Allarme Lambro

esondazi3

di Donato Salzarulo

 

Ho vegliato il fiume per due notti
(monitorare, si dice) attento
prima a spiarne l’innalzamento
del livello, mentre la pioggia battente
scendeva a rivoli dall’ombrello
o sotto la tenda ove di tanto
in tanto mi riparavo con altri,
soprattutto, quando i rovesci erano
accompagnati da lampi e tuoni
(ho paure ancestrali). Poi, quando
tornava a vedersi la mezzaluna
e qualche stella occhieggiava
tra le nuvole residue, stavo lì
impaziente a scrutarne l’abbassamento,
la portata, la rapidità
con cui la corrente travalicava
ancora i parapetti del ponte.
Alle otto e mezza sembrava l’avessimo
scampata bella e ci facevamo
reciprocamente scongiuri e
complimenti: Il nuovo argine ha tenuto!…
Il Lambro non allagherà San Maurizio
e non arriverà questa volta
in Piazza Castello come nel Duemila
e due… Mezzora dopo in un baleno
il cielo s’è fatto di pece e, aperte
le cataratte, ha rovesciato
su questo lembo d’asfalto una
quantità d’acqua da dissetare,
filtrata e depurata, milioni
di persone per un anno. Che ben
di Dio! Vien da dire. Ma buon Dio,
perché la manna sbattercela in
faccia e non regalarcela goccia a
goccia?…Così nessuno di noi
sa dove mandarla questa massa
schiumosa, maleodorante e fangosa
riversata sulle nostre teste,
in arrivo da lassù. Ogni tanto
la domanda: Ma qual è la situazione
a Peregallo?… E a Pusiano cosa
stanno facendo? Piove ancora o l’acqua
comincia a scendere?… Se in alto
tutto migliora, anche qui sotto
dopo qualche ora si respira,
si prende tempo, ci concediamo
una pausa. La centralina impazzita
continua a mandare al Sindaco
messaggi su messaggi e segnala
un Lambro sulla linea arancione,
quando ha superato da due ore
la soglia ponte e non accenna a tornare
giù, a riaffidarsi docilmente
agli argini, a riprendere il suo corso
normale. Con i responsabili
della Protezione si è cercato
in tutti i modi di contenere,
deviare, raddrizzare, incanalare
la bestia liquida che tracima
dappertutto, che t’arriva dove
meno te l’aspetti. Come giovedì
sera che ha invaso via Barcellona.
Dapprima i sacchi di sabbia sono
stati disposti sul ponte per mandare
l’acqua nei campi annessi. Ma niente!,
erano saturi. Poi si è cercato
d’incanalarla sul ponte stesso
in modo che continuasse il suo corso
e andasse ad esondare più a valle,
quindi la si è deviata nel parchetto
prossimo al cimitero. Un po’ d’acqua
sui morti li rinsavisce. Non è gente
che si lamenta come questi gruppetti
che ci attorniano e ognuno vorrebbe
che l’acqua andasse da qualche altra parte.
Mandatela in Viale Lombardia!…
E due o tre cittadini in delirio
hanno eluso la vigilanza, tolte le
paratie mobili e lasciata
correre la massa lungo la via
senza nemmeno che fossero aperti
i tombini. Roba d’altro mondo!
Ed io a gridare, a pensare alla scuola
indifesa a quattrocento metri.
Nel Duemila e due il danno
è stato ingente…Evitiamo che si ripeta …
Sto tra questi abitanti di villette
protette da tavole e sacchi di sabbia,
quando sul campo di fronte allagato
si delinea una sagoma di plastica,
un galleggiante indefinito:
Cosa mai sarà?… Domando ad alta voce,
e un signore, di rimando: Sono i Rom!…
Gli zingari nel fiume buttano di
tutto!… Signore mio!, vuoi vedere
che è anche colpa loro se il Lambro
esonda!…C’è pure chi alle quattro
del mattino ti porta il caffè,
chi approva silenziosamente il tuo
operare. Distribuiamola
un po’ dappertutto. È la parola
d’ordine. Imbrigliamola. Vediamo
di fare meno danni possibili.
E’ la seconda notte che torno a casa
alle cinque del giorno successivo.
Con Pina che, ad una certa ora,
mi telefona spaventata e vuole
sapere se sono vivo o sono
finito nella corrente come il corpo
di quella povera donna che abbiamo
visto passare (chissà se caduta
per imprudenza o lasciatasi
andare stanca d’esistenza)
Finirà anche lei sulle grate
del depuratore. O il tronco, quel grande
tronco messosi di traverso contro
il ponte col granchio d’acciaio che
cercava d’afferrarlo e spostarlo…
Giovedì sono andato con l’automezzo
della protezione civile in Via
Barcellona. In una fabbrica l’acqua
zampillava da un pozzo… Zampillava?!…
Si scagliava verso l’alto. Sembrava
un canalone verso il cielo, un fiotto
potente difficile da bloccare.
Per chiuderlo con delle tavole sopra
occorreva la forza di molti
cavalli…Non l’avevo mai vista
da vicino questa parte di città,
con tanti capannoni abusivi
costruiti a ridosso del fiume
e condonati negli anni Ottanta.
Qui si fa di tutto: stampe, giocattoli,
bottoni…Qualcuno sospettoso
pensa che il pozzo servisse a scaricare
chissà cosa. È da ore che facciamo
avanti-indietro dal ponte all’imbocco
di Viale Lombardia o dal ponte
alla piazza di San Maurizio. I miei piedi
fanno ciac ciac negli stivali e alla fine
si riscaldano, si addolorano e mi
vien voglia di metterli sulle spalle
e muovermi a mezz’aria sospeso
sui mormorii increspati
di queste onde malriuscite.
Stiamo scaricando acqua
su una golena improvvisata,
una conca d’orto e di prato. Ogni tanto
le giriamo intorno e controlliamo
che non si riempia. Altrimenti
tracima riversandosi in Via
Monteverdi. Ad ogni buon conto,
apriamo il tombino, la bocca di lupo
che inghiottirà eventualmente il liquido
marrone. Ora stanno passando quelli
dell’associazione nazionale
carabinieri. Controllavano
la roggia Mornera e domandiamo
la situazione com’è. Male! Ci
rispondono. L’argine sta per cedere.
Ci vogliono altri sacchi di sabbia…
Ma sacchi o non sacchi, distribuiti
a iosa dappertutto, se qui il cielo
non muta, se lassù, a Beregallo,
o quaggiù a valle non smette di piovere
il diluvio è assicurato. In tal caso
ci serve un’arca. Un automezzo della
protezione, infatti, si tira dietro
un canotto. Non si sa mai
si debba remare su un lago
improvvisato per salvare
una povera mamma rimasta sola
con due figli o una coppia di anziani
che non hanno piani alti in cui
rifugiarsi. Alla roggia Mornera
ci siamo recati poco fa.
Tre ragazzi continuano invano
a chiederci come poter passare
dall’altra parte. Non hanno stivali
e non hanno imparato a volare.
Fatevi il giro largo, afferrate
la vostra casa da dietro, se potete.
Viale Spagna è allagata, Via Siviglia
pure, anche in via Guernica e Bilbao
sono rotti gli argini…Tutto il distretto
industriale è a mollo. L’acqua sta arrivando
in via Cavallotti. Non si capisce
da dove. Forse qualcuno ha aperto
un canale segreto come quella
roggia che arriverebbe dal mulino
di Occhiate a Ginestrino, alla vecchia
cascina dismessa che vedo dalla
finestra della cucina di casa.
Cologno galleggia sull’acqua,
è una Venezia di cemento
che dondola su fontanili,
cave, rogge, risorgive.
Perché non scrivi una poesia
mi fa Pino vedendo le luci
dei lampioni riflettersi
sui laghi oscuri dei prati.
Guarda che paesaggio surreale!
Che formazione sublunare!
Non m’ispira tutta questa
ansia e desolazione gli faccio.
E lui: il pessimismo cosmico
dovrebbe essere un ottimo
ingrediente… Leopardi
è un soggetto che tira, di questi
tempi la disperazione si trangugia
a gogò…No, no, non sopporto
il sublime. Non amo questi curiosi
che fotografano il fiume in piena,
i prati allagati, i sacchi di sabbia,
e corrono a postare il tutto
su facebook come se avessero
assistito o fossero protagonisti
non si sa bene di quale straordinaria
avventura. Questa roba
l’avevo già notato nel Duemila e due
ed ora è tutto peggiorato.
Un’altra notte passa così
E verso l’alba Giuseppina
m’aiuta a sfilare gli stivali.
I pantaloni sporchi bagnati
finiscono in lavatrice. Io stesso
mi riscaldo sotto l’acqua tiepida
della doccia e, pur avendo bevuto,
contro ogni mia abitudine
due caffè notturni, m’affido subito
al ristoro del sonno.

Domenica mattina cielo sereno
e spettacolo gratis dei gabbiani
adagiati come paparelle
sui campi allagati di San Maurizio.
Questo Lambro è incredibile!
Regala mare e discarica, angoli
da fotografare, emozioni da piene
e flutti di parole
per le vene.

16 novembre 2014

 

4 pensieri su “Allarme Lambro

  1. Che dolore, che sofferenza!

    Che tragica epitome Donato ci dà, attraverso la drammaticità di un vissuto in prima persona, di quella società ‘liquida’ – per utilizzare l’ormai stra-abusato concetto di Bauman – che ormai stravolge tutto: anche la Storia è ridotta ad un puntello che segna solo il terrore della non ripetizione:
    *Il Lambro non allagherà San Maurizio/e non arriverà questa volta/in Piazza Castello come nel Duemila/e due…*
    condita alla paura che ci si possa arenare, come corpi morti *sulle grate del depuratore*.

    I momenti di tenera umanità, – * Ho vegliato il fiume per due notti*, che rimandano alla sollecitudine di un padre affettuoso, pur preso dalle sue *paure ancestrali*, e che giubila per l’allontanarsi del pericolo (* Alle otto e mezza sembrava l’avessimo/ scampata bella*) – vanno a frangersi contro acque limacciose, frutto non soltanto di esplosioni di cielo di pece, che apre le cataratte, o di terra che non tiene più.
    Abbiamo a che vedere con l’incuria umana strettamente legata al beneficio ottenuto nel presente. Del domani non ci deve importare. Rimane uno solo *….a gridare, a pensare alla scuola/indifesa a quattrocento metri*.
    -* capannoni abusivi/costruiti a ridosso del fiume/e condonati negli anni Ottanta*.
    – * …ognuno vorrebbe/che l’acqua andasse da qualche altra parte./Mandatela in Viale Lombardia!…*
    Le ‘colpe’ stanno sempre da un’altra parte: *Gli zingari nel fiume buttano di/tutto!… Signore mio!, vuoi vedere/che è anche colpa loro se il Lambro/esonda!…*

    Tutti innocenti, come scrive Marcella Corsi?

    Ma, cosa che a mio parere è molto più grave, è che questo modello si travasa anche nella cultura dove l’arte viene strapazzata perché non figura più come elemento di interrogazione e di rivelazione, ma puro presenzialismo:
    *Non amo questi curiosi/che fotografano il fiume in piena,/
    i prati allagati, i sacchi di sabbia,/e corrono a postare il tutto/
    su facebook come se avessero/assistito o fossero protagonisti/
    non si sa bene di quale straordinaria/avventura*.
    Oppure essa diventa una merce, il possesso della quale ‘fa tendenza’: *Leopardi/è un soggetto che tira, di questi/tempi la disperazione si trangugia/a gogò…*

    Ma qui non siamo più a “La quiete dopo la tempesta”(1), visto che abbiamo tirato in ballo Leopardi.
    * Domenica mattina cielo sereno/e spettacolo gratis dei gabbiani/adagiati come paperelle/sui campi allagati di San Maurizio./Questo Lambro è incredibile!/Regala mare e discarica, angoli/da fotografare, emozioni da piene/
    e flutti di parole/per le vene.*
    Non possiamo limitarci ad essere contenti se ci è concesso di tirare il respiro per una breve tregua chè poi, alla fine ci sarà solo la morte a risanarci da tutti i dolori.

    (1)
    O natura cortese,
    Son questi i doni tuoi,
    Questi i diletti sono
    Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
    E’ diletto fra noi.
    Pene tu spargi a larga mano; il duolo
    Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
    Che per mostro e miracolo talvolta
    Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
    Prole cara agli eterni! assai felice
    Se respirar ti lice
    D’alcun dolor: beata
    Se te d’ogni dolor morte risana. (G. Leopardi)

    Ci si pone d’obbligo uno sforzo per poter pensare a qualche cosa che fuoriesca dalla solita denuncia.

    R.S.

  2. Ringrazio la signora Rita per questo commento alla poesia che mi ha permesso di comprendere tutte le sfumature del testo. Sono un’ammiratrice dello stile di Salzarulo e questo testo così semplice ed essenziale coglie a pieno il mondo dei viventi e non viventi che caratterizza ogni momento di vita, c’è una dolcezza che è ammirevole
    cari saluti
    giulia

  3. Grazie a Rita per le sue osservazioni generose e puntuali. Sì, è vero corre l’obbligo di “pensare a qualche cosa che fuoriesca dalla solita denuncia”. Cioè corre l’obbligo di pensare alla politica, ad un’altra politica. Lo spettacolo di quella odierna è semplicemente ributtante.
    Grazie anche a Giulia che mi legge con partecipe ammirazione. Qualche volta, però, potrebbe anche rivolgermi delle annotazioni appuntite e malevoli. Non abbia timore. Le lodi continue potrebbero anche suonare imbarazzanti. Ancora grazie, comunque.
    Infine, volevo dire che in questo testo-fiume mi sono ispirato a certi quadri di Pieter Bruegel: cronaca precisa e dettagliata e aderenza quasi “corporale” ai flutti-eventi versificati.

  4. …Mi piace molto questa narrazione poetica di Donato Salzaruolo, a tratti concitata, come per descrivere la veglia nei confronti di una persona cara: il fiume malato. Ma ancor di più mi sembra essere la descrizione di un nemico minaccioso che, con la sua acqua (“questa massa/ schiumosa, maleodorante e fangosa”) trasformata in un’armata vendicativa(?) é capace di invadere, circondare, distruggere strade, villaggi, abitazioni, scuole…E allora si scrutano le mosse del nemico “il cielo s’é fatto di pece” e si cerca di prevenirlo e contrastarlo…Come attraverso postazioni radio militari si susseguono concitatti bollettini di guerra: località già occupate per intero, la tragedia degli sfollati e le vittime…E i piccoli uomini che si arrabattano a salvare il salvabile…La lotta millenaria dell’uomo contro le forze scatenate della natura? O c’é un elemento in più? L’uomo nemico dell’uomo? Grazie al poeta che ci ha fatto entrare sul luogo del delitto…
    Mentre in tempi remoti il fiume e le sue rive furono prescelti come luoghi di vita e di civiltà…

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