Uno di noi

lucini 1

 Ricordo di Gianmario Lucini

di Ennio Abate

Questo è l’intervento rielaborato che ho presentato alla serata del 10 dicembre 2014 in memoria di Gianmario Lucini  svoltasi a «ChiamaMilano» in Via Laghetto 2 purtroppo alla presenza di pochissimi suoi amici.

 1.

È troppo presto per capire quanto poliedrica, contraddittoria, caparbiamente volta al futuro sia stata la vita di Gianmario Lucini. L’amicizia potrebbe travisare il giudizio. Che meno avrà tratti amicali e più sarà valido. Per parlare, infatti, di lui – uno di noi – è necessaria non meno ma più distanza critica. Oggi difficile. Perché – mi permetto di aggiungere – siamo tutti un po’ storditi. Non solo per la sua improvvisa morte, ma dalla difficoltà di affrontare il declino di questa Italia. E forse il lutto per la sua morte e lo sgomento per la crisi sono in relazione tra loro. Per scuoterci, potremmo rileggere i suoi libri di poesia, forse accostati finora frettolosamente, raccogliere i segni lasciati da Gianmario tra i tanti amici che, sparsi in varie città, l’hanno conosciuto e hanno collaborato con lui, ripensare il suo lavoro di critico e di editore “scalzo”.

 2.

Alla notizia della sua morte ho scritto: «Gli furono cari i poeti ancor più della poesia/ e queste nostre piante nate storte raddrizzò/ e tutte incoraggiando ospitò nel suo giardino/ perché sgrovigliassero piano virtù da miserie.// Anche per lui essendo gli uomini esseri mirabili». Gianmario, infatti, ha cercato i suoi interlocutori tra i poeti. Ad essi ha indirizzato il suo discorso e gli sforzi della sua casa editrice. Senza illudersi. Aveva chiaro che l’intellettualità di massa odierna (e in essa i poeti) è appesantita da ambivalenze, vuoti di memoria, presunzioni a volte meschine, violenti egocentrismi. Ma perseguiva il suo progetto aggiustandolo e precisandolo anno dopo anno, non senza affanni e delusioni. Ora viaggiando da solo coi suoi libri (spesso di notte) per le autostrade e le città di questa penisola con lo spirito curioso e determinato di un antico chierico vagante. Ora intrecciando la sua passione e la sua intelligenza a quelle di altri che le condividevano. Si è mosso su più fronti: dalla poesia alla critica all’attività editoriale alla organizzazione di possibili gruppi di discussione. Mai esitando a passare dalla riflessione poetico-politico-teorica perfino raffinata alla bassa manovalanza. Il suo discorso e la sua febbrile attività possono apparire o essere a volte sfrangiati, troppo immediati e ansiosi (quante volte avvertiva che scriveva in fretta quel suo intervento, perché non aveva tempo per rivedere o rifinire e subito dopo doveva passare al “lavoro per la pagnotta” che incombeva…). Ma andavano nell’unica direzione a cui possono mirare quelli che, preso atto della chiusura corporativa delle Istituzioni, tentano- come lui ha fatto – di costruire altrove le fondamenta per qualcosa di vero, giusto e onesto in poesia, nella critica, nell’editoria, nell’organizzazione della riflessione collettiva. Così, instancabile e più solo di quanto si possa pensare, Gianmario, si è speso nella costruzione di un altro possibile noi: non retorico, non partitico, non salottiero, non corporativo, non arrogante. Fosse pure quel noi minimo, assemblato e provvisorio, che s’intravvedenelle antologie su temi d’attualità, come l’ultima, Keffyeh. E discutendo con   decine e decine di interlocutori. Da seguire, da convincere, da bloccare se troppo capricciosi e presuntuosi, da spingere a cooperare in quella o quell’altra delle iniziative che fervidamente e infaticabilmente sapeva inventare e proporre.

 4.

Ora questo suo discorso – intrecciatosi con altri condotti in varie città da suoi amici e amiche, poeti e poetesse, ma anche con quello di «Poliscritture», di cui Gianmario era diventato da poco editore (assumendosi – sempre umilmente e pragmaticamente – l’opera d’impaginazione: i numeri 9 e 10 sono stati graficamente realizzati da lui) – è rimasto in sospeso. Come non farlo morire? Come non far morire CFR, che è stata non solo la vetrina di una fetta interessante della ricerca poetica italiana, ma, negli intenti più segreti di Gianmario, doveva diventare un altro luogo di possibile incontro tra intelligenze di varia provenienza e formazione, comunque tra le più sensibili ai problemi di questo Paese disfatto ma anche ai conflitti mondiali, che l’Italia dal 1990 in poi contribuisce ad alimentare più che a spegnere?

 5.

Per quel che mi riguarda, come ho già scritto, tenterò di tener viva la memoria di Gianmario Lucini ripigliando in mano i suoi libri. Per riannodare da solo alcuni fili che ci eravamo ripromessi di tessere insieme. E accennerò a tre di essi, perché rivelano questioni irrisolte che stanno alla base anche dello stordimento cui accennavo all’inizio. Gli avevo prestato Non c’è più religione di Michele Ranchetti; e speravo di confrontarmi con lui su questo libro di radicale revisione del cattolicesimo e misurare quanto ancora sia viva o recuperabile l’eredità cristiana in questo mondo sconvolto. C’era la figura di Fortini, punto d’incrocio per qualche generazione proprio tra cristianesimo e marxismo che si stava stagliando come oggetto di confronto tra il suo e il mio percorso, in alcuni punti simili, in altri no. C’era il dibattito, intenso e ricchissimo, anche per gli interventi di altri interlocutori, sulla poesia e la critica da fare oggi in un’epoca mutata (e l’implicito confronto tra la sua idea di poesia etica e la mia ipotesi di poesia esodante).

 6.

Non entro qui nel merito del pensiero che Gianmario ha sviluppato in 12 raccolte di poesie, in saggi critici, in interventi sui blog o per posta elettronica, nei premi che ha organizzato e nelle stesse scelte con cui ha composto l’attuale catalogo di CFR. Ma qualcosa voglio dire. Nel 2012 Gianmario, Roberto Bertoldo ed io facemmo un interessante esperimento di lettura e critica reciproca di tre nostre raccolte di poesia («Il disgusto», «Pergamena dei ribelli», «Immigratorio»). Fu in quell’occasione che Bertoldo definì Gianmario «un cantore senza fronzoli». E, infatti, il suo linguaggio poetico è prossimo a un parlato quotidiano, politicizzato e meditato, che  intrattiene un forte legame con la cronaca e i drammi della storia. E però, contemporaneamente, Gianmario non ha rinunciato all’elegia, al distanziamento pacato e sapienziale. La denuncia morale e politica dei suoi versi è frenata ed equilibrata sempre da un’allusione tenera e accondiscendente a un “silenzio” ovattato che “esilia dal mondo”. Ho creduto di ritrovare in questo suo atteggiamento di fondo l’eco secolare delle lotte sorte dall’antico sogno evangelico della “Chiesa povera” che ha attraversato la storia italiana ed europea. E che sia stato tale sogno a spingerlo a contrastare in poesia l’estetismo e il formalismo o «la poesia delle parole» per privilegiare, come ha scritto, i temi.[1] Come pure a tentare di stringere poesia e vita.[2] O a vedere la “povertà” (concetto che egli, in cerca di una razionalità diversa, articolava in modi laici) come “sinonimo di giustizia, ma anche di libertà” o “equo scambio col mondo»[3]. O ad inoltrarsi sul sentiero, per me ambiguo, della fine delle ideologie[4]. O a mettere «fuori dalla razionalità» l’economia e il potere moderno, sottovalutando (sempre secondo me) che c’è una razionalità (strumentale) dell’economia e del potere che funziona e tiene in scacco le potenzialità razionali (e diciamo pure di possibile felicità o maggiore felicità) di milioni di uomini e donne. A lui che, preoccupato del «disastro ecologico» e dei danni venuti dal predominio della «religione della tecnica», si spingeva a teorizzare una «lotta per una reciprocità del potere e per l’innocenza del potere» dai tratti utopici, non ho nascosto perplessità e critiche. E tuttavia, malgrado i punti di attrito, non sono mai restato indifferente a questo suo sogno cosi fortemente   ancorato nell’umanesimo cristiano, che egli proiettava a livello universale e planetario (nell’eco, penso, del suo amato Turoldo e anche di Ernesto Balducci).  Gli avevo detto che questi suoi pensieri erano per me come un risentire il suono di una campana ma purtroppo non più in un paesaggio contadino o in apparenza ancora contadino che permettesse di alimentare anche quel bisogno di verità e giustizia cristiana. E che io sentivo e guardavo tutto ciò solo con amarezza. Come chi da lì è venuto e lo ha visto scomparire dallo specchietto retrovisore dell’auto, costretto come tanti ad imboccare una delle autostrade che ci hanno portato nei nostri inferni o purgatori metropolitani. Con cui dobbiamo fare i conti senza nostalgia e scoramento.

7.

Concludo. Il mio ricordo di Gianmario si fonda anche su un dato emotivo personale ed elementare che voglio rendere noto. Da quando c’incontrammo la prima volta (accadde a Milano in una iniziativa di poeti a «Quintocortile» nel giugno 2011), ho sentito subito di poter avere fiducia di quella persona che non conoscevo. E i successivi nostri momenti di collaborazione non hanno fatto che rinsaldarla questa fiducia. Anche quando abbiamo verificato l’esistenza di differenti idee e giudizi su varie questioni. Nel preparare questo scritto ho riflettuto sulla nostra amicizia e mi sono accorto che la sua figura (fantasma adesso) ha in me risonanze profonde, perché coincide almeno con due immagini che ho elaborato, ben prima di incontrarlo, in alcune mie poesie. Quella di quei «puliti miti oscuri nostri gemelli», che «ancora vanno, operosi su incerti sentieri;/e accendono luci tutto tatto nelle celle cupe della sera/dove ondula, austera, minacciosa, la biblica mela», di cui ho parlato in una poesia intitolata «L’albero»: e quella dell’«oscuro fratello» che mi accompagna in un paesaggio ostile e pieno di rischi in un’altra mia poesia:

Col suo oscuro fratello
ombra che trascina con sé per mano
tra dirupi e scogli deserti
incombenti su strade poco visibili
e abissi di periferia
che danno capogiri da grattacielo
va
in cerca di una scorciatoia.

Unico passaggio azzardato
un sentiero con cocci ben murati
su una liscia parete da attraversare.

In partenza davvero oscuri fratelli – credo – siamo stati l’uno per l’altro. Non solo perché non ci conoscevamo. Ma perché sono tornati i tempi bui. E al buio, si sa, ci si muove a tentoni e ogni tentativo di conoscersi – indispensabile premessa per cooperare – è più arduo. Eppure so che entrambi abbiamo lavorato per un reciproco riconoscimento. In altri tempi ci saremmo chiamati ‘compagni’. Ora tutti e due sapevamo che questa parola s’è consumata. E non l’abbiamo mai pronunciata. Abbiamo parlato soprattutto di dubbi, incertezze, fatiche, amarezze, sdegni impotenti di fronte a un presente caotico e orrido, che ha cancellato il senso di un’epoca e annebbiato una speranza o scommessa di cooperazione che per pochi anni sembrò ripresentarsi. Siamo stati consapevoli che quelli come noi, che i pensieri e le lotte se le devono costruire stando nei fondali bassi della società – lo aveva detto bene Brecht: Anders als die Kämpfe der Höne sine die Kämpfe der Tiefe! : Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo![5] – non possono abbandonarsi alla retorica del noi. Lo devono ricostruire. Da qui quel tono umile, pacato e persino mesto, ma paziente e tenace, dello stile e della poesia di Gianmario. Come altri isolati e minoranze che operano oggi in mezzo alla barbarie che c’impongono dai pulpiti dei mass media, egli ha dovuto proseguire, quasi invisibile, il suo lavoro per ricostruire – virtuali e reali – dei luoghi d’interrogazione e di ricerca. Teniamolo presente.

Note

[1] « Non parlo di stile, di verso, di estetica, di prosodia, di linguaggio, ma esplicitamente di temi, di ribellione, di lotta dell’umano contro il disumano (che non è lotta politica e neppure civile, ma lotta culturale, per un’antropologia».

[2] «La poesia non deve preoccuparsi della letteratura, ma della vita. La letteratura viene dopo, non prima.  La critica non deve dire se la poesia è letteratura, ma se la poesia è vita».

[3] «Tanto devi dare tanto ricevere: non puoi avere più di quello che ti serve, perché impoverisci il mondo e dissipi il mondo”».

[4] «Non ci servono più le vecchie categorie di giudizio: cristiano o laico o altro: ci servono idee diverse, perché queste categorie non sanno più interpretare la direzione della storia che, se vogliamo aprire gli occhi, corre con velocità vertiginosa verso un abisso di caos».

[5] Dal frammento La bottega del fornaio.

15 pensieri su “Uno di noi

  1. grazie Ennio per questo ricordo di una persona che ho conosciuto solo indirettamente ma che sentivo di stimare per la sua profonda onest°, la stessa onestà che ravviso sempre dietro ogni tua poesia o intervento.

    Io so che egli vive ancora e non solo nella nostra memoria.

  2. Ciao Ennio, hai ragione fin dall’apertura, io sono una delle tante assenti. Non c’è giustificazione alcuna, nemmeno quella di una scelta non scelta che a un certo punto, quando t’ arriva addosso come un frontale, ti tiene lontana da ogni forma “gruppo”, soprattutto da quando non percepisci più se esserne parte o estranea e soprattutto laddove quel noi è giustamente, come nel caso di Gianmario, realizzato nel mondo dei poeti. Questo significa anche che contavo “comodamente”, da lettrice, in un tuo puntuale resoconto come quelli letti su Fortini e altri autori e momenti.

    Il tuo ritratto di Gianmario, che considero fra noi nella carne dei suoi pensieri come meglio accennato da Paraboschi, è talmente vero, reale, vicino, da farmi toccare come se fossi una gamba o un collo di signorina Poesia e in particolare delle raccolte di questa signora nelle mani , manovali e intellettuali, dei libri di Gianmario compres i quelli di critica, anche loro indimenticabili e sempre a fianco, due in particolare, quello di Gianmario e la sua Ipotesi della nascita della poesia insieme al Mantello dell’eretico che, prendendo spunto dal racconto del piu famoso Brecht, è di Giuseppe Panella , peraltro nota di colore, una bella apertura di quaderni di poièin visto che è il n.1


    forse manca solo una pennellata al tuo ritratto, ma lo dico giusto perché ami più il contradditorio che certe lusinghe, che invece meriti tutte solo per un fatto: l’ampia gamma di generi intellettuali tanto diversi da te con cui desideri incessantemente confrontarti (preciso che non è il caso di Gianmario, e preciso anche che sicuramente da parte mia la mancanza accademica e non solo , di allenamento all’ascolto di generi diversi, m’impedisce di voler andare a fondo nel confronto con “teste” che hanno occhi sulla realtà per me foderati e rifoderati di prosciutto d’acciaio) …arrivo alla pennelata mancante, che è quella che forse per lo spirito di Gianmario sarebbe attesa o invece prematura, o ancora e ancora da ponderare? chi sta raccogliendo la sua eredità ? cioè come si sta riorganizzando CFR per proseguire il sogno reale di Gianmario?

    un caro saluto a te e a tutte/i

  3. Tremando di commozione, ho letto, apprezzato e quasi totalmente condiviso queste appassionate, sincere parole in ricordo di Gianmario Lucini che Ennio Abate, magistralmente, con rara sapienza del cuore e della ragione, da “oscuro fratello”, ha voluto scrivere. Condivido “quasi” totalmente. Dissento infatti soltanto dall’incipit: “E’ troppo presto per capire…” che tradisce l’ingiustificata fiducia nel tempo avvenire propria delle religioni-ideologie di matrice giudaica-cristiana-marxista… ma in verità, carissimo Ennio, non è mai né “troppo presto” né “troppo tardi”. E’ sempre buono infatti per gli uomini il tempo della comprensione e della fratellanza. Il mio saluto più caro.
    Paolo

    1. Niente da aggiungere . Grazie Ennio.
      AVVISO:
      Stasera a Menaggio alle ore 21.00 C/o la Scuola Primaria via Lusardi, dove Gianmario avrebbe dovuto incontrarsi con Giorgio Terragni per parlare della pace in occasione del centenario della Grande Guerra, ci saremo ugualmente a leggere poesie dal libro Keffiyeh.
      Un modo per ricordare insieme il costruttore di pace, per ringraziare l’uomo sensibile dal cuore grande, dalla parola sincera, l’amico, il poeta , il critico, l’editore.

  4. Gianmario valeva – e tanto – dal punto di vista umano , quello che più conta per me e per(credo) quanti l’hanno conosciuto non superficialmente . Sparita la sua positività (“Se ci abbandona anche l’utopia siamo fregati” ) rimane di lui questa sua energia cocciuta che ha prodotto il bene che sappiamo e che non dimenticheremo .
    Grazie ad Ennio per quanto ci dice .

  5. Grazie a Ennio per questo toccante intervento che vale più di una testimonianza per quello che Gianmario Lucini fu, e continuerà ad essere nel ricordo di chi ebbe modo di conoscerlo più o meno direttamente.
    Grazie, perché va a toccare proprio quel ‘noi’ per cui Lucini operò e si prodigò, ma anche quel ‘noi’ che ci vede tutt’ora incerti e ‘oscuri fratelli’ a continuare la nostra difficile strada di ricerca.

    R.S.

  6. …mi trovo piuttosto lontano da Milano, tuttavia mi scuso per la mia assenza del 10 dicembre all’incontro in memoria di Gianmario Lucini e ringrazio Ennio per questa sua testimonianza di amicizia tra due persone: un rapporto “dialettico”, di reciproco movimento, e di profonda stima a fronte di una situazione di grande emergenza. Nello scritto si delinea la figura di un uomo generoso ed instancabile, Gianmario, teso a unire “un gruppo” di persone buone che, per quanto diverse o proprio per questo, possano offrire uno spiraglio di luce e di speranza nell’abisso in cui siamo precipitati…forse “il fratello oscuro” che non si vuole lasciare indietro, ma si prende per mano. La scomparsa improvvisa di Gianmario Lucini e quindi la sua lontananza ha generato, come spesso succede, una intensa vicinanza con la persona…

  7. Confesso di non essere stato lettore delle sue poesie: solo occasionale… e prudente come lo sono sempre quando leggo poeti di intenso contenuto. Non so se la poesia debba occuparsi della vita in primis e della letteratura poi, perché non sono certo che si stia parlando della vita nella sua interezza e nei suoi infiniti aspetti oppure soltanto di una parte, quella relativa alla polis; dal che i fatti passano al vaglio della propria ideologia, dei propri convincimenti, e infine è con questi che si cerca di ottenere dialogo e confronto. Ne emerge la personalità, e tra poeti “simili” il confronto tra le loro personalità. Dire che questa è vita mi sembra azzardato. Se è vita è passata al vaglio del giudizio, e altrettanto si può dire se intendiamo la poesia come vita. Sono certo che Lucini avrà detto tutto quel che poteva nei suoi numerosi libri, di sé dell’altro e di quel che accade, e mi aspetto di trovare qui e in altri luoghi sulla rete molte sue poesie (ovviamente comincerò dai libri): per capire e conoscere meglio perché, come ho accennato, i poeti di contenuto secondo me hanno bisogno di tempo per essere apprezzati a fondo. Sembra un paradosso: ma come, se uno parla chiaro lo si dovrebbe capire all’istante! e invece non è così, invece la faccenda a me pare assai più complessa. Bisogna passare dalle sentenze, dai giudizi, dal fervido lavorio della sua mente; poi aprirsi al cuore, alla sensibilità provocata dalla letteratura, che certo può anche arrivare poi ma non è meno importante. Chi l’ha conosciuto a fondo e chi l’abbia già compreso rimprovererà questa mia incertezza, che è iniziale: ho avuto poche occasioni di comunicare con lui, in qualche mail ho avvertito la sua umanità e ho apprezzato quel modo suo di essere diretto e parlar chiaro. Ho sentito la sua propensione spontanea alla solidarietà e la porta aperta che aveva verso l’amicizia con i poeti. Con loro si fa prima, non servono tanti complimenti, ci si conosce. E capisco Ennio che l’abbia a cuore, le loro modalità umane e intellettuali non mi sembrano distanti: pari nell’intensità del percorrimento anche se per altri aspetti divergenti. Comunque compagni di strada e di poesia.

  8. Muoversi, come fa Ennio in questo bel ricordo, sul doppio binario della emotività o della sensibilità personale e quella della contingenza è un’impresa niente affatto semplice. Ed è difficile per davvero ‘digerire’ la morte di una persona cara come Gianmario Lucini, per cui sentirsi ‘sconcertati’ (perché la morte sconcerta), o dire di aver bisogno di tempo e che «è troppo presto per capire», è il minimo che si possa proferire o provare.
    Trovo molto bello e appropriato il titolo “Uno di noi” per Gianmario. Io stessa che ho avuto la fortuna e il piacere di fare la sua conoscenza, ho potuto constatare di persona la coerenza dell’uomo e apprezzarne la figura e il pensiero.
    La sua battaglia etica era la scommessa sulla quale puntava come editore e come poeta. L’ha proclamata anche l’ultima volta che ci siamo incontrati (sabato 17 ottobre). Alla presentazione del libro eravamo (ed è vergognoso anche solo ricordarlo) non più di dieci persone, noi poeti inclusi. Quando introdusse la serata, parlò con una intensità tale che ci immerse letteralmente tutti per un tempo lunghissimo. Ricordo il piacere che provai nell’ascoltarlo, tant’è che rimasi lì, con il quaderno e la penna tra le mani senza nessuna voglia di scrivere, perché non volevo perdermi nemmeno per un solo istante il calore che sprigionavano le sue parole.
    Gianmario oggi non può né deve essere un ricordo. Editori come lui non ce ne sono nel panorama italiano, perché egli era unico. Per questo occorre difendere la sua idea e CFR con essa.
    Intanto, un modo giusto sarebbe comprare i suoi libri.

  9. @ ro

    « chi sta raccogliendo la sua eredità ? cioè come si sta riorganizzando CFR per proseguire il sogno reale di Gianmario? »

    Con Marina Marchiori, la moglie di Gianmario, e alcuni amici si sta cercando di rispondere alla domanda che ho sempre tenuto presente scrivendo questo ritratto: « Come non far morire CFR…?». Non è facile. Bisogna avere un quadro completo delle iniziative in cantiere, della rete di relazioni di CFR e della situazione economica. E c’è bisogno di tempo. Molti dati mancano. Presto uscirà un comunicato stampa in proposito.

    @ Paolo Ottaviani

    Beh, se «il tempo avvenire» è fuori gioco vuol dire che non solo è sbagliato il mio incipit («È troppo presto per capire quanto poliedrica, contraddittoria, caparbiamente volta al futuro sia stata la vita di Gianmario Lucini», ma anche la mia lettura della sua vita e del suo lavoro, che a me è sembrata proprio segnata da una « fiducia nel tempo avvenire propria delle religioni-ideologie di matrice giudaica-cristiana». (Escluderei che il marxismo vada tutto ridotto a religione-ideologia e che Gianmario se ne sia veramente interessato). Altra questione è se sia possibile quello che tu chiami « il tempo della comprensione e della fratellanza» al di fuori della visione lineare del tempo di matrice cristiana. La “fratellanza” non mi pare si trovi “in natura”. ( Non a caso forse ho dovuto parlare di «oscuri fratelli»). Resta purtroppo in sospeso per cause esterne alla mia volontà l’approfondimento che mi ripropettevo di fare con te su Timpanaro, ecc. Speriamo che… ci sia tempo (in futuro!) per farlo…

    @ Annamaria Locatelli

    Credo proprio che Gianmario non fosse «teso a unire “un gruppo” di persone buone»! Non ce ne sono di persone tutte e solo buone. Quelle che si trovano in giro, noi compresi, sono un composto rimescolato di cose buone e cattive. Proprio come i poeti, di cui Gianmario ( e pure io, tu, altri) conosceva bene «ambivalenze, vuoti di memoria, presunzioni a volte meschine, violenti egocentrismi». Al massimo voleva unire attorno ad un progetto persone «di buona volontà»…

    @ mayoor

    Annosa questione che ci divide questa distinzione che fai tra i cosiddetti «poeti di contenuto» e…(Lascio a te la definizione dell’altro polo: poeti e basta? poeti formalisti? poeti “di letteratura” o manieristi? poeti “di vita”? altro?). Che è poi sotto sotto distinzione tra quelli che « i fatti passano al vaglio della propria ideologia, dei propri convincimenti» e rimarrebbero sempre intrappolati «dalle sentenze, dai giudizi, dal fervido lavorio della [loro] mente» e gli altri che ( miracolosamente?) sfuggirebbero a questi dannosissimi occhiali o aggirerebbero il vetro che separa il vedente dal veduto. Speriamo comunque di essere lo stesso anche noi due «oscuri fratelli» se non (più) «compagni»!

    @ Giuseppina Di Leo

    « Intanto, un modo giusto sarebbe comprare i suoi libri».

    Specie sotto le feste di fine d’anno. Ne approfitto per dire che il catalogo dei libri delle edizioni CFR è visibile sul sito omonimo (http://www.edizionicfr.it/) e che si possono acquistare rivolgendosi ai recapiti indicati che restano validi:
    info@edizionicfr.it
    tel/fax 0342.050327
    Cell. 3381731774

    1. Caro Ennio, penso che tra vedente e veduto ci sia un terzo incomodo. O per meglio dire ci sia l’ignoto da cui provengono, nel nostro caso, le parole. Che sia l’inconscio, individuale o collettivo, dio in persona, o che sia tutta colpa del vento sulla Terra o delle nostre tribolazioni, ciascuno dirà come preferisce. Certo è che accade con grazia che si riordina prendendo forma. Ma è giusto che l’io si ponga davanti all’ignoto per capire e poter fare le sue battaglie. Per me vale la formula: più do spazio all’io meno ne darò all’ignoto. E lo stesso vale per il Noi, non fosse che si tratta di un problema di pura necessità (sociale e affettiva). So anche che il dialogo con Lucini non si ferma qui. Quel che a noi viene a mancare, mi sembra, è l’esperienza e la voce saggia che aiuta considerare tutte le cose. Questa è anche la ragione per la quale ti seguo da anni leggendo quel che scrivi quotidianamente. Nell’amicizia può esserci disaccordo ma prevale la gratitudine.

  10. Tralascio, caro Ennio, di replicare alle tue puntualizzazioni su fiducia e futuro… ti ribadisco solo che la “fratellanza”, oscura o chiara, rara o frequente, consapevole o istintiva che sia, si trova anch’essa in Natura, almeno così come essa è stata concepita sulla linea “Democrito-Lucrezio-Telesio-Bruno-Galilei-Leopardi” di cui ti avevo detto che avrei scritto qualcosa. Finora però non ci sono riuscito. Continuo a rimestare. E così alla linea si è aggiunto Stephen Hawking… e già mi sembra meraviglioso aver individuato questo coerente pensiero plurimillenario… per il resto chi vivrà vedrà! Il mio saluto più caro.
    Paolo

  11. …si’ certo, Ennio, mi sono espressa male, volevo proprio riferirmi a persone “di buona volontà”, condizione già assai difficile da raggiungere quando “il fratello oscuro” vive in ciascuno di noi, apportatore di limiti ma,spero, anche di umanità. Cio’ che mi spaventa nella situazione di oggi è la malvagità unita alla follia, non “il fratello oscuro” ma l’antiuomo…

  12. COMUNICATO CFR

    Vogliamo assicurare i poeti, i critici, i traduttori e gli amici e le amiche del nostro Gianmario Lucini che in vario modo sono stati in questi anni coinvolti nelle molteplici attività delle Edizioni CFR che a partire dal gennaio 2015 esse riprenderanno a pieno ritmo.
    Ci scusiamo anche di alcuni ritardi e disfunzioni verificatesi subito dopo la sua improvvisa morte, derivati esclusivamente dalla necessità di avere un quadro preciso dei lavori che Gianmario aveva in cantiere e di capire le giuste procedure per continuarli.
    Segnaliamo inoltre che i tradizionali recapiti di CFR saranno nuovamente attivi e funzionanti dal 7 gennaio 2015. Per comunicazioni urgenti si può scrivere a Marina Marchiori: norminiax@gmail.com

    Marina Marchiori
    Ennio Abate
    Alberto Accorsi
    Fabrizio Bianchi
    Donato Di Poce
    Enzo Giarmoleo
    Fiammetta Giugni

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