Cinque racconti brevi

chioccia 2

di Franco Nova

 

I- MAMMA MIA AHO!

La donna aveva sonno, le palpebre pesanti tendevano a scalfire la cornea abbassandosi. Decise che era meglio coricarsi. Salì svogliatamente le scale, entrò in camera sua, si spogliò e, senza nemmeno indossare un pigiama, si buttò sul letto. Vanitosa com’era, volle ammirare per un momento le sue belle lunghe gambe, che sempre le procuravano una certa eccitazione. Guardò al suo fianco dove s’era piazzato il suo cagnaccio ottuso e bastardo che ansimava e sembrava guardarla con occhio tenero. Gli parlò: “Anche tu mi ammiri, lo vedo, ti piaccio nevvero? Eh, lo so, sono bella”. E gli fece una carezza per ringraziarlo di quell’ammirazione che era solo la sua per se stessa. Il cane ansimò ancora e mosse la coda. Soddisfatta, la donna lo accarezzò brevemente, chiuse la luce e si addormentò.

Un urlo tremendo lacerò la notte; selvaggio, feroce, disperato. La donna fece un salto e balzò a sedere sul letto; era terrorizzata, il suo cuore batteva forte, il reggiseno ballava, o forse piuttosto ballava il seno. Si guardò in giro, nella camera era di nuovo tutto silenzio, nulla sembrava fuori ordine. Corse alla finestra e scrutò nella notte: era buio pesto, l’aria tranquilla, solo una leggerissima pioggia cadeva monotona, immemore del dramma che doveva essersi svolto. Si tranquillizzò, il reggiseno, cioè il seno, non sobbalzava più. Si volse per ricoricarsi, e restò agghiacciata.

Sul letto sbavava con rauco ansimare il suo cagnaccio bastardo. Dalla bocca pendeva qualcosa di rosso che assomigliava ad un lembo di coperta stracciata; ma la coperta era blu. Avvertì in basso una sensazione di peso. Volse in giù lo sguardo e vide la sua bella gamba senza polpaccio; quello era il lembo pendulo e a brandelli nella bocca del cagnaccio. Capì allora d’un subito chi aveva urlato così selvaggiamente. E svenne.

 

II- TUTTO E’ RELATIVO

In un terreno reso duro e secco dalla lunga assenza di pioggia, mamma verme osservava divertita suo figlio che tentava di entrare in un buchetto per ripararsi dal Sole. Era però ormai cresciuto e bello grassottello; per quanti sforzi facesse, non ci riusciva proprio. Mamma verme s’intenerì tutta e sbottò: “figlio mio come sei carino nel tuo inutile agitarti, vieni qui che ti voglio mangiare di baci”. Poco distante, li stava osservando un merlo che da un pezzo gironzolava per il terreno, afflitto dal non trovare nulla. Egli vedeva solo due bei vermotti grassi e disgustosamente viscidi, di cui certo nemmeno si pose il problema di una parentela. Era però un vecchio merlo, che ne aveva passate tante e conosceva molte lingue; meglio di tutte quella dei gatti, ma si arrangiava anche con quella dei vermi. Così intese le parole del più grosso dei due verso il più piccino. Il suo becco si atteggiò ad una smorfia di disgusto e pensò: “mamma mia, che schifo; due esseri del genere che si baciano, puah!”. Fece un paio di saltelli e li ingoiò entrambi.

 

III- GALLINA VECCHIA……

Clippete cloppete… “Che fai sotto la mia ala” disse la chioccia. “Sono qui, vorrei protezione” rispose il pulcino. “E bravo, ma mi inciampi il passo e mi fai anche un po’ di solletico”; “Scusami, ma le mie zampette sono così debolucce”. “Va beh, va beh, nulla di grave, è che mi urge depositare un uovo”, “Un altro pulcino?”; “Non credo, questi malnati vengono sempre a prelevarli per mangiarli!”. “Mamma, allora io sono stato fortunato, non hanno mangiato l’uovo dov’ero”; “Tesoro, diciamo pure così, perché sei tanto piccolo, avrai tempo di accorgerti dell’errore”; “Cosa significa, in che cosa sbaglio? “In nulla, in nulla, tesoro, stai tranquillo, per alcuni mesi puoi scorazzare qui nel recinto, mangiare bene, e pensare ad altro”. “E tu cosa farai nel frattempo?” “Altre uova e ancora uova; aspettano che diventi vecchia perché dicono che allora faccio buon brodo”.

 

IV- CHE SALAME!

Il Salame era abbastanza seccato. L’avevano ben preparato e insaccato e poi messo a stagionare in un bel luogo oscuro, abbastanza asciutto però, dove qualcuno (ma non capiva chi potesse essere) gli aveva detto che avrebbe riposato qualche anno. Nel frattempo, sempre quel qualcuno gli aveva tuttavia assicurato che sarebbe arrivata la Salama; con cui si sarebbe accoppiato felicemente e avrebbero messo al mondo un Salamino. E lui, fiducioso, aveva atteso. Ogni tanto la porta del locale si apriva e lui sussultava; eccola! Invece nulla di nulla. Via via, un po’ del grassetto che aveva se ne era andato; lui diventava sempre più secco e rosso. Era veramente seccato, si sentiva preso in giro. Infine un giorno, la porta si aprì per lasciare passare una specie di orco, con un grembiulaccio ed un coltellaccio. Questo tanghero lo prese in mano e lo rigirò da tutte le parti. Egli timidamente azzardò un: “ma dov’è la Salama?” Nessuno lo udì, invece l’omaccio si rivolse ad un altro, tutto mingherlino e smunto, e disse: “è proprio pronto”. Lo odorò: “senti che odore, una stagionatura perfetta”. Lo portò su un tavolaccio e con il coltellaccio tagliò dal suo culetto una fetta. Dio che dolore! Il Salame non capiva: ma sono disumani, cioè pardon dissalamati, cosa mai faranno con il mio culetto? Semplicemente, questo fu masticato dai due, che esclamarono entusiasti: “ma è un signor salame! E’ ormai pronto per un cibo prelibato”. Lo presero, lo portarono fuori e iscatolarono. Che buio pesto; e il culetto ancora gli doleva.

Passò………non sapeva nemmeno lui quanto tempo, ma certo un bel po’. Infine sentì un gran rumore e la scatola fu aperta. Un altro omaccio con grembiule bianco, che alloggiava in mezzo ad un mucchio di pentole e padelle lo odorò pure lui, fece un gran gesto di soddisfazione, e lo posò su un lungo piatto bianco. Poi lo tagliò a fette; e stavolta il dolore fu terribile e Salame svenne. Mentre era privo di sensi, l’omaccio (che era un cuoco) chiamò un altro individuo, appena più fine e silenzioso (un cameriere), e gli ordinò di “portarlo in sala”. Salame stava appena rinvenendo, ma ormai pressoché moribondo per le gravi ferite ricevute; tuttavia, manteneva un’ombra di comprendonio. Non sapeva però, non poteva sapere (poveraccio), di essere finito nel famoso ristorante “da Otto”, in via Ottanta, 89 della grande città di Fannullopoli. Era ormai tagliato a fette, e non sentiva più dolore perché troppo ne aveva sopportato. Ad un certo punto dei vigliacchi, senza nemmeno badare a che scempio stavano compiendo, cominciarono a mettersi in bocca le fette, una ad una. Salame, ormai allo stremo, disse una preghiera, si raccomandò a Salamone, il suo Dio preferito, e pensò: come sarebbe stato bello con la Salama, ma non era Destino. Tutto masticato e gettato in un antro oscuro, dove fu investito da getti di un liquame verdastro e acido, sognò ancora per un momento come sarebbe potuta essere la Salama; poi perse ogni conoscenza e trapassò nel Cielo insalamato.

 

V- IL VECCHIO E IL PESCATORE

Un vecchio con la barba lunga, che gli intralciava il cammino, andava su e giù per una larga spiaggia. Continuava a piegarsi e a frugare tra la sabbia che un forte vento sollevava e spesso gliela cacciava negli occhi. Il pescatore, che aveva appena trascinato a riva la barca, lo interpellò chiedendogli cosa cercasse e se poteva aiutarlo. L’altro scosse la testa pur ringraziando, ma rispose che stava cercando una piccola spilla con ben poche, pressoché nulle, speranze di trovarla. Il pescatore fu sorpreso e pure incuriosito. Perché quel vecchio, avendo presumibilmente ancora poco tempo da vivere, perdeva tempo in un’attività praticamente inutile? Lo chiese al vecchio e domandò pure da quanto stava compiendo la sua ricerca. Il vecchio rispose che non sapeva indicare il tempo; tanto sicuramente, ma non gli era possibile precisare la durata. Non era tuttavia importante; la questione decisiva era un’altra. Aveva visto più volte quello spillo brillare nella sabbia, lontano da dov’era in quel dato momento. Si era sempre lanciato in quella direzione, ma il vento aveva ogni volta sollevato nubi di sabbia che facevano sparire alla vista l’oggetto.

Il pescatore chiese se non fosse allora meglio sospendere ogni ricerca e dedicarsi ad altra iniziativa, in cui ottenere magari un qualche risultato. Il vecchio disse che, in ogni caso, l’attività da svolgere al posto di quella cui si rinunciava avrebbe pur sempre dovuto essere un’altra operazione. D’accordo, magari con risultati più certi e definiti. Tuttavia, sospendere ogni impegno in una ricerca assai problematica per dedicarsi ad azioni dall’obiettivo chiaro e prestabilito – come, ad es., pescare, aggiustare le reti strappatesi, cuocere il pesce e mangiarlo, ecc. – era come attendere la morte. Quando infatti fosse stato stanco di cercare la spilla tra la sabbia sempre sollevata dal vento, si sarebbe recato sulla battigia, si sarebbe seduto di fronte al mare e avrebbe osservato il ritmico e noiosamente ripetitivo sollevarsi delle onde fino a quando la vista non gli si fosse annebbiata e il mare non fosse divenuto nero e non avesse coperto come un lenzuolo l’intero suo orizzonte.

Il pescatore tacque, alzò le spalle, e pensò che ormai quell’uomo era troppo vecchio per avere ancora un briciolo di ragionevolezza. E andò ad aggiustare le sue reti per essere pronto a riprendere il mare, tornando a pescare con risultati apprezzabili il pesce noto da sempre. Il vecchio lo osservò compiere le varie operazioni. Sospese la ricerca della spilla per almeno un quarto d’ora, guardando il pescatore. Infine scosse la testa: “Eppure è certamente uomo esperto e avveduto; e mi sembra pure prudente. Possibile non avverta cosa sta per scatenarsi?”. La sera, il pescatore si mise in mare dopo aver ascoltato le previsioni meteorologiche, che assicuravano un tempo stabile, sereno, con una moderata brezza e una visibilità perfetta; anche perché la Luna era quasi piena.

Alle tre di notte e per soli tre minuti, con pieno sereno, si produsse una tromba d’aria vorticosa e violentissima; e nessuno capì come fosse stato possibile. Tutto intorno alla tromba, sereno restava il cielo e il mare appena s’increspava. Dove passava la tromba un’onda enorme si sollevava e correva con lei; aggredì la barca del pescatore, la sollevò fino a venti e forse più metri d’altezza e la scagliò lontana nel mare calmo, dove però si sfasciò e i rottami galleggiarono tranquilli. Il pescatore e i suoi due compagni, svenuti e trascinati in alto ancor più della barca, furono poi sbattuti sulla superficie del mare: non ci fu scampo per loro.

Il giorno dopo i corpi vennero recuperati, messi in una barca ondeggiante a pochi metri dalla riva e tutto il paese si recò a salutarli per l’ultima volta, continuando a parlottare su quell’evento così straordinario e inspiegabile. Il vecchio non era lontano; guardò la lunga fila che scorreva lungo la spiaggia per salutare il pescatore e i suoi aiutanti, non vi si unì, ma mostrò pena e rispetto. E ripeté fra sé: “come mai non l’ha compreso; il dialogo con me non poteva essere più chiaro”. Sorrise infine tristemente e si allontanò, ma non tornando a cercare la spilla. Andò invece sulla battigia ad una distanza ragguardevole e lì si sedette. Lui, sì, che aveva afferrato il messaggio, quello che attendeva da tempo e che aveva immediatamente intuito non appena quel pescatore gli aveva rivolto la parola il giorno prima. E così si mise ad osservare il ritmico e noiosamente ripetitivo sollevarsi delle onde fino a quando la vista non gli si annebbiò e il mare non divenne nero, coprendo come un lenzuolo l’intero suo orizzonte; l’orizzonte che aveva sempre avuto di fronte durante la sua vita di speranze, ricerche e attese d’un risultato.

12 pensieri su “Cinque racconti brevi

  1. 1 del femminicidio?
    2 inquietante nel contesto la mamma che se lo (chi? cosa?) vuole mangiare di baci
    3 “la gallina vecchia fa buon brodo” dopo tre anni di uova alle ossa resta attaccato ben poco, però non si butta via niente
    4 la prima parte è per bambini; la seconda invece no, puro satanismo
    5 o morte sospesa o morte reale, vita non datur, neanche questa è per bambini.

  2. …si tratta, secondo me, di cinque racconti dai finali non scontati, anzi criptati, veri rompicapi… Il tema potrebbe essere il rapporto tra illusione( o anche ignoranza) e conoscenza, dal punto di vista di Franco Nova…Là dove protagonista è una persona (primo racconto), l’illusione sulla propria bellezza e sulla fedeltà di chi si mostra adorante, rende la donna addirittura anestetizzata al dolore fisico in un primo momento e solo con l’intervento della vista non potrà negare a sè la dura conoscenza della verità…Là dove cose o animali, l’illusione dura poco, come dice la vecchia gallina disincantata al suo pulcino, ma può anche resistere ad oltranza, come per il salame, ma poi la dura realtà del più forte si impone…Mi sembra l’ultimo il racconto più complesso, dove l’autore forse si rivela…Da una parte il ricercatore, dall’altra l’uomo d’azione…Il primo sembra voler suggerire al secondo che nulla è chiaro e prestabilito, quindi neanche quella tromba d’aria che distruggerà lui, i suoi compagni e la sua barca se basa l’azione solo su conoscenze superficiali, mentre lo scienziato che osserva a lungo i fenomeni potrebbe dare delle risposte utili…D’altra parte anche il ricercatore sembra aver imparato qualcosa di importante, spostando la sua attenzione dalla sabbia al mare, dal particolare all’universale…Ora espongo alcuni miei dubbi: il ricercatore sembra non avere esigenze di sopravvivenza giornaliera, come il pescatore che, rischiando la vita, ha pur l’urgenza di agire…Inoltre mi sembra che il ricercatore non si sia sforzato più di quel tanto per avvisare il pescatore dei pericoli che correva…Averne poi”pena e rispetto”, ma continuare in meglio le sue ricerche grazie proprio alla vittima di una ignoranza incolpevole…mi sembra sadismo, come dice Cristiana… L’ingegno e lo spirito sono fuori discussione…

  3. … l’ultimo racconto tratterebbe di una cattiva comunicazione tra scienza e, diciamo, pubblico, cosa che quindi non offre conoscenza, nè i vantaggi sperati all’umanità. Come due mondi separati, la vita va per conto suo…Quella barba così lunga del ricercatore, che gli intralcia i movimenti mi ricorda le unghie lunghissime dei mandarini cinesi, lontane da poter manovrare reti da pesca, barche in mari tempestosi…il pescatore avverte in lui un distacco completo, che pensa irragionevolezza, ma forse è che al ricercatore non sta a cuore la sorte di un pover’uomo…la “scienza” ha obiettivi più alti…

  4. Il primo commento di Annamaria Locatelli mi sembra piuttosto congruo, il secondo un po’ meno. Non c’è disinteresse del “vecchio” (la cui barba lunga l’ho messa così per metterla senza significato; non almeno consapevole) verso il pescatore, che non è un pover’uomo sgobbone e sfortunato. E’ uno di quelli che non crede a nulla che non sia un risultato pragmatico e anche piuttosto immediato o comunque in tempi brevi. Viene punito; ed è questo di cui il vecchio, senza parere, voleva renderlo consapevole. Purtroppo i pragmatici sono come i giovinetti oggi con i cellulari e affini; veloci nei riflessi, e senza la voglia di riflettere e cercare a lungo. Tutto si deve dare immediatamente o comunque al massimo “il giorno dopo”, rattoppate le reti alla bell’e meglio. Quindi il pescatore è il vero personaggio negativo e la punizione gli spetta “di diritto”. Ha solo la presunzione d’essere fattivo e attento al risultato concreto; la punizione sarà forse eccessiva, lo ammetto, ma non immeritata. Il vecchio – mi pare non ci si sia accorti del “fatto” – ha fallito nel tentativo di mutare il corso dei pensieri “concreti e pratici” dell’(antipatico) pescatore. Quindi, riceve il messaggio che attendeva e certo pure temeva; tutto il tempo speso ad insegnare – pur senza parere per non essere invadente e magari provocare reazioni inappropriate – come si deve cercare, pensare, farsi irritare gli occhi dalla sabbia (l’insuccesso frequente, ma che mai deve scoraggiare), tutto ciò è stato inutile. Quindi non torna più a cercare la spilla, ormai è superfluo; fa quello che aveva già detto (al pescatore) si dovrebbe fare dopo aver speso una vita nel tentativo di insegnare ai “praticoni” a pensare con l’attenzione prestata a tempi più lunghi. Si siede sulla battigia e aspetta la fine delle speranze e attese. Il vecchio non ha bisogno di lavorare, mi si dice. Ha già lavorato, è “in pensione” (spero non si voglia sapere quant’è la sua pensione); sta compiendo un altro lavoro, di pazienza infinita nei confronti dei pragmatici, rompiscatole e pieni di sé perché, appunto, “loro lavorano” e “sanno fare” (stupidi presuntuosi). Senza testa, senza essere attenti all’incontro con il vecchio che non può metterlo sull’avviso dicendogli proprio tutto. Un po’ di sforzo (cerebrale) lo doveva compiere anche il praticone, altrimenti gli capita perfino l’impensabile, ciò che non era previsto dalle “previsioni del tempo”; e capitano proprio a lui soltanto perché, in effetti, non c’è alcun brutto tempo, è lui che se lo chiama con la sua ottusità “pratica”. Abbastanza chiaro?

  5. …eppure penso che il rapporto tra lo scienziato e coloro che non sono addetti ai lavori debba essere diverso…nel racconto “L’evento straordinario e inspiegabile” non poteva essere previsto dal pescatore, che d’altronde consulta anche il parere del metereologo e osserva il cielo terso, con la luna piena prima di prendere il mare per la pesca, da cui dipende la sua vita, mentre il ricercatore non fa trapelare qualche elemento in più di conoscenza, resta passivo ad aspettare gli eventi, come assistesse all’esito previsto di un esperimento…

  6. non sta ad aspettare gli eventi! Dice chiaramente che se non si ha il coraggio di cercare anche una spilla nella sabbia (che lo acceca sempre) – o si preferisce “l’ago nel pagliaio”? – uno è come fosse già morto. E l’ottuso praticone è già morto; può consultare tutta la scienza che vuole (quella della meteorologia, appena un po’ meno imprecisa di quella dell’economia), ma non si salverà. Con questo decreterà pure la stanchezza del vecchio, che non riesce a farsi capire nella sua spasmodica ricerca. In definitiva questo racconto esprime l’antipatia irrevocabile nei confronti di coloro che affermano la stupidità: “la pratica val più della grammatica”. Se non si ha grammatica (teoria, pensiero, ricerca problematica!) si straparla, non si capisce nulla di quanto uno sta dicendo e facendo.

  7. …riconosco che è davvero complesso il rapporto tra pratica e grammatica, ma anche tra grammatica e pratica e si porta a dietro tanti discorsi: sulla scienza, sulla tecnica e tecnologia, sui valori soprattutto…

  8. Letture sane per bambini della generazione post- disneyana; e metafore per adulti incompleti di malvagità. Utilissime. Complimenti.

  9. Non so se Franco Nova abbia seguito la discussione in merito al ‘mostruoso’, nel suo rapporto con la poesia e con la ‘realtà’, iniziata con il post di Antonio Sagredo sulle ‘ultime prove mostruose’.
    Fatto sta che questi cinque racconti sembrano cadere a pallino, contemplando il mondo mostruoso a partire dalla realtà interiore; dalle fantasie che da quella si dipartono per proiettarsi sul mondo esterno in cui appaiono come enigmatiche analogie, metafore, paradigmi.
    Ma, per quanto essi si prestino a letture psicoanalitiche e mitologiche, rimaniamo nella scia del ‘monstrum’ in cui prevale l’orrore.

    In questi racconti l’assente, giustificato o meno che sia, è proprio quel ‘noi’ che Cristiana definiva, in altro post, come *l’ente che ragiona, quello che sta ragionando*.
    O meglio, secondo la mia lettura, quella funzione ‘terza’ che impedisce all’Io di farsi continuamente da specchio, inserendosi quindi con una modalità regolativa e supportante nel confronto tra immaginario e reale. (Ciò che in psicoanalisi – ops! mi è scappata! – corrisponderebbe alla ‘funzione del padre’).
    In questi racconti vediamo invece come la funzione ‘terza’ venga svolta in modo arcaico, e cioè punitivo e vendicativo, secondo il modello del biblico JHWH: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”.
    Tutto ciò che sarebbe espressione di vitalità (anche il povero Salame in attesa della Salama), se non corrisponde alla Legge stabilita dal Dio, viene punito, più o meno indirettamente, secondo una legge del taglione che non lascia scampo.
    Il *povero cane ottuso e bastardo* non può che vendicarsi del trattamento respingente della sua padrona divorandosi la quota-oggetto del suo desiderio.
    Come ‘divorate/annullate’ dalla voracità del vecchio merlo sono le tenerezze tra i due vermi, dietro la scusa ideologica del ‘che schifo’!
    Meno cruenta la terza storia, anche se non meno drammatica, e dove il soccombere viene presentato come una strada senza via d’uscita. Sottomissione houellebecquiana?
    Sembra che nell’occhio del mirino di questi racconti non sia solo l’arroganza (come vediamo nel primo, dove viene punito il vissuto narcisistico della bellezza) ma, soprattutto, l’ingenuità sia nelle sue manifestazioni tenere e infantili e sia in quelle più adulte legate al ‘non poter’ o al ‘non voler sapere’. O la povertà di un mondo ‘basso’, meschino.
    Un ‘sapere’ che si correla immediatamente con la scienza e la ricerca che sembrano figurare, almeno così traspare dall’ultimo racconto, come il nuovo Dio che, dal nulla, travolge con la sua tromba d’aria i malcapitati che non ascoltano il suo verbo.
    *Non c’è disinteresse del “vecchio” (la cui barba lunga l’ho messa così per metterla senza significato; non almeno consapevole) verso il pescatore, che non è un pover’uomo sgobbone e sfortunato. E’ uno di quelli che non crede a nulla che non sia un risultato pragmatico e anche piuttosto immediato o comunque in tempi brevi. Viene punito; ed è questo di cui il vecchio, senza parere, voleva renderlo consapevole*, scrive F. Nova.
    E’ molto sottile, ed ingannatrice, la frase “Non c’è disinteresse del “vecchio verso il pescatore”. Anzi, sembra che il vecchio voglia rendere consapevole il pescatore di qualche cosa.
    Ma di che cosa? Di qualche cosa che però è nella mente del vecchio e che lui ritiene giusta e indiscutibile. E’ il vecchio che, ad demonstrandum, ha già definito nella sua mente il pescatore come *uno di quelli che non crede a nulla che non sia…..*
    Mentre il pescatore formula delle domande, il vecchio si arrocca nella sua posizione e risponde che *l’attività da svolgere al posto di quella cui si rinunciava avrebbe pur sempre dovuto essere un’altra operazione*, sottintendendo che avrebbe seguito le stesse modalità ‘assolute’. Che senso cambiare dunque, se c’è la tendenza a ripetere il modello?
    Il vecchio si pone le domande sulla ‘realtà’ della spilla, ma non si pone le domande sul suo modus operandi, altrimenti avrebbe ascoltato il pescatore e forse, assieme (ecco il NOI) avrebbero cercato di capire il reciproco senso delle cose che stavano facendo. Il primo, nel suo cercare l’ago nel pagliaio, può chiedersi se quello corrisponde a un dictat interiore ineludibile oppure no e cioè se *dedicarsi ad azioni dall’obiettivo chiaro e prestabilito […] era come attendere la morte*.
    Quanto al secondo, era sufficiente limitarsi soltanto a pensare alla pragmaticità nelle proprie esperienze senza immaginare che ci possa essere dell’altro?
    L’esito tragico di questo (non)incontro è che ambedue questi ‘attori’ (= portatori di un certo schema mentale) periscono senza che sia avvenuta trasformazione alcuna.
    Mettersi ‘al posto del reale’ – come dicevo nei miei interventi sulla poesia di Sagredo – o mettersi completamente ‘al di fuori del reale’ non fa differenza quanto a trasformazioni. Non realizzate.

    R.S.

    1. Solo un appunto: per come l’ho interpretato io, il comportamento del cane è dovuto al modo suo di esprimere, nei fatti, da animale, il suo apprezzamento verso la padrona, e le sue gambe. La storia è surreale e i desideri sono inconsci. La vanità della donna non mi sembra imperdonabile: dà un buffetto al suo cane, e lui ricambia a modo suo, soddisfatto. Storia dell’inconscio, in linea con Dalì-Bunuel.

  10. posso essere d’accordo su alcuni punti, ma ribadisco che il pescatore non formula domande, non ha vera curiosità. Pensa che il vecchio sia appunto un vecchio e per di più balordo poiché per lui, pescatore esperto, è molto più utile dedicarsi ad attività pratiche; per di più consolidate da tanto tempo e che portano a cercare sempre “il pesce ben noto”. Quindi manifesta di fatto disinteresse per le ricerche del vecchio, che considera alla fin fine un povero demente con magari un inizio di alzheimer o almeno di senilità fastidiosa. In effetti periscono entrambi. Esattamente come sono periti certi marxisti intenti a sostenere una scienza (quindi passibile di errori o anche semplicemente bisognosa di avanzamenti teorici), ridotta invece a mera ideologia o credenza religiosa; questo da una parte, mentre dall’altra c’erano i “comunisti” fossilizzati nella “prassi” della lotta contro l'”oppressione” capitalistica della classe operaia e quella “imperialistica” della “masse diseredate” del terzo mondo. Morti entrambi. Indubbiamente ognuno con le sue colpe e quindi in fondo meritevoli entrambi di finire malamente. Tuttavia, continuo a ritenere più responsabili i secondi. Per la verità, la situazione è stata anche più complessa; talvolta, d’altronde, è indispensabile un po’ di schematismo.

  11. Veramente non ci ho pensato molto però potrei farlo adesso. Parlo del rapporto tra la donna un bel po’ vanitosa e il cagnaccio bastardo che si tiene a dormire nel letto. In effetti, la vanità non è una grave colpa; significa che la donna è un po’ sciocchina, ma niente di terribile. E’ però sventata e superficiale nel considerare il carattere dell’animalaccio maschio che accetta nel suo letto. Troppa superficialità e “nonchalance” nel valutare le caratteristiche del maschio, che in moltissimi (troppi) casi ha solo voglia di “carne” e non considera minimamente l’essere umano. Quindi la donna, in qualche modo, sembra assimilarsi ad un animale femmina, vogliosa di ammirazione, e quindi sollecita una certa violenza e aggressività da parte dell’ottusità maschile incapace di andare oltre il puro dato sessuale.

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