Il bisogno del lupo

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Testimoni muti

DIALOGHI SEMIMUTI CON PIETRANTONIO ARMINIO

di Donato Salzarulo

 «Fratello, ti do noia ora, se parlo?»
«Parla: non posso prender sonno».
G. Pascoli

 1 – Spesso, quando arrivo, Pietrantonio non c’è. È su, nelle stanze al primo o al secondo piano della casa di via Forno Giardino. È quella in cui è nato ed è quella che più di tutte è stata trasformata dalle sue mani e dalla sua intelligenza artistica. Vi ha portato la luce. Quella naturale, dell’alba, dei mezzogiorni e dei tramonti. E quella dell’arte che sa coniugare bellezza e funzionalità.

Il mio amico avverte che sono arrivato e, dopo un po’, scende giù per le scale. Si regge il capo col pollice o l’indice della mano destra; con la sinistra mi saluta e, vedendomi intento a scrutare l’opera a cui in questi giorni di calura estiva sta tenacemente lavorando, mi fa il gesto per dire: «Straordinaria!…Straordinaria!…». In effetti.

Da quando è tornato per le vacanze al nostro lembo di terra irpina, sta allestendo nel soggiorno, a destra dell’entrata, sotto una libreria, quello che lui chiama il suo “altare”: cinque pannelli in ferro, orizzontali, disposti su un tavolo. Viste dall’alto, le figure della rappresentazione, ottenute con materiali come il nylon, il ferro e il legno fanno pensare a libri, lettere alfabetiche, assetti urbani…

«Stai recuperando l’età del ferro?…», gli dico, «Vuoi andare verso le sorgenti della nostra civiltà?…»

Mi fa segno di no con la testa. Poi ricorre ad uno di quei fogli volanti diventati strumenti di comunicazione e scrive: «Più che età del ferro, io parlerei di tecnologia del ferro e chimica del petrolio…Quest’opera contiene ferro e riflette! …Cosa riflette e restituisce?… Luce, energia, calore, ma anche sensualità manifesta, eros…». Con “chimica del petrolio” si riferisce ovviamente al nylon, materiale entrato da tempo nelle sue opere. Infatti, sei anni fa, Pietrantonio allestì nella Galleria di Via Forno Giardino, dirimpetto alla casa, una mostra intitolata “Cellophane”.

Il concetto di “recupero” proprio non gli va. «È un concetto scontato, post-moderno, obsoleto…» mi scrive.

Io non mi do per vinto e gli faccio notare come tante volte abbia compiuto azioni di recupero: di mobili, di case, di materiali…

«Sì…ma bisogna stare attenti a parole come recupero, fabbro, contadino, memoria, radici…È tutta maniera…Sono concetti che non vanno mai citati…Chi li usa, ha un atteggiamento retrò e scontato…Tanto è vero che l’officina siderurgica dove lavoro usa il laser per ferire l’acciaio: è respiro profondo, asma/osmosi…Ho parlato di officina siderurgica e non di fabbro…fabbro, contadino, ecc. non sfamano il mondo, né costruiscono armonie…neanche se stessi sfamano…La vita è in queste opere che devono crescere e farsi capire, non in me. Io sono nella specie e nel concetto immortale, nel senso di infinito…»

Capogiro. Pietrantonio spinge la sua arte verso il vertice. Cerca di attingere il futuro. C’è sicuramente una zona della coscienza e della riflessione in cui filosofia ed arte si intersecano. Il mio amico mi sembra collocato in questa zona. Le sue certezze o le sue scommesse mi sembrano queste:

  1. Bando alla nostalgia. Se del passato c’è qualcosa da salvare o da redimere è già qui con noi, nel presente. Il ferro c’è; non viene più forgiato col fuoco, ma col laser. Meglio evitare atteggiamenti scontati, retrò e manieristici. L’arte creativa «deve essere obbligatoriamente sperimentale, mai nostalgica. Questo lavoro è entropia, pura energia: il cellophane è prodotto di un procedimento di sintesi, l’acciaio contiene e costringe l’energia in esubero. Per capirci: hai presente un reattore nucleare? Una forza spinge (Atomo) e il reattore contiene…». Mi sembra del tutto evidente il gusto per un insieme di metafore tecnologiche impiantate nel nostro tempo storico.
  2. La vita di un artista è tutta nelle sue opere. Sono loro che devono crescere e farsi capire. Sono loro, in breve, che dovranno proiettarsi nel futuro. «La mia grande paura – mi confessa – è scivolare nella banalità. Sono interessato alla ricerca, alla sperimentazione, a creare nuovi tessuti e vesti per il mondo…Per questo non uso parole come fabbro, contadino, paese…Tutte categorie del paleolitico: periodo affascinante, ma con una data che è a noi lontana…»
  3. L’Io di un individuo abita la casa della specie. È qui che si rende possibile l’immortalità, nel senso dell’infinitezza. «Il concetto di morte come trasformazione della materia, ti piace?…» mi chiede, ad un certo punto. Gli rispondo di sì. Ma preciso e gli rimbalzo la domanda: il sapere che in natura nulla si crea e nulla si distrugge o che tutto si trasforma è indubbiamente una conquista razionale, ma quanto consolante di fronte alla malattia o alla morte del singolo?…

 2 – Conosco Pietrantonio da più di trent’anni. All’inizio metteva insieme i cocci di gigantesche anfore. «Utero materno ed urna cineraria», mi disse una volta. «Ma anche vaso di Pandora» aggiunse col suo tipico gusto dello spiazzamento e dell’accostamento insolito. Certo. «Più banalmente: anche contenitori di olio e peperoni sottaceto…» gli risposi io. Sorrise. I piani del reale, del simbolico, dell’immaginario nella sua arte sconfinano. La giara è tutto quello che vuoi che sia: un luogo per la nascita e la morte, per la conservazione e il nascondimento; un grande oggetto da rimettere insieme e ricostruire. Poi dalle giare passò ad oggetti meno figurativi: sans papiers, testimoni muti…

Nei nostri colloqui continuo ad insistere sul suo percorso artistico. Vorrei che me lo raccontasse, che mi evidenziasse i passaggi, le scelte, i nuclei ritenuti decisivi, la molteplicità degli interessi.

Qualcosa, infatti, c’è di indiscutibile, evidente pure al profano: Pietrantonio è artista poliedrico, assai abile, di “multiforme ingegno”, capace di raggiungere risultati straordinari nella scultura, nella pittura e nella fotografia, nell’arte dell’arredo e dell’abitazione…Chi visita la casa romana di Via Ramni o quella irpina di Via Forno Giardino vede e tocca con mano tutto ciò, tra continue esclamazioni di meraviglia.

Il mio amico è contento, ma si schermisce. Non vuole che si torni così indietro nel tempo. Desidera concentrarsi nel presente. Vuole parlare di NYLON, dell’opera che abbiamo sotto gli occhi.

Allora su un foglio volante mi scrive: «Il concetto del MULO IBRIDO lo hai notato?…Il ferro e il nylon non danno frutto, insieme procreano miracolosamente…Il ferro e il petrolio muoiono come minerali e rinascono come opere d’arte non più ibridi…Entra pure in gioco il motoneurone…».

Righe sibilline, visionarie; pensieri metaforici che vanno spiegati, tradotti. Paragonare il ferro e il nylon ad un mulo perché ibridi, significa far cortocircuitare con un balzo analogico il regno minerale con quello animale. E immaginare che ferro e petrolio “muoiono” come fossero esseri viventi per “rinascere” come “opere d’arte non più ibridi” significa dare movimento alle cose, all’inorganico, al materiale. Rinati in “opere d’arte” ferro e nylon prolificano, danno vita ad altre creature. “Entra pure in gioco il motoneurone”. Non capisco bene come entri in gioco, ma immagino che quei motoneuroni che stanno togliendo alimento e respiro al corpo di Pietrantonio, si trasferiscano nell’opera d’arte mettendola in movimento, dandole impulso. Tutto ciò è palese nei volumi del pannello centrale, quello dell’assetto urbano. I colori vivi del nylon fanno respirare il quadro d’insieme. Effetto sublimante e compensativo. Penso ad altre opere del mio amico, ai suoi quadri “rinascimentali”, ai corpi giganteschi dei suoi atleti che forse compensavano malattie infantili e/o adolescenziali.

Pietrantonio rifiuta nettamente quest’ipotesi. Non vuole che le sue opere vengano lette a partire dalla storia di salute/malattia del suo corpo così come la poesia di Leopardi, ad esempio, non si può spiegare a partire dalla gobba del suo autore. È il pensiero che conta, il farsi dell’opera, la vita che dischiude.

Tutto vero. Ma non si può negare che la malattia abbia dato un impulso straordinario al suo lavoro. L’abbia costretto a confrontarsi drammaticamente col “tempo che resta”.

 3 – Un pomeriggio ci mettiamo d’accordo. Facciamo un’intervista. Lui intende sulle opere dell’ultimo periodo: in sostanza GLI AFFRESCHI DI VIA RAMNI e NYLON; io intendo sull’ampio spettro della sua attività artistica e della sua poetica. Mi interessano i pensieri, le idee, le riflessioni con cui accompagna il suo fare artistico. Mi interessa non solo questo. Vorrei esplorare un po’ la sua “vita interiore” e il suo rapporto con quella “esteriore”. Vorrei capire quanta intelligenza emotiva sia presente in questi cinque pannelli che ho quotidianamente sotto gli occhi e che fra pochi giorni andranno ad Aliano per essere messi in mostra alla “Luna e i calanchi”.

«Pietro – dico al mio amico – cominciamo dalle cose più semplici. Come è nata quest’opera?…Perché si compone di più pannelli?…»

«Il primo pannello nasce per essere collocato sulla parete…Poi resta sul tavolo da lavoro e altri quattro pannelli lo affiancano…Si crea tra di loro una sorta di dialogo, di feed-back continuo…E cambia il modo di leggere anche il primo pannello…La prima impressione è di avere a che fare con un testo degno di rispetto, venerabile, messaggero di rivelazioni…Seguono poi delle tavole con scritte in effigie (si tratta di un altro testo)…E nel pannello centrale sorgono volumi che fanno pensare ad uno spaccato urbano come isole di Nylon…Nella mia mente il tutto si configura come una sorta di altare con gli elementi fondanti di un aggregato umano…Sembra inciso direttamente dalla luce…»

Provo a contenere la visionarietà di Pietrantonio e lo riporto alla materialità dell’opera. L’unità della composizione è data dai materiali usati: ferro, nylon, legno.

«A partire da ciò che hai scritto nelle “Note d’autore”, desidero domandarti se è possibile una lettura sequenziale dei pannelli, se essi, in qualche modo, raccontano una storia, narrano una vicenda.»

«No!… » mi dice il mio amico con la testa, escludendo una lettura sequenziale dell’opera. E poi, scrivendo su un foglio, aggiunge: «Va piuttosto pensata come una città, un paese… Bisogna farsi catturare da una visione d’insieme, dall’impressione globale che se ne riceve…Come per un paese non c’è un ordine di lettura… S’inizia con l’edificio che colpisce di più…»

«D’accordo. Allora, iniziamo la nostra lettura esplorativa. Io partirei dal pannello centrale, quello che fa pensare ad un assetto urbano e in cui prevalgono volumi verticali. La mia impressione è che l’inserimento di questi tre ciuffi di nylon dai colori vivaci (fucsia e viola) dia energia e movimento all’insieme. Penso alle “Muse inquietanti” di De Chirico ove sembra dominare una metafisica dell’immobilità, una sorta di silenzio straniante e irreale. La tua opera, invece, con questa fioritura di nylon sembra superare quest’atteggiamento. I volumi degli edifici sembrano tolti al congelamento…Non so, mi sembra effettivamente che ferro e nylon insieme prolifichino… Che ne pensi di questa mia impressione?…»

Pietrantonio annuisce con la testa, dichiarandosi d’accordo con le mie annotazioni.

La nostra lettura esplorativa continua. Dal pannello centrale, terzo nell’ordine, ci spostiamo verso i due laterali a sinistra (primo e secondo) e i due laterali a destra (quarto e quinto). In generale, si può dire che in questi pannelli gli elementi presenti sono più orizzontali, quasi aderiscono al piano, e fanno pensare a libri coi loro titoli e a lettere.

Infatti nel primo e nel quarto pannello ci sono due libri, sfrangiati con nylon viola, che portano in copertina i titoli rispettivamente di CELLOPHANE ARMATO e NYLON. Nel secondo pannello due lettere cubitali (A e N) sono incise su due elementi rettangolari in rilievo e nell’ultimo pannello la scrittura dilaga in sovrapposizione. La mia sensazione è che tutta la composizione sia quasi un omaggio al libro e alla civiltà della scrittura…

«Si, è vero, tutta la composizione evolve verso la civiltà della scrittura…Quasi una civiltà egizia – precisa Pietrantonio – con caratteri incisi non a rilievo e, comunque, appena accennati…»

Faccio notare al mio amico che “cellophane armato” è un’espressione che ha già usato per la sua mostra dell’agosto 2009. Gli chiedo di spiegarla. La sua risposta è una similitudine: «Come il cemento armato acquista resistenza col ferro, allo stesso modo il cellophane…”. Vero.

Sul secondo pannello, l’unico a vedere la presenza di alcune tavolette di legno verniciate di nero, l’artista sostiene che «non è legno, ma piuttosto cellulosa, carta marcata da inchiostro…più che carta, tavole…»

 4 – Per i nostri dialoghi, di solito, vado da Pietro di pomeriggio, verso le cinque. Può capitare che non ci sia. È dal falegname. Sta seguendo personalmente la costruzione di un’altissima angoliera da sistemare nella casa di Via Forno Giardino. Lo fa dando istruzioni dettagliate, misurando e rimisurando col metro, indicando gli intervalli tra le mensole, la parte che deve restare chiusa e quella aperta come una vetrina. Il mio amico non ha di sé un’idea d’artista romantico. «Romantico!…No, no…È solo un lavoro di ufficio, artigianalità come tu dici: dieci ore di lavoro di ricerca e la sera a tavola con i figli…»

Quando parlo di artigianalità non ho nessuna intenzione di diminuire d’importanza la sua attività creativa. Penso al libro di Richard Sennet dedicato all’«uomo artigiano» (Feltrinelli 2008), a quante abilità mette in opera nel suo lavoro di costruzione e invenzione, al rapporto mano-testa che lo caratterizza. «La mano è la finestra della mente», sostiene Kant citato da Sennet. In breve, per il sociologo e scrittore statunitense l’artigiano è «figura rappresentativa di una specifica condizione umana: quella di mettere un impegno personale nelle cose che si fanno.» Quindi, grande attenzione, entusiasmo e motivazione per il lavoro di qualità, ben fatto. Artigiano è il falegname, ma anche il carpentiere, il tecnico di laboratorio, il direttore di orchestra…Tutti coloro che sanno coniugare maestria e immaginazione, abilità tecnica e progettazione.

In Pietrantonio l’artigiano e l’artista dialogano continuamente. Fanno tutt’uno. Il primo sa risanare e riverniciare un mobile insediato dai tarli o sa progettarne di nuovi su misura degli ambienti, come sta facendo in questi giorni con l’angoliera che chiamerà CAR A MAMMA; il secondo sa regalare una vera e propria metamorfosi agli oggetti, ricavando da una finestra un tavolo di lavoro, da una fontanella una fruttiera o lanciare, infine, verso il futuro composizioni avveniristiche come NYLON.

Un pomeriggio gli dico: «A proposito di quei due quadri che si trovano sopra il pianoforte nella casa di Via Ramni a Roma, nella “Stanza dei segni”, mi fanno venire in mente un pittore americano che disegnava la bandiera del suo paese…»

«Jasper Johns…» scrive prontamente il mio amico.

Pietrantonio è bravissimo. Ha dentro di sé i secoli della storia dell’arte italiana e non. Nelle sue opere è possibile cogliere echi di antichi e anonimi artisti, ma anche di grandi come Giotto o Michelangelo, delle avanguardie storiche e di artisti concettuali e postmoderni del nostro presente.

Da dove gli viene, del resto, quell’inserimento di ciuffi di nylon nei suoi dipinti degli ultimi anni?…Da Jasper Johns forse, dal reade made o forse anche da altri.

«Da altri …» mi scrive «…Jannis Kounellis e Alexander Calder, ad esempio…».

 5 – Ci sono momenti in cui il mio amico vorrebbe che spiegassi agli altri il suo pensiero artistico. Soprattutto quando è sibillino o quando assume una particolare curvatura filosofica. È il caso odierno. Il soggiorno di Via Forno Giardino è particolarmente affollato da visitatori e Pietrantonio gesticola vicino al pannello centrale. «Vedete questa piazza?…», sembra voler dire. Tutti accenniamo di sì con la testa. «La vedete questa piattaforma?…». In effetti, a destra, c’è un quadratino nero che si distingue dagli altri volumi verticali che fanno pensare agli edifici. «Su questo PIEDISTALLO si potrebbe installare un monumento…La scultura contiene un’ipotesi di scultura…Questa è una scultura che suggerisce se stessa…è doppiata [mentre scrive sottolinea la parola] perché io doppio sempre [altra sottolineatura]…L’idea si fa doppia: pone una domanda e si fa proposta…»

Vedo occhi smarriti. Io stesso lo sono, ma simpatizzo con l’idea di una scultura che è soltanto un’ipotesi, che pone il problema di una sua doppia natura, che mentre è domanda è anche proposta…Inseguo il pensiero di Pietro; cerco di parafrasare e ampliare le sue parole…

«Cristo è divinità, ma si fa uomo che dovrà riconoscere la divinità (ARTE in questo caso) per la propria affermazione e salvezza…La scultura come oggetto per salvarsi opera questa catarsi, un gioco doppio…Bisogna dar rilievo o colore al punto focale, al buco nero…La divinità, il DIO DIVINO è nelle cose, non ha visibilità, anzi è la parte più piana , bassa…Ci sono ma non si nota, si inciampa …questa smaterializzazione è nel SOFFIO DI NYLON…Anche nel primo, quarto e ultimo pannello, sotto il grande testo, ci sono piedistalli piani: è il vuoto necessario che si pone come base per una incerta visibilità, il vuoto come opera ed in questo caso così corposo: un vuoto con un proprio peso e c’è un’arteria e vena che implica una ossigenazione: un doppio percorso vitale…»

Mentre Pietro scrive, io leggo ad alta voce. Gli altri annuiscono. La mia sensazione è di avere a che fare con materiali incandescenti, pensieri alti su cui bisogna tornare, concetti filosofici che richiedono messe a punto, misurazioni, perimetrazioni.

«Chiudiamo?… » mi domanda sul foglio volante il mio amico «O si apre un nuovo CAPITOLO?…» Gli dico di chiudere e, a commento di quanto detto sinora, aggiunge: «È un pensiero ANTICO NELLA SUA ATTUALITÁ; perpetua la parte nobile dell’uomo…»

Indubbiamente. Bisogna soltanto sforzarsi di capire con che pensieri abbiamo a che fare. Privato della voce e costretto alla scrittura, Pietrantonio si impegna, a volte, in meravigliosi voli della mente, balzi analogici, metafore, cortocircuiti. Io metto nel quadernetto i suoi fogli; ci penso e ripenso su e cerco di capire. Nel caso specifico, mi pare si possa dire che il mio amico ama le sfide. Si butta a capofitto in gomitoli di temi e problemi che per essere dipanati richiederebbero ore ed ore. Tanto per limitarsi ad enunciarli, ecco l’elenco:

  1. Il tema dell’assenza nell’arte. Un monumento soltanto ipotizzato.
  2. Il tema del doppio. Penso a un pittore come Diego Velàzquez e alle pagine che Michel Foucault ha dedicato a un quadro come “Las Meninas”
  3. L’arte è sempre una domanda e nello stesso tempo una proposta. Questa mi sembra un’ottima dichiarazione di poetica. L’interrogativo successivo è inevitabile: quali domande NYLON si pone e ci pone? Quale la sua proposta?
  4. Il tema del doppio nell’arte può rimandare, come suggerisce Pietrantonio, a quello della doppia natura di Cristo? Possiamo, cioè, porre un’analogia fra il tema teologico dell’incarnazione, del Dio che si fa uomo, e il tema artistico della Bellezza-Verità-Bontà o del “mondo delle Idee” che s’incarnano e diventano visibili in oggetti, quadri, figure, volumi, linee, colori?
  5. L’arte può salvare il mondo?…Può la scultura, ad esempio, rappresentare un’ancora di salvezza? Può mettere in moto un processo catartico?
  6. Quale concezione avere del Dio-Sostanza? Pietrantonio sostiene che “è nelle cose”. È visibile-invisibile, “anzi è la parte più piana , bassa”. La divinità c’è, ma non si nota. Nelle sue pieghe “si inciampa”. “Questa smaterializzazione è nel SOFFIO DI NYLON “, che è simile così al soffio divino.
  7. Il tema del “buco nero”, del “vuoto come opera”, del vuoto “così corposo”
  8. Il tema del corpo, della sua doppia circolazione arteriosa e venosa e della sua ossigenazione.

Il tema del doppio sembra così attraversare in filigrana tutti gli altri temi: quello teologico della natura divina ed umana, quello filosofico della doppia natura del mondo (idee ed oggetti), quello estetico della doppia finalità dell’arte (salvezza-catarsi e non) e della sua materializzazione-smaterializzazione, quello astronomico-biologico del vuoto e del pieno e, infine, quello anatomico della doppia circolazione sanguigna.

Sotto questo profilo, l’arte di Pietrantonio mi sembra veramente nutrita d’idee. Non è l’arte di un filosofo, ma di un artista capace di sentire i concetti, di sentire la forza, l’energia dell’universo, la presenza della bellezza divina nel soffio di Nylon, nella doppia circolazione corporea, nel vuoto e nel pieno che ci accompagnano. Ha ragione. Sono pensieri antichi nella loro attualità. Perpetuano la parte nobile dell’uomo.

 6 – Altare, libro sacro, doppia natura di Cristo, presenza di Dio…Tanto ricorso metaforico al “grande codice” biblico mi stimola a porre all’artista una domanda diretta: «Dimmi la verità, sei credente?…» Mi risponde di no con la testa. «Allora, perché tutto questo ricorso a Cristo, a Dio, alla divinità, ecc. ecc?…». Prende un foglio e scrive: «Perfetto…L’accenno alla divinità è evocato dall’orizzontalità e dal basamento dorato presente nella stesso pannello che si fa domanda e risposta…Come tu sai, l’opera sarà esposta ad Aliano, all’interno dell’iniziativa diretta da Franco Arminio “La Luna e i calanchi”…Con quest’opera viene allestito una specie di altare commemorativo a Carlo Levi…Costui ha scritto “Cristo si è fermato ad Eboli”…Ancora una volta la figura di Cristo…Poi con questo ricorso al “grande codice” voglio anche ricordare la fraterna amicizia col pastore Donato Castelluccio…Tutti elementi che, al di là del mio non credere, rimarcano una tendenza dell’animo a scrutare l’imponderabile; una specie di confessione comunicativa sensibile-filosofica…»

La risposta mi appare chiara. Cerco, quindi, di indirizzare l’intervista verso emozioni, sentimenti, paure presenti o non presenti in alcune sue opere esposte tra la cucina e il soggiorno: una natura morta, un acquerello erotico con un giovane che guarda sotto le gambe divaricate di una figura femminile sospesa in aria, Nylon oppure i quadri più concettuali presenti nella Galleria…

«Perché…», domando al mio amico, «nella “natura morta” sei così figurativo?…Una natura morta che poi così tanto morta non è, visto il movimento di caduta di molti frutti…»

«Compiacimento per la mamma…», scrive Pietro «…per la mamma che non capirebbe diversamente…una risposta alle sue apprezzate e utilissime attenzioni…Alla mamma non posso donare una linea storta: sarebbe ingiusto. In alcune opere che tu additi [l’acquerello erotico, ad esempio] c’è la mia compiaciuta esteriorità, l’io sorridente…I momenti più turbolenti devo averli per me solo che smette di esserlo con l’energia impiegata per rompere l’assedio in cui rischiamo di precipitare. Poi, se l’impresa riesce, mi presento di nuovo sorridente e capace di offrire una carezza, un abbraccio…Queste sono cose che tu fai in modo più marcato. C’è un Donato dimesso, familiare e un Donato insonne perché avido di capire Fortini o chicchessia…»

Colpito. «Quindi vuoi dire che c’è un Pietro impegnato in opere più leggibili, più popolari, più basse e un Pietro che vive momenti più turbolenti, più verticali, più concettuali, impegnato in opere più alte e complesse…»

«Può essere pure più basso. Non c’è una condizione alta o particolarmente complessa. C’è solo “il bisogno del lupo”, il richiamo di un branco che non abita i luoghi quotidiani, pianificati…Dopo si torna al sociale e si è felicissimi di mostrare la propria liberazione…Anzi, gli altri poi ci aiutano a codificare…Per questo sono tutti fuori tema quando scrivono di qualcosa che non conoscono, non hanno orientamento. Sono solo parole in libertà…»

Aguzzo lo sguardo e la mente: «Bisogno del lupo?…Puoi chiarirmi meglio cosa intendi?…»

«Il lupo non è un esteta. È, piuttosto, la parte notturna, buia; è licantropo…impersona la metamorfosi. E così noi viviamo con felicità il giorno e con trepidazione la notte…»

«Opere del giorno ed opere della notte, allora…Opere del compiacimento, del sorriso, della felicità e opere della trepidazione, della malattia, della morte…»

Pietro mi scruta. Voglio portarlo sul punto focale, quello del buco nero e del vuoto, che procura un dolore intenso e diffuso a lui e a tutti coloro che gli stanno vicino. Ma mi anticipa e sul foglio continua a scrivere:

«Sulle malattie, sulla morte: ma non esistono…Nella specie c’è un rinovo velocissimo che va sempre più perfezionando i suoi geni…Che morte!!… Dov’è?…Non esiste.»

Mentre traccia queste parole, penso al filosofo Severino. Neanche per lui esiste la morte. Esiste solo l’eternità dell’Essere. Per Pietro, invece, la morte è solo metamorfosi, trasformazione della materia…Commento: «Hai proprio una visione materialistica…»

«Non solo…Con l’arte si indaga su aspetti spirituali con la stessa fervida energia…Poi l’opera d’arte non dà un valore misurabile; per questo è illeggibile, misteriosa…Dona la vita e non si conosce il perché…L’affanno creativo supera una dimensione prettamente umana e lo conduce su segni che non inneggiano alla pura armonia, ma piuttosto la destrutturano: ferisce il ferro col LASER E LO CURA COI SUOI NYLON. Accostamenti questi apparentemente incomprensibili. Nella casa con gli affreschi, invece, la visione è più serena, più mitigata perché la casa offre un’ospitalità necessariamente più piana, rassicurante. Sarebbe davvero troppo se le pareti di casa avessero la stessa inquietudine del cantiere dove forzo il contatto anomalo, inusuale. Negli affreschi c’è continuità storica che Arminio asseconda senza, comunque, rimpianti né nostalgie…»

Luce, materia, energia, informazione, trasformazioni e metamorfosi…Il materialismo di Pietro (o sarebbe forse meglio dire il suo naturalismo) include gli “aspetti spirituali”. Come potrebbe essere diversamente?…L’opera d’arte è frutto del “bisogno del lupo”, della felicità diurna e della trepidazione notturna; è un “affanno creativo” che va oltre l’umano, che destruttura armonia, che produce ferite, lacerazioni…

«Ma non ti fa un po’ paura tutto ciò?…» gli chiedo.

«Paura?…In arte non deve avere la prevalenza un atteggiamento di piatta rassicurazione, ma spingere verso albe più radiose, anche se pregne di ostacoli e trappole di maniera.»

“Albe più radiose”, “pregne di ostacoli”…Certe volte il mio amico ha un gusto lessicale volutamente antico, dissonante. Certe altre volte scorazza tra laser, atomi e reattori nucleari.

«Nel rapporto passato-presente-futuro la tua spinta è volta maggiormente al futuro?…Cerchi il nuovo?…»

«Non si tratta di nuovo, ma significa vivere la propria esistenza con delle motivazioni volte alla conoscenza per lo meno di se stessi… Il sentimento si rinnova nella vita di domani. Nel passato prossimo o remoto c’è solo piatta, inutile ripetizione. Nella nostalgia è innegabile un certo compiacimento, ma meglio se questo ce lo raccontano gli altri. Con la nostra lingua diventa un impasto poco digeribile. Anche nella vita quotidiana è così. Raccontare la propria avventura in prima persona è patetico: io, io, io…Un amore, una amicizia, la valorizzazione nostra o di chiunque nasce da una visione che gli altri hanno di noi. Se no è solo NARCISO del più banale.»

«Chiaro…» gli dico, leggendo ad alta voce questi ultimi appunti, ricavati, come tutti gli altri, nella postura diventataci in questi giorni familiare. Lui seduto su una poltrona, vicino al caminetto, e io, al suo fianco sinistro, su una sedia. Lui costretto a far ricorso ogni tanto al linguaggio dei gesti e a scrivere, più o meno velocemente, su fogli, ora sottolineando una parola, ora scrivendola in stampatello, ora cancellandola per cercare il termine più espressivo o più esatto. Io a parlare, a sforzarmi di capire, a porre domande, a ripetere concetti e a parafrasare, tenendo il più possibile sotto controllo la mia angoscia da empatia.

Non è facile mettersi in questi giorni nei panni del mio amico.

Grande artista, certamente.

Grande anche nella malattia.

 3 settembre 2015

 Antologia di opere di Pietrantonio Arminio
Nylon 1^ pannello
Nylon 1

 

Nylon 2^ pannello
Nylon 2
Nylon 3^ pannello
Nylon 3
Nylon 4^ pannello
Nylon 4
Nylon 5^ pannello
Nylon 5
Giocoliera
Affreschi di Via Ramni

 

 

 

 

566
Affreschi di Via Ramni
567
Affreschi di Via Ramni
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Affreschi di Via Ramni

 

rosso 1

rosso 2

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10 pensieri su “Il bisogno del lupo

  1. Grande. Grande. Grande.
    Grande l’artista, Pietrantonio Arminio; grande Donato Salzarulo nella sua intervista e grande Ennio Abate che ce l’ha proposta.

    Ho sperimentato dei momenti di vera commozione al contatto con certe descrizioni che coniugano mondi che, apparentemente, sarebbero ‘inconiugabili’: ferro e naylon, ad esempio.
    *Il ferro e il nylon non danno frutto, insieme procreano miracolosamente…Il ferro e il petrolio muoiono come minerali e rinascono come opere d’arte non più ibridi*. La ‘morte’ avviene se vengono prese esclusivamente nel loro ‘essere cose’, nella loro datità.
    Uniti insieme dalle tecnologie, dalle modernità della tecnica, possono procreare miracoli. *Più che età del ferro, io parlerei di tecnologia del ferro e chimica del petrolio…Quest’opera contiene ferro e riflette! …Cosa riflette e restituisce?… Luce, energia, calore, ma anche sensualità manifesta, eros…»* (P. Arminio).
    Il ‘recupero’ del passato non viene fatto ‘banalmente’ o ‘romanticamente’ attraverso un suo trasferimento tout court nel presente, bensì viene ri-edito nel presente stesso.
    Ovvero l’artista *cerca di attingere il futuro*, così acutamente segnala Salzarulo che aggiunge: *C’è sicuramente una zona della coscienza e della riflessione in cui filosofia ed arte si intersecano*.
    Sempre Salzarulo: *La vita di un artista è tutta nelle sue opere. Sono loro che devono crescere e farsi capire. Sono loro, in breve, che dovranno proiettarsi nel futuro*.
    Sì, è come con i figli, viene da pensare.
    Altro punto cruciale: *L’Io di un individuo abita la casa della specie. È qui che si rende possibile l’immortalità, nel senso dell’infinitezza. *«Il concetto di morte come trasformazione della materia…* (Arminio).
    *«Non si tratta di nuovo, ma significa vivere la propria esistenza con delle motivazioni volte alla conoscenza per lo meno di se stessi… Il sentimento si rinnova nella vita di domani*. Ma è un domani che nasce attraverso la relazione con gli altri, mediato anche dalla *visione che gli altri hanno di noi. Se no è solo NARCISO del più banale.»* (P. Arminio).
    Nell’Io, finito e infinito si incontrano.
    L’artista dal “multiforme ingegno” (infatti Salzarulo di lui scrive: Pietrantonio è artista poliedrico, assai abile, di “multiforme ingegno”, capace di raggiungere risultati straordinari nella scultura, nella pittura e nella fotografia, nell’arte dell’arredo e dell’abitazione…*), pur essendo contento di questi riconoscimenti non se ne compiace narcisisticamente, ma si schermisce.
    Emozionante come illustra la nascita di un’opera presa in esame al momento dell’intervista.
    Salzarulo: *«A partire da ciò che hai scritto nelle “Note d’autore”, desidero domandarti se è possibile una lettura sequenziale dei pannelli, se essi, in qualche modo, raccontano una storia, narrano una vicenda.»
    «No!… » mi dice il mio amico con la testa, escludendo una lettura sequenziale dell’opera. E poi, scrivendo su un foglio, aggiunge: «Va piuttosto pensata come una città, un paese… Bisogna farsi catturare da una visione d’insieme, dall’impressione globale che se ne riceve…Come per un paese non c’è un ordine di lettura… S’inizia con l’edificio che colpisce di più…»*
    Meraviglioso!
    Molto interessante – ma qui ci vorrebbe un lungo lavoro di approfondimento – il tema del doppio, inteso anche come ‘ipotesi dell’altro’: *La scultura contiene un’ipotesi di scultura…Questa è una scultura che suggerisce se stessa…è doppiata [mentre scrive sottolinea la parola] perché io doppio sempre [altra sottolineatura]…L’idea si fa doppia: pone una domanda e si fa proposta…»*
    E poi il concetto ‘rivoluzionario’ del vuoto, il vuoto che ci fa paura e invece può essere immaginato in altro modo: *è il vuoto necessario che si pone come base per una incerta visibilità, il vuoto come opera ed in questo caso così corposo: un vuoto con un proprio peso e c’è un’arteria e vena che implica una ossigenazione: un doppio percorso vitale…»*
    E, infine, l’accenno alla duttilità dell’artista : *«Quindi vuoi dire che c’è un Pietro impegnato in opere più leggibili, più popolari, più basse e un Pietro che vive momenti più turbolenti, più verticali, più concettuali, impegnato in opere più alte e complesse…»* (D. Salzarulo).
    *L’opera d’arte è frutto del “bisogno del lupo”, della felicità diurna e della trepidazione notturna; è un “affanno creativo” che va oltre l’umano, che destruttura armonia, che produce ferite, lacerazioni…*

    Ho messo giù in fretta questi pensieri ma i temi trattati in questa intervista sono così interessanti e densi che meriterebbero ancora altre riflessioni.
    Grazie di questo bel lavoro.

    R.S.

  2. …straordinario davvero l’artista, Pietrantonio Arminio, come emerge attraverso il dialogo così intimo, profondo e discreto con l’amico Donato Salzaruolo…ma poi arrivano le tavole delle sue opere e lo sguardo e la mente si sdoppiano…Non semplice dire le emozioni che trasmettono… colpisce il contrasto tra “le opere del giorno”, dai colori tenui e solari: nature morte, dipinti di scene rinascimentali, quelle del sorriso, dedicate alla madre…e “le opere della notte” dai colori cupi, metallici, vivacizzati da incursioni di nylon coloratissimo…quest’ultime raggiungono particolarmente, come a mettere a nudo quel “bisogno del lupo” presente in tutti noi…L’artista esplora l’assenza, il doppio invisibile, il buco nero e dà loro uno spazio…la parte inesplorata dell’universo e dell’animo umano sono insieme il passato, il presente e il futuro…Le scritte sulle tavole sono, secondo me, particolarmente misteriose: sembrano affiorare dal fondo scuro della notte dei tempi per una breve loro rivelazione, ma potrebbero anche scomparire ai nostri occhi…La scelta del materiale usato per le opere: legno ferro, nylon, derivati da potrolio, da procedimenti chimici sembra una forma di ribellione all’ecologia profonda, tendenza di molti artisti di oggi…Nel suo materialismo “divino” l’artista vuole donare vita ad arti morti o infecondi e li trasforma, combinandoli, in esseri viventi… accettare, scavare, trasformare una realtà che diversamente sarebbe pesantissima, come vederne la bellezza, come amarla…certo un Ulisse coraggioso

  3. Entro nelle ferite di queste , di queste vite , intervistato e intervistatore e ne esco con la consapevolezza che è possibile una buona vita. Grazie a Donato Pietro ed Ennio. Segnalerò il sito.
    Cari saluti

  4. Ringrazio Donato per avermi consentito di conoscere in modo più approfondito l’opera di Arminio, per aver illustrato i pannelli in maniera così chiara e critica . Le sue opere raccontate con semplicità rara, tracciano bene il percorso dell’artista che giustamente va oltre le definizioni banali: moderno, postmoderno, oltre le categorie “gabbia”, l’artista esplora il presente e anticipa una sua visione futura . Sono perfettamente d’accordo con l’idea di abbandonare certi termini obsoleti il caro vecchio : ” buon saggio”troppo nostalgico, lasciamolo agli altri, a chi è affamato di pubblico…(tutto è pubblico oggi) l’arte vola.
    Parlerei piuttosto di polivocalità così come appare nelle opere raccontate ma anche in quelle scelte per il sito. Pluralità di elementi che raccontano la città delle immagini mentali dell’artista e delle sue molteplici anime. Pluraità di scelte di idee, di materiali, che convivono e condividono uno spazio così come avviene nelle città reali o utopiche… come nella città del sole…Ho pensato subito a un testo che amo di Artaud “Il teatro e il suo doppio” e sarei curiosa di sapere se Pietrantonio o Donato l’hanno letto perchè naviga sospeso nei loro dialoghi muti.
    “Il concetto di “doppio” di Artaud fu fonte di malintesi: egli spiegava il titolo del suo libro dicendo che “se ilteatro è il doppio della vita, la vita è il doppio del vero teatro”; i doppi del teatro sono allora la metafisica, lapoesia, la crudeltà.
    Il doppio del teatro non è la realtà quotidiana, sempre più vuota ed insignificante, ma piuttosto la realtà archetipica e pericolosa.
    Il concetto di “doppio” viene applicato da Artaud anche a proposi-to dell’attore:
    L’attore deve vedere il suo corpo come il doppio di uno “spettro”, plastico e mai compiuto, simi-le al ‘Ka’ delle mummie egiziane; ogni parte del corpo ha uno speciale potere mistico ee erotico ed ogni emozione ha una sua base organica. Ogni differente metodo di respirazione può essere analizzato per il contenuto simbolico” L’arte quando comunica respira…Mi sembra che questa idea di doppio e di polivocalità ritorna nellle opere di Pietroantonio molto più che il concetto di dualità fra arte popolare o arte più accessebile. Il corpo travalica l’anima. Il corpo è anima. L’arte favorisce conoscenza e co-nascenza. Una nuova nascita, la morte non esiste per l’artista. Lo stile di Donato che sapientemente mescola immagini poetiche e narrazione critica del percorso danno parola e musica alle opere dell’artista e rendono il testo una lodevole lezione d’arte e di vita. Pietro e Donato: siete proprio una bella coppia! Non c’è che dire…Muti eppur parlanti.
    e grazie ad Ennio per la pubblicazione…
    Giulia

  5. Ringrazio tutte le persone intervenute.
    Sono contento che Rita Simonitto abbia “sperimentato dei momenti di vera commozione”, a partire da questo scritto che le ha permesso di conoscere l’opera di Pietrantonio Arminio. Ha arricchito il mio intervento sottolineando, in particolar modo, i motivi che più le hanno “parlato”. Lo stesso dicasi di Anna Maria Locatelli.
    Ringrazio Eleonora ma soprattutto Giulia, per aver sollevato il tema del “doppio” in Artaud. Non ho conoscenze sufficienti a valutare la questione. Ne parlerò col mio amico e mi riprometto di approfondirla.
    Ancora grazie a tutte
    Donato

  6. Ho saputo in questo momento. Se n’è andato Pietrantonio Arminio. In questo post Donato [Salzarulo] ci aveva insegnato a capire il suo mondo.

    Pietrantonio Arminio

  7. Pubblico la lettera che Marcella Corsi inviò a Pietrantonio Arminio dopo averlo conosciuto nella sua casa-museo a Roma:

    Caro Pietrantonio,

    devo ringraziare Donato per avermi coinvolto nel vostro pomeriggio ricco di umanità e di stimoli. Mi ha fatto piacere conoscere te e il tuo lavoro, la tua famiglia, la tua casa. Anche il giardino mi ha affascinato.
    A testimonianza di quanto dico copio qui sotto quel che ieri ho scritto proprio sul tuo giardino:

    Nel giardino regna Gesso. Egli ha cacciato gli elefanti primordiali, i giganteschi rinoceronti. Ne rimangono le zanne puntate al cielo, in eterna preghiera d’evasione.
    Accoglie invece esseri celesti che si nutrono di limoni e di notte vi scendono a gara per le scale a chiocciola (due ce ne sono, una anche sul terrazzo a tetto). Quelli si sfidano in scherzose competizioni, nascondono oggetti, prendono in prestito attrezzi da lavoro, qualche volta portano doni raccolti sugli alberi. All’alba se ne vanno da dove sono venuti.
    Gesso li conosce e non si scompone. Ma se qualcuno entra in casa non autorizzato avverte a gran voce, protesta ad umani e non la sua fedele sovranità.

    Non credo che abbiate trascurato il giardino nel progetto di catalogo che state curando. Se così fosse (per via di una telefonata cui non potevo non rispondere non mi è stato possibile ascoltare la fine degli interventi sul catalogo), questo vuol essere un invito ad includerlo.

    Sono stata colpita anche dalla notizia che tuo nonno piantò migliaia di querce. Anche lui come Elzeard Bouffier , il protagonista del racconto di Jean Jono? Quel libro dovrebbero farlo leggere in tutte le scuole.

    Grazie ancora e in bocca al lupo per la realizzazione del catalogo.
    Un abbraccio
    Marcella

  8. …bella la foto di Pietrantonio Arminio ritratto con i figli ( o i nipoti), con quello sguardo che sembra proiettato verso il futuro…Perciò buon viaggio e grazie per la straordinaria opera!

  9. Domande e risposte da rileggere, e riflettere, vicine alle riflessioni sulla poesia che si fanno qui.
    «Sulle malattie, sulla morte: ma non esistono…Nella specie c’è un rinovo velocissimo che va sempre più perfezionando i suoi geni…Che morte!!… Dov’è?…Non esiste.»

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