fai attenzione alle palle vaganti

pallone

di Angelo Australi

Il sabato e la domenica spesso gioco a calcio con mio figlio in un campetto dietro la chiesa. Lo alleno da portiere, facendo in continuazione tiri angolati, centrali, rasoterra, all’incrocio dei pali. Arrivo letteralmente a sfiancarlo, ma è sempre un compromesso, pur di non segnarlo a una di quelle scuole di calcio che io detesto a morte, dove i genitori dei ragazzi sono convinti di avere alle mani un futuro campione che le grosse società dovrebbero sentirsi in dovere di acquistare a suon di miliardi. La fatica del padre dopo una settimana di lavoro non entra nemmeno in parte in questa esigenza di mio figlio di allenarsi da portiere per il torneo scolastico di calcio. Lui è attrezzato al massimo, ginocchiere, guanti, io calcio quel pallone di cuoio durissimo con delle normali scarpe a tennis, tanto che una volta, colpendo male la palla mi sono addirittura spezzato l’unghia al pollice del piede sinistro. A questi allenamenti partecipa anche Gino. All’inizio tenta di entrare in partita azzannando la palla, poi decide di girovagare a cinci sciolto nei terreni incolti dietro la chiesa o sul greto del torrente.
A volte vengono alcuni amici di mio figlio, ai quali lui si è guardato bene dal dire che sono una schiappa, anzi, li ha convinti che potenzialmente posso guidare la seconda A della Scuola Media Statale Leonardo da Vinci a vincere il torneo di istituto. Quando i ragazzi si fanno vivi quindi pendono tutti dalla mia bocca, ci facciamo alcuni schemi che non so come riesco ad inventare, e poi una partitella a due porte, con io nella veste di difensore ed attaccante per l’una o per l’altra squadra, che a seconda dei casi interdice o imposta le azioni di attacco. Le partite sono per me uno sforzo sovrumano, cerco sempre di non correre e di affannarmi il meno possibile, ma poi nell’insieme mi serve tutto il fine settimana per recuperare le energie da spendere nelle successive giornate di lavoro. L’ultima volta che sono stato dal dottore mi ha consigliato di fare molto movimento per smaltire i grassi accumulati dal fegato, io gli ho spiegato che gioco a calcio con mio figlio e lui si è messo a ridere. Il suo consiglio è di fare lunghe passeggiate a piedi, possibilmente affrontando dei tratti in salita, oppure di macinare chilometri in bicicletta. Di sicuro ha ragione, ma la mia pigrizia può essere contrastata solo con uno scopo nobile, allenare mio figlio pur di non iscriverlo ad una scuola di calcio è uno scopo più che nobile, andare in bicicletta come un bischero per questioni di linea, non lo so. Ho smesso di bere anche il bicchiere di vino ai pasti, di mangiare dei piatti sofisticati, ho eliminato il burro, i dolci, ridotto la mia necessità di caffeina a sole tre tazzine al giorno, ma nessuno può obbligarmi a impostare la vita in nome di una forma fisica smagliante. La salute è sacra, anche quella mentale però, perché prima o poi i conti finiscono in perdita per tutti.
La zona che usiamo per gli allenamenti si può ancora considerare aperta campagna. Era un posto frequentato anche dai ragazzi della mia generazione per giocare a calcio, ricordo che allora oltre il campetto dove regnano i rovi, le bisce e dei ratti più grossi dei gatti, c’erano gli orti di Tintella, delimitati da un’alta rete arrugginita. Se uno saltava la recinzione per recuperare la palla ci aizzava contro il suo mastino. A volte qualcuno era stato anche azzannato, con lui che sembrava gioirne. Sulla sommità del greto del torrente aveva costruito una baracca in mattoni con accanto una fila di stalletti per maiali, mentre dall’altra parte del torrente ci lavoravano i funai per costruire interminabili matasse di corde. Le donne andavano ancora a lavare i panni con l’acqua corrente, ciascuna padrona di una pietra piatta e ben levigata. Tintella aveva un allevamento di maiali che poi vendeva alle macellerie del paese o ne faceva prosciutti e insaccati. Quando preparava la soprassata un odore nauseante di carne e di grasso di maiale bollito si propagava lungo il corso del torrente, virava alla curva sul ponte per entrare in paese mescolato alla nebbia che scendeva già alle quattro del pomeriggio, così il giorno viveva il suo momento di massima staticità prima di cancellarsi in quegli odori abbruciacchiati.
La volta che mio figlio si sbucciò il ginocchio per tuffarsi a prendere una palla molto angolata, gli rappresentai un po’ tutta la scena di quand’ero un ragazzo che giocava in quel campetto. Stavo in piedi davanti a lui, che teneva la gamba distesa sulla panchina, cercando di premere la ferita per fermare il sangue. Era quasi mezzogiorno, il sole di giugno ci friggeva addosso il sudore, gli passai l’asciugamano da mettere intorno al collo e feci alcuni palleggi per non ritrovarmi i muscoli delle gambe irrigiditi nel ricominciare a giocare. Una volta, gli dissi, in giro si sapeva che Tintella aveva ucciso un tedesco, per questo se noi ragazzi attraversavamo la sua recinzione non sapevamo mai che fine avremmo fatto. Aveva ucciso il tedesco che gli voleva prendere un maiale per mangiarlo con i compagni della guarnigione. Mentre il soldato puntava il mitra alla testa della bestia Tintella lo sorprese con un colpo alla nuca usando la sua vanga, poi lo ridusse in pezzi con la roncola per gettarlo in pasto ai suoi maiali. Nel timore di essere ricercato aveva lasciato tutto com’era fuggendo in montagna con i partigiani. Nessuno al paese sapeva niente, neanche la guarnigione dei tedeschi accampata presso la casa del fascio, i suoi commilitoni lo cercarono ovunque suddivisi in pattuglie, ma il tedesco non riappariva. Due mattine dopo degli operai che si recavano a lavorare in fornace sentirono i grugniti disperati dei maiali affamati, così nell’avvicinarsi agli stalletti videro le stoffe lacerate dell’uniforme del soldato tedesco e alcune ossa sparpagliate con il letame degli stalletti. Sfamarono i maiali con delle barbabietole e quindi recuperarono i resti di quel pover’uomo per seppellire ogni traccia. I suoi commilitoni lo cercarono ininterrottamente per tre settimane, fino a quando l’esercito alleato per impedirgli la fuga non cominciò a bombardare la ferrovia e il ponte sul fiume che attraversa la statale. Non avevano capito quello che poteva essere capitato al loro compagno, mentre invece tutto il paese si aspettava già una rappresaglia.
Non è proprio una bella storia, babbo.
E questo che significa? Noi alla tua età giocavamo nello stesso campetto della parrocchia sapendo che Tintella se aveva ucciso una volta poteva riprovarci ancora, magari quando gli gettavamo la palla nei suoi orti. Per questo il piacere di giocare comportava anche un certo rischio.
Dai, raggiungi di nuovo la porta. Farò solo dei tiri a colombella, dovrai recuperare la palla uscendo dai pali prima che tocchi terra. Le palle morte in mezzo all’area sono pericolose perché sembrano le più innocue, basta una minima disattenzione che qualche tuo avversario può approfittarne. Nel gioco del calcio non si deve mai dare per scontato niente.
Io ero stanco, molto stanco, le ginocchia sembravano crettarsi ad ogni tiro, ma questo esercizio per un portiere valeva proprio la pena di essere fatto. Prevenire la sorpresa delle palle vaganti che avrebbero potuto spiovere casualmente nell’area piccola, davanti a lui. Ci vuole passione per riuscire a prevenire le intenzioni, pur non giocando tra i professionisti. E’ una questione di stile, fare le cose bene o farle male, anche se in fondo apparentemente la differenza è poca.

7 pensieri su “fai attenzione alle palle vaganti

  1. parole importanti, dentro e fuori il testo: educazione, contraddizione, passione, decisione, scopo, previsione, stile

  2. Tutto può succedere , tutto si può fare, tutto si può raccontare in questa vera , concreta storia d’amore. Grazie! Mi è piaciuta tantissimo!!!!

  3. …sì, mollto bella la storia e scritta con affetto …un padre, anche lui con tutti i suoi problemi, che vuole trasmettere al figlio una continuità di svaghi, passioni, vissuti, memoria. Eppure nella narrazione emerge, secondo me, un vuoto, un perdere di intensità del presente rispetto al passato, quando i bambini anche nel gioco stavano tra le fatiche quotidiane e davanti alla morte, c’era la guerra…una iniziazione alla vita più precoce…

    1. …sì Annamaria ,
      ma è proprio quando si raccontano ai figli anche brutte verità , che l’amore dei genitori diventa importante , direi indispensabile.

  4. è il tono di questo racconto che mi piace…
    l’ho letto troppo velocemente ma l’autoironia, la leggerezza nel fare affermazioni in fondo importanti, l’uso di certi termini non scontati, l’inserzione minima ma significativa della storia nella vicenda familiare, il titolo ben scelto, il finale quasi perfetto (e forse altro ancora) li ho apprezzati.
    Complimenti all’autore

  5. più che un commento è un grazie per la lettura di “fai attenzione alle palle vaganti” a Cristiana Fischer, Emilia Banfi, Annamaria Locatelli e Marcella Corsi.
    Il racconto risale a un po’ di anni fa, è breve ma sentivo il bisogno di scrivere una situazione da usare come metafora sulla letteratura, dove però ci fosse racchiuso un concentrato di vita che scappava da ogni parte seguendo comunque un ordine che è quello del rapporto tra padre e figlio. Era un bisogno e una domanda che mi facevo spesso in quegli anni (2005/2006); come trasmettere quello che era stato trasmesso a me nell’infanzia? Attraverso i ricordi degli adulti riuscivo a tenere in mano uno spazio di tempo dilatato di un secolo, con mio nonno che raccontava le storie di alcuni volantari partiti dal paese al seguito di Garibaldi, della prima guerra mondiale alla quale aveva partecipato, e mio padre del fascismo, delle guerre coloniali, della seconda guerra mondiale, dei partigiani, degli scioperi dei minatori delle miniere di lignite di Santa Barbara della fine degli anni 40, della costruzione dell’autostrada del sole. Tutto questo mi faceva sentire il mondo più grande proprio partendo dal piccolo spazio familiare da cui nasceva anche un bisogno di giocare. Forse mio figlio tiene insieme tante più cose di me, pensavo, ma non ha questa possibilità di legare i suoi pensieri a qualcosa di concreto come una strada che è lì da mille anni, e si sa, in questo tempo ci è passato di tutto, e ci sta adesso camminando anche lui. Che bello, poter portare con il pensiero immagini così lontane in un luogo fisico e reale! La letteratura non serve a questo?
    Nel 2006 ho letto appena uscito il romanzo di Cormac McCarthy “Non è un paese per vecchi “, un autore che amo moltissimo leggere. A un certo punto, nelle due paginette finali il personaggio, ritornando con i pensieri al suo passato, parla di un abbeveratoio in pietra scavato a mano dal padre anno dopo anno. L’abbeveratorio in pietra era ancora li ed avrebbe durato per altri diecimila anni. Mi fermo perché sciuperei tutta la bellezza di una delle metafore sulla letteratura più riuscite degli ultimi decenni. Dopo averlo letto ho subito sentito il bisogno di scrivere qualcosa, ed è uscito d’un fiato “fai attenzione alle palle vaganti”.

    Grazie, e scusate la lunghezza

    angelo australi

  6. voglio dirlo: il tratto di condensazione storica è proprio quello che emerge dal racconto, e la trasmissibilità ai figli che sembrano quasi, ma è naturale, fare parte di un’altra epoca, è un problema realissimo per molti genitori (e nonni come me) di oggi
    il racconto è proprio bello per questa densità! complimenti

Rispondi a marcella corsi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *