29 pensieri su “Omaggi a poeti amici: Lucio Mayoor Tosi

  1. …la poesia di Mayoor mi sembra molto suggestiva, una poesia dei nostri tempi, come sbriciolata…ora viviseziona luci, colori , forme, entrando nella quotidianità…ora prende distanze siderali spazio-temporali dalle cose e dalle persone…sprigiona spesso una sorta di gioia surreale. Ma l’altra faccia della medaglia è fatta di abbandoni, disfacimenti, solitudini dolorose, tuttavia accolti come compagni inseparabili sulla strada dell’arte…

    1. Mayoor resta nell’attuale ma con la sua storia da capire, certo. Le sue parole sono sempre piene di realtà che cerca una vita , quasi una favola da respingere a volte da accettare senza perché.
      lo scoraggiamento emerge da un fondo non adatto al nostro poeta che nella sua solitudine cerca ancora la sua Grande poesia.
      Mayoor, complimenti lette da te acquistano un grande fascino , sono forti , dolci e ….lasciamelo dire mi commuovono. Un caro saluto.
      E per non essere strisciante …batto un cinque.

  2. Non poteva mancare il video messaggio di Lucio.
    Condivido i commenti precedenti a cui aggiungo:
    Lucio frammischia, pittore e poeta, i colori che paiono spiaccicarsi sugli oggetti alterandone le funzioni. Ne risulta un mondo stupefatto in cui le cose che ci circondano sembrano saperne molto più di noi, travolti dalle solitudini, dagli abbandoni (dov’è finito il gatto?). Un mondo dove l’inanimato fa da padrone anche sui sentimenti *Quante volte si dovrà morire? Per avere amici?*.
    Un mondo già preconizzato da quel genio di Buster Keaton.
    Vivi complimenti a Lucio e… su la ruota!
    Rita

  3. Care amiche,
    siete la prova di quanto l’esser visti sia assai meglio del guardarsi allo specchio; infatti, col tempo, lo specchio perde la capacità di rifletterci in una immagine che ci corrisponda fedelmente. Tempo e specchio: la loro è una congiura che andrebbe sventata ( parola di Narciso, anzi, di pavone). Ci ho provato con questo video, e spero di esserci almeno in parte riuscito: ho desaturato il colore e mi sono posto da marionetta. Insomma è stato un po’ come scrivere.
    Per Annamaria:
    sono tra quelli che credono che non si possa scrivere senza tener conto del dolore. Tutto qui. Ma anche la solitudine è un’arte che s’impara, per questo ho trascorso più di vent’anni facendo pratica di meditazione.
    Emilia:
    cerco come te, credo come tutti i poeti, la mia “grande” poesia. E’ come nuotare nell’oceano, senza una direzione, senza un riferimento, ma proseguendo più per curiosità che per istinto di sopravvivenza. Infatti la mia sembra essere una poesia annacquata, commista di prosa e poesia. Mi è stato anche detto, che dovrei decidermi su dove concentrare meglio i miei sforzi. Ma se avessero ragione avrei una strada da percorrere già tracciata, sia essa pure la Poesia, con P maiuscola. Mi trattiene l’istinto, la sensazione che ho di tradire il lettore contemporaneo ( immaginiamo per un momento che esista) con un linguaggio che non gli appartiene, quasi un’altra lingua: quella della poesia per come s’è formata nel novecento. Intendiamoci, è una scommessa, non ho la pretesa e nemmeno gli strumenti adeguati per venirne a capo, ma ci provo. Mi sembra che gran parte del problema stia al di fuori degli aspetti semantici della poesia ( Ennio permettendo). Ma di questo avremo modo di parlarne ancora a lungo, spero, particolarmente su questo blog.
    Rita:
    “Bisogna Essere morti molte Volte per Avere amici passanti”, il senso non cambia ma quel “passanti” è la parola che non ti aspetti. Vale come esempio per quanto dicevo sopra a proposito della poesia prosa.
    Mi onora che tu abbia pensato a Buster Keaton!

    Grazie.

  4. @Rita
    Il gatto: è passato ormai un mese da quando se n’è andato Pico (Picasso). Mi ha mollato da un giorno all’altro, e chissà se non aveva cercato di avvertirmi. E’ stata la mia sola prova di paternità… durata due anni! poco meno di quanto durano solitamente le mie relazioni affettive ( in media tre anni, ma aveva ragione Franco Califano!). A questo proposito pensavo: non è vero che cerchiamo un partner per preservarci dalla solitudine, la verità è che il partner ci solleva dalla tensione dovuta alla paura di vivere. E mentre io penso a queste cose, in media 24 ore al giorno, ecco che per forza se ne vanno…

    1. Caro Mayoor tutti siamo soli e dobbiamo star bene anche soli. Le compagnie prima o poi se ne vanno non solo con la presenza ma anche col pensiero, ma ci si può sempre ritrovare,sempre e soprattuto quando si è costruito assieme un po’ di mondo. Io, vedi proprio non so stare sola, ma per fortuna o per sfortuna o per caso per ora, mi va molto bene cosi. L’ultima volta che ci siamo incontrati, per me è stato un vero piacere!
      Dai prenditi un altro micio , meglio se femmina , le femmine tendono a stare più vicine a casa. Sarà bello vedrai!Ciao un GRANDE ABBRACCIO.

      1. Caro Mayoor grazie per la poesia e per la tua lettura così intensa.
        Sono d’accordo con Rita Simonitto nel ritrovare in questi testi il pittore e il poeta, come già in altre occasioni ti avevo detto.
        Parola, forma, colore si fondono con il tuo stile moderno ed essenziale e ci portano a provare profonde emozioni.
        Molto belle anche le immagini che scorrono all’inizio della presentazione.
        Parli di solitudine particolarmente dura in questo momento.Stai certo la solitudine accompagna molti di noi,ma ..chissà forse è il terreno in cui germoglia la poesia.
        Ciao Lucio prima che la nebbia avvolga il tuo rifugio forse riusciremo a vederci.
        Cari saluti
        Maria Maddalena Monti

  5. Ascoltandoti, Mayoor, è semplicità che avverto nel come colleghi lo sguardo la riflessione e la consapevolezza dei tuoi sentimenti. Purtroppo ho potuto seguire questo tuo avvertirti e la raggiunta semplicità solo nel tuo dire la poesia, mi sfuggono certamente molte altre comunicazioni perchè non ho educato l’attenzione al dire. Infatti credo che lo scritto abbia molti ripiegamenti di significato che, svolti, riuscirebbero a riprodurre le articolazioni della voce e forse, forse, di più. Perdonami se, sull’ascoltato, non so restituirti che poco feed-back.

    1. La sintassi corretta può essere sempre migliorata, e la lettura a voce può servire. Così intesa, la si può anche considerare come ultima azione dello scritto.
      A scuola, almeno ai miei tempi, ci facevano recitare poesie a memoria, e oggi molti ragazzi (rappers), aiutati dalla metrica, riescono a farlo con testi lunghissimi. Io non ne sarei capace ma do molta importanza alla lettura. Leggo volentieri davanti al pubblico, ogni volta imparando qualcosa, e cerco di migliorare. E’ triste e mortificante se la poesia non “arriva”, almeno un po’.
      Grazie per il feed-back.

  6. In questi giorni mi sto convincendo che la poesia si trovi nell’epifania, inutile cercarla altrimenti. Significa che bisogna avere costantemente fiducia in sé; che sei poeta in base alle tue possibilità di riceverne. Non escludo che più avanti potrei cambiare idea.

  7. …Mayoor: la realtà oggettiva e soggettiva che ci pungola (o ci scortica), compresiva del nemico “invisibile” o mascherato..la poesia coma epifania… la marginalità della poesia oggi…Sento un nesso tra tutto ciò, ma non riesco a tradurlo in parole…

    1. Annamaria, forse stiamo mettendo troppa carne al fuoco. Se guardiamo dentro le cose, magari dopo che abbiamo scandagliato l’intorno, il contesto, paesaggio, allora gli argomenti cambiano aspetto. Infatti stamattina mi sono detto:
      a ben vedere io NON sto dalla parte degli umili, dei poveri, degli emarginati: io SONO umile, povero, emarginato. Non parlo di loro, SONO uno di loro. Questo una qualche differenza dovrebbe pur farla; se non altro perché, se vissuta, da dentro, la verità mostra tutte le sue sfaccettature, e in qualche modo ci preserva dal pensiero, alto quanto si vuole ma in fondo limitato, dell’ideologia.

  8. …hai ragione, credo che capire dove ci collochiamo noi sia il punto di partenza…il poeta non si discosta dalla persona che è quando semplicemente vive, ma anche da ciò che è nel suo passato: niente sta del tutto alle nostre spalle. Anch’io so di essere povera (da vari punti di vista)e di non avere tanto, eppure mi sembra sempre di aver troppo, con quello che vedo in giro … Comunque cercavo un nesso, ma non mi riferivo alla ideologia, mi chiedevo come mai i poeti (e la poesia)sono emarginati in un contesto come il nostro: è il tema di un articolo presentato da Ennio…Certo la poesia quando parla di povertà reale, materiale-spirituale, o parla di un nemico invisibile o mascherato solleva troppi veli…Ma allora siamo emarginati perchè offensivi? O perchè, al contrario, inoffensivi? Perchè parliamo un linguaggio desueto?Suscitiamo antipatia, interesse o sorrisini appena appena benevolenti? Ma poi di chi? A chi ci rivolgiamo? Credo nell’animo poetico popolare, ma non vorrei che, di questi tempi, il potere mafioso riuscisse a comperare (o spacciare) anche quello…

    1. Tre mesi fa è morto un mio vecchio amico, è morto al Sacco di Milano. Aveva trascorso gli ultimi due anni della sua vita tra i senza tetto, era uno di loro. Vendeva i suoi disegni in via Madonnina, a Brera. Era un bravissimo artista ma gli è andato tutto storto. Sapeva come me la passavo, così si preoccupava di istruirmi: di fame oggi non si muore, diceva. Il problema è la notte, e quando fa freddo. Ti rubano le scarpe e ti ammali. Era certo che prima o poi l’avrei raggiunto. Ci sono stati giorni in cui ne ridevamo. Però io avevo ancora sigarette e potevo anche offrire da bere. Poi è andata com’è andata: lui se n’è andato e io mi sono ripreso un po’. Poco tempo prima ero finito a San Vittore, per una scemenza, e anche lì ho familiarizzato con i detenuti. Se dico che sono uno di loro so quel che dico. C’è di peggio? Sì sì, ma dove sta la differenza, nei numeri?

      Kalì.
      Mi disse che la vita nelle carceri deve essere scomoda, ben al di sotto del più basso livello di chi sta fuori. Altrimenti ci verrebbero tutti, mi disse.
      Ma io ciondolavo appeso alle mie idee, già nel futuro, stringendo nel pugno il cartiglio delle mie condanne al recupero.
      Avveniva nel bianco salone espositivo di una mostra dedicata alle spose insanguinate, idee per un mondo impoverito dalle certezze.
      Il pachiderma passò sfrugugliando le sue sentenze, schiacciando il bianco delle cornee a chi lo guardava e mostrando
      l’immenso suo fondoschiena, un baule di carta tricolore dove il bianco si perdeva, tra il rosso delle ferite e il verde militare.
      Avevo creato una figurina povera, povera dalla nascita: Tamara Lopez, un nome da film Hollywoodiano sul Bronx
      di Cinisello Balsamo; condannata per furto, recidiva, e per oltraggio alle forze dell’ordine. Tutto per una bottiglia di Deutz
      che non era riuscita a vendere. La pena sarebbe stata piuttosto semplice: ogni mattina, fuori dal carcere
      uno chauffeur con limousine l’avrebbe portata a fare compere lungo le vie del centro: per darle quel che desiderava, una specie di risarcimento.
      Poteva fare acquisti, che poi, a sua insaputa, sarebbero stati restituiti. Pomeriggio in sauna, con i serial killer.

      Son trascorsi due anni. Non fosse arrivato quel pachiderma, oggi Tamara sarebbe fuori e vivrebbe col vitalizio
      messo a disposizione dalle Belle Arti, che nel mio cartiglio avrebbero il compito di occuparsi di ogni cosa riguardi la bellezza.
      Bellezza e ricchezza sono signorine dell’alta società, un po’ puttanelle, più volte divorziate, praticamente zitelle.
      Ma non rubano, disse il pachiderma.
      Bellezza forse no, ma che mi dite di Ricchezza? Quella, se le conviene, è disposta ad ammazzarvi!
      A lasciar morire, disse lui. Non è reato, non è come una mancanza di soccorso. E poi dei ricchi si ha bisogno, se no
      come farebbero i poveri a tirare avanti?
      A questo non avevo pensato. Io sono un artista, mi occupo di quel che è bene. A far del male pensate voi.
      Ho trascorso una notte in carcere. Non per avergli detto questo, ma per aver coltivato alcune piantine di marijuana sul balcone.
      Mancava poco a Natale e volevo farne dei regali, per gli amici più cari. Ma l’avvocato mi proibì di dirlo.
      Dì che le hai coltivate per uso personale. Sembrava che tutti sapessero la verità e quasi ne ridevano. Avran capito
      che non sono uno spacciatore, pensai. Ho la fedina pulita, sono nato innocente. Scrivo ancora poesie,
      ragni e formiche li porto fuori, anche se aprendo la finestra, per una che esce dieci ne entrano. Io non ammazzo.

      Per niente facile.
      Un tempo avevo cento braccia.

  9. Caro Mayoor, mi hai messo un tarlo nel cuore, e nel cervello.
    Qui il rapporto tra poesia e realtà si complica, tra la biografia e il discorso. Quale autonomia ha il discorso? Quale senso ha la biografia e come entra nel discorso?

    1. @ Cristiana
      purtroppo è un tarlo ‘fondamentale’ nel senso che dà fondamento al discorso poetico.
      Se non c’è un soggetto che scrive attraverso la sua esperienza e mutuandola con la realtà ‘esterna’ non si può dare ‘alba’ nemmeno ad un verso.

      Rita

      1. Mi associo a quanto scrive Rita.
        Nel mio caso, il rapporto di collaborazione tra racconto e poesia, è reso possibile dal verso lunghissimo. Ma è la poesia a decidere quanta prosa e dove interromperla; mette luce, accentua, ma soprattutto dice la verità, cioè impedisce al racconto di andarsene troppo nella fantasia. Se ci fai caso, di solito si va più spesso nella fantasia con la narrativa che in poesia. Infatti oggi la maggior parte dei ragazzi legge storie fantasy.
        Siccome mi è stato insegnato a dire sempre la verità (poveri bimbi…) non mi resta che la poesia. In linea di massima considero la prosa una lungaggine (rileggendo Kalì da poeta, a tratti sbadiglio), ma in questo caso avevo da togliermi un rospo. La poesia complica sempre il linguaggio, e a volte non è necessario. Ne consegue, però, che Kalì potrebbe non avere titolo per essere accolta in un libro di sola poesia. A questo non so ancora rispondere.

  10. …il tuo racconto, Mayoor, mi sembra collocato in una zona di confine, tra poesia e prosa, quindi potrebbe rientrare in una raccolta di poesie quanto di racconti…oppure di prose-poesie o di poesie esodanti…Mi piace il racconto in poesia

  11. Riformulo le mie domande. Mayoor ha scritto di eventi biografici con “spudoratezza”. (Credo.) Il rapporto tra biografia e discorso è lo stesso che tra spudoratezza e discorso? Quale autonomia ha il discorso rispetto alla “confessione”? A che punto tra discorso e biografia entra la “traduzione” o la dissimulazione?
    Fa bene Mayoor a introdurre il tema poesia-prosa, Rousseau Pasolini Céline fanno prosa della loro particolare biografia, mi viene in mente d’acchito.
    Chi si rivela, o confessa, in poesia?
    In questo momento mi viene in mente il ricorso a mediazioni ironiche, o accusatorie (Pound?), per una poesia che sia anche confessionale.
    Lavora forse sempre in poesia un esigente superio?

    1. Perdonami, Cristiana, ho letto solo ora.
      Poesia, racconto biografico: ritengo che Kalì non possa essere detta poesia, almeno non nel senso che anch’io le attribuisco, di una scrittura capace di sintetizzare e moltiplicare l’esattezza di un’immagine, di un significato o di un discorso, restando al di fuori del senso comune che diamo all’uso delle parole. Kalì è poesia lineare, che non riesce a prendere una decisiva distanza dalla prosa. Ma per rispondere alla tua domanda: direi che i versi evocano sempre la realtà restandone affrancati lealmente. Ma per me l’io narrante, anche quando si rende esplicito, è sempre soltanto uno stratagemma, che mi si rivela finto già durante la prima scrittura: l’io è una particella infinitesimale di quel che siamo, il suo valore è del tutto letterario ( se questo è superio…). E l’aneddoto, in sé, ha forse più tradizione nella letteratura d’oltre oceano che qui in Europa; d’altronde mi sono formato, da ragazzo, leggendo e imitando un po’ i poeti della Beat generation. Qualcosa ne resta. Ma ripeto, Kalì è un’anomalia dovuta a necessità; così com’è stato per necessità che l’ho postata: per rispondere in qualche modo a Ennio. Altrimenti sarebbe rimasta nel cassetto, e chissà se per sempre. Ma sono stati episodi che m’hanno segnato (l’essere stato in carcere), ancora troppo vivi per poter essere stemperati nella memoria che torna al poeta quando gli serve. Non c’è ancora distanza. Da qui, credo, la scrittura prosastica, il racconto dei fatti così come andarono.

  12. La mia gratitudine a tutti gli intervenuti . Mi ha fatto bene leggerli . Non si smette mai di imparare ; ed il probabile / il possibile sono sempre mediatori di crescita e di arricchimento . Mi ha molto interessato il lato umano di Lucio , perché è un uomo libero che gestisce la sua creatività con il disimpegno impegnato che mi è caro , in uno con una sensibilità tutta sua / personale / riconoscibile .
    Un caro saluto a tutti –

  13. E’ una pagina penosa. In tutti i commenti non si registra una sola parola degna di essere sentita, avvertita, intesa come almeno un tentativo di ermeneutica… Sembra un dire cose come a un circolo di pensionati senz’attese, o in una casa di riposo.
    Sempre più lancinanti si avvertono i segni di certe scomparse, come quella per esempio di Cesare Garboli… Scrivere non per dire qualcosa, ergo, ma soltanto se si ha qualcosa da dire…

  14. Gentile Gino Rago,
    io trovo invece penoso e fuori luogo questo suo commento. Solo un fissato dell’ermeneutica può lamentarne l’assenza in un post che, dopotutto, era senza pretese e voleva essere un omaggio a un poeta amico. Non mi pare poi che il blog di poesia che lei frequenta non possa essere scambiato per una casa di riposo per pensionati (e, tra l’altro, di certo più vanitosi di quelli che qui lasciano la loro umana traccia).
    Ad maiora, se possibile…

  15. Il Lucio Mayoor Tosi della stagione poetica 2017/2018 si sta sempre di più segnalando come poeta in grado di spostare il baricentro della sua ricerca continua di poesia verso nuovi paradigmi estetici… E’ un poeta importante del nuovo panorama contemporaneo.
    Sono intervenuto soltanto perché la pagina di Poliscritture, di tanto tempo fa, peraltro,
    ospitava proprio Lucio il quale per me merita ben altre interpretazioni, ben altre letture
    dei suoi versi. Cotesta, non altro, la spinta catalitica che mi ha mosso a intervenire.
    Buon Natale caro Ennio Abate

  16. E, appunto, se la pagina di Poliscritture era di tanto tempo fa, c’era bisogno di parlare di “pagina penosa” o di “circolo di pensionati” ( dandosi peraltro la zappa sui piedi)?
    La sua “spinta catalitica” lascia molto a desiderare.
    Quanto all’amico Mayoor, arruolato o arruolatosi tra i fondatori dei “nuovi paradigmi estetici”, spero solo che non si monti o – più probabilmente – non gli montiate troppo la testa.
    Ad *mayoora* anche a lui!

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