“Keffiyeh. Intelligenze per la pace” e il lavoro di Gianmario Lucini

presentati alla Casa delle letterature, a Roma il 23 aprile 2015

100_1254 A M Cdi Marcella Corsi

Avevo desiderato un luogo istituzionale che potesse attirare anche lettori che non conoscessero i lavori di Gianmario. La Casa delle letterature è stata l’unica tra le istituzioni romane interpellate che ci ha consentito l’uso della sua sala presentazioni senza alcun esborso in denaro, a patto però che la presentazione si concludesse alle 19. Questo ci ha naturalmente condizionato (aver solo due ore, e per di più, a Roma, dalle 17)… e fatto riflettere sul modo con cui molte istituzioni culturali svolgono i compiti che dovrebbero essere loro propri.
Alla Casa delle letterature vale la pena di fermarsi se si è a Roma, sia per la posizione appartata ma centralissima – in piazza dell’Orologio al numero 3 – che per la Biblioteca e il delizioso cortile interno alberato, dove i lettori possono sostare consultando i libri presi in prestito. Ora anche Keffiyeh sarà incluso tra i volumi disponibili.

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L’orologio di piazza dell’Orologio (foto di Stefania Corti)

Non ne avevamo diritto, non avendolo pagato, ma ci è stato gentilmente fornito anche un microfono. E in sala abbiamo potuto esporre diverse riproduzioni di fotografie dovute a Stefania Corti. Nella foto iniziale se ne intravedono alcune.
Al tavolo siamo invece Anna Maria Curci, Luca Benassi ed io. L’altra relatrice, Annamaria Ferramosca è l’autrice della foto e del breve video che la ritrae mentre legge un brano di Gianmario recuperato da un gruppo di scambio letterario in mailing list che entrambi avevano frequentato diversi anni addietro (e che spero possiate vedere all’interno del suo intervento).
Quel che volevamo era far ‘vivere’ ancora le parole di Gianmario e diffondere le sue idee attraverso i libri che ha prodotto ed editato. Un omaggio al suo lavoro di editore coraggioso, di poeta appassionato, di critico, di persona capace di prendere posizione e di agire di conseguenza.
In sala erano disponibili quasi tutte le sue opere, comprese quelle uscite dopo la sua morte (Vilipendio, edito da CFR, e Istruzioni per la notte, edito da Marco Saya) e le recenti riedizioni di Monologo del dittatore, Hybris e Pensiero poetico. E ne abbiamo venduti diversi.

Le foto di Stefania Corti che erano in mostra sono di argomento naturalistico. Questo ci ha consentito di portare l’attenzione anche su Cronache da Rapa Nui, che raccoglie scritti su temi ecologici e precede Keffiyeh nella serie delle antologie poetiche su temi d’attualità. C’è un collegamento tra le foto di Stefania e la CFR di Gianmario Lucini, che ha sede a Piateda (dove Gianmario risiedeva): è l’Adda, il fiume che percorre la Valtellina per tutta la sua lunghezza – passa dunque per Piateda – si immette nel lago di Como e ne fuoriesce andando poi a sfociare nel Po dopo aver attraversato un buon tratto della pianura padana. Ebbene, una delle due raccolte da cui sono tratte le immagini di Stefania che sono state esposte il 23 si intitola Poesie dell’Adda. Anche nelle poesie di Gianmario l’abbiamo visto citato il fiume (in Per il bosco, in Hybris e in Istruzioni per la notte sicuramente) e certo il paesaggio che maggiormente l’ha ispirato è connotato anche dall’Adda.

Un altro collegamento l’abbiamo creato ad hoc, con Anna Loriedo e Antonio Longo, abbinando alcuni testi di Gianmario tratti da Per il bosco con altrettante immagini in mostra: un ricordo del pomeriggio da allegare ai volumi acquistati. Eccone un esempio. Altri più avanti nel corpo di questo post (i nostri ‘ricordi’ erano impostati con immagine e testo accostati in orizzontale, qui però questo non è possibile e dunque l’accostamento è in verticale):

065
Nel bosco dove passeggio catturando immagini
solo il silenzio si lascia mormorare.
Ascolto la neve crocchiare
al passo della risalita;
doppiando il crinale s’apre
il largo respiro d’una valle
che pare là in attesa
d’uno sguardo che la voglia amare.

In questa bruma di neve
ancora canta la poesia,
in questo freddo che morde e risana
c’è il calore d’una casa antica
fra antiche parole d’accoglienza.

E sulla bocca si fa l’oro del silenzio.

nmnmnnnmnnn (sogno d’inverno)

[Gianmario Lucini, Per il bosco, CFR 2013]


Come forse si intuisce, ci eravamo posti anche l’obiettivo di incentivare l’acquisto dei volumi in vendita. In effetti le copie di Per il bosco sono state vendute tutte e anche il mio escamotage di lasciare a metà l’ultima poesia detta, invitando gli astanti a finirne la lettura direttamente dal libro in cui è contenuta, ha, credo, sortito qualche effetto.
Il pomeriggio è iniziato con una lettura collettiva di brani dall’introduzione di Gianmario Lucini a Keffiyeh. Intelligenze per la pace.
Il mio intervento, cominciato con un ringraziamento a chi ci ospitava e un cenno alle immagini di Stefania Corti, si è concluso con i saluti di Marina e di Mario Rigli il quale, invitato, non potendo esser presente, ha mandato lo scritto, che in parte ho letto, inviato anche a Piateda per il 12 scorso e che invita a leggere la poesia di Gianmario pubblicata in Il disgusto. Ci ha pure informato del fatto che la poesia iniziale in Keffiyeh (quella formata da un verso di ogni testo incluso nel volume) si deve a Gianmario.
La parte centrale dell’intervento, il mio, la riporto all’inizio dell’appendice, così come l’avevo fissata per iscritto. L’intervento di Anna Maria Curci, che ha parlato in specifico di Keffiyeh, lo si legge ugualmente in appendice così come me l’ha fornito. Subito dopo Luca Benassi ha centrato il suo commento sulla produzione poetica di Gianmario, ribadendo la sua preferenza di critico, tra i libri di poesia, per Sapienziali e Hybris, come può vedersi sempre in appendice. La parte introduttiva del pomeriggio è stata conclusa da Annamaria Ferramosca che ci ha presentato un Lucini “maestro di etica a 360 gradi”. Anche il suo articolato intervento è in appendice.
Non ricordo chi l’abbia detto, ma qualcuno ha fatto notare – e mi sembra importante qui ricordarlo – come la larga partecipazione di autori alle antologie (che comportava anche l’accoglimento di testi di diverso valore letterario) fosse per Gianmario un valore: mostrare che si era in molti, poeti indignati e non arresi. Come scrisse Fortini: “La poesia non cambia nulla, ma scrivi”.
Sono seguiti alcune letture di testi da Keffiyeh e alcuni interventi di ricordo di Gianmario. Pochi, per via del poco tempo disponibile. Tra i testi letti, quelli in romanesco di Francesco Di Stefano non sono inclusi in Keffiyeh. Non solo per questo li ho riprodotti nella parte finale dell’appendice.

Ognuno di noi relatori ha letto qualcosa di Gianmario. Io, oltre al bel testo (tratto da Krisis) che trovate in appendice, due poesie tra le parecchie che avevo copiato con l’idea di allegarle ai libri da vendere. Quelle poesie, tratte da 7 volumi diversi, erano state scelte o perché si posizionavano in modo largo sul versante Keffiyeh o sul versante Cronache da Rapa Nui, oppure perché, semplicemente, mi avevano colpito. Mi sono divertita a tentare di comporre con alcune di esse una serie che avesse una sua ‘leggibilità’. Operazione con buona probabilità illecita letterariamente ma che forse a Gianmario non sarebbe dispiaciuta. Ve la propongo, avvertendo che per metterle insieme ho dovuto eliminare alcuni titoli e crearne uno complessivo, e che la prima delle 8 poesie è tratta da Hybris, la seconda e la terza da A futura memoria, la quarta e la settima da Istruzioni per la notte, la quinta e l’ottava da Per il bosco, la sesta da Monologo del dittatore.

Del silenzio e della maraviglia

Pater filius noster che dentro le stelle riposi
mentre maraviglia ci trastulla
interi orizzonti occupando
e tutti i suoi abitatori et l’amara
scorza della felicità che ancora
dalla forca pende dopo l’ultimo
sterminio al suono di violini e grancasse

noi grati Te laudiamo per l’infinite occasioni d’alberi et colori
et pianure et erbe dal vento mosse e il fantastico
lucore di petali e petali che brillano
e petali e l’infinite iridescenze di messer lo frate sole;
e anco de tutto il ciarpame che c’imbriglia
dentro la tomba del mondo
nostro efebico e gelato,

per lo zirlire di numeri et indici e profitti e per questa
compatta salvezza di ragioni e prospettive,
noi Te santo facciamo al chiarore dell’ultima face,
per onne tempo grati de lo regno tuo et de la tua voluntate
perché ci libereremo dal male un minuto appena
prima di sora morte nostra corporale,
senza poter capire lo spiro di chi
è già defunto e il vagito primiero
del neonato che ne eredita lo spazio

su questa terra

per proclamar Te onnipotente, eterna
ignava nostra
creatura.

*

Ma se il pesco fiorisce d’inverno,
se l’erba di marzo il suo marzo non avrà,
se la minaccia ebbe l’alito dell’asino e del bove,

Dio, se eri Dio, quali parole tacesti entro questo tepore?
che cosa faremo, entro la coscienza, nel tempo del verbo banale?
e – sibille cassandre che bruciate incenso al Suo etere,
simulacri muti che muti starete nel torpore del consenso –
nel fragore del silenzio che sogno avremo sognato?

Che paradosso del tempo ci vuole testimoni del suo nulla,
noi ch’eravamo e saremo?

*

Il peccato

E non avere più un volto
per dire, senza vergogna,
il meglio di noi che libero vola,
come il pensiero d’un adolescente,

un volto chiaro, coerente
nel sì e nel negare,
senza menzogna, imbarazzo, nel tormento
d’una botte di chiodi rotolata giù dalla china.

Non avere più un’immagine, una sola
che ci trascenda e gioisca,
come nei mattini d’infanzia, il sole
d’un giorno di vacanza…

*

Certe notti adolescenti non finiscono mai.
Ognuno le porta tatuate nel volto
e nelle mani
quando la luce sbaraglia l’ombra e l’ombra si raggrinza
incarognita si difende, scava nella pelle
trincee.

E a volte l’ombra esplode nell’ombra
mondo che urla uno strazio indicibile
ormai d’un altro, ormai dimenticato
condannato alla fatica dell’assenza

perché non basta il bagliore d’una luce
a dissolvere il bagliore dell’ignoto:
ci vuole la luce negra della notte
e le sue fresche braccia che raccolgono
ogni colore in un colore solo.

E forse parlerai con quello che eri
o che volesti e che non sei mai stato.

*

Quando possiederai la mitezza dei miei occhi saremo
fratelli e vedrai colori
mai veduti,
conoscerai il destino
come conosci l’ora del giorno
avrai il coraggio di accucciarti sulla nuda
terra schermandoti l’occhio
alla troppa luce.

Non ci sono ragioni per l’improvviso
tuffo al cuore,
non ragioni per l’anelito
al punto dove attende ogni essere:
l’amore è soltanto
madre.

*

Mio padre lo vedevo fuori posto
con il vestito buono della festa

e la camicia bianca che ancor di più scuriva
il suo volto bruciato dal sole.

Aveva il gesto lento della neve
che cade, il senso delle cose,
la levità dell’ape;
portava pantaloni di velluto alla zuava
che orrendamente sibilavano
al passo sui sentieri di montagna;

io ero bambino e non mi disperdevo ancora
in questo troppo vasto mondo e lo seguivo
sgambettando al ginocchio di quel sibilo
che ancora oggi mi rammenta
l’infanzia degli anni cinquanta.

*

Nel fiore dell’altura c’è una vita intera
partorita nel travaglio della luce
per un tempo d’acqua che sfugge tra le dita
una gloria perfetta e assoluta.

Tu lo eviti, se puoi e lo scarpone
poco innanzi o poco indietro fai cadere
e cade il tuo sguardo sul colore
di quella giovinezza, come fosse
a te soltanto rivelata;

e mentre vai alla tua meta ti sovviene
di nascoste glorie che alcun viaggiatore
potrà mai vedere nella loro
luce accesa
dove non giunge l’umano e la natura
per se stessa vive e crea
tenace i suoi tesori
nel silenzio.

*

Guanciali di gioia sulla pietra
dove il crinale accarezza il sorriso del cielo
nel silenzio passiamo i giorni dell’estate;
acceso il viola che trema nel vento
a rammentare che la vita è soltanto un frammento
di tenace poesia,
che la Storia è anche questa lontananza
che non conosce storia, di magnifici poemi
che non conoscono parole.

(piccoli fiori delle alture)


Ecco un altro dei nostri ‘ricordi’ del pomeriggio, da orizzontale che era visualizzato qui in verticale (certo il web non sopporta troppe sottigliezze):

018

Al cielo offriamo come primizia
la nostra solitudine gialla
la nostra solitudine azzurra e vermiglia

basta la musica del nulla e degli abissi
a cantare la canzone delle epoche,
una sola estate, un giorno soltanto
a raccogliere in noi ogni sapienza
ingravidandoci nell’inverno di nati
sogni nuovi, da spargere
in altre primavere.

hhhhhhh (fiori dei pascoli in primavera)

[Gianmario Lucini, Per il bosco, CFR 2013]


 

APPENDICE

L’introduzione di Marcella Corsi

Se penso a Gianmario Lucini, mi viene in mente la definizione che Milosz diede della poesia in una delle lezioni tenute ad Harvard dopo che gli fu assegnato l’oscar: “un appassionato inseguimento del Reale” ( in La testimonianza della poesia, Adelphi). E’ una definizione che mi sembra si attagli perfettamente al Lucini poeta. Ma anche al Lucini editore, al critico, all’uomo. Il suo è stato un inseguimento della realtà dolente e lungimirante ma capace di speranza, lucido, sdegnato, teso a lasciare testimonianza per il futuro, attento alla vita nelle sue più diverse forme, e assolutamente appassionato. La sua vita è stata un appassionato inseguimento della realtà. Credeva nella poesia, nel pensiero poetico. Era poeta anche quando editava, quando esercitava una critica. Per questo quel che ha scritto mi sembra sia importante soprattutto per i poeti.
La sua nota introduttiva a Vilipendio, l’ ultimo libro di poesie di Gianmario pubblicato in CFR, sembra confermarlo: “Questa raccolta di poesia NON è un libro di poesia ‘civile’. Si tratta di poesia lirica che tematizza aspetti della realtà, pur nella sua crudezza. Il lirismo non è infatti soltanto poesia del cuore o dei buoni sentimenti ma è anche l’epica della coscienza, dei suoi conflitti e dei sentimenti che li agitano. E più oltre, anche per restare in tema Keffiyeh: “Prego [..] i miei 4 o 5 lettori sparsi per l’Italia di non considerare questo l’ennesimo libro pacifista: questo libro è infatti una dichiarazione di ostilità intesa come sommo atto d’amore”.

Io l’ho incontrato nella redazione di “Poliscritture” e sul blog del sito con lo stesso nome (www. poliscritture.it), dove possono leggersi anche tutti i numeri pregressi della rivista cartacea. Sul blog Gianmario è intervenuto più volte. Della rivista ha editato gli ultimi numeri e vi ha partecipato con diversi scritti in critica dialogante. Leggeva i testi (in genere un centinaio di pagine in formato A4) per impaginarli e dar loro una veste grafica e nel far questo non resisteva al desiderio di dire la propria. Anche per il numero che è stato appena stampato l’avrebbe fatto: quando l’ho visto ad ottobre a Roma la prima cosa che m’ha chiesto è stato se era pronta la bozza. Purtroppo non ne ha avuto il tempo. Glielo abbiamo dedicato questo numero 11, sulla scienza, ma di lui non c’è nulla se non lo spirito ‘poetico’ e dialogante che caratterizza le rivista e che lo ricorda da vicino.

“Poliscritture” ha la caratteristica di accogliere ogni tipo di scrittura (lo dice il titolo, nel quale però è in rilievo anche la Polis, l’impegno civile, se vuoi politico in senso lato, col quale vorremmo far dialogare la scrittura).
Ogni numero è a tema. Sul numero 10, che si tematizza sulla paura e nella prima parte finisce per trattare della paura della guerra, Gianmario è intervenuto con due scritti, uno sulla prima guerra mondiale (La guerra dei soldati-contadini) in critica dialogante con Roberto Buffagni, l’altro su Ideologia e pensiero settario, in cui dice quel che pensa, da poeta, sulla relazione che esiste tra ideologia dell’anti-ideologia, politica e paura (“faccio il poeta, non il sociologo”, vi dice, ma nella sostanza afferma il diritto del pensiero poetico di esprimersi al pari di quello filosofico o politico).
Sul n. 9, numero interamente dedicato a Franco Fortini, Gianmario Lucini è presente con alcune poesie riunite sotto il titolo Un secolo bastardo sta crescendo in fretta e con una prosa che si accosta in critica dialogante alle Quattordici tesi per una poesia esodante di Ennio Abate. Uno scritto piuttosto breve nel quale parla di sé poeta e della sua idea di poesia. Vi si trova, oltre alla valorizzazione del pensiero poetico, una intenzione di poesia dialogante (il titolo è infatti Critica dialogante e poesia dialogante) in accordo, direi, con la prassi della rivista che fa della critica dialogante uno dei suoi punti di forza, quel che ci consente di accogliere anche contributi non in linea con l’orientamento della redazione. Varrebbe la pena leggerne alcuni brani ma prenderebbe troppo tempo. Leggo invece la prima e l’ultima parte di un testo incluso in Krisis:

In morte del poeta civile
Il candore del mondo è un bacio salato, rovente. Per questo tempo, è un ineffabile marchio d’infamia. Quando il vento spira nella notte, sento sulla pelle tutto il terribile candore del mondo, la sua ferina innocenza che mi scruta e, muta, avverto un’attesa, come di miracolo o di risveglio.
Vorrei dire all’innocenza delle cose che non nacqui per officiare sacrifici a nessun dio, ma alla collera soltanto. Per un amore collerico ed esclusivo, nacqui, che vorrebbe comprendere ogni cosa, ogni atto, ogni morte, ogni sorriso d’amante, per bruciarsi nel furore. Il mio officio è semplice: ascoltare una voce che viene dal passato e dalle pietre, dare voce al silenzio onesto del mondo e condannarmi, così, al destino di Cassandra.
[…]
E non mi salverà tacere o dissipare questa cantilene, come fiume che sfocia nel deserto.
Io non nacqui per essere salvato o per salvare, ma da tempi immemorabili sto morendo. La mia voce s’ingrotta nelle viscere dell’era. E con me morirà l’innocenza taciuta, l’ardore che non brucia, le parole trattenute in grumi, in boli di veleno, umiliate fra i denti. Sangue o veleno: a me la scelta; ma forse il fendente già cala, vibrando nell’aria, come insetto a primavera.

Delle antologie – quella che si presenta oggi sulla guerra e il desiderio di pace, e l’altra che anche attraverso le foto di Stefania Corti teniamo d’occhio, sulle problematiche connesse al rapporto con la Natura – vorrei sottolineare l’utilità che possono avere per introdurre, con una scolaresca per es., non solo il tema trattato nel volume (entrambi di grande rilevanza), ma anche quello del valore della poesia e in particolare della poesia d’impegno.
La lettura delle ricche introduzioni, con riferimenti alla cronaca, alla storia e alla letteratura, con le lucide analisi di Gianmario e le sue proposte, è comunque stimolante, che si condividano fino in fondo o meno tali analisi e proposte
Anche alcuni contributi si prestano in specifico ad un uso didattico. In Keffiyeh quello di Ennio Abate (Sulla difficoltà di dire Gaza in poesia) per es. offre parecchi spunti di riflessione sul fare poesia oggi. Ennio Abate tra l’altro gestisce il blog e il sito di Poliscritture e non avrebbe difficoltà a confrontarsi con una scolaresca che volesse approfondire il tema in rete. In rete si trovano anche le sue 14 tesi per una poesia esodante, in tema di poesia per l’oggi.
In Cronache da rapa Nui è il contributo di Lucini che mi fa pensare ad un utilizzo didattico: comprende, oltre a due poesie (tratte una da Il Disgusto e l’altra da Hybris), un dialogo non concluso tra un poeta e un filosofo cinico. Un dialogo che rimane sospeso, senza una ‘verità’ finale proposta dall’autore. E’ secondo me un invito a riprenderlo in mano, forse completarlo, comunque approfondirne le argomentazioni (il che implica certo un bel lavoro preliminare di ricerca e di riflessione ma credo ne valga la pena).
L’attenzione alla natura e l’accoglimento nei confronti dei viventi tutti sono presenti in modo ampio nei versi di Gianmario Lucini e la lettura di altre sue poesie (per es. la sezione Istruzioni per l’ascesa in Istruzioni per la notte o il volumetto Per il bosco) potrebbe costituire l’occasione per tentarne un’analisi ecocritica (tesa cioè ad individuare l’atteggiamento dell’autore riguardo alle problematiche ecologiche) da accostare all’ascolto della sue parole direttamente sul tema. Lo stesso può dirsi per il tema pace/guerra o per quello del valore della poesia, dove fa testo il suo Pensiero poetico e critica integrale dell’arte.
Leggerò per concludere un paio di poesie di Gianmario Lucini.


Questo, tra gli abbinamenti foto-poesia è quello che più mi piace:

014

Ancora un guizzo, uno spasso,
un sorriso prima del gelo,
ancora un abito nuovo, un canto, una festa
poi la neve coprirà col suo sguardo
stupito
questa gioia spensierata
senza che alcuno la colga.

nnnnnnnnnnnnn (bacche rosse)

[Gianmario Lucini, Per il bosco, CFR 2013]


Keffiyeh.  Intelligenze per la pace. A cura di Mario Rigli e Gianmario Lucini, CFR 2014. Nota di lettura di Anna Maria Curci

Frutto del dolore e della collera è questa antologia, come ha scritto nell’introduzione Gianmario Lucini. Dolore e collera, giusta collera e dolore causato da eventi che nell’ingiustizia hanno la loro radice non sono espressione sterile, invettiva del momento, ma sono testimoni di quello che Gianmario Lucini ci ha insegnato e, come ogni credibile maestro, ci ha mostrato con la sua vita: una vigilanza perseverante e a tutto tondo, lo stato di veglia, che sa rifuggire il torpore delle comode scusanti e delle pigre auto giustificazioni, una ricerca seria e appassionata dell’espressione poetica. Si tratta di una ricerca indissolubilmente legata allo slancio per ciò che Gianmario intendeva per utopia, vale a dire non il luogo inesistente, ma – con pari disarmante semplicità e coraggiosa complessità – un “altrove” rispetto alle categorie consuete.

Restiamo nel segno di questi principi, punti fermi di un’esistenza che voglia dirsi umana.  «Restiamo umani», l’esortazione che Vittorio Arrigoni aveva fatto il proprio motto, va in una direzione che Gianmario Lucini aveva già esplicitamente indicato nel settembre 2011, allorché firmò la sua introduzione all’antologia Oltre le nazioni, sottolineando l’equivalenza tra «restare umani» e «restare veri, giusti, intellettualmente onesti».

Intelligenze per la pace, è scritto nel sottotitolo della raccolta. È manifesto dunque il fine, il più nobile, il più vero, il più giusto e, allo stesso tempo, il più difficile da raggiungere. Manifesti sono anche gli strumenti, di indagine e comprensione, intelligenze, appunto.

Sulla scorta di queste considerazioni, arricchiti da questi strumenti di indagine, illuminati da queste intelligenze, vanno letti e ascoltati – corale e ponte – i componimenti che appaiono in questa antologia. Sono 132 i poeti, gli intellettuali, donne e uomini  provenienti dai luoghi più diversi (tra gli altri, Ronny Someck nato a Baghdad e residente in Israele, Mhmoud Alazharey, egiziano, Tal Nitzàn, israeliana, Alain Rivière, francese, Adrian Grima, nato a Malta) che hanno contribuito al volume. Subito colpisce, nello scorrere il volume, l’impegno, che ciascuno si è liberamente prefisso e che ha seriamente mantenuto, a lanciare ponti, cosicché dalla parola centrale, Gaza, «striscia di terra / tra i nodi di una storia / in agonia» (Anna Albertano), pur nella consapevolezza della «difficoltà di dire di Gaza in poesia» (Ennio Abate), vengono lanciati ponti verso la poesia nel tempo (per esempio Franco Fortini menzionato in esergo e nel corpo del testo da Ennio Abate, un verso di Eliot ripreso e accolto da Gianmario Lucini, Eugenio Lucrezi che dà voce ad Amelia Rosselli), verso il passato recente (Liliana Zinetti che ricorda il bombardamento del 2 dicembre 1943 a Bari, Maria Grazia Calandrone che rievoca le stragi di Babi-Yar, Marzabotto, Sant’Anna). Il ponte più saldo, più ampio è quello, per dirla con le parole di David Maria Turoldo nel suo discorso alla Marcia per la pace del 1° gennaio 1991, è quello de L’innocenza al potere  Sì, perché la pace «richiede una rivoluzione mentale» (Turoldo). Ogni volta che torno su Keffiyeh, le riascolto con la voce pacata e l’eloquio senza incertezze di Gianmario Lucini e so, come ebbe modo di dire a Roma il 26 ottobre scorso, che «La parola è e resta l’unica alternativa alle armi di distruzione, alla guerra».


044

Scrivi tu i miei pensieri sull’acqua
nella grazia del tramonto
nella grazia dell’alba, nel cielo che sonnecchia
in esauste pozzanghere, osserva
la scia della barca che apre gli abissi
e il canto degli abissi che ribrilla, scrivi
queste canzoni prima che si perda
come granello di sabbia nella sabbia
– perché saremo poveri e infelici
senza il cantico dell’acqua –.
                      n    (tramonto sul lago)

[Gianmario Lucini, Per il bosco, CFR 2013]


Il commento di Luca Benassi è intitolato: Lucini poeta.

Il presente intervento riprende, non integralmente ma nelle linee essenziali, il saggio dal titolo Gianmario Lucini, la parola del dissenso pubblicato sul Punto 5/2015 Almanacco della poesia italiana, pubblicato da Puntoacapo editrice.

Gianmario Lucini era un editore, un infaticabile organizzatore culturale, un critico, un pensatore, un raffinato uomo di cultura attento alle vicende politiche e sociali del suo tempo che non mancava di sottoporre al vaglio della riflessione critica. Lucini era, insomma, un umanista, uno di quei personaggi che per vastità di indagini, ampiezza di studi e chiarezza di scrittura si sarebbe incontrato alla fine del Quattrocento, e che oggi è razza inesistente o ridotta al silenzio. Era anche persona pratica, per la quale il pensiero senza l’azione conseguente era cosa vuota: per questo i sui libri e le sue antologie venivano presentate capillarmente nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche. Gianmario Lucini era fermamente convinto che l’unico antidoto alla violenza e allo sfruttamento dei popoli fosse la poesia come strumento di pace capace di connettere sensibilità, intelligenze, superando barriere culturali e stereotipi. La sua casa editrice, Edizioni CFR, aveva raccolto le migliori voci del panorama letterario contemporaneo e fin dal 2011 ha incominciato a pubblicare antologie poetiche tematiche: L’impoetico mafioso – 105 poeti per la legalità e la responsabilità sociale (2011), Nun si cuntunu i ciri nta l’artari (non si contano i ceri sull’altare) (contro il pensiero mafioso, 2011), Oltre le nazioni (in memoria di Vittorio Arrigoni, giornalista pacifista ucciso a Gaza nel 2011, sul tema della solidarietà fra i popoli, 2011), Ai propilei del cuore (poeti contro la xenofobia, 2012), Il peso del vento (contro la ‘ndrangheta, 2012), Cuore di preda (contro la violenza sulle donne, 2012), Il ricatto del pane (antologia di poeti per il lavoro, 2013), Cronache da Rapa Nui (miscellanea di scritti e immagini su temi ecologici, 2013), Keffieh, intelligenze per la pace (2014). Lucini aveva l’abilità di raccogliere poeti e poetesse di esperienze e capacità diverse, tutti democraticamente impegnati attorno i temi più scottanti del nostro tempo, dal lavoro, all’ecologia, alla guerra, alla violenza contro le donne, al fenomeno mafioso.

Gianmario Lucini era prima di tutto e soprattutto un poeta, un poeta prolifico, che negli ultimi anni aveva dato alle stampe più di un libro l’anno. È opportuno rileggere la poesia del poeta di Piateda, ripercorrendo i principali filoni tematici che la caratterizzano.

La poesia civile costituisce uno degli interessi e delle vene principali del poeta di Sondrio. A futura memoria (2011), Il disgusto (2011), Ballata avvelenata (2011), Monologo del dittatore (2012), Krisis (2012) sono raccolte che testimoniano la centralità della “poetica del dissenso”. Si tratta, in verità, di un dissenso che affronta l’ampio spettro delle esperienze civili e sociali degli ultimi anni, per evidenziarne gli sfaldamenti, le cadute, le perdite. Lucini entra nel merito delle dinamiche economiche e politiche e ne mette a nudo le logiche perverse. L’economia, che nell’ideologia contemporanea deve crescere sempre, e lo sviluppo del mercato, fagocitando il bene comune e la sua essenzialità al vivere umano e civile, finiscono per inglobare e padroneggiare sulla politica, sulla religione, sulla società. Su un versante simile si situano i testi contro il razzismo, l’emarginazione e la mafia e in particolare la ‘ndrangheta, questi ultimi rinvenibili soprattutto in Sapienziali (2010) e Hybris (2014), e derivati dall’esperienza di volontario per le associazioni Libera e Don Milani di Gioiosa Jonica (RC). Analoga importanza, nella poesia civile di Lucini, rivestono i temi della guerra e della politica italiana. La guerra contemporanea, per il poeta valtellinese, non è un accidente che increspa il fluire della storia, essa è connaturata al sistema economico, basato sullo sfruttamento dei mezzi energetici e di produzione a livello planetario, è uno dei modi attraverso i quali si pianificano e si mettono in atto operazioni coloniali giustificate da presunte volontà di importare pace e democrazia. Si veda la raccolta A futura memoria, nella quale la riflessione civile trascende dalle vicende sociali e politiche nazionali per affrontare il tema di un occidente sempre più disumano e ipocrita nel suo farsi paladino della libertà. In particolare, nella lunga sezione Diario dal fronte, Lucini si immedesima nel punto di vista dei militari in missione, di chi è dilaniato dalla visione delle vittime e dei massacri e l’ideologia di una guerra intelligente, che della pulizia di una tecnologia infallibile fa la propria bandiera: «questa guerra è un rompicapo, un gioco di macchine,/ di protesi elettroniche che suppliscono la vista,/ il tatto e il discernimento, a volte,/ tagliamo di fretta dove si deve tagliare/ per evitare di essere tagliati. Questa guerra/ non necessita d’Iliadi e neppure di cronache,/ tutto dorme in memorie magnetiche/ protette dal segreto di Stato.» La politica italiana è un altro dei temi portanti e, se pure Lucini si mostra impietoso verso il ventennio dominato dal berlusconismo, anche per un’evidente propensione ideologica, il suo occhio si mostra ampio ancora una volta nel gettare luce su pratiche, malaffare, connubi che coinvolgono politici di ogni schieramento, economia, criminalità organizzata.

Lucini è poeta dello spirito, della meditazione solitaria, dei boschi e delle montagne sulle quali amava passeggiare scattando fotografie di rara bellezza. Questo cammino nella solitudine ha lasciato più di una traccia nei libri del poeta, fino a costituire un vero e proprio filone che affiora in più punti nella produzione del nostro. Lucini è poeta religioso capace di rileggere il pensiero veterotestamentario, in particolare nei libri Hybris e Sapienziali. Quest’ultimo testo contiene, in particolare, nove poemetti che offrono una meditazione umana e accorata sui libri della Sapienza del Vecchio Testamento. Si veda, anche, la plaquette Per il bosco (2011), nella quale la dimensione intima delle passeggiate nei boschi e per le cime della Valtellina è l’occasione per mettere a nudo, attraverso l’epica minore di poema raccolto intorno alle foto dello stesso autore, un umanesimo ancora una volta inquieto e sofferto, tragicamente vivo.

Non manca nella produzione di Lucini una vena satirica, ironica, giocosa. I Poemetti del dito (2012) e Memorie del sottobosco (2013) rivelano questa propensione di Lucini al gioco, anche formale, alla sperimentazione dei linguaggi, dei metri e delle forme: sonetti dissimulati, ottave che ricordano uno stralunato Ariosto, quartine, terzine dantesche. Lucini si mette la maschera dell’istrione, inventa apocrifi nei quali, con calchi e metriche rigorose, prende la voce ai grandi poeti del passato, Leopardi, Foscolo, Ungaretti, Montale; o ai lirici greci, Anacreonte, Saffo, Alceo, Archiloco, Ipponatte per mettere in scena un teatrino di personaggi corrotti, malfattori, mafiosi, politici di mezza tacca e veline, una rappresentazione impietosa e tragicamente vera della nostra Italia, dove una decadenza da basso impero sembra travolgere e corrompere ogni settore, ogni ambito, compresi la cultura, l’editoria, la poesia. Lucini costruisce una lingua, la storpia, la reinventa, si fa cantore di una realtà devastata, nella quale, tuttavia, non mancano le scintille di speranza della poesia e della sua condivisione, come un valore fondante e ineludibile della nostra civiltà.


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Infinitesime voci del creato:
da loro ha origine la vita
in microcosmi di oblio,
dove un rito di stagioni cadenza il respiro
delle cose,
ripercorrono infinitesime zolle
per sempre quelle, per infiniti passi,
ubriachi d’essere
vivi (e noi

ignari viviamo un’altra vita nel caos dei lamenti
lo sguardo volto al passato e la felicità rinchiusa
dietro una porta che non osiamo aprire…).

mmmmmmmmmm     (insetti)

[Gianmario Lucini, Per il bosco, CFR 2013]


L’intervento di Annamaria Ferramosca, 23 aprile2015, Casa delle Letterature

Ecco, stiamo vedendo come il fiume di testimonianze sul pensiero e l’opera di G. Lucini è inarrestabile e sta percorrendo tutta la penisola, tutti i luoghi dove L. si è fermato, lasciando le sue tracce indimenticabili. Così a me non resta che aggiungere qualche ricordo sulla nostra amicizia, ma soprattutto riportare suoi brani di pensiero lasciati sulle pagine, un modo per riascoltare ancora la sua voce, perché dalle sue parole si autodefinisca ancora con maggiore forza il profilo di quel che Lucini è stato per noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo: un maestro di etica a360 °, in questo nostro tempo del disorientamento.

La mia amicizia con Gianmario risale al lontano1998 – entrambi autori ancora preesordienti – quando la sua fiducia sconfinata nella poesia e il suo spessore umano e culturale lo spinsero a creare, nel tempo allora pieno di fascinazione di internet, il gruppo di scambio letterario litteraecoollist.com, che fu attivissimo per due lunghi anni. Lo scambio nel gruppo era incentrato sul vero significato del poiein, ma spesso debordava su temi sociali ed esistenziali e i lunghi fertili dibattiti che ne scaturirono fecero conoscere velocemente in tutta Italia il carisma e la limpidezza di visioni e di slanci di G.L. Conservo stampate numerose pagine di queste conversazioni in rete, documenti ora preziosi che saranno consegnati alla moglie Marina Marchiori per l’archivio del poeta. Sono pagine dense di riflessioni sul senso di essere poeti di fronte alla contemporaneità (visione che poi teorizzerà e affinerà nel vol. Pensiero poetico e Critica integrale dell’arte) e su temi cruciali di quelLa Giusta Collera che diverrà molti anni dopo il titolo di un’antologia collettiva. Leggo. da due mails  del 1998 (leggi allegati 1 e 2)…

Così cresceva, facendo crescere tanti, l’umanista, l’intellettuale libero, fuori dalle ideologie, il parresiasta capace di dire la verità con franchezza, mostrare la nudità del re, quel sistema occidentale cinico corresponsabile di ingiustizie diffuse verso l’uomo e l’ambiente. Ci manca oggi la sua capacità di ascolto del mondo, la sua preveggenza allarmata sul declino di un’umanità sempre più dominata da logiche economiciste e di sopraffazione e dalla sottrazione di etica. Ci manca il costruttore di pace, che è possibile solo per innocenza dei comportamenti (si vis pacem, este innocens, dice in Vilipendio, suo libro postumo), ci manca il poeta che fa della poesia un progetto di vita come convivenza rispettosa tra uomini e natura e insieme pratica di dissenso contro ogni stortura.

E nel 2010, contemporaneamente alla sua decisione di divenire poeta-editore senza scopo di lucro (Lucini  resta un modello luminoso di prassi etica per l’editoria, oggi in massima parte rinunciataria del ruolo di responsabilità culturale- etica della divulgazione) arriva il suo primo appello contagioso ai poeti, chiamati a partecipare a quelle corali della vigilanza civile che saranno le antologie collettive della collana Epos – poesia politica sociale, cui hanno aderito centinaia di poeti sui temi cruciali della nostra epoca. Libri che hanno contribuito a stimolare un largo dibattito anche tra i giovani, i tanti studenti di decine e decine di scuole dove Lucini amava fermarsi per dialogare, ascoltare dubbi, seminare coscienza critica, stimolare alla vigilanza. Antologie collettive fortemente volute perché l’aggregazione rende molto più incisivo il messaggio, più forte la collera.

A inaugurare questa collana L’impoetico mafioso , CFR 2010, 105 poeti (adesioni raccolte in un mese) per la legalità e la responsabilità sociale In ricordo di Angelo Vassallo ( il sindaco di Pollica-Sa ucciso dalla mafia perché si opponeva allo sfruttamento del territorio). Il volume è stato presentato in tantissime città e scuole, una delle prime Marsala, con la presenza di Rita Borsellino. Nella bellissima introduzione, che andrebbe letta interamente, Lucini spiega il perchè del nome Epos dato alla collana e del suo rivolgersi ai poeti; di fronte alla perdita di “ruolo” della poesia attuale, di quel senso largo dell’umano riconoscersi proprio dell’antica poesia epica, parola che parlava alla polis, sentita come voce della comunità, Lucini mostra tutta la sterilità e l’evanescenza di una poesia oggi per lo più solipsistica, autoreferenziale, senza agganci con la realtà, senza una visione, sia pur utopica, condivisa.  Eppure Lucini nutre una fede incrollabile nella potenza della parola poetica rispetto ad ogni altra forma di comunicazione, nella capacità della Poesia di intercettare i canali profondi della ricezione, colpire l’immaginario e divenire memorabile. Leggo dall’ introduzione, a pag.6:  Questa antologia…(finoall’ultimo capoverso di  pag.7)

E ricordo due memorabili incontri su L’impoetico Mafioso, che organizzammo qui a Roma in due licei, insieme a due amiche insegnanti: M T.Ciammaruconi, del liceo Ilaria Alpi, e Anna StoppaFranzoni, del Liceo Peano. Ricordo il silenzio denso di attenzione durante il discorso di Gianmario che raccontava la sua esperienza diretta di due anni sul territorio calabrese, come volontario dell’Ass.ne don Milani di Gioiosa Ionica, ma soprattutto ricordo come lui facesse emergere le subdole diffuse consuetudini quotidiane che ovunque creano humus fertile al comportamento mafioso, come la raccomandazione, il favoritismo, il bullismo, le mille anche piccole azioni illegali e di prevaricazione dei diritti altrui, l’assenza di responsabilità verso il territorio e verso le generazioni future. Tutto questo – insegnava – è da riconoscere e contrastare come cultura mafiosa, oltre alle ben note azioni di estorsione, pizzo, prevaricazione, violenza. Ricordo le raffiche di domande che seguivano, e la sua parola mai enfatica, semplice, piana, convincente.  L. citava i tanti uccisi, morti per difendere la dignità di tutti e si rammaricava della solitudine in cui spesso lo stato lascia le loro famiglie. Faceva notare anche come moltissimi dei 101 poeti aderenti fossero poeti della diaspora, emigrati dal sud. Leggo, a pag.8  dell’’introduzione: E’anche un sud della diaspora… fino a schemi massificati, pag.9.

Tante le poesie di altissimo valore, ma vorrei leggere, se resta tempo, quella, davvero testo da mandare a memoria, di Gianmario, a pag.26. Lucini lasciava poi ai ragazzi i libri, spesso regalandoli e un altro dono, di stampo greco, che faceva loro, era quello di spiegare cosa significhi davvero scambio di opinioni, dialogo. Questo non può essere rigida esposizione di  convinzioni, ma gara di convincimento reciproco, basata su argomentazioni fondate, sempre disposti a tornare sulle proprie convinzioni se le argomentazioni non reggono. Questo volume, che è stato presentato in moltissime scuole,  richiesto e ormai presente in tante  biblioteche scolastiche,  è da considerarsi libro necessario alla formazione di una coscienza civica e critica dei giovani, non lasciatevelo sfuggire.

Così saremo sempre debitori a G.L. per aver saputo trasmettere, e non solo sul tema mafie, la necessità di coltivare la vigilanza e la capacità di reagire, mostrando quelLa Giusta Collera (titolo di un altro volume collettivo del 2011) che è responsabilità, per rispondere alle generazioni future, lasciare testimonianza dei nostri comportamenti, del dissenso contro ogni stortura. A La Giusta Collera- Scritti e poesie del disincanto seguì, sempre nel 2011, Oltre le Nazioni, innescato dalla morte del volontario Vittorio Arrigoni in Palestina, dove la collera è estesa all’insipienza e al cinismo delle nazioni  incapaci di risolvere qualsiasi conflitto per mille motivi dichiarati e non, che non hanno mai nulla di etico.

Seguirono nel 2012 Cuore di Preda, sulla violenza contro le donne, curato da Loredana Magazzeni, con ben 85 voci di autrici italiane, che ha avuto grande diffusione, e nel 2013 Il ricatto del pane(Scritti e poesie sul significato del lavoro) che denuncia la spirale miope della produttività e dello sviluppo tecnologico ad ogni costo, a cura di Lucini e di Nerina Garofalo, che chiamo qui perchè vorrei che intervenisse e leggesse un brano significativo della sua introduzione( sul retrocopertina: Occorre pensare al lavoro…)

E nel 2013 la giusta collera poetica collettiva esplose sul fronte ambientale con Cronache da Rapa Nui-miscellanea di scritti e immagini su temi ecologici. Centratissimo nella sua suggestione il paragone del futuro del pianeta con la nota vicenda dell’isola di Pasqua, disboscata e desertificata dalla sua stessa popolazione per costruire le grandi statue dei Moai, con il fatale esito di un’ estinzione.

Importante leggere l’intera introduzione, in cui Lucini dichiara di aver seguito il famoso più bel discorso del mondo pronunciato dal  Presidente uruguaiano J.Pepe Mujica Cordano (leggo dalla introduzione a pag.6 e7).

E poi, nel 2014, il grido ultimo di consegna, Keffieh – Intelligenze per la pace, a cura di Lucini e Mario Rigli, sull’eterna aporia del parlare di pace e non smettere la guerra(ma non nel nostro nome!) Leggo a pag. 8 dalla introduzione fino alla fine: L’aporia è dunque questa…

Termino con una speranza: spero che, prima che si consolidi questa feroce mutazione antropologica tesa all’ indifferenza e alla violenza, continui a diffondersi il desiderio profondo di Lucini e nostro, di ricostruire nel mondo una coscienza etica, una nuova identità innocente (nel senso del non nuocere) per un tempo nuovo dell’innocenza.

Sta a noi dilatare questa parola, farla cerchio necessario del convivere.


Le due poesie di Francesco Di Stefano

Na vecchia storia

Seconno n’aggenzia che a pronuncialla
de bocca pare t’esce no sputacchio,
semo na barca co na grossa falla
che sur mercato nun te vale un cacchio

e che nissuno se la vò compralla
in quanto cià denanzi lo spauracchio
che ar massimo te resta ancora a galla
er tempo che te campa un bell’abbacchio.

Me torna der Titanicche memoria
che mentre giù dabbasso in terza classe
er poveraccio se n’annava in gloria,

de sopra er ricco seguitava a fasse
co li bicchieri in mano gran bardoria
convinto come sempre de sarvasse

perché sortanto er sòrdo fa la storia.

[Una vecchia storia
Secondo un’agenzia che a pronunciarla / dalla bocca sembra che ti esca uno sputo, / siamo una barca con una grossa falla / che sul mercato non vale niente // e che nessuno se la vuol comprare / in quanto ha davanti lo spauracchio / che al massimo può restare ancora a galla / il tempo che vive un bell’agnello. // Mi torna del Titanic memoria / che mentre giù in basso in terza classe / il poveretto se ne andava in gloria, // di sopra il ricco seguitava a fare / con i bicchieri in mano gran baldoria / convinto come sempre di salvarsi // perché soltanto il danaro fa la storia.]

Nota: l’agenzia di rating cui si parla è Standars & Poor’s.

*

Er poeta rivoluzzionario

bbbbbbbbbbbb (a Gianmario Lucini)

Diceva nonna: “Er còre è na cipolla
che si je strappi un velo sempre appresso
n’antro ce sta attaccato co la colla
de modo che a nissuno j’è concesso

de vède a fonno drento a quell’ampolla
che sentimento c’è, e quant’è spesso,
s’è un carcio o na carezza che t’ammolla.
Pe questo er monno, fijo, è propio un cesso!”

Ciò avuto da regazzo convinzione
che solo co na bella ideologgia
se pò combatte la rassegnazzione.

Ma la realtà nun è la fantasia
e ar sogno subbentrò la delusione.
N’amico poi m’ha messo su la via

che a me me pare na rivoluzzione:
sparà a mitraja palle de poesia
su la facciaccia d’ogni Capoccione.

[Il poeta rivoluzionario (a Gianmario Lucini)
Diceva nonna: “Il cuore è una cipolla / che se gli strappi un velo sempre appresso / un altro ce ne sta attaccato con la colla / in modo che a nessuno gli è concesso // di vedere a fondo in quell’ampolla / che sentimento ci sia, e quanto spesso, / se è un calcio o una carezza che dà. / Per questo il mondo, figlio, è proprio un cesso! // Ho avuto da giovane convinzione / che solo con una bella ideologia / si potesse combattere la rassegnazione. // Ma la realtà non è la fantasia / e al sogno subentrò la delusione. / Un amico poi mi ha messo sulla via // che a me sembra una rivoluzione: / sparare a mitraglia palle di poesia / sulla facciaccia di ogni Potente.]

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Uno scorcio del giardino, dall’interno della vetrata della Casa delle letterature (foto di Stefania Corti)

 

 

 

11 pensieri su ““Keffiyeh. Intelligenze per la pace” e il lavoro di Gianmario Lucini

  1. Ci sono circostanze in cui si ha bisogno di una bella poesia come aria per respirare. Bella: la ricchezza e varietà della lingua che realizza il sentimento grandioso del senso della vita
    “Non ci sono ragioni per l’improvviso
    tuffo al cuore,
    non ragioni per l’anelito
    al punto dove attende ogni essere:
    l’amore è soltanto
    madre.”
    bella del nostro infinito bisogno di senso
    “Che paradosso del tempo ci vuole testimoni del suo nulla,
    noi ch’eravamo e saremo?”
    bella della acuta coscienza della nostra infinita miseria
    “perché ci libereremo dal male un minuto appena
    prima di sora morte nostra corporale,

    per proclamar Te onnipotente, eterna
    ignava nostra
    creatura.”
    Per fortuna che queste poesie ci sono, che la poesia c’è.

  2. il motivo per cui ho cercato una concatenazione logico-emotiva tra i testi che avevo selezionato per il 23 aprile (tratti da libri diversi proprio per poter citare libri diversi), qualcosa che potesse tenerli insieme e farli leggere, è stato il desiderio di far conoscere poesie di Gianmario, a mio parere belle e utili ad aprire visuali non scontate pur nella ‘gratuità’ del suo fare poesia, che difficilmente sarebbero state conosciute da chi aveva acquistato uno o due volumi dei suoi, o anche tre o 4. Anch’io prima di dover preparare la presentazione alla Casa delle letterature non possedevo che due o tre volumi dei suoi versi. Ed è stata una così bella scoperta che ho cercato di farne partecipe altri, anche se in modo parziale.
    La poesia di Gianmario poi è stupefacente. Da quale uomo ti aspetteresti di veder scrivere: “l’amore è soltanto madre”?
    David Grossman nel lungo poema sulla morte del figlio scrisse: “chi perde un figlio è immancabilmente donna” e mi colpì, ma davvero sono affermazioni rare al maschile. E quale credente (mi son fatta la convinzione che Gianmario lo fosse) ha insieme chiara l’origine di Dio come prodotto della cultura degli uomini (“eterna ignava nostra creatura”)? Quel che antropologi e storici delle religioni derivano dagli studi di Ernesto De Martino, e forse lui pure, ma in un continuo dialogo con questo onnipotente indolente e lontanissimo.
    E la sensibilità ambientale? Squisita, non mi viene altro aggettivo. Nel fiore dell’altura è “una gloria perfetta e assoluta”, evitare di calpestarla è un imperativo; ma già erano, tutti insieme, “guanciali di gioia sulla pietra/ dove il crinale accarezza il sorriso del cielo”. Se l’erba di marzo non avrà il suo marzo, sono i cani pastore che ci ammoniscono: “quando possiederai la mitezza dei miei occhi saremo fratelli”. E un padre, che si intuisce molto amato, “aveva il gesto lento della neve/ che cade”, “la levità dell’ape”…
    Quando il peccato è “non avere più un volto/ per dire, senza vergogna,/ il meglio di noi”, allora sì “certe notti adolescenti possono non finire mai e forse parleremo con quello che eravamo o che volemmo e che non siamo mai stati.
    Davvero di certa poesia si ha bisogno per respirare.

  3. …Cara Marcella grazie per la tua presentazione del poeta Gianmario Lucini così completa ed emozionata ed anche per come, nel commento, motivi la selezione delle poesie che ci hai presentato, tratte da varie raccolte. Gli aspetti di vera grandezza, anticonformismo, bellezza, umiltà sono tutti presenti in questi scritti…una limpidezza di pensiero, unita a profonda sensibilità e coraggio…Lo penso come uno di quei fiori delle alture “guanciali di gioia sulla pietra/ dove il crinale accarezza il sorriso del cielo” di una sua poesia, capace di resistere in situazioni difficilissime riflettendo il sorriso del cielo (guardava in viso la medusa senza lo scudo…)…Persone così a volte in vita possono persino suggerire un sentimento di imbarazzo, di soggezione, avvertendone la delicata grandezza…Gli si gira attorno per non calpestarlo con i propri scarponi…

    1. Grazie Marcella per il preciso e coinvolgente lavoro che hai voluto mandarci.
      Gianmario Lucini fa parte di quei poeti da prendere in seria considerazione, non solo per le sue poesie così vicine a tutti, ma anche per il suo animo che trovo così spontaneo e aperto alla gente e alla natura al punto che lui sembra sparire dentro le sue parole.
      Resta la sua grande voglia di portare tutti coloro che fanno poesia a capire quanto essa sia importante soprattutto per i nostri tempi. Crediamo a questa proposta, impegnativa ma assolutamente meravigliosa ed utile.
      Qui, da questo semplice messaggio in versi c’è racchiuso il mondo intero:

      Scrivi tu i miei pensieri sull’acqua
      nella grazia del tramonto
      nella grazia dell’alba, nel cielo che sonnecchia
      in esauste pozzanghere, osserva
      la scia della barca che apre gli abissi
      e il canto degli abissi che ribrilla, scrivi
      queste canzoni prima che si perda
      come granello di sabbia nella sabbia
      – perché saremo poveri e infelici
      senza il cantico dell’acqua –.
      (tramonto sul lago)
      Gianmario Lucini (Per il bosco)

  4. mi piace molto questa identificazione di Gianmario con i fiori d’altura nelle sue montagne, è giusta, e la sensibilità di Annamaria sottolinea come, nel cercare di non calpestarli, si finisca per lasciarli un pò soli. Per fortuna, è una mia opinione ma ne sono convinta, la ricchezza interiore impedisce loro di sentire troppo la solitudine.
    E sì, Emy, credo proprio che Gianmario Lucini si rivolgesse soprattutto ai poeti invitandoli ad usare al meglio le loro armi.
    Per darvi la buona notte, trascrivo qui una sua poesia sul suo fare poesia. E’ tratta da Monologo del dittatore ed è un testo tra il serio e il (quasi) leggero.

    Canzonetta per il lettore

    Vorrei essere un uomo diverso
    più rappacificato e positivo
    senza pensieri coltivare un verso
    piano, denso di speranza ma privo

    di banalità. O forse il mio dovere
    è tormentandomi di tormentare.
    Perciò chiedo scusa al lettore
    se non seguo la traccia delle attese:

    mi viene a pena il verso che mi viene,
    se vuole altro, c’è l’industria culturale.

  5. L’articolo è coinvolgente.
    Si sentono molto le emozioni degli interventi.
    Penso anche che chi non era presente
    riesca a ricevere la stessa emozione nel leggere il resoconto.

    Sono contenta di essere stata partecipe all’evento,
    sia per le persone che ho conosciuto ,
    sia perché, probabilmente, non avrei mai conosciuto
    Gianmario Lucini,
    .. e mi sarei persa tanto.
    Grazie Marcella , grazie Anna Loriedo e
    Antonio Longo che vi siete prodigati
    perchè ciò accadesse.
    Grazie Adda che mi hai avvicinato
    a ciò che era già lì .. Bastava scorpirlo.
    Ora sto facendo conoscere a quanti più possibile
    la bella persona che era ed è Gianmario Lucini.

    Dalle sue poesie passa il senso e la gioia dell’esistere ,
    nonostante tutto,
    e il moto incessante della vita, che non si ferma mai
    così come la speranza di un futuro..
    E tutto questo in una dimensione corale,
    che aggrega le tante sensibilità individuali.

    .. Infinitesime voci del creato..
    Ripercorrono infinitesime zolle, … Per infiniti passi..
    Ubriachi di essere vivi … (insetti)

    .. ingravidandoci nell’inverno di nati sogni nuovi ,
    da spargere in altre primavere. ( fiori dei pascoli in primavera)

    ..ancora un abito nuovo, un canto, una festa,
    poi la neve coprirà col suo sguardo
    stupito
    questa gioia spensierata.. (bacche rosse)

    .. in questa bruma di neve
    ancora canta la poesia.. (sogno d’inverno)

    ..scrivi queste canzoni prima che si perda
    come granello di sabbia nella sabbia..
    perchè saremo poveri e infelici
    senza il cantico dell’acqua ( tramonto sull’acqua)

    Ed è dall’acqua che ha origine la vita
    .. E tutto riparte

  6. Che bel commento, Stefania:
    “Dalle sue poesie passa il senso e la gioia dell’esistere ,
    nonostante tutto,
    e il moto incessante della vita, che non si ferma mai
    così come la speranza di un futuro..”
    ma anche:
    “E tutto questo in una dimensione corale,
    che aggrega le tante sensibilità individuali.
    e il moto incessante della vita, che non si ferma mai
    così come la speranza di un futuro..”

  7. cara Stefania, le tue immagini hanno accompagnato come in una festa le parole di Gianmario… grazie anche di questa partecipazione convinta che si proietta nel futuro.
    un abbraccio
    marcella

    1. Ringrazio Marcella Corsi per averci inviato questa completa e partecipata presentazione di Gianmario Lucini,dalla quale emerge la personalità e la persona dell’autore in tutta la sua ricchezza, grazie alla accurata scelta dei testi, bellissime anche le illustrazioni.
      Un invito per me ad approfondire questo autore che ha tanto da dire.

  8. Ero presente a Roma in pzza dell’Orologio alla presentazione di Keffiyeh lo scorso 23 aprile , e domani 8 giugno 2015 alle ore 17,30 alla Casa della donna di Pisa l’antologia verrà nuovamente presentata e verrà ricordata l’opera di Gianmario, uomo di grande valore, critico, poeta, editore.

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