Canto dell’angela

angelo 2di Arnaldo Éderle

L’angela è l’essenza umana
dell’angelo, di quel mio
antico amore sparso
nel canto di Negrura, un’angela
nera che venne a visitarci
nelle nostre pianure
e nei nostri oceani d’acqua e di
terra, e lì si pose e visse
fino alla sua
morte.

Un’angela è un miracolo, milagro
le chiamano i cubani certe bimbe,
Milagros un regalo del dio cosciente,
un pegno di riconoscenza
per il nostro soffrire e la cura
che impieghiamo in quel ruolo.
Sciamano i bimbi in mezzo ai fiori
corrono nel fango e si imbrattano
i calzoncini le calze e le scarpine,
ma ridono con gli oc lupi

chi e con la bocca
rumorosi e sbracciano le manine
nella polvere della nostra vita
verso l’azzurro.
Fossimo noi tutti, oh, così gai
così dolcemente ossequiosi della pace
così vividi e fermamente sicuri
di quanto ci fa spensierati e allegri.

Angela, sei tu che insegnavi
ai cari bambini la cara allegria
che li difendevi dai lupi
e dai cinghiali della brutta esistenza
che li accoglievi tra le braccia
tremanti di terrore
distolti dai giochi della buona
natura. Eri tu, angela, che li prendevi
in custodia con la tua
fiocina e gli schinieri
da guerriero.

Oh angela, quanta bontà
e amore nella tua bellezza.
L’uomo della mia strada
con la fronte coperta di scomposti
capelli dai sandali marrone
dalla faccia sfregiata, dal camminare
lento.
Francesca e Paolo ti ricordano
Milagros, ti vedono com’eri e com’eri
ancora ti amano tabernacolo del loro
pacifico amore, essenza
della vita e del suo estendersi sopra
lunghi sforzi lamentazioni
e gracili grida di disappunto e
paura.
Il tuo dio è bianco ma ama i colori
della terra.

Milagros angela mia,
il tuo dio è bianco ma ricorda
i nostri colori: rosso azzurro
giallo bianco verde e li ama come noi
e se ne pasce come una lieta
visione all’alba sotto una pergola
di vite all’ombra delle foglie
verdi e riposa la sua grande mente
e la ristora.

Nella pace dei viventi attenti a non
sporcarla, come non fanno i maiali
che s’insozzano godono della loro
triste mistura di sporca natura
e lurido godimento e pesante come
sacco di mota pronti a sguazzarci
a imbrattarsi della sua nefandezza.
I poveri maiali sono così condannati
dalla loro ignoranza senza
alcuna speranza. Ma tanto
non sanno sperare e tanto basta.
L’angela ce li addita e dice
“Guarda, non così dovrai fare non così
sciupare gli attimi del mondo,
guarda, quella è l’attrazione dei porci
senza pelle e senza cervello.
Sono passati tanti minuti sulla
terra e nessuno mai ha barattato un
attimo di candore con la loro lordura.
Chi razzola con quella materia
rimarrà lì prigioniero.”

Ho conosciuto uomini pigri e uomini
attivi e pronti al lavoro, che piegavano
le loro forti schiene sollevando
massi e falciando giunchi forti
raspando solchi nella terra;
altri con la fronte china sui libri
a sviscerarne i misteri e imparare
come si sciolgono nodi di conoscenza
segreti della vita difficili profondi
scrigni, provvisti di ferri e
tenaglie per strappare
al mistero le sue complicazioni e la sua
scienza.
Dunque ci sono qui sulla terra concimi
buoni a fecondarla di nuova vita
a farne sgocciolare miracoli e tesori
ricchi di buone novità e di fecondi
spunti di esistenze utili e belli
come le tue guance angela mia,
diritti e incolpevoli come le tue
azioni i tuoi regali i miracoli
che hai sempre donato a questa terra,
consolazione allegria
amore.

Ma non sarete tu e le tue compagne
a ripulire i campi e gli scogli
dalle prodezze dei porci, lo so,
ci abbiamo provato anche noi,
ci siamo sfiancati nella grande cerca,
ogni tanto una briciola di fango l’abbiamo
raccolta, ma non è che una lacrima
unta sporca viscida un grave
torto appiccicato al tallone
che non si stacca dal nostro piede
come un fastidioso chewingum.

Mia angela mia buona angela
affrettati a rinascere, scegli
la maschera che credi la fiocina
che più ti piace i calzari
più sacri, ma vieni presto subito
a liberarci da questo infausto ingorgo,
ridacci la tua splendida bellezza
lasciaci baciare i tuoi piedi e posare
il capo sulle tue ginocchia
e riposare riposare.

6 pensieri su “Canto dell’angela

  1. Negrura era una dea naturale femminile, era nera come la terra (così le madonne nere) “Chi la cerca, deve cercare nel buio/ di occluse caverne/ai piedi del monte, deve cercare/sul fondo degli oceani tra/ cavallucci marini e squali bianchi”. Nei suoi occhi c’è troppa luce e troppa forza, quella che per Gianmario Lucini nella prefazione era acceso erotismo, con “qualcosa di molto antico, un erotismo quasi sublimato”.
    Ora il tono si sposta, questo dell’angela è un antico canto, narra la discesa di una incarnazione divina inviata dal dio per rinvigorire la vita “venne a visitarci/… /lì si pose e visse/fino alla sua/morte.” La missione è possibile perchè l’infanzia umana (i figli del poeta forse) rivela la bontà della creatura e della natura, di cui l’angela si fa difesa con fiocina e schinieri. La sua bontà amore e bellezza sono la verità anche per l’uomo “dalla faccia sfregiata, dal camminare/lento” perchè il dio ha voluto così il mondo, e nei suoi colori e nella sua bellezza “riposa la sua grande mente/e la ristora”.
    L’angela non trasforma gli uomini in porci con la crudeltà di Circe, ma addita loro il rischio della trasformazione. (Anche se i maiali, così mi ha raccontato una signora che li allevava, amano il pulito, siamo noi che li obblighiamo a vivere diversamente).
    La vita è buona e feconda ma richiede un lavoro coraggioso per strappare “al mistero le sue complicazioni e la sua/scienza” (nessun naturalistico progresso nella conoscenza), in questa bella riedizione della collocazione originaria dell’uomo nel suo regno naturale, il male è appannaggio dei porci nostre propaggini “un grave/torto appiccicato al tallone”, il che è idea gnostica del male, infatti il nostro sforzo e la cerca raccolgono appena lacrime di salvezza.
    E di nuovo, come in Negrura (“il suo sguardo cerca/l’uomo e il fanciullo, lo sguardo/li passa all’altezza del cuore”) il poeta, studioso della poesia cortese e stilnovista, spera nella salvezza umana attraverso le donne, nel ritorno di angela e delle sue compagne, armate come meglio crederanno, per farlo ora solo riposare sulle loro ginocchia.

  2. Cara Cristiana, la ringrazio del suo pronto e gradito commento. Ne sono molto felice
    e le auguro un’attività sempre così illuminata e così precisa. Grazie ancora. Arnaldo Ederle.

  3. Gentile Éderle, alla fine della lettura del suo poemetto, bello, struggente, evocativo – ed “invocativo” -, sospiro: “riposare riposare”, sogno imprendibile. Come, quando? Sì, nel tentativo, nel linguaggio, nella mente. Non mi azzardo ad usare plurali, perché nello sfacimento dell’oggi… ma “riposare” anche come ri-posare, posare di nuovo…
    Se mi è permesso, mi tornano – al pensiero – due poesie dal libro (1973-2009), del 2011.
    dove mai madre mia
    ti troverò in quest’alba
    infinita e inafferrabile,
    sopra il mondo riposi
    a vaste braccia, distesa
    negli spazi attoniti
    e involati e di rimbalzo
    sulla veste larga l’ossatura
    del sole a fare scudo

    ***
    riposare
    nelle braccia della madre finalmente
    ma non dovrebbe essere il corpo
    cavo
    né cetaceo accogliente
    piuttosto essere solo il maggiore incavo
    che prende il corpo indefinitamente.

    ***
    Rispondo così anche alla risposta di Cristiana Fischer a E.A., invitandoci, ora, Cristiana – ed ho evitato di rispondere ad una querelle “sui nomi”… messa in piedi da una delle persone che al blog di “Poliscritture” partecipano, sembrandomi ed essendo palmarmente impossibile avere, con la persona delle continue “segrete risate”, una interlocuzione che si basi (anche, almeno anche…) su razionalità, passione, e sentimento -, invitandoci ora, Fischer, a leggere, pensare, riflettere sul suo “Canto dell’angela”.
    Ma ora, e in altro contesto – di poesia -, e da quello stesso libro,
    chiamare a nome
    non è uguale
    a chiamare per nome
    ma è fare
    venire a galla
    la persona
    dalla placenta rossa

    affiorarla
    (come il sole)
    dalla corsa
    d’una giornata altrove –
    ***
    Grazie, A.É., per il suo “Canto”, tra terra, fango, e volo.

  4. Una poesia stupenda, toccante.
    Un femminile che salva , fortifica, rinasce per far rinascere. Non sono un critico , non posso dire di più, ma ammutolisco davanti a questa opera. Grazie

  5. Gentile AE, il “pronto” commento, le assicuro, è solo risposta al mio piacere.
    Gentile ACL, la sua poesia, la prima, è “maggiore” della trattazione di Ederle, per maggiore intendo che c’è in più una, tradizionale, nota “matriale” (parola inventata, forse appartiene alla figlia) nella sua poesia, “ti troverò in quest’alba/ infinita e inafferrabile” con le “vaste braccia, distesa” e il “sole a fare scudo”.

  6. …ringrazio Arnaldo Ederle per questa poesia che sento come un elogio all’infanzia e a chi l’ha saputa proteggere, l’amata angela…un’infanzia multicolore, di bambini che si mescolano nei giochi di pace di tutte le bandiere e di tutti i continenti, senza nome…Un miracolo di bellezza, sotto le ali protettive di angela “…e lì si pose e visse/ fino alla sua/ morte”…I bambini crescono e diventano adulti, tengono cari gli insegnamenti di angela, perseguono obiettivi giusti, ma la realtà subisce ormai danni irreversibili, per cui il poeta rivolge infine un’invocazione ad angela stessa perché ritorni sotto qualsiasi guisa ” vieni presto subito/ a liberarci da questo ingiusto ingorgo”…
    Trovo che in questa poesia ci sia il calore di ricordi veri, oltre a una dimensione metafisica…

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