratico”.

    Ma questa diffusa convinzione è quanto meno dubbia.

    L’alternativa realistica all’accordo per due stati è che Israele continui a portare avanti i piani che ha seguito per anni, appropriandosi di ciò che è di valore in Cisgiordania, evitando concentrazioni di popolazione palestinese, e rimuovendo i palestinesi dalle aree che integra in Israele. E questo dovrebbe impedire il realizzarsi del temuto “problema demografico”.
    […]
    Al pari degli altri stati, Israele usa la “sicurezza” come giustificazione per le proprie azioni violente e aggressive. Ma gli israeliani informati sanno bene come stanno veramente le cose. La loro comprensione della realtà è stata espressa chiaramente nel 1972 dall’allora Comandante dell’Aeronautica (in seguito presidente) Ezer Weizmann. Fu lui a spiegare che non ci sarebbe alcun problema di sicurezza, se Israele accettasse la richiesta internazionale di ritirarsi dai territori conquistati nel 1967, ma in quel caso il paese non sarebbe più in grado di “esistere con quelle proporzioni, con quello spirito e con quelle qualità che adesso incarna”.

    Per un secolo la colonizzazione sionista della Palestina è andata avanti innanzitutto in base al principio pragmatico di un’azione silenziosa sul campo, che poi il mondo deve abituarsi ad accettare. Una politica di grande successo. Non c’è motivo di aspettarsi che non prosegua fin quando gli Stati Uniti continueranno ad offrire il loro necessario sostegno militare, economico, diplomatico ed ideologico. Per quelli che si preoccupano per i diritti della brutalizzata popolazione palestinese, non può esserci altra priorità che lavorare per cambiare la politica degli Stati uniti, cosa certo non impossibile.

    L’articolo si legge per intero qui: http://www.huffingtonpost.it/noam-chomsky/cessate-il-fuoco-violati-come-finira-per-israele-hamas-gaza_b_5810312.html?utm_hp_ref=italy

  4. …a volte non riusciamo a ruotare di tre gradi il nostro pensiero, arroccati a certezze, sostenuti dalla logica, da precise argomentazioni… e poi, ecco, la vita, il destino o, più spesso, altri uomini, ci impongono i trecentossessanta gradi, come fossimo solo delle trottole su perni instabili, e quando riapriamo gli occhi il cosmo “ordinato” é sparito. Restano le macerie. Chi può vederle, come nelle foto mostrate, rivendica il suo esserci,
    …ma “é il mio cuore il paese più straziato”…

    1. Non so, Annamaria cara, quanto e come vivermi ” i gradi” del tuo pensiero/ intervento riferibili anche al mio di ieri. Non voglio e non potrei darmi tutta questa controcertezza e importanza… so solo che vivo le cose della storia più lontana, sia nel tempo sia rispetto alla mia personale, fino a quella mediamente recente o più vicina, come la mia più ampia storia; al di là che io sia o non sia stata in un lager passato o contemporaneo, al di là che io sia stata sterminata in un modo o in un altro, cacciata da questa o quest’altra terra o sotto il mare, io sento di essere fatta di tutte queste rovine e macerie. Ritengo che la libertà esterna / sociale / statale / economica non esista , e che sia stata una truffa storica da almeno due secoli, perché l’unica, forse, possibile, è quella interiore, quella stessa che mi fa gioire per un fiore o la musica, l’arte o l’amore e che identica determina l’ascolto di quello “strazio” con cui concludi. Non perché sia importante il proprio sentire rispetto all’infinito crollo della storia sulla testa o il costato di una percentuale quasi vicina al 100 per cento, ma in questo caso perché non vi è bisogno, al nostro sconfinato ego, per quello “strazio”, di aver vissuto tutti i muri e tutte le macerie del mondo. Basta la tua storia, basta il tuo crollo, per vivere addosso al tuo petto, le storie di tutti gli altri. E ancor più dovrebbe bastare sia che il tuo crollo sia meglio, sia a maggior ragione che sia peggio, qualunque sia il riferimento del primo o del secondo.

      Non credo sia questione di cultura in senso lato, non credo sia questione intellettuale. Basta semplicemente la visione e l’ascolto in una mobilità urbana o aerea, extraurbana o ferroviaria, di aspecifica meta-psicomotricità della vita, chiamata trasporto . Abban-doni la tua pelle e a volte il tuo tempo, avanti e indietro, per entrare in quella di un altro e di un altro ancora tastando i muri, o quel che ne rimane in una rovina.

      Mi spiace non avere il talento e l’arte di un Transit o di un Leopoldo Attolico ( vedi la sua del post successivo) per dirti, cara Annamaria, in un modo o in un come, che tanto gusto nell’altro proprio, perché a me presente nel ricevere e quasi del tutto assente nel sapermi esprimere. Se puoi immagina ciò che ti ho voluto dire nei loro registri e nella loro arte.
      un caro saluto

  5. …Cara Ro, ti sbagli, ti sai esprimere e come…penso di averti capito fino in fondo, anche se non ho le parole per fartelo capire: a mia volta penso di non sapermi esprimere. A volte un modo così concentrato, intenso e, lasciamelo dire tu che lo neghi, poetico di esprimersi come il tuo può disorientare, ma ho imparato, ed é un po’ che ti conosco, ad andare al nucleo di quanto dici…e sempre mi sorprende per quel nostro incrociarsi di sguardi non facile oggi, di cui parlasti in un intervento precedente. Siamo tutti talmente profughi, e questo crea la nostra, e non solo, empatia…Un caro saluto
    Annamaria

    1. Annamaria cara, anch’io all’inizio leggendoti rimanevo disorientata. Non afferravo il tuo stile così equilibrato rispetto al mio, ma soprattutto rispetto alla tua concreta e autentica compenetrazione nei poveri cristi o diavoli che siamo sempre stati. Quando, però, poi, lo specchio, sempre più limpido di te, rimandava queste fughe , tanto come adesso il contrappunto che hai scritto, è emerso tutto il sacro contenuto nel suono profugo che ti portavi addosso come lo strazio del nostro amico Giuseppe. Non ci sono parole per dirti grazie, grazie di aver messo così a fiore e a frutto i paesaggi dello strazio dei nostri cuori. Grazie per l’ascolto che mi hai dato che non credo sia potuto avvenire solo per la mia musica ed è proprio per questo che ti dico grazie. Il tuo orecchio è speciale, dotato di ascolto di vasto repertorio del tocco dell’essere.

      un caro saluto ancora…

  6. …ancora più disorientata dai tuoi complimenti, di dico grazie, grazie, ma é troppo…con tutto la mia ammirazione
    Annamaria

  7. Oscu­rata dalle noti­zie sulla Inven­ci­ble Armada che si sta costruendo con­tro lo Stato Isla­mico, Gaza è spa­rita dalle cro­na­che e le deva­stanti con­se­guenze nella Stri­scia dei bom­bar­da­menti israe­liani sono trat­tate come un disa­stro natu­rale al quale si vuole dare una rispo­sta solo in ter­mini uma­ni­tari. Eppure si respira ancora il clima pesante di un nuovo con­flitto alle porte – ieri il gene­rale della riserva Yaa­cov Ami­dror spie­gava le pros­sime mosse con­tro Hamas sul sito del Cen­tro stra­te­gico BESA -, non solo a sud, anche al con­fine con il Libano. Dome­nica un ano­nimo alto uffi­ciale israe­liano, durante un tour per gior­na­li­sti nei pressi delle linee con il Paese dei Cedri, ha lun­ga­mente descritto la “peri­co­lo­sità” di Hez­bol­lah e le minacce da eli­mi­nare. Le sue parole sono state fin troppo chiare e i media locali e inter­na­zio­nali non hanno man­cato di ripor­tarle con evi­denza. E quando le guerre sono vicine non si tol­le­rano opi­nioni diverse, soprat­tutto se espresse all’interno del Paese. Lo sanno bene i 43 riser­vi­sti dell’unità di intel­li­gence 8200 che sono stati som­mersi da attac­chi giunti da ogni dire­zione per aver dichia­rato in una let­tera di non volere più “ope­rare” con­tro la popo­la­zione pale­sti­nese. E lo indica la lista di pro­scri­zione sti­lata dall’“Iniziativa Amcha”, un’associazione sta­tu­ni­tense di soste­gno a Israele, che fa nomi e cognomi di oltre 200 docenti di uni­ver­sità ame­ri­cane che gli stu­denti sono chia­mati a boi­cot­tare ed evi­tare per­chè espri­mono posi­zioni “con­tra­rie allo Stato ebraico”.

    «Hez­bol­lah ci pensa da anni», ha detto ai gior­na­li­sti l’alto uffi­ciale del comando set­ten­trio­nale delle forze armate israe­liane, avver­tendo che la pros­sima guerra in Libano com­pren­derà attac­chi tran­sfron­ta­lieri e lanci di razzi con­tro Israele. A suo dire Hez­bol­lah ten­terà di con­durre un’incursione di terra allo scopo di pren­dere il con­trollo di alcuni cen­tri abi­tati vicini al con­fine, forse Rosh Hani­kra, anche se solo per un tempo limi­tato. I com­bat­tenti di Hez­bol­lah potreb­bero pro­vare ad entrare anche via mare, ha aggiunto. L’ufficiale israe­liano ha fatto rife­ri­mento a tun­nel sot­ter­ra­nei che il movi­mento sciita potrebbe avere sca­vato lungo il con­fine, simili a quelli usati da Hamas a Gaza, anche se poi ha ammesso che ad oggi l’esercito non ha tro­vato alcuna gal­le­ria. «Non sarebbe dif­fi­cile per (Hez­bol­lah) effet­tuare un attacco nel nord. Non ha biso­gno di sca­vare tun­nel per rag­giun­gere Misgav Am (un kib­butz al con­fine con il Libano, ndr)…E’un gruppo che ha un totale di 30.000 uomini. Per noi non sarebbe una bat­ta­glia con­tro una divi­sione dell’esercito siriano, piut­to­sto ci tro­ve­remo di fronte solo a un paio di cen­ti­naia di com­bat­tenti che effet­tuano incur­sioni», ha poi aggiunto per ridi­men­sio­nare le poten­zia­lità di Hezbollah.

    Poi l’ufficiale è arri­vato al punto cru­ciale: l’attacco pre­ven­tivo per distrug­gere le armi del nemico e impe­dir­gli di por­tare a ter­mine i suoi pre­sunti piani di inva­sione. «Se deci­de­remo di effet­tuare un attacco pre­ven­tivo e cat­tu­rare ter­ri­tori nel sud del Libano – ha avver­tito — Hez­bol­lah pro­ba­bil­mente non riu­scirà nel suo intento. Se gli ordini saranno di non attra­ver­sare la linea blu (il con­fine Israele-Libano, ndr) Hez­bol­lah potrebbe essere in grado di infil­trarsi in ter­ri­to­rio israe­liano». La guerra, ha voluto far capire, è solo que­stione di tempo ma si farà, per distrug­gere le armi in pos­sesso del movi­mento sciita con­tro il quale Israele ha già com­bat­tuto una guerra otto anni fa, con esiti disa­strosi per il Libano e i suoi cit­ta­dini (oltre 1200 morti) dopo la cat­tura da parte di Hez­bol­lah di alcuni sol­dati dello Stato ebraico durante una azione lungo il confine.

    La distru­zione dei razzi è la prio­rità dichia­rata dai comandi israe­liani. Hez­bol­lah, dicono, avrebbe aggiunto al suo “arse­nale” il Bur­kan (Vul­cano) a corto rag­gio (7 km) con una testata, anche di una ton­nel­lata, che potrebbe rap­pre­sen­tare una seria minac­cia per le posta­zioni dell’esercito nel nord di Israele e costrin­gere alla fuga le popo­la­zioni dei cen­tri abi­tati nei pressi del del con­fine. All’ombra della guerra di Barack Obama con­tro lo Stato Isla­mico (e non solo), si pre­para la guerra “pre­ven­tiva” di Israele con­tro Hezbollah.

    Michele Giorgio
    Dopo Gaza il Libano
    Il Manifesto, 15 settembre 2014

  8. Quando nel 2008 venne con­fer­mata la noti­zia che Mah­mud Dar­wish era morto a Hou­ston rima­nendo sotto i ferri nel corso di una ope­ra­zione a cuore aperto, lo scal­pore per la scom­parsa di un poeta che allora aveva poco più di ses­san­ta­sei anni (era nato infatti al al-Birwa nel 1942) fu tutt’uno con il venir meno, nel senso comune, di una figura che da tempo veniva asso­ciata alla tra­ge­dia del popolo pale­sti­nese e prima ancora a una moda­lità di canto fron­tale, magna­nimo e pie­na­mente dispie­gato, che lo asso­mi­gliava volen­tieri a Neruda o a Gar­cìa Lorca, dun­que a un autore per cui dire «io», modu­lare la voce secondo un’attitudine lirica, poteva equi­va­lere al «noi» e all’epica di una col­let­ti­vità ferita e umiliata.

    Anche in Ita­lia, nono­stante venisse rece­pito in sedi nor­mal­mente peri­fe­ri­che (per esem­pio nella sil­loge La mia ferita è lam­pada ad olio, De Ange­lis 2006, o nel col­let­tivo In un mondo senza cielo: anto­lo­gia della poe­sia pale­sti­nese, Giunti 2007, entrambe curate da una stu­diosa bene­me­rita quale Fran­ce­sca Maria Cor­rao), la scheda di Dar­wish poteva dirsi acqui­sita e si sapeva infatti che egli era uno dei mag­giori poeti di lin­gua araba, che era vis­suto a lungo in Israele (nei ter­mini di un sans papiers, subendo a lungo car­cere e arre­sti domi­ci­liari), che era stato mem­bro dell’esecutivo dell’Olp e nel ’67, dopo la Guerra dei sei giorni, un espo­nente della «let­te­ra­tura di giu­gno», non­ché, suc­ces­si­va­mente ai mas­sa­cri in Libano del 1982, un esule in Fran­cia e in Tuni­sia. Era anche noto, da una pub­bli­ci­stica che rife­riva delle sue pre­cise e a volte discusse posi­zioni sulla occu­pa­zione dei ter­ri­tori pale­sti­nesi da parte di Israele dopo gli accordi di Oslo, che Dar­wish, pur essendo dive­nuta una star inter­na­zio­nale, era tor­nato a risie­dere tra Amman e Ramal­lah. Ma se pochi erano stati neces­sa­ria­mente i let­tori dei suoi versi, non molti di più pos­sono tut­tora anno­ve­rarsi da noi i let­tori della sua pro­du­zione memo­ria­li­stica e pub­bli­ci­stica che di quei versi mede­simi costi­tui­sce il sostrato ovvero il palin­se­sto itinerante.

    Per que­sto è un’ottima noti­zia, anzi una azione edi­to­rial­mente esem­plare, l’uscita di Una tri­lo­gia pale­sti­nese(pre­fa­zione e cura di Eli­sa­betta Bar­tuli, tra­du­zioni di Eli­sa­betta Bar­tuli e Ramona Ciu­cani, Fel­tri­nelli «Comete») che di Mah­mud Dar­wish rac­co­glie le mag­giori prose di inter­vento e rifles­sione. Non si tratta pro­pria­mente di scritti poli­tici, se non pen­sati per via figu­rata o indi­retta, e nem­meno si tratta di sem­plici digres­sioni di poe­tica, ma piut­to­sto di un per­so­nale zibal­done che, muo­ven­dosi nello spa­zio e nel tempo (vale a dire den­tro una vicenda segnata prima dalla subal­ter­nità reietta poi da una esclu­sione pre­sto dive­nuta aperta per­se­cu­zione), foca­lizza sia la mozione sia i tra­miti e la desti­na­zione del suo pen­siero poe­tico. Il volume si com­pone di tre testi in prosa uni­ta­mente a una par­ti­tura in versi, Il gio­ca­tore d’azzardo, che ne rap­pre­senta sia un suc­cesso a livello inter­na­zio­nale (per­ché Dar­wish da ultimo leg­geva negli stadi, essendo ormai inca­pienti i tea­tri per la sua rice­zione dal vivo) sia un vero e pro­prio testa­mento scritto nei modi di un poema auto­bio­gra­fico che ne ritrac­cia il per­corso e, insieme, ne sug­gella la voce incon­fon­di­bile, quella di un bardo suo mal­grado o, meglio, di un poeta dai sen­ti­menti lievi e strug­genti ma costretto dalla cala­mità dei tempi a essere un poeta epico.

    Acco­muna i testi in prosa la trac­cia auto­bio­gra­fica, ora in evi­denza ora invece stra­niata e tra­dotta o rivis­suta in figure alle­go­ri­che. Il Dia­rio di ordi­na­ria tri­stezza (1973), scritto da un Dar­wish appena tren­tenne, è il dia­gramma di un ter­ri­bile appren­di­stato, il cur­ri­culo di un figlio della Nakba (la disfatta pale­sti­nese che nel ’48 coin­cide con la nascita dello Stato di Israele), l’apprendistato di un paria e nello stesso tempo di un esule nella sua stessa terra, il ver­bale di un ragazzo senza patria né destino, di un uomo depri­vato per­sino del sen­ti­mento della nostal­gia, il quale scrive con grande lim­pi­dezza: «La patria non è sol­tanto terra, ma terra e diritto insieme. Tu hai il diritto, loro hanno la terra. Dopo essersi impa­dro­niti della terra con la forza, hanno comin­ciato a par­lare di diritto acqui­sito. Il loro ‘diritto’ era sto­ria e ricordi ed è diven­tato terra e forza. E tu, senza forza, hai perso la sto­ria, la terra e il diritto».

    Sono que­ste le parole di un poeta ancora dichia­ra­ta­mente engagé ma che si appella tut­ta­via alle ragioni dell’universalismo illu­mi­ni­sta, agli ideali della libertà indi­vi­duale e della egua­glianza sociale, temendo, o igno­rando deli­be­ra­ta­mente, i con­trac­colpi e i con­ten­ziosi d’ordine etnico e reli­gioso (vale a dire arabi con­tro ebrei, il Corano con­tro la Torah) che oggi scher­mano la natura del con­flitto e spesso lo tra­vi­sano in una meta­fi­sica iden­ti­ta­ria.
    Accu­sato da più parti di avere rece­duto o abiu­rato dalla sua pra­tica di mili­tante, il poeta che scrive Memo­ria per l’oblio (1987), la seconda tran­che accolta nel volume di Fel­tri­nelli, è colui che non solo in astratto ma per neces­sità, aven­done pagato il prezzo in prima per­sona e scri­vendo dell’invasione e delle stragi a Bei­rut del 1982, da un lato man­tiene salda la con­vin­zione che quella israe­liana sia una poli­tica bel­li­ci­sta e colo­nia­li­sta (con evi­denti vena­ture raz­zi­ste, anti­a­rabe e isla­mo­fobe), ma dall’altro distin­gue net­ta­mente, senza mai con­fon­derle, le nozioni di «ebrai­smo», «sio­ni­smo», «stato di Israele» e «governo di Israele» (pro­prio quando pochi ram­men­tano che da ormai quarant’anni, con brevi inter­valli, a Tel Aviv è ege­mone una destra soste­nuta da ideo­lo­gie etno­cen­tri­che e fana­ti­smo reli­gioso). Dar­wish peral­tro sa benis­simo che sono stolti e som­ma­mente peri­co­losi coloro che gabel­lano per anti­sio­ni­smo un sot­ta­ciuto e sostan­ziale anti­se­mi­ti­smo ma sa altret­tanto che non lo sono meno, stolti e peri­co­losi, coloro che gri­dano all’antisemitismo ogni volta che sono avver­sate le scelte rovi­nose dei governi di Israele che da decenni man­ten­gono il popolo pale­sti­nese in regime di cat­ti­vità e di per­pe­tua rap­pre­sa­glia militare.

    L’ultima sta­gione del poeta, anti­pode rispetto alla vio­lenza tel­lu­rica ma anche al vir­tuale otti­mi­smo del suo esor­dio mili­tante, è carat­te­riz­zata dalla intro­ie­zione e dalla com­piuta meta­bo­liz­za­zione della figura dell’Altro, che è sì l’occupante, il nemico, ma non più sol­tanto il nemico se non nella misura in cui quest’ultimo rigetta il fatto di essere un uomo senza pos­si­bili agget­tivi men­tre accetta vice­versa il ruolo della pedina in armi, della sme­mo­rata figura di per­se­cu­tore, della acce­cata com­parsa e di com­plice nella disu­ma­niz­za­zione delle vit­time desi­gnate. In pre­senza d’assenza (2006), cento pagine incan­de­scenti a sfida della tra­du­zione di Ramona Ciu­cani che ne inse­gue il passo pre­ci­pite e gli snodi repen­tini, sono di poesia-pensiero allo stato puro, lad­dove il pen­sare e poe­tare si danno come un testa­mento in cui con­fig­gono e si sco­prono reci­pro­ca­mente neces­sari «ebrai­smo» e «pale­sti­nità», memo­ria della antica per­se­cu­zione e denun­cia di un’altra e incom­bente per­se­cu­zione spesso agita come un riflesso condizionato.

    Qui il pen­siero della poe­sia fa tesoro, senza nulla con­fon­dere in ter­mini di sto­ria geo­gra­fia, di una comune huma­ni­tas e del fatto che avere subìto vio­lenza e ves­sa­zione non immu­nizza, di per sé, l’ex vit­tima dal pro­di­garla altrui con cecità e cini­smo. Alla fine, per Mah­mud Dar­wish, il «tu» non è tanto l’istituzione più con­ve­nuta della poe­sia ma il pro­nome fatale di un rico­no­sci­mento com­pre­sente, e si direbbe con­su­stan­ziale, di Sé e dell’Altro. Costoro, entrambi, non pos­sono scam­pare alla con­di­zione di mutuo rico­no­sci­mento, di accet­ta­zione della pro­pria spe­ci­fi­cità e per­ciò dal com­puto spie­tato degli errori e delle colpe rispet­tive. Tale com­puto, fra israe­liani e pale­sti­nesi, non è affatto a somma zero (pur­troppo lo sap­piamo), ma un pas­sag­gio del poema ter­mi­nale di Dar­wish, Il gio­ca­tore d’azzardo, indica comun­que una inspe­rata dire­zione: «O amore, cosa sei? Quanti tu sei / o non sei? O amore. Sca­tena su di noi / tem­pe­ste di suoni affin­ché diven­tiamo / quell’incarnazione cele­ste che ami per noi, / river­sati in un con­dotto che tra­bocca da ambo i lati, / poi­ché tu – evi­dente o latente – non hai forma / e noi ti amiamo quando amiamo per caso. / Tu sei la for­tuna degli infelici».
    Massimo Raffaeli
    Zibaldone Palestinese
    Alias,21 settembre 2014

  9. …cara Ro, mi sembra notevole che i due ultimi poeti da te segnalati: Mahmud Darwish, di cultura araba, e Lars Gustafsson, di cultura ebraica, indichino la stessa insperata direzione a chi é solo, disperato e perseguitato…il primo suggerisce di immettersi in quella corrente ascensionale di amore( “quanti tu sei?) che “scatena su di noi /tempeste di suoni…/riversati in un condotto che trabocca da ambo i lati…amiamo per caso/tu sei la fortuna degli infelici…
    Il secondo poeta ci suggerisce uno “strano esperimento”: più persone dovranno porsi a distanza sulle rive di un lago perfettamente calmo e gridare”qui” a più voci distinte , sinchè non diventeranno una voce sola…il suono, in questo caso, diventa una vibrazione tutta interiore che trapassa la campana di metallo e spezza il ghiaccio…

  10. Sì Sì Sì !, Annamaria cara…come al solito nel tuo pieno ascolto di ogni voce, hai sentito la polifonia delle due diverse traiettorie portate dal vento, senza il quale il suono non poteva raggiungere a più voci, un solo bersaglio: la tua, la mia o altrui conchiglia laddove non venga ridotta, da una partigianeria integralista, a semplice e tecnico apparato uditivo senza cassa di risonanza del (a)mare …in poesia è necessario prendere posizione, altrimenti la stessa morirebbe, così come infatti seguendo le regole del mercato e dei facili ascolti, è avvenuto. Ciò, peraltro non significa, almeno a mia opinione, non seguire i temi principali, che in musica sono semplicissimi, fatti al massimo di due o tre note, nonostante gli spartiti sembrino talmente affollati di note tempi e modi, da risultare quasi indecifrabili . In parallelo , nell’accostamento dei due autori in questione, su registri diversi, la conchiglia viene colpita e immagazina identico (a)mare…
    appoggiando la tua madreperla alla mia, ti saluto caramente…buona settimana

  11. ps
    è per lo stesso opposto “motivo”, che ho detto la mia nei post precedenti su Gaza. Chi non ha ancora compreso che la questione palestinese è identica a quella ebraica, come ma anche peggio(visto che i senza terra avevano avuto tutti i secoli per imparare a non toglierla ad altri e a non produrre su altri gli stessi tormenti in forme e lager diversi), non ha purtroppo ancora afferrato fino in fondo le atrocità fatti agli ebrei come a tutta l’umanità, quindi non è ancora pronta ad afferrare come si è ripetuta questa Storia, nelle varie “minoranze” eliminate prima o da eliminare adesso e dopo ancora, come ai Palestinesi così ad altri come a tutta l’umanità. Il mare di cui al precedente commento deriva da indentici “laghi”(fondali, onde, sale, scogli e spiagge, etc tutto compreso).

  12. …SEGNALAZIONE: 31 Luglio Nessuno protesta più…

    I militari sono divenuti insensibili
    all’orrore di compiere stragi
    su obiettivi civili?
    Nessuna briciola di umanità?
    Ma certo la solidarietà va alle sorelle armi,
    impugnate, abbracciate, sposate…
    Così avviene la conversione
    in uomini-robot,
    corpi carne e ossa mutanti
    in metallo pesante e piombo fuso,
    il guscio coriaceo di anime svaporate.
    Buono per l’industria delle armi
    le mani senza tremore…

    1. ciao Annamaria, innanzitutto complimenti per il testo di forte denuncia perché è proprio questo il punto “industriale” del tutto, che non dovrebbe per nulla dividere, ma unire come minimo comune denominatore su cui, con alcune/i,non siamo riusciti a intenderci . E’ strano davvero che dopo almeno due decenni ( ma anche prima c’erano le avvisaglie) in cui la storia ha dimostrato la finzione del dividersi in una barricata destra e nell’altra cosiddetta sinistra, così via altre ancora e infinite barricate, debba ripetersi questa divisione di tutti contro tutti, profittevole e redditizia solo per chi in alto conduce certe danze, perrennemente soddisfatto del divide et impera alimentato in basso dalle stesse pecorelle….E’ molto molto “politica” la tua apertura o titolo che dir si voglia, una segnaletica peggio di un semaforo gigantesco che ti costringe a fermarti senza nemmeno avere il rosso o l’arancione. Eppure, se ancora non abbiamo imparato che abbiamo regalato la nostra terra agli americani, vuoi che al volo ci capiamo su chi l’ha rubata ad altri?

      Ti faccio un altro parallelo , sempre centrando il tuo bersaglio, perché è sempre dello stesso tipo. Pensa a chi in questi giorni sta occupando il suo tempo, nelle metro o nei bar, in famiglia o in ufficio, parlando con terrore dei nuovi terroristi. Pochissimi hanno imparato che tale “novità” è solo per rendere ancor piu docili le pecorelle . Il loro “assenso ” ad essere protette da questo o quel cattivone, è facile ottenerlo. E armati fino ai denti, per proteggerti, oltre che rendere obese sempre le stesse d’industrie di morte, segnano anche la tua morte…perché basta ripetere un giorno si e l’altro pure che i terroristi sono fra noi, o che si arruolano dalla scozia al veneto, per andare a combattere in questa o quella siria o iraq, che autorizzi ” il potere”, di questo o quello stato del far west europa, a sospettare di tutti, a dare un ‘accelerata alla disintegrazione sociale gia in corso dagli anni 70 a oggi, a poter reprimere le più legittime manifestazioni ( da quelli rimasti senza niente a no muos o no tav etc etc) in nome della sicurezza contro il terrorismo . Però, gli stessi che anche qui fra noi, magari firmano appelli o vanno in manifestazione contro gli f35 e si sono divisi sempre qui fra noi rivendicando non si sa bene più quale nazismo maggiore di altri che non lo sarebbero , oppure non si sabene quale costituzione, quale democrazia, ebbene con tutta la conoscenza della letteratura o della Storia che hanno , vogliono rimanere ciechi anche a questo tuo (ultimo?, penultimo?) “segnale”..e i signori della morte andranno avanti aiutati da quelli che fischiettano ritornando dallo zio tom o da quelli che mentre recitavano il mitico compromesso storico, andavano meglio a svendere il nostro paese ai signori della morte. E sono stati pure premiati, visto che come capo della difesa (nonché della colonia) nessuno aveva potuto avere il grande colle per due volte sette.

      Un abbraccio grande

    1. …grazie Ro, ho letto con attenzione il testo, quasi copernicano, da te segnalato…certo non so quanto l’abbia capito, ma sono giunta ad alcune riflessioni sul rapporto tra un soggetto pensante (sempre plurimo) e il gruppo cosidetto di riferimento, a cui in qualche modo la società ci obbliga ad identificarci, negando la nostra complessa autenticità. E non solo: allontanadoci dai problemi reali e universali che ci attanagliano. Sì, penso che abbia ragione Gilad Aztmon, spesso in un gruppo ci parcellizziamo, ci tradiamo, ci allontaniamo da noi stessi, ci confondiamo…Ma può forse succedere(?) che più autenticità si uniscano per formare un gruppo, con un nucleo di valori condiviso, ma nello stesso tempo molto sfrangiato, che infine contempli una gran varietà di modi di essere…Tra le possibilità…

      1. Grazie della tua lettura e delle tue riflessioni, Annamaria cara. Il problema del soggetto “pensante” a più livelli e dunque sfaccettato e molteplice, se comprendo anche poco poco la tua riflessione, riguarda tanto il singolo quanto poi il singolo con gli altri singoli che diventerebbero una dinamica energetica di vero e proprio scambio, forse solo utopica a questo punto ( vedi come sono andate le cose in questo gruppo su certi temi…non solo quello palestinese e/o israeliano) . Tale dinamica sarebbe distruttiva ma al contempo costruttiva, tanto come avviene nel singolo, quando sa fare e soprattutto desidera superare il rischio della cristallizzazione delle conoscenze acquisite, dunque cerca di espandere le sue convizioni ( altrimenti si finisce per farsi ingabbiare in uno stato teologico della propria mente, coi nazisti o i sionisti nel cuore o nel cuore dellla propria mente).

        E’ l’esperienza pratica con le cose del mondo che dovrebbe dare questa spinta a uscire e rientrare in un continuo procedere dell’evolversi della nostra esperienza , altrimenti il pur grandissimo piano teorico del proprio pensiero rimane fermo e si congela come il cuore dei nostri amici, fuggiti tutti al riparo del proprio muro… come del resto noi tre, qui fuori, col muro di fronte… se però il pensiero è rimasto pensiero, ergo la sua trasfigurazione e /o messa in pratica è più importante di qualsiasi singolo, branco o gruppo o vera e propria comunità, sarebbe bello pensare che prima o poi Simonitto o Partesana, o altri costretti a una difesa con una ritirata, riappaiono con la stessa forza (di pensiero) tramite la quale hanno sostenuto letture sulla storia del genocidio “maggiore” o “peggiore” o semplicemente “uguale” a quello di tutti gli altri, compreso quello in corso da 70 anni in Palestina. E che ciò avvenga può essere nei fatti incontestabili di un altro “slogan”, per ampiezza di ascolto geopolitico ben più grave di quello di Abate da cui partirono le loro riflessioni. Mi riferisco ai recenti discorsi di Benya­min Neta­nyahu, un signore che, se in italia quelli che si dicono di sinistra ( non credo che Partesana o altri sia mai stato di destra o exfascista come Napolitano) fossero rimasti tali, dovrebbe far orrore come Hitler o Mussolini e loro eredi parlamentari ed extraparlamentari, in europa o in ucraina etc…..Tale capo di stato, incontrandosi col mitico premio nobel piu famoso dell’impero, il 30 settembre ( cioè in pratica ieri ) dice a un certo punto qualcosa che ricorda per opposto , senza margine e protezione, ciò che aveva allertato alcuni di noi, tanto da far spremere le meningi, con inutili dispersioni di energia cerebrale, per smontare pezzo a pezzo lo sglogan di Abate.
        Insomma mi/ti/ vi chiedo che differenza passa fra “Peggio dei nazisti” e quanto sdoganato o “sloganato” da suddetto capo di stato $ioni$ta, che mentre era tutto infervorato a fare rete con alcuni dei peggiori stati “arabi” delle petromonarchie ( per il noto cavalcare insieme al carro delle altrettante note energie), ha detto testuali parole: “Abu Mazen è peggio di Arafat”.

        Ovviamente “noi” (pochi o molti che vogliamo pensarci) sappiamo anche l’agonia, il veleno e la fine che hanno fatto fare ad Arafat.

        …….

        Non solo in teoria, ti abbraccio, ciao

        1. …cara Ro, tu lo sai che vi seguo a fatica, ma con molto interesse…se un poco poco anch’io ti ho capita: perchè mai scorticarci tra noi quando sono in circolazione i cannibali? Anche a me piacerebbe risentire Rita, Partesana ed altri “che il canto suso appella…” (non mi ricordo in quale punto della Commedia, ma mi suona così…

  13. Politica dell’identità ebraica

    Un incontro per chi vuole capire le differenze tra ebraismo, ebraicità e sionismo.
    Gilad Atzmon è autore di “L’ERRANTE CHI?” un magistrale testo filosofico scritto da un individuo eclettico,
    un brillante artista e musicista jazz e autentico amante della giustizia,
    Gilad Atzmon è convincente, appassionato e provocatorio.
    Il suo pensiero è affascinante.
    Le sue considerazioni importanti e coraggiose.

    INCONTRO-CONFERENZA
    MARTEDì 7 OTTOBRE – H 18.00
    Ex Fornace
    Alzaia Naviglio Pavese 16, Milano
    (MM p.ta Genova)
    entrata libera

    CONCERTO
    MARTEDI’ 7 OTTOBRE – H 21.00
    CAM Garibaldi
    Corso Garibaldi, 27, 20121 Milano
    (MM Lanza)
    entrata libera

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