Il Deserto di Uség (1)

arturo-martini_gare-invernali

di Arnaldo Éderle

 

Cap.I

Un torrente di caldo scendeva dall’alto
e saliva dalla sabbia del deserto
di Uség.
Lo sentivano anche gli insetti che camminavano
nelle loro strade sommerse negli innumerevoli
vicoli delle loro città.
Nulla era tiepido nulla era fresco.
Uség passeggiava avanti e indietro
davanti alla porta della sua capanna
sotto la paglia del parasole e guardava
le capre brucare il verde del suo
magro campo. Un chilometro più in là
cominciava il suo deserto.
Áiram, la madre, giovane ancora,
s’industriava in casa con pentole e tegami,
cucinava la cena per il figlio Uség e
per sé mentre pregava il suo dio.

Cap.II

Ánatas intanto si fregava le zampe
mezzo infilato nella sabbia
fino alla cintola. Pensava
pensava a sé al suo petto appena fuori
dalla sabbia rovente, ma ancora sufficiente
mente lontano da Uség da non essere
visto.
E lo ingrossava di fiato il suo petto
e se lo guardava orgoglioso della
prestanza e del fulgore che il
petto così grosso e pesante emanava
rifrangendosi sulla sabbia.

Cap.III

Il sole continuava il suo viaggio
immobile e segnava le ore e i secondi
che passavano pregnanti e sicuri
sulla faccia della terra. Soldati
inflessibili e seri gli attimi in fila
battevano il tempo terrestre mentre
Uség seguitava a percorrere il suo tratto
sui sandali a strisce quasi contando
misurandoli con il ritmo del suo
intimo pensiero. Il viso era corrucciato
infastidito dalla malinconia e da tristi
previsioni, sembrava, che lo rendevano
magro e scarno vicino nella sembianza
al teschio, non fosse stato per i suoi
capelli lunghi fino alla cintura.
La madre, ogni tanto, si affacciava
alla porta della capanna a guardarlo
e soffriva della sua espressione
priva di ogni barlume di serenità priva
di una briciola di felicità,
abbassava il bel volto e tratteneva
le lacrime, le ricacciava in gola da dove
nascevano. Ah, povera madre, quanta
sofferenza, quanto dolore trattenuto
perché non comparisse sulle belle
guance nei suoi grandi occhi neri.
Ma Uség non dava segno di migliorare
il suo atteggiamento.
Che sarà? Si chiedeva Áiram stringendo i
piccoli pugni sul petto.

Cap.IV

Frattanto Ánatas ormai al punto di
cottura nella sabbia rovente decise
di dissabbiarsi ed emergere con tutte
le sue gambe. Una figura
davvero strana con piernas piccole
e mani, invece, enormi con lunghissime
unghie, il viso come un teschio,
senza sesso senza pelo e in testa
un grumo di capelli simile a un cespuglio
di serpi sottili e sempre in movimento.
Si mise a saltellare con quelle piccole
piernas in cerchi sempre più larghi
e a rotolarsi nella sabbia come un
verme. Veramente incredibile la sua
agilità solidi i suoi salti le
sue scorribande e veloci ma prive
di qualunque direzione. Sembrava
non volesse allontanarsi dal suo buco.
Ánatas era pazzo, sembrava un saltimbanco
senza cervello un clown di provincia
un pagliaccio dell’ultima periferia.
Cos’era quel piccoletto dalle gambe
brevi è difficile immaginarlo,
bisognava essere lì nella sabbia vicini
a quella ingiallita esibizione.
Ah! la sua bocca non aveva più di
quattro denti, quattro canini quattro
chiodi convergenti.

Cap.V

Il deserto fumava il caldo che era trattenuto
nella sabbia, dovunque ciondolava
il silenzio come una musica ferma e
pesante, qualche ragno d’un tratto sbucava
da sotto e correva ad immergersi nella
duna più vicina ragno magro e veloce,
più in là un serpente asciutto strisciava
nella polvere tracciando una scia sottile
un arabesco nella superficie della sabbia
per poi immergersi di nuovo con un
guizzo.
Il caldo era davvero insopportabile
un caldo che somigliava a un freddo glaciale.

Cap.VI

Uség infilò la testa nella porta:
Madre andrò fin qui in fondo, alla duna alta
tanto per muovermi un po’ tornerò presto.
Áiram alzò la testa e lo guardò con i suoi
occhi languidi, non disse una parola e subito
abbassò dolcemente il capo e coprì
le sue luci con le palpebre.
Bastò al figlio, e Uség prese a camminare
lentamente nella direzione della
duna alta.

Cap.VII

La sabbia bruciava ma i sandali di Uség
difendevano le piante dei suoi piedi,
gli permettevano quei sandali di posarli
sull’ardore della terra.

Cap.VIII

Non era ancora arrivato alla duna alta
che si accorse di uno strano levarsi
di polvere rossa là in fondo
alta e arruffata a riccioli
poi cadeva a terra e poi s’inerpicava ancora
alta formando piccole nubi ardenti, anzi
queste piccole nubi rasente il suolo
chiudevano qualcosa al loro centro
che pareva ruotasse su se stessa
provocandole.
Assieme a questa figura si udivano
guaiti di donna urletti di femmina ma
non si capiva di chi potevano essere
chi poteva produrli, chi poteva
stranamente cantarli.
Uség si fermò tese l’orecchio e strinse
gli occhi ma non vide che la nube
rovente e non sentì che gli stridii.
Non si spaventò continuò il suo cammino
avvicinandosi sempre più al luogo
dove il fenomeno si produceva.
Mano mano che si avvicinava odorava
un tanfo insopportabile
le sue nari lo tolleravano a stento.
Voltò il capo indietro verso la sua
capanna e vide la madre sulla porta
che lo seguiva con i suoi occhi neri,
si rattristò ma continuò il suo cammino
verso la strana visione.

cap.IX

Nel centro dell’aureola di nubi rosse
stava Ánatas. Rideva come un folle
grattandosi le ascelle e a bocca aperta
vomitava urli da una gola animale.
I suoi quattro canini si sovrapponevano pronti
a schiacciare le loro quattro punte.
Oh sì, rideva rideva oscenamente
sguaiatamente posando il suo culo sulla
sabbia mentre si massaggiava
la peluria attorno all’inguine.
Uség penetrò nel cerchio di polvere
infuocata che bruciò all’istante i suoi
sandali e la veste.

Cap.X

Ora Uség stava di fronte ad Ánatas
che continuava a ridere urlando seduto
con le piccole piernas aperte e si grattava
una ascella.
Uség lo guardava con occhi inflessibili
i capelli alla cintola sventolavano mossi
dal calore della sabbia e del fuoco.

Cap.XI

Ánatas quasi impercettibilmente si cancellò
e dov’erano le sue sembianze un po’
alla volta apparirono le forme sublimi
di Negrura la dolce dea colorata d’ebano
che guardava Uség con i suoi occhi scuri.
D’un tratto si mise a ridere e
dopo un minuto di silenzio disse:
Si lo quieres te donaré el mundo entero
pero antes tendràs que adorarme de rodillas.
Uség per qualche minuto tacque poi:
Indietro Ánatas! Indietro Ánatas! gridò
e uscì dal cerchio delle nubi di fuoco,
e furioso prese il suo cammino a ritroso
verso la sua capanna. La nube infuocata
scomparve, abbandonò il suo deserto
in un lezzo di carne bruciata e di
zoccoli di cavallo inceneriti.

Cap.XII

Alla capanna Áiram la giovane madre lo
attendeva sulla soglia, la sua forma le braccia
il collo tutta la persona rammentava
la bellissima Negrura. Lui senza veste
né calzari le stava di fronte, le braccia
distese lungo il corpo, lo sguardo
limpido baciava gli occhi di lei.
Così stettero per un tempo poi
i due corpi piano si avvicinarono,
finché non si strinsero
in un ardente abbraccio.

10 pensieri su “Il Deserto di Uség (1)

  1. Qui la poesia viaggia veloce, di parola in parola, di verso in verso, di capitolo in capitolo. La poesia illumina la vita, la ferocia della vita dà vita alla poesia. E tu non sai più distinguere dov’è la vita reale e dov’è l’arte. Qui il poeta ha davvero onorato il suo ufficio. Complimenti vivissimi Arnaldo Ederle!

  2. Sì, bella. Bella e scritta con un linguaggio comprensibile. Non vi leggo metafore sulla vita, ma mi piace anche per questo. Non fosse sempre così… esotico, Ederle potrebbe dare un grande contributo all’umanità. Per quanto, anche i fiori fan la loro parte. Comunque, una poesia così, di questi tempi, dove le persone cadono in preda alle loro immaginazioni, può servire. In attesa delle poesie degli africani. Ma è bella.

  3. …la rivisitazione di una pièce religiosa: Gesù e le famose tentazioni di satana nel deserto: satana che assume l’aspetto della bella dea Negrura e Gesù che lotta contro un’attrazione irresistibile… più in là Maria, la madre, che lo attende, “pura”. Nell’abbraccio finale “senza veste/ nè calzari…” madre e figlio riconoscono la reciproca attrazione, superando in qualche modo il timore ancestrale dell’incesto?
    Sono descritte figurine stilizzate nella loro magrezza ascetica (Useg) o bellezza irreale (Airam) o, per contrasto, carnali e ripugnanti (Anatas), su uno sfondo essenziale e astratto, come per gli universali drammi umani…Molto suggestivo questo poemetto di Arnaldo Ederle…

    1. Hai ragione Annamaria, le figure sono quelle ancestrali:
      ma
      * la madre attende ma non c’è paura dell’incesto perchè l’amore tra i sessi è l’amore della madre che scende nelle generazioni
      * satana -solo alla fine delle sue tentazioni bestiali- assume l’aspetto di Negrura, cioè invade anche il sesso e da quel sesso come tentazione si allontana Uség
      * le tentazioni bestiali hanno le piernas, non i piedi, non è umana la sessualità di per sè
      * il giovane Uség e la madre si uniscono (così è l’umanità) in amore:
      limpido baciava gli occhi di lei.
      Così stettero per un tempo poi
      i due corpi piano si avvicinarono,
      finché non si strinsero
      in un ardente abbraccio.

      Quale altra meraviglia per descrivere un paio di milioni di anni di vita?

    1. Cara Annamaria, vediamocela tra noi, a parte Ederle. La parola che mi ha colpita nel tuo commento è “figurine”. Sì, è vero, sono burattini in un teatro, nel mio amorosi e dolorosi, nel tuo più formali, fissati in una scena già nota.
      Allora, riguardo la poesia esodante, tu, mi pare, esoderesti da certi sentimenti tradizionali che per me sono invece fondanti.
      In realtà ho pensato, del tuo commento, che quel basamento non lo prendi in considerazione.
      Non so se si capisce cosa voglio dire.

  4. …anch’io ringrazio Arnalde Ederle, sempre molto bravo e gentile.
    Cercando di risponderti, Cristiana, per me le figurine dei personaggi di Ederle non sono formali, magari sono astratte e essenziali, solitarie tuttavia, come uscite da un dipinto infantile o statuette arcaiche dai movimenti impacciati…nel racconto, i personaggi si animano di una loro corporeità proprio nell’incontro con Anatas, che li mette davanti ad una tentazione, se vuoi a una parte di sè ignota o negata, quindi a una scelta e a un completamento…La madre(ma anche semplicemente la donna) dalla soglia della capanna accompagna trepidante il figlio (ma anche semplicemente l’uomo) in quella nuova esperienza e lo incoraggia, i suoi sentimenti sono velati ma identici…Entrambi ne escono arricchiti di consapevolezza e di coraggio…L’abbraccio tra loro è comprensivo di una conoscenza reciproca più ampia e completa, di un amore più grande, che include la vitalità di Negrura ed esclude Anatas…Penso che il poeta creda nella sacralità umana dell’amore…anche per me è fondante…

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