Poesie senza passaporto

migranti deserto

Mi arrivano di tanto in tanto versi di amici e amiche ed altri ne leggo su FB. Chiedono attenzione, pareri, consigli, a volte invocano persino critiche. In passato mi sono dato da fare per rispondere e avevo anche cercato di inquadrare teoricamente il fenomeno dei “moltinpoesia” per  capirne gli aspetti positivi e distinguerli da quelli più ambigui. Ho pure sollecitato alcuni amici critici ad occuparsene di più. Invano. Purtroppo il discorso s’è perso per strada. Per motivi complicati, che qui non tocco. Manca, mi  pare, soprattutto un gruppo autorevole che sappia fare al contempo da calamita per i  tanti autori e da filtro critico. E persino – perché no? –  da guida. Pensavo che potesse  assolvere queste funzioni prima il LABORATORIO MOLTINPOESIA e poi  POLISCRITTURE. Ma no,  non ce la si fa. Sarà possibile in futuro? Non so. Nel frattempo  il movimento delle scritture poetiche o parapoetiche continua. Nella più grande confusione (libertà, invece, secondo alcuni ottimisti).  Libri e libretti vengono pubblicati in gran numero da piccole case editrici. Testi o intere raccolte appaiono su innumerevoli blog e siti. Ciascuna di queste “micro-istituzioni” fa da calamita parziale e stabilisce in modi che a me paiono spesso discutibili e approssimativi  le sue classifiche dei Grandi e dei Minori,  applaudite da circuiti di lettori/poeti che restano ristretti e incomunicanti.  Per conto mio, non potendo sempre andare a fondo con la lettura e la critica dei testi che mi arrivano – no, non mi è possibile una critica  su ordinazione o per dovere d’amicizia o fondata su preferenze o idiosicrasie non  argomentate –  mi limiterò, come sto facendo, a qualche saltuario affondo. O, come adesso,  a una semplice segnalazione di qualcuno dei testi che  bussano alla mia porta. Infine, spero che il titolo scherzoso non susciti rimostranze. [E. A.]

1983 ca. storie
Di Leo, Storie, 1983 ca

Emilia Banfi

La bava

Se lo sguardo appare invecchiato,
non sono gli anni del tempo
ma quelli in cui hai ceduto.
Nel quadro della vita,
i colori accesi si spengono
per colpa di quel legaccio,
che stringe anime ad altre,
un insieme lento che sa di vigliaccheria
porta con sé una lievità che spinge
gli uni verso gli altri in un sicuro
piccarsi di pensieri in comune.
Che sarà allora della forza di ognuno?
Alla voce rassicurante del predicatore,
qualcuno si strappa le vesti,
altri prudentemente ascoltano
e il laccio stringe ancor più
dentro le anime morte.
Un ardito lancia un coltello, una spada
cerca le mani dei prigionieri,
difficile spezzare quel nodo.
Ecco qualcuno è riuscito
divincolandosi accetta la lama,
ferisce, sanguina il gruppo,
si libera .
In fondo era un bozzolo, un semplice bozzolo
di seta che al veleno induriva
e al loro volo risponde soltanto una bava
di parole lasciate, ascoltate, finite.

1984caino
Di Leo, Caino, 1984

Francesco Di Stefano

Destinazzione ruvina

Da sempre c’è er poraccio cor riccone,
le guere nun so’ meno micidiali
e quarche teremoto e n’alluvione
so’ puro come prima tali e quali.

La ricercamo na risoluzzione
magara praticanno l’ideali
ma doppo fatta na rivoluzzione
ciavemo connotati propio uguali

da dasse in faccia l’ogne co li denti
da quanno canta er gallo la mattina.
Semo bacilli tosti e resistenti

a ogni forma de pennicellina
o forze peccatori impenitenti
comunque destinati a la ruvina.

1984aquiiloni in festa
Di Leo, Aquiloni in festa, 1984

Annamaria Locatelli

La leggenda di Santa Genoveffa ( i racconti della nonna)

Non ti conosco. Una donna mostro?
Al piede il campanellino. Un’appestata?
Fuggite gente fuggite
ma io non posso fuggire da me
e vi inseguo a perdifiato
per stare con altri
lontano da me.

Sono sola nel bosco
nelle grotte dei lupi cerco riparo
serpenti sulle mie nudità e capelli
di bacche e radici ricerco le essenze
cammino su orme di linci e pantere
sorvolo le ombre
emergo in sprazzi di luce
sui rami nidifico
in cascate di fuoco baleno e svaporo
i peli sul corpo
la coda
e già non son più

Il boato del tuono
e, tra foglie intrecciate
di scia vermiglia,
oh, lungo vagito
strappato alla carne
ora il mio terzo seno
il mio respiro
ti nutri di me…
Ed io di te, Natura,
che ci hai accolti tra i pari
siamo degni di te.

Nel bosco
lo sposo passò
la rivide
specchiata
lei non disse di no
con sé la portò

senza titolo 2012 ca
Di Leo, Senza titolo, 2011

Attilio Mangano

Il ventaccio che arriva sradicando le cose
Sfascia tetti e finestre, fa volare le rose
Mentre il fiume straripa col suo mare di fango
Brontolando distrugge anche case di rango

E la fine del mondo? No, è soltanto una prova
La vendetta a sorpresa aspettando che piova
E bagni tutto quello che prima ha sporcato
Col suo conto finale davvero esagerato

Il poeta a suo tempo ce l’aveva spiegato
O natura o natura, perché non rendi poi
Quel che prometti allor e inganni i figli tuoi?
Un affetto mi preme, acerbo e sconsolato

Infine la quiete ma dopo la tempesta
Potrai tornare bella la sera della festa
Bicchiere mezzo vuoto ma anche mezzo pieno
Si sa che il dopo pioggia si chiama arcobaleno

C’è sempre un prima e un dopo, questo lo sanno tutti
Prima lo chiami amore, dopo tu me li hai rotti
Ma il gioco ricomincia e dopo il temporale
Tutto ritorna a splendere in un modo speciale

Perfino questi versi che dedico all’inferno
Se non saranno persi andranno al padreterno
Armiamoci e partite, ce lo ricorda il capo
Il seguito se c’è lo racconto dopo

* I disegni che intervallano le poesie sono di Giuseppina Di Leo

21 pensieri su “Poesie senza passaporto

  1. ” E persino – perché no? – da guida.”
    E.A. maggio 2015

    non si resiste a punzecchiare con garbo questo nostro Ennio. Quando è lui che afferma certe cose , tutto va bene madamadorè; se qualcuna, in questa caso puta caso la sottoscritta, suggerriva, anni addietro e con affetto ad Ennio, di non soffrire troppo delle sue solitudini “politiche” o di incomprensioni con il mondo dei molti e dei pochi, ma di limitarsi a farsi da guida come una di montagna in montagna, o di pietra in pietra, allora apriti cielo cosa avveniva…un po’ come sempre del resto. Immagino una questione di metodo, per cui l’ultima ma anche la penultima parola, solo il sacerdote in genere, e non Ennio o quest'”abate” in particolare, può pronunciarla per contestare o assecondare il suo uditorio del momento. Pur avendo tutta la stoffa e gli strumenti per dispiegare semplicmente le mappe ( di volta in volta delle rovine o degi autori, delle menzogne o delle ricerche) , anche lui costretto fra maschere e balli dalle sorgenti alle valli.

    1. Oh! ma che bella cosa ritrovarci qui!
      Le poesie che hai scelto mi piacciono tanto e per quanto riguarda il passaporto,caro Ennio, non ti preoccupare io odio i passaporti!
      …E affonda Ennio,affonda che va bene.

  2. …cara Ro, nella propria pochezza o grandezza per altri (ma di umanità intera sempre si tratta) l’importante è di scegliere in tutta libertà una guida, o più guide per valli e per monti…Di questo, secondo me, parla la bella poesia di Emy …Altrimenti “Che sarà allora della forza di ognuno?”

  3. …Poesie senza passaporto
    ma in cammino
    sulle strade polverose
    del mondo,
    sbucano dai sacconi straccioni
    dai sandali del deserto
    si nascondono
    sotto tuniche sahariane
    e neri copricapi,
    fuggono senza meta
    da villaggi d’incanto,
    i focolari spenti,
    cantando
    le nenie dei vivi
    e quelle dei morti…
    Affoga e risorge
    un Paese
    dai cori

    1. L’animo sensibile di Annamaria va sempre oltre le apparenze, oltre la fredda critica e resta sempre intriso di grande intelligenza. Grazi Annamaria.

  4. Il passaporto fa entrare in una comunità definita. La poesia dei molti in poesia si muove ai margini, non sa a chi appartiene.
    Le comunità hanno margini di inclusioni: Annamaria Locatelli indica deserti di significanza, Emilia Banfi le bave senza articolazione, Francesco Di Stefano arreso “da dasse in faccia l’ogne co li denti”.
    Mi sembra che il mondo italiano della poesia oggi debba allinearsi in schieramenti conformi altrimenti non è valido per letture e commenti. (E questi schieramenti non sarebbero propriamente rotture…)

    1. La significanza sta proprio nei margini. E’ il margine che può allargare la storia.
      Spesso ci si ritrova …ai margini.
      La forza è di chi scappa dal tedio non di chi aspetta di essere trasportato regolarmente. Ah…! Le regole!

  5. Inizio con il ringraziare Ennio per aver postato i miei disegni, anche se mi procura una certa impressione vederli esposti in un blog, ma resta in ogni caso una impressione piacevole. E un grazie a Emilia, gentilissima con il suo sorriso.
    Le poesie senza passaporto mi piacciono, né mi sembrano delle prove – come invece sono i miei disegni – perché tratteggiano (restando in tema) l’elemento personale di ciascun poeta: malinconico in Banfi, sarcastico in Di Stefano, favolistico in Locatelli, amaro in Mangano. Ma tutte le poesie parlano di questa nostra realtà, sempre più difficile da affrontare.

  6. …grazie Giuseppina per questi tuoi coloratissimi disegni, a illustrare le nostre poesie e anche per il commento…Ringrazio anche Ennio che ancora una volta ci ha riuniti in una simpatica compagnia in polifonia. A volte il caso (?) unisce e costruisce un insieme significante.

  7. Dei disegni di Giuseppina apprezzo il tratto libero e vigoroso, meno la scelta dei colori delle campiture. Ma è in buona compagnia, se è vero che anche Picasso dimostrò di essere più artista di segno che di colore. Delle poesie non mi sento di dire granché, sto anch’io su quel carro ( l’ultima ruota a sinistra). Si viaggia, si scrive, si spartisce il pane. A dispetto di qualsiasi circostanza si va celebrando la compagnia, e non vorrei far torto a nessuno dicendo, ad esempio, dei finali che infiocchettano e altre sciocchezze sull’imbellimento, e nemmeno dei versi presi ingenuamente a prestito, ché poi non varrebbe per tutti e dovrei dire come e dove… finirebbe che mi lasciano nel deserto a vedermela col sole, la sabbia e la morte: tre parole che non bastano a sfamarsi. La vita è avventura anche per un vaso che sta per cadere dal tavolo, ma diventa vera solo dopo che s’è frantumato; tutto tace e potrebbe essere che non venga nessuno, per secoli, a raccogliere i cocci. Che c’entra? massì, le parole sono come cocci, il poeta le aggiusta, ne trae un vaso che non potrà essere lo stesso. Dipende tutto dal poeta: se è un artista, un restauratore o un ceramista. Va a fortuna.

  8. @ Giuseppina Di Leo
    non so niente di disegno e pittura, pur avendo… e volendo… ma i tuoi colori del margine più che materici, già informatici, aprono emozioni terrestri, di disidentità

  9. Premetto che sono autodidatta e c’è stato un tempo in cui ho studiacchiato con l’intento di andare in accademia, cosa che è rimasta lì dove ebbe inizio. Detesto poi le regole e questa è la ragione per cui non mi sono mai impegnata per approfondirle anche in disegno in modo da poterle applicare. La divisione del foglio in parti di colore, o le campiture, come più esattamente dice Lucio, nascono probabilmente da una specie di gioco di ‘teatralità’ o di movimento. Difficilmente infatti riesco ad usare un colore unico di fondo perché subentra una noia che posso sconfiggere con un altro colore. Non so se si tratti di disindentità, come dice Cristiana, ma vi ringrazio molto, tra cui Annamaria, per il vostro sguardo.

  10. “Detesto poi le regole”…(Di Leo)

    Quelle imposte da altri e di cui non capiamo la ragione sono (per un certo tempo, diciamo da ragazzi e da giovani) detestabili. Ma se non trovassimo le *nostre* regole e non le rispettassimo, cadremmo nella follia. (Che però pare abbia essa pure qualche regola…).

    1. Da quando nasciamo siamo condizionati dalle regole e dai consigli. Le nostre scelte non sono mai completamente nostre…ma la vita è questa e per stare insieme forse bisogna assoggettarsi l’un l’altro?
      Santa pazienza.

    2. a Ennio

      Chiarisco. Detesto le regole che ritengo inutili o, più giustamente, quelle che, in qualche modo, non mi aiutano a capire ciò che invece mi sarebbe necessario. Nel disegno, ad esempio, nello studio della prospettiva, i cosiddetti ‘punti fuga’ (se ricordo bene il termine) complicavano anziché aiutare lo studio. Mi sarebbe piaciuto tanto imparare molto di più, è chiaro, soprattutto i contrasti di chiaro-scuro, ma nei nanuali a mia disposizione erano tralasciati.
      A parte questo, dire, come affermi, che sia follia esprimersi diversamente dalle regole, non lo condivido perché mi pare un tantino esagerato. Soprattutto se pensiamo all’arte (come io penso sia) come espressione.

      1. …Ecco, magari dei buoni consigli (come dice Emilia), magari di qualche buon amico, avrebbero giovato. Muoversi da soli in questo mare magnum può essere complicato.
        Ma non dispero di apprendere, sono sempre disponibile in tal senso.

  11. Mi limito a commentare brevemente le poesie d Emilia e di Annamaria, autrici delle quali meglio conosco il percorso in poesia.
    In entrambe ho notato, rispetto alle loro precedenti composizioni, un cambiamento di contenuti e di stile pur nella fedeltà alla loro abituale ispirazione.
    E questo,secondo me, è frutto della fiducia che entrambe nutrono nella scrittura poetica come strumento per esprimere se stesse e la realtà di cui sono partecipi.
    Il mutamento di rotta evidente nella poesie di Emilia e Annamaria è dovuto anche a studio, ricerca e umiltà nel richiedere e accettare osservazioni e suggerimenti.
    ” La Bava” è una poesia complessa che si presta a molteplici interpretazioni, mette l’accento sulle difficoltà, a volte drammatiche, che condizionano la vita di ognuno.
    Feriscono, dilaniano, ma se prevale la voglia di lottare ” il bozzolo” forse si dipana.
    Il linguaggio e allusivo, metaforico, come deve essere in poesia.
    Colpiscono le immagini cruente:il coltello,la lama, il sangue, lo sguardo si sposta ad un certo punto dalla situazione del singolo a quella politica.
    Annamaria prende l’avvio da un ambito fiabesco, come spesso le accade, ma non ritrovo idillio nella natura descritta.
    “Sono sola nel bosco
    nelle grotte dei lupi cerco riparo
    serpenti sulle mie nudità e capelli
    di bacche e radici ricerco le essenze
    cammino su orme di linci e pantere..
    ….in cascate di fuoco baleno e svaporo
    i peli sul corpo
    la coda…”
    “e già non son più”
    Il personaggio si trasforma, muore per rinascere.
    La metamorfosi lo porta a diventare una cosa sola con gli animali del bosco,i più feroci:i lupi, la lince , la pantera, crescono peli sul suo corpo.Dove si trova la salvezza ? nell’amore ritrovato forse.
    La parte più interessante, mi sembra però quella che descrive la trasformazione con la ricchezza degli elementi naturali descritti.
    Maria Maddalena Monti

    1. Grazie Maria Maddalena, sai quanto mi interessa il tuo parere!
      E’ vero , scrivo molto ed ascolto molto, mi sono resa conto di aver cambiato atteggiamento nei confronti della poesia, anche se il compito diventa sempre più difficile ma molto avvincente.

    2. Sono d’accordo con la lettura di Maria Maddalena, e mi complimento, sia per quanto dice della poesia di Emilia Banfi, che seguo anch’io da tempo e so essere in continua e tenace trasformazione, e sia per i versi che ha individuato di Annamaria Locatelli dove c’è volo, mi sembra, un po’ sopra il favolistico che conosco.

  12. …ringrazio tutti voi che mi state, credo, incoraggiando…Maria Maddalena, è vero la mia poesia non vuol rappresentare una fiaba. Mia nonna era del sud e raccontava solo storie drammatiche, compresa quella della sua vita…

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