Viaggio oltre cortina

Čakovec,_zimi_-_Građanska_kuća_iz_1816

di Giorgio Mannacio

In un anno imprecisato, ma certo di molto antecedente la Caduta del famoso muro, mi avventurai in macchina verso Budapest. Non mi interessava tanto vedere le condizioni dell’Est europeo quanto visitare la città, protagonista di diversi romanzi che avevo letto da ragazzo. Varcai la frontiera tra l’ex Jugoslavia e l’Ungheria in una località prossima a Cacovez che mi ostinava a pronunciare come era scritta . Qui guardie confinarie magiare mi perquisirono attentamente smontando persino i cerchioni delle ruote. A Budapest si celebrava in quei giorni il Festival mondiale della caccia e trovare un albergo fu un vero problema. Come la lingua davvero lontana da ogni riferimento occidentale che – con ingenuità e una certa dose di stoltezza – continuavo ad invocare. Al ritorno mi fermai qualche giorno sulla costa dell’attuale Croazia e il giorno dopo il mio rientro a Milano fui colto da una febbre violentissima e asintomatica .Erano tempi in cui si moriva di epatite e tale sospetto indusse il mio medico a disporre il ricovero in un ospedale di isolamento per infettivi (Agostino Bassi) che più non esiste. Si trovava in via Conte Verde, zona Dergano. Ne uscii guarito e senza diagnosi. [G.M.]

Persino nel leggero delirio che seguì il ricovero, la questione non cessò di angustiarmi. Che paese era mai quello in cui Čakovec si pronuncia Ciacovez? Debbono finire su questa terra tutte le ragioni di incertezza e confusione . Non ci sono già le malattie per cause ignote, come la mia ? Decisi di affrontare il problema nei giorni di isolamento che mi erano stati preannunciati. Ma già del primo momento il destino mi si mise contro. Uno scambio di numero del posto letto causò una situazione imprevista. E mi ha procurato un amico. Mentre Antonio, mio vicino, attende con il culo à la belle etoile il clistere terapeuticamente dovutogli, il fatale scambio mi fa subire l’inutile oltraggio. Antonio se la ride. Ma è poco più che camomilla. Così si salva la Scuola salernitana: primum non nocere.
Antonio conosce il mondo. Non per nulla ha una medusa tatuata sull’avambraccio. E sul petto una donna a testa in giù. Precipita o vola verso il suo sesso? Non risponde e sul mio caso sentenzia: non hai niente, il tuo piscio non spumeggia, segno buono. La nostra sembra birra.
( Oh la tenera notte di Salisburgo ) !
Quanta, quanta ? Le infermiere di notte – un po’ missionarie e un po’ puttane – ci credono gatti capaci di individuare nel buio, sulla scala graduata, i livelli raggiunti. E i calici sono enormi, difficili da maneggiare. Sarebbe impossibile un Oktoberfest. Io, al contrario dell’altro mio vicino (un architetto), dimostro tutta la mia impreparazione e inadeguatezza politica alle necessità del momento. Lui con la sola forza di volontà – beviamo la stessa quantità di liquidi –spreme misure da capogiro: milleottocento, duemila, oggi duemilacento centimetri cubici. Io riflettendo sulle questioni di pronuncia perdo concentrazione: riesco a stento ad arrivare ad ottocento. Se debbo depurarmi non ci riuscirò mai.
Un altro, nella stanza di fronte , ha i miei stessi problemi.
Cainero, ragioniere, che ricorda la Brigata Sassari in azione a Torino e conosce quindi anche lui la sua parte di mondo, è ossessionato. Si aggira nel corridoio cercando qualcuno che sciolga l’enigma : Bòrneo o Bornèo ? Un altro mi chiede quanto rischia un fantasma che insidia una bambina. Moltissimo, gli dico, ma fuggirà poi dalla finestra.
Secondo Antonio la mia Vidal sarà negativa. Ma cosa conta l’opinione di un ortolano contro il parere del Primario?
Costui non può certo pensare all’innocuità ed innocenza di un viaggio oltre cortina ( di quei tempi, si intende) . La sua logica vuol essere ferrea; la sua acutezza di inquisitore, implacabile.
Hai costeggiato l’Adriatico? Dunque hai mangiato mitili. Dunque hai preso la salmonellosi. Noi non crediamo ai detti popolari del tipo: sole sulle palme, acqua sulle uova, non collegati da un nesso dimostrabile. L’esperienza ci permette di stabilire che il trenta per cento di mangiatori di cozze, arselle, vongole, ostriche et similia presto o tardi si prende un’infezione intestinale. Ergo: salmonellosi. Presto o tardi uscirà allo scoperto e noi, zac , la colpiremo.
E così, quando, messo alle strette, confessai del latte ( eravamo a Magyarovar con truci ungheresi a cercare nei copertoni droga e messaggi cifrati per la rivolta prossima e futura ) la Scienza ebbe un momentaneo e ipotetici trionfo. Tremò di orgoglio e piacere.
Siamo a contatto col Nemico: brucellosi, vulgo febbre melitense.
Ecco dunque ricostruita la catena delle cause prime e seconde. Ma le ultime? Non avevo neppure sfiorato la rivoluzione ma sussisteva sempre – gli avrei confessato se fosse stato un filosofo – quel mio aggirarmi equilibristicamente sul limite del disordine e della perdizione . Ammantato di innocenza non era meno temibile. Cosa avevo fatto ? Da Ludlab Etterem – un ristorante le cui tende polverose avrebbero mascherato scheletri e donne nude con eguale indifferenza – non trovammo un pasto decente ma il tokay eccezionale ci mise le ali e volammo in alto al Forte dei Pescatori e di là, sempre cantando, a capofitto sul Balaton. Un’anatra aspettava il diluvio o cos’altro? Fermo, in attesa di tempo migliore per il ritorno, buttai giù sul mio moleskine questi versetti:
Sul Balaton si addensa una bufera,
scappa l’anatra verde-nero-rossa
starnazzando: Compagne, alla riscossa
tornerà primavera.
Tutto ciò non è sufficiente per permettere ad un virus qualsiasi la libera circolazione nel nostro sangue? Assisto a cose incredibili. Ieri alcuni che furono ammalati tornano a salutare coloro che li hanno vessati con terapeutico cinismo. Non capisco se vogliano ringraziarli o avvertirli che sono vivi nonostante le cure. Portano da fuori saluti e altre cose inutili. Ma qui, tra uomini soli, dove sarebbe bello e necessario, è severamente proibito bere. Ed Antonio ha ragione. Non si è trovato nulla. Un altro fantasma è entrato nel sangue e ne è uscito portandosi lo sconvolgimento di luoghi, tempi, ragioni e follie che il Primario –con sicurezza – riassume nel suo linguaggio : ipertermia da causa ignota.

6 pensieri su “Viaggio oltre cortina

  1. Delizioso questo racconto di viaggio oltre frontiera (!) che mi ha sollecitato ricordi e suggestioni.

    L’ipertermia (da causa ignota) mi ha fatto venire alla mente le mie febbri del periodo preadolescenziale, e talvolta anche più tardi, dopo situazioni di grande stress. Inaspettati e improvvisi rialzi della temperatura che velocemente raggiungeva i 39° e oltre, durava due/tre giorni e poi spariva. Febbre da crescita, così diagnosticava il medico di famiglia, un vecchietto che odorava di medicinali e di spezie lontano un miglio, ma che a me, in quella situazione, di farmaci classici ne somministrava ben pochi: al loro posto rimedi ‘casalinghi’: decotto di salvia, radici amare, sciroppo di fichi, senna e manna e, non bastasse tutto ciò, ‘culo all’aria’ per la camomilla. Mi ha sempre stupita e incuriosita questa associazione crescita e purificazione. In seguito ebbi modo di approfondirne le parentele.
    Mia madre, pur terrorizzata dalla fantasia che avessi potuto contrarre la malaria o che esplodesse una meningite fulminante assecondava la terapia prescritta dal medico-stregone.
    Nel frattempo, allora non c’erano le moleskine, avevo un quadernetto composto da fogli strappati a quaderni non finiti e tenuti legati da un nastro che passava attraverso due fori.
    Febbricitante, con brividi che mi scassavano tutta e non mi permettevano di tenere la penna in mano, chiedevo a mia madre di scrivere su quei pezzi di carta dei versi che mi passavano per la mente sconvolta dal delirio. Sembrava una situazione deamicisiana in formato casalingo!
    Chissà che cosa se ne è fatto di quelle cose folli, perse sicuramente durante i numerosi traslochi!
    Così, pensando al viaggio di G. Mannacio in una terra di cui ha sentito narrare (il fascino dei racconti letti) sono stata toccata dai seguenti punti:
    – sembra che lì le cose chiamate rispondano a suoni diversi;
    – c’è una (temuta ?) possibilità che il virus della rivoluzione possa averlo contagiato sfidando perfino la potente disinfestazione del tokaj, guidando il suo aggirarsi *equilibristicamente sul limite del disordine e della perdizione* (ahi, la tentazione del Balaton, il mare ungherese! la mer, la mère?);
    – la concomitanza della fiera internazionale della caccia;
    Tutto ciò mi ha portato a leggere questo spiritoso racconto clinico sotto la chiave di una ‘febbre adolescenziale’ (non me ne voglia, Giorgio. In fondo, mantenere un’anima adolescente ci accompagna nei momenti più difficili).
    Mi sto chiedendo, filosofo o no che fosse il primario, se sarebbe bastato mostrargli i versi scritti nella moleskine.
    Forse avrebbe capito tutto. O, almeno Giorgio, avrebbe capito.

    p.s. A proposito di anatre, e del foie gras che da esse si ricava, per gli intenditori di questo prodotto, le anatre ungheresi di razza Moulard e Barberie (che vengono alimentate da piccoli allevatori ungheresi senza usare farine animali) sono fra le migliori.
    Gustato poi con il tokaj è una prelibatezza.

    p.s. del p.s. Scusate se parlo di queste cose in periodo di crisi. Ma non possiamo buttare via tutto solo perché non ce lo possiamo permettere! Ciò che è bello e buono, rimane!

    R.S.

  2. A Rita Simonitto.
    Grazie di cuore di una lettura tanto partecipata . In fondo tutto il racconto è una trama di associazioni volontariamente inserite da me e che tu hai messo alla luce in maniera molto precisa. Tanto precisa che sei arrivata persino ad indovinare ciò che molti mi rinfacciano alla tenera età che tu puoi conoscere da Poliscritture : la conservazione di tratti adolescenziali.Bene ho trovato anche un difensore ! Quanto alle febbri di cui tu parli nel meridione ( e delle quali sono stato anch’io felice vittima ) le chiamano ” febbri di crescenza “. Che non sia la natura a ribellarsi a sè stessa? In vena di frivolezze: conosci l’acquavite di albiccocche distillata in Ungheria e che si chiama Barak Palinka ? Te la consiglio.Un affettuoso saluto. Giorgio.

    1. Tanto bello il tuo racconto, che mi pare d’esser lì. Di getto ti scrivo , spero tanto che tu possa mandarci ancora tuoi scritti, così ironici e stesi come in un bellissimo sogno dove tu sei il creatore di tutto ciò che ti circonda , donando al lettore una bravura dentro una palpabile giocosità.
      Preferisco il vermentino, sai Giorgio quello della Sardegna….San Pantaleo.

  3. Un viaggio può essere ricordato e narrato in molti modi .La scrittura di Giorgio Mannacio in questa occasione, con toni leggeri e spumeggianti ,ci porta con sé in una divertente avventura durante la quale prende le distanze da situazioni che avrebbero potuto essere amare.Il testo é tutto giocato sull’ironia e sulle atmosfere rarefatte, ma con legami con la realtà dei luoghi descritti,difficili da capire e lontani da ogni riferimento o ben noti come quelli di un ospedale.Come già é stato evidenziato, si procede per associazioni. La malattia contratta della quale in dimensioni un pò surreali nessuno riesce a venire a capo ci trasporta da oltre cortina in ambiente ospedaliero.
    La situazione del racconto si fa ancora più ” straniante”.Il virus sfugge ad ogni possibile diagnosi e se ne va per conto suo e a questo punto il racconto diventa ancora più vivace e originale,con i compagni di sventura e di avventura, che, tratteggiati acutamente, si muovono come su un palcoscenico.
    Bravissimo Giorgio. A quando il prossimo?
    Maria Maddalena Monti

  4. @ Maria Maddalena Monti
    Grazie per l’attenta lettura. Mi fa piacere che gli unici commenti siano venuti da donne…Il testo vuole essere infatti seduttivo !
    Sì, esso è pieno di connessioni, assocazioni , sotterranee corrispondenze,rimandi. V’è – per il protagonista – l’influenza di un virus che – sconosciuto – si annida nel desiderio del viaggio ( e dove se non in luoghi in un certo senso simbolici come l’Oltre cortrina ? ), la sensazione di un continuum tra salute e malattia, divise da un labile confine che è invisibile e dunque facile da ignorare…etc ..etc. Chi può prevedere quando si ripresenterà l’attimo di felicità creativa ? Il più delle volte la montagna ( la ricerca faticosa ) partorisce il topolino. Un caro saluto. G.M

  5. …ho trovato anch’io questo racconto di Giorgio Mannacio molto divertente, ma che sottintende anche riflessioni sulla natura umana..A colpirmi é l’atmosfera di isolamento, vuoi nella prima parte del racconto ambientato in un Paese d’Oltrecortina al tempo della guerra fredda, dove i controlli per i turisti erano rigidissimi, vuoi, in seguito ad una febbre altissima contratta dallo scrittore, in un ospedale, reparto malati infettivi…isolamento da cornice del Decamerone, dove la malattia, accompagnata dalla paura delle sue possibili conseguenze, suscita reazioni spavalde e di difesa, forse scaramantiche: il corpo, come un universo misterioso e sfuggente, viene scoperto nella forma sua più fragile, tenera ed umoristica…Trovo, come Rita, anche un aspetto adolescenziale in questo racconto, declinato essenzialmente al maschile, ma che vuol essere seduttivo…Complimenti! Al prossimo…

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