Poesie da “Alias”

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di Alberto Tomiolo

ALIAS

Ὀδυσσεύς figlio di Laerte, mentitore all’invito virile dei principi Achei, tanto per
cominciare / Ὀδυσσεύς astuto ma non quanto occorre per sconfiggere la scaltrezza
avveduta di Palamede nella prova incresciosa dei campi, dell’aratro e del sale /
Ὀδυσσεύς l’agricola, viaggiatore suo malgrado, sballottato e trasferito non dalla
volontà ma dalla fortuna / Ὀδυσσεύς dieci anni di fortuna scalognata / che se la vede
brutta nella spelonca di un monocolo con il mondo che gli rotola addosso senza
metafore stavolta… / Ὀδυσσεύς appagato dall’anfora incapace di convincere Eolo un
dio di seconda fila / Ὀδυσσεύς concubino consenziente, come un maiale di Circe /
Ὀδυσσεύς forse occasionalmente innamorato di una lieve ragazza di certo di lui
teneramente innamorata / e per ciò stesso vincitore / che gusto c’è? / Ὀδυσσεύς che
sfida le malìe dei canti seducenti ma del canto si mutila / intemerato se si tratta di
imbracciare l’arco con cui trapassa lietamente i robusti cinghiali / ma soprattutto i
ribaldi Proci arroganti / Ulisse, alla buon’ora, che riabilita Ὀδυσσεύς pilotando una
nave a sfidare la montagna / del sapere? / del miele? / del nulla? / ma gli va male
perché la natura dell’uomo del solco è inerme di fronte alle onde del mare / se queste
poi sono tremende quale mano di dio può trarlo dalle spirali stordenti dei gorghi? /
finchè dopo tanto trasmigrare da un poema epico all’altro deve attendere il 16 giugno
del 1904 / riemergendo nella modernità trafelato con le mappe stradali di Dublino /
Ulysses bel flâneur bellimbusto turistico-esistenziale / anestetizzato dall’accademia,
direi per celia, con laurea honoris causa al Trinity College / senza aggiungere nulla

riposa in pace
Ὀδυσσεύς Ulisse Ulysses
grande imbonitore dei manuali di tutte le letterature
equivoco nobilitato di inestinguibili mitologie
nostro esemplare contemporaneo

PELLEGRINO SENZA SEPOLCRI

In lode di Giovanbattista Cavalcaselle

all’occorrenza addestrato all’oceano alle sue onde fiorite
come i capolini delle tife che imperiose designano gli orizzonti
nelle nostre Grandi Valli non meno marine
nei banchi densi di vapori di streghe benigne non ancora disseccati
dai signori avvilenti dei traffici e degli asfalti mortali

stretto alla bisaccia ricolma di oro azzurropaglierino1
provvisione fedele e propizia del viandante
affidato al bordone e alle carrozze
del continente e del suo peninsulare Verziere
hai svelato le infinite isole del tesoro di questa landa che
voi uomini degni pensavate ancora possibile Giardino d’Europa

hai sempre saputo che nella sosta è la prova più ardua del viaggio
e proprio nello sfinimento che vorrebbe la quiete e il respiro tranquillo
si impone il resoconto duro improrogabile
che tu pellegrino senza santi sepolcri hai tramandato con la cura pietosa
che riporta alla sua terra la traccia emancipata di primati
così faticosamente evoluti
le forme composte a significare l’alto mistero che si confessa
la parola fluida della filosofia, l’ancella,
quell’esser lì pulito e prezioso, quel volo che non aspetta stagioni propizie
alato e ricolmo dei vibranti segni messaggeri
di quanto l’uomo può

se vuole
se desidera rettamente

1) Il colore della carta dei proverbiali taccuini di viaggio di Cavalcaselle.

[addenda]

p. 2) PELLEGRINO SENZA SEPOLCRI

Giovan Battista Cavalcaselle, uno dei più acuti ed impegnati storici dell’arte italiana dell’Ottocento, nativo di Legnago nelle «Grandi Valli» [v. 3] della pianura veronese. Combattente per la Repubblica Romana del 1848 e successivamente, dopo l’unificazione, responsabile dell’organizzazione dei musei nazionali, ha percorso, letteralmente “per terra e per mare”, l’intero continente europeo senza tuttavia trascurare la “perlustrazione” minuziosa delle più appartate località del nostro Paese alla scoperta delle tradizioni figurative locali di cui ha saputo valorizzare autori e scuole reputati “secondari”. Ha lasciato una documentazione preziosa, episodio unico nella nostra storia dell’arte, ricopiando e commentando con una finissima traduzione grafica nel suo Reiseblatt le opere dei maestri italiani disseminate nei principali musei d’Europa.

IL DESTINO DEL MERIDIANO

tutte, o molte almeno, le abbiamo tentate,
e non solo per lo scambio del sale,
le rotte garantite dei marinai e le scie generose
indirizzati, per tramandata sapienza teologale
ed appurate garanzie di celebrati portolani,
alla volta di arcipelaghi ospitali e
di promontori severi a vedersi ma argine
poderoso al fervore irruente delle perturbazioni
per acquietare i naviganti in baie di profumi e di armonie

ed invece eccoci qui
affiliati al disinganno dei suoni e degli odori
obbligati al destino del meridiano,
a veleggiare puntando l’abbaglio degli orizzonti
accecati da un navigare incessante,
mimando l’eterno andare delle mitologie,
per finire riannodati, mestamente, al traguardo d’avvio
la meta sterile dei poli
neanche si trattasse della buccia di un’arancia, spellata
in rifilo, che molle si affloscia
neanche fosse la sorte dei nostri giorni
impigliati nella rotonda bonaccia dell’anima

NELLE CITTÀ DELLA CAPITALE

So also sieht, aufgeschwollen zur Metropole,
Der Ort aus
D. GRÜNBEIN, Arkadien für alle, vv.8-91

 

sii pronto a molte carrozze per viaggiare questa città
accerta la carena utile di molte barche
e quando scendi a terra ricorda di togliere la sabbia dalla pianta dei piedi
poiché ti potrebbe accompagnare
fastidiosa
in questo slargo prosciugato di mare settentrionale
che sembra ancora, a prima vista,
lo spianarsi finemente inerbato di un deserto2

non credere del tutto alla storia narrata
di questa ripetuta capitale
non farti impressionare dall’improvvisa apparizione di qualche castello:
viali porti e officine si assomigliano,
in apparenza, ma non si conoscono
giacciono in larghe contrade differenti

ci hanno messo un po’ di secoli
prima di ammettere, appena sull’altra riva di un fiume di paludi,
capanne simili ma non uguali

e il timore preoccupato dei boschi,
prima che un imperativo urbano li tramutasse in parchi,
ha vietato a lungo borgo a borgo

rimestata più volte nel Novecento della Rosa non colta e
del bruno funesto fuoco purificatore sordamente conclamato
ha eretto l’accanimento testardo di radici conficcate nella roccia mobile
delle sue querce e, in ultimo, delle armi delle morti e del cemento spinato
per rimuovere la compresenza dei municipi e dei distretti
ma ora, fine della storia, è, o almeno appare, crocevia degli accessi liberali
capitale trionfante nella tregua sospetta degli universi

1) Così è dunque il luogo, / gonfiatosi a metropoli.
2) Strofe costruita con rimandi “dettti” dalla composizione sabbiosa del terreno su cui furono edificate le differenti città conglobate a costituire in progressive aggregazioni la “grande Berlino”, della riorganizzazione amministrativa della prima metà del secolo scorso fino, ovviamente, alla definitiva “grande aggregazione” seguita alla riunificazione del cemento spinato del 1990.

QUI DESIGNATO

proprio qui sotto
le fiere Alpi si arrendono appiedate alla vastità stupita di orizzonti
della pianura nel refrigerio dell’estrema unzione di acque emancipate
dal torrente finalmente fluviale, ammesso alle distese argillose

l’oleandro e l’alloro, gli ulivi testardi musicati di cicale
in basso innervano la balconata e devono solo alla terra di qui,
addestrata di roccia, il fulgore intransigente d’alluminio
e persino la rucola ripristina l’antica provenienza di spontaneo vivente
mentre ormai la corolla bianca del fior di cappero già così prorompente
ha ceduto generosa al frutto verde turgidissimo

finalmente sgombre di suoni sguaiati e di luci artificiali
le vecchie pietre della scena romana spalancano il chiarore orientale
invano ostacolato dalla vigilanza verticale dei cipressi

da qui riepilogo ogni giorno, in antologia, la città d’arte esemplare
soffrendola potenziale,
bellissima,
cui Iside1 madre di rugiada
fatalmente
poteva deputare le sue are rosate che i secoli indulgenti
copiosi hanno levigato e ancora corrugano nobilmente fregiate
per lo stupore di occhi stranieri protesi in visione meravigliata.

Estraneo ancora al buio senza timbro della terra
in questo lascito familiare signorilmente coattivo,
posso farcela a predispormi all’ombra eterna inodore
mantenendo il respiro fiero oltre i tetti di questa città
alla quale incolpevole sono stato designato?

 1) Riferimento ai resti di un tempio di Iisde, il cui culto conobbe una diffusione considerevole nella Verona romana.

IL DUPLICE E L’UNO

nel cielo di settembre, che è il più ospitale,
gli stormi grandi dei migratori si aprono e si ricongiungono
quasi fossero instancabilmente perplessi
fra il puro volare ignaro di destinazioni ed un urgente agglutinarsi

non diversamente noi ci proviamo con voglie e con
rinunce per ricomporre il molteplice riponendo in uno
ciò che duplice nelle mani ci trascorre per poi
placarsi, in verità, nella distesa noncuranza del puro fatto di esistere

DAVANTI ALLA STELE DI HEINER MÜLLER

In memoriam

(Mi chiedo)
sapessimo mutare
trasumanar in scrittura
in ottave, diciamo, anche non ambiziosamente ludoviciane
quei tanti gesti quotidiani
i movimenti annosi cui costringe la fatalità del domestico annaspare…

quale umano poema potremmo comporre
sistemico, complice, casualmente ragguardevole
e guardia giurata – comunque – del nostro appurato Dasein?

(mi rispondo)
finché dunque
in nostalgico raccoglimento,
mentre sembrano sfilare le volute dense del sigaro1che
promesso portai dal viaggio a L’Avana,
eccezionalmente coltivo pensieri sublimi
smodati, son portato a ritenere,
alti
per mani degne pur febbrilmente protese…

in me, temo, come crudamente accadeva al gran maestro,
quotidiana roditrice l’escrescenza mangiamorte
con i suoi incisivi, garantiti Solingen, senza far prigionieri
rumina particole vitali
assegnate – così assicurava la garanzia delle scritture –
nel gran disegno della valle di lacrime
all’eccelso sacrificale appetito da santissimo sacramento
aspettando una ventilata trionfale resurrezione della carne

Dorotheenstädtische Friedhof Berlin agosto 2013

1) Sulla stele è costantemente depositato un sigaro di cui H.M. era proverbiale fumatore.

CONTROCANTO AL GATTO DI SZYMBORSKA

Maximus ignis ego,
Laura secundus erat.
A. QUARENGHI, La gatta di Petrarca

tu hai tutte le tue buone ragioni,
non è questo ciò che voglio negare
so che bisogna frugare con zelo esperto fra le molte sillogi
di tanti rapiti poeti
per avere un’elegia parimenti risoluta e gentile
alla tua attesa che esigeva le mani amorose
addestrate al tuo tepore

ma voi, invece, non siete tenuti?

dimmi cosa io dovrei dire
qui, ora, mentre vanamente ispeziono i cantucci più astrusi della
sala da pranzo con la nuova tappezzeria già tracciata di graffiti,
le stanze spalancate a una speranza nervosa e la balaustra
della terrazza gelidamente regredita a vuoto proscenio
mentre il prediletto vaso rotondo dei narcisi poetici, dove
accovacciata come una ciambella casalina
componeva la perfezione fine d’un cerchio di compasso,
ostenta un fogliame non più pigiato a giaciglio, ora,
eretto a godere quasi con sconcerto il profumo dei gelsomini.
E la poltrona, poi,
e il piano ospitale della mia scrivania che dovevo spartire
……………………………………………………………

attendo io, ora, la frusciante melodia del passo curioso regale
annunciato dalle vibrazioni di quell’armonico diaframma,
la coda arricciata in punta cui si deve, noi uomini lo dobbiamo
riconoscere, il segno interpuntivo dell’interrogare…
la tenera pretesa di un diritto non trattabile di accoglienza,
qualunque ora o circostanza il giorno segnasse –
sebbene, in ogni caso, fosse il mattino a donarla radiosa
vibrante di impazienza

anch’io dunque avrei le mie ragioni di gatto
“con un uomo così non si fa”

 [addenda]

p.32) CONTROCANTO AL GATTO DI SZYMBOLSKA

Il rimando è al testo di Wislava Szymborska Il gatto in un appartamento vuoto (in La fine e l’inizio, Scheiwiller, 2009).

GLOSSA ALL’ANNO GRANDE E MATEMATICO

A struggle to transcend
The thought of dying…
P. LARKIN, The Building, vv.60-61

Concedo la rassicurazione palliativa,
che non insinuerò fraudolento esercizio lessicale,
di altisonanti parole universali
tipo Aldilà e poi Spirito e Anima e naturalmente Eternità
e persino l’inoppugnabile Mistero-della-Fede
fruttiferi germogli di scolastica curiale
che nutrono i tramandati florilegi
e commuovono i sermoni altrimenti sterili –
parole tutte da verificare, intendiamoci,

…………………………………………………………..

e a nostra volta, tuttavia,
senza riserve di buon senso con la sostanza assoluta incompatibili,
solennemente
proclamiamo
prima-sine-paribus
nostra sora Morte Corporale questa sì
accertata inconfutabile
Verbo
non trattabile
cui tributiamo la nostra avìta
reclinata devozione

e non cerchiamo dunque di rimuovere questa congenita sorella
i suoi chierici fedeli
gli esseri trascorsi canterini risvegliati nel giorno canonico1
dell’anno grande e matematico…

e il caso sarebbe, piuttosto, d’andare al sodo
n o t o m i z z a r e il vivere e del morire l’accadimento
pensare alle tenere irruzioni della natura che si ridona
e alle linfe e alle fronde vigorose di aprile
che pure, sorpresi,
costernati
in autunno vediamo fatalmente rinsecchire
e lì
cogliamo la rivelazione lapalissiana, alla buon’ora,
come fummo piantati sulla Terra ad essa tuttavia somiglianti
così conglutinati ai suoi umori avariati e all’aridità
imponente delle spianure della fabbricità
ossia delle campagne dissecate dai nutrimenti scellerati
dei mastri agricoltori, domini invertiti d’officina
mandriani, un tempo, di magma vivente e trepido
quello che costruiva i monumenti maravigliosi delle gemme e
dei frutti disposti per mani felici e ghiottamente assaporati

e insomma
quale scorciatoia lenitiva sarà mai quale dolente consolazione
il turbativo immaginare una modalità del transito nella fatal quïete
del trapassare inevitabile
quanto il dolore laceri il nostro addio
e come le lacrime che pur celebrarono la gioia
si attardino increspate sui volti
quasi dovessimo intonare il canto delle mummie del dr. Ruysch
che pianamente e con la grazia di chirurghi dell’anima
già ci hanno declinato, pazienti nella docile attesa,
come tutto vada a finire r o t o l a n d o
s e r e n a m e n t e

rotolando senza bisogno del favore di un piano inclinato
“languore del sonno cortesia della morte”

1. Una lotta per trasscender / il pensiero del morire.

[addenda]

 

p. 33) GLOSSA ALL’ANNO GRANDE E MATEMATICO

Testo sostanzialmente costruito, con accenni di parafrasi che culminano nella citazione assemblata nell’ultimo verso, sull’operetta morale leopardiana Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie.

MODERNITÀ. ARIA

sapevo l’ardua discesa dalla bella Citerna
(la prima volta fu a capofitto tra i vigneti)
per irrompere alla cappella di Monterchi
offerta alla custodia di una porta con chiavistelli
ornamentali dischiusa dalla luce di Piero e del santo spirito
dove per saecula saeculorum hai accolto gli svariati
devoti delle armonie e della vita e persino della fede
ed ora boccheggi sigillata, senz’aria, nella capsula sterilizzata
degli acclamati conforti di proclamata salutistica modernità

tu che i paggi alati svelano dal sipario solenne
mentre scosti con grazia onesta nell’azzurra tessitura della veste
il Fatto Celeste
come puoi sopportare l’ordito sacrilegio, oltraggioso,
il tuo tabernacolo spogliato senza pudore
tu spodestata dal tuo camposanto
tu del camposanto ossimoro sublime
tu terra tu fattrice
che amorevole custodivi la verecondia di nuove madri
tu, dicevano scritture venerate, eburnea torre che ferma sta
profanata dall’ingordigia mortificante dei vagabondi
delle domeniche tristi
che rosica le radici, anche le più profonde,
e prosciuga la fonte salutare dove
le prossime madri immergevano l’evento sperato
e dalle pietre impensabile sgorgava un alimento vitale
ecco di nuovo, compulsivo, il vezzo mercantile della modernità
che degli umani estirpa la provenienza e snerva la corposità delle cose
e della storia espelle il magistero

tu che nutrice accoglievi, dalla porta provvidamente socchiusa
complice confidente di brezze salutari,
il frusciare dei viventi e del fogliame di vigne fedeli
i loro suoni più schietti
custodi e menestrelli
sei ora rinserrata dalle cerniere di una futile protezione
forzosamente inurbata dalla civiltà enogastronomica come
in un acquario di viventi poco più che larvali

impregnato di asettico silenzio di moquette
e di passi zittiti dove si pastorizza la bellezza e viene celebrata,
infranto il pudore nel tuo scostato azzurro, la vita guasta
di quest’altro vezzo – l’imperdonabile – della modernità

[addenda]

17) MODERNITÀ. ARIA

A proposito della controversa vicenda del vero e proprio espianto, dalla cappella storica nel cimitero di Monterchi, del mirabile affresco di Piero della Francesca La Madonna del parto per costringerlo ad una collocazione alberghiero-museale nel centro abitato della cittadina toscana, io enfatizzo qui il fatto poeticamente – e moralmente – più appariscente e deplorevole, e cioè il banale sradicamento di un’opera d’arte dalla sua matrice naturale devitalizzandone a fini consumistici storia e mitologia, fisionomia strutturale e percezione.

 

* ALIAS è uscito presso Campanotto Editore nel 2014

* La foto dello Scalone Castel S. Pietro di Verona è del maestro fotografo Pino Dal Gal

NOTA BIOGRAFICA

tomiolo foto

Alberto Tomiolo vive a Verona, dove è nato, e a Berlino. Ha compiuto l’apprendistato letterario nei gruppi e nelle riviste della neo-avanguardia dei primissimi Anni ’60 Babilu, Antipiugiù, La Rabbia, Bollettino della Galleria Ferrari, Voci Nuove, Il Pedone, ecc.) cui ha collaborato soprattutto con “liriche in forma di elegia”. Ha pubblicato un polemico
“addio alla poesia” con la trilogia A Madrid e in altre parti, Torino 1964, con
illustrazioni di Enzo Sciavolino. Si è dedicato all ‘attività di critica della cultura con interventi su quotidiani, con saggi su riviste (Nuova Corrente, Uomo Città Territorio, ecc.), con l’antologia Il materialismo storico italiano, Bologna 1969, con volumi in colla-
borazione (Gramsci un’eredità contrastata, Milano 1979), ecc. Fonda e dirige con Franco Rella la collana di filosofia Il Lavoro Critico, Verona 1972-1977. Ha curato e tradotto alcune tra le principali opere di Paul Nizan, tra cui gli Esercizi di poesia (in Anterem, n.l3, 1980). Collabora con contributi di critica teatrale alla redazione dei cataloghi del
Festival dei Due Mondi di Spoleto (1980), dello Stadt Theater di Berna (1994), della Deutsche Oper di Berlino (2000), del Maxim Gorki Theater di Berlino (2003), della Opernhaus Zurich di Zurigo (2006). Ha pubblicato una rassegna di saggi in Elogio della volpe e altri scritti, Udine
200 l, la selezione di poesie degli anni di formazione Pellegrini Condottieri,  Buenos Aires 2004 (ed. bilingue), il poemetto Strade del latte versato con prefazione di Carlo Marcello Conti, Udine 2006, II ed. 2010, la silloge Sete orizzontale di longitudini con postfazione di Miro Bini, Udine 2010.

6 pensieri su “Poesie da “Alias”

  1. scelta di testi affascinanti: la ricchezza dell’osservazione, la fluidità, quasi uno scorrere parallelo di testo e esperienza, la densità del precipitato sono le immediate considerazioni suscitate da questa parziale lettura

  2. Mentre la critica italiana se la vede con quanto offre la nostra provincia europea, peraltro nella totale indifferenza del pubblico, ecco un respiro e una visione diversi; marziani, direi, se non fossero chiaramente europei nel senso più largo del termine.
    Oltre alla poetessa Szymborska, qui più che nominata, non fosse per la sfrontatezza, fa pensare anche ad quell’altro polacco, Czesław Miłosz, e a “La mia Europa”, ma in virtù del significato che mai si smarrisce, anche in presenza del (legittimo) compiacimento che trapela tra righe. Ma tant’è, scrivere è anche divertente, mentre pare che qui tutti se ne siano scordati. Davvero complimenti.

    1. Sì sì, d’accordo, c’è poco da ridere di questi tempi. E comunque Tomiolo non manca di affondare nella sua critica sociale.

      1. Notare gli accapo che sono partiture per lettura e recitazione. E lo stile che va oltre confine perché chiaramente traducibile.

  3. …anche a me sembrano bellissime queste poesie: esistenziali, colte, ironiche…Nella prima, con un linguaggio scanzonato, si presenta il personaggio di Ulisse nelle varie tradizioni letterarie, come uomo comune: maldestro, viaggiatore per caso, scalognato, senza particolari meriti se non quella per l’arte di esistere…e in altre poesie si affaccia sempre l’amore per i viaggi di scoperta e per i viaggiatori del passato in contrasto con quelli “sterili” di oggi, come viaggi statici…e la perfezione del gatto, libero e sublime viaggiatore negli anfratti della casa. Ovviamente quello che più mi ha colpito…

  4. Ho apprezzato questo corpo a corpo con la parola, questo “respiro lungo”che non tradisce mai la sua capacità rappresentativa , non inciampa mai nel ridondante e nel retorico . Un “passista” della poesia , con lacerti , qua e là , da velocista puro .
    Ringrazio –
    leopoldo attolico

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