CANTIERI DI POLISCRITTURE “Guerra&Guerre” di Giulio Toffoli

GUERRA 2

In un incontro della redazione di Poliscritture del 5 ottobre 2015 sono stati elencati schematicamente una serie di temi su cui lavorare nei prossimi mesi:
1. Mezzi e linguaggi ;
2. Stato o sovranità nazionale, democrazia, cittadinanza, post-democrazia;
3. Alimentazione (Expo), nutrire, distribuzione delle risorse;
4. Paesaggio, paesaggi, geografia umana, risvolti nelle arti;
5. Ecologia/ ecologia profonda (Arne Naess);
6. Storia, memoria e uso pubblico (e distorto) della storia;
7. Poesia esodante (quale poesia oggi?);
8. Trasparenza;
9. Guerra/e;
Su ciascuno di essi singoli redattori proporranno delle scalette ragionate, che verranno pubblicate sul sito di POLISCRITTURE (e su POLISCRITTURE FB) anche per sollecitare critiche o suggerimenti ed eventuali collaborazioni da parte di quanti ci seguono. Qui sotto pubblico la scaletta preparata da Giulio Toffoli. [E.A.]

Guerra&Guerre

Er gran casino

L’avemo visto quer che l’Occidente
in Libbia e nell’Iracche ha combinato
intervenenno assai pesantemente!
Saddamme co Gheddafi ha sotterato

lassanno come erede prepotente
quell’Isis che proclama er Califfato
e ch’ariverza in fuga tanta gente
sur Vecchio Continente impreparato.

P’aricucì sto sgaro a tutto spiano
nun trova gnente più d’origginale
che n’antro po’ de bombe d’aroplano.

Ma mo le cose stanno propio male
ché co la Russia ar fronte in primo piano
er rischio è che la guera viè globbale.

Francesco Di Stefano

Il problema dell’infuriare di guerre in questo primo scorcio del XXI secolo, con tutti i suoi esiti inevitabili, violenze, distruzioni, migrazioni, è tanto evidente da imporsi ogni giorno all’attenzione di un’opinione pubblica sempre più distratta.
Infatti alla “politica politicante” risponde una crescente disaffezione alla cosa pubblica e disattenzione, un fastidio che tocca anche una parte del mondo intellettuale. Si preferisce delegare, quando non ci si schiera più o meno apertamente dalla parte del cosiddetto Occidente in una nuova e surrettizia riproposizione dello scontro fra la civiltà europea e inglese e la barbarie delle popolazioni dell’ex Terzo Mondo.
In questo orizzonte più che mai fosco la necessità di tornare a ragionare intorno a questo tema appare evidente.
Non mi dilungo nella ricerca di motivazioni che si potrebbero portare per la realizzazione di un numero sulla guerra  ma segnalo una precedente proposta fatta alla redazione in data dicembre 2012  (allegato 1 – invero da quello schema molta acqua è passata sotto i ponti … e la situazione piuttosto che migliorare è peggiorata).
Si è deciso perciò di presentare, in modo più concreto, una scaletta di un possibile numero su tale tema.
Alcune sezioni sono già articolate in sotto-temi che vorrebbero avere una qualche forma di logica interna, altri (segnatamente i settori 6 e 7) sono volutamente lasciati del tutto privi di indicazioni per la loro peculiarità (ampiezza del tema e ricchezza dei possibili rimandi –  perciò non sono indicati nomi di poeti e letterati né si è accennato al tema guerra e arte che potrebbe essere altro terreno su cui lavorare).
Ovviamente il tutto è aperto a ogni proposta sia come introduzione di nuovi temi, sia come indicazione di possibili contatti con cui interagire, sia soprattutto per stimolare la concreta partecipazione dell’intera redazione e di nuovi collaboratori.

Giulio Toffoli

INDICE NUMERO: Guerra&Guerre

1- Introduzione: Da Verdun all’Ottobre. A cento anni da una lezione di cui si è perduta la memoria

2- Le forme della guerra
– Dopo il Vietnam: la mutazione del concetto di guerra di popolo
– Le forme della guerra asimmetrica
– Guerra e globalizzazione
– La guerra come prodotto gestito dalle società di pubbliche relazioni
– Le forme della guerra virtuale: dai droni alla guerra degli haker

3- Tornando a ragionare sui concetti
– Morte e resurrezione dell’imperialismo
– Colonialismo vecchio e nuovo
– Sull’ambiguo concetto di legalità internazionale

4- Il quadro oggi
– Il modello afgano: una guerra infinita
– Dall’Iraq alla Siria
– Il caso libico: una forma di schizofrenia della politica occidentale da manuale
– La Jugoslavia: rivisitando uno dei paradigmi della nuova guerra

5- La guerra nelle riviste italiane
– L’esperienza di “Giano” e l’opera di Luigi Cortesi
– “Guerre & Pace”: la parabola di una rivista
– La nuova geopolitica nell’interpretazione di “Limes”

6- I poeti e la guerra

7- La letteratura e la guerra

8- Le risposte alla guerra
– Il movimento pacifista e la sua parabola

9- Il gioco della guerra
– La guerra nella PlayStation: il caso di The Last of Us

ALLEGATO 1

Un mondo in crisi fra imperialismo e neocolonialismo
Ultimo aggiornamento (Sabato 01 Dicembre 2012 00:35 )

1- “Il XXI secolo è iniziato molto male, a causa della persistente politica aggressiva dell’America, molto più rischiosa rispetto al secolo precedente. Il potenziale distruttivo degli armamenti è cresciuto in maniera esponenziale, e per altro ne dispone un numero assai superiore di persone e di Stati. Quelli che un tempo potevano essere considerati problemi di politica estera relativamente minori, oggi hanno conseguenze maggiori. Tutto ciò non promette nulla di buono. Il mondo ha raggiunto il punto più pericoloso della sua storia recente, o forse di tutta la storia” (G. Kolko)

2- Fra il 1989 e il 1992 il presidente degli USA Bush senior aveva lanciato la parola d’ordine del “nuovo ordine mondiale” che avrebbe dovuto eliminare anche semplicemente l’ombra della guerra. La “sconfitta del comunismo” era stata la premessa per la creazione di un nuovo clima di cooperazione internazionale che avrebbe cancellato ogni motivo di conflitto. La democrazia poteva espandersi ed affermarsi dove il cosiddetto “totalitarismo” aveva impedito il suo sviluppo. L’esito sarebbe stato la creazione di un clima di armonia e di crescita del benessere che avrebbe interessato non solo le regioni che avevano goduto del libero mercato e del suo sistema di governo, ma anche la altre regioni del globo. Di tale progetto si facevano garanti il presidente USA e il presidente russo Gorbaciov, l’uomo della perestrojka e della glasnost.

3- La pubblicistica occidentale, e sia chiaro non solo quella, fecero da megafono a tale disegno che sembrava rinnovare i fasti del sogno wilsoniano e probabilmente riprendere, ma solo pochi se ne resero lì per lì conto, il sogno monroiano in una nuova formulazione, non più “l’America agli americani” ma “il globo agli americani”. In tale prospettiva la disintegrazione dell’URSS è stata subito derubricata a un esito inevitabile del destino di un sistema profondamente malato, infatti “l’impero del male” non poteva che finire così! Così tutto sembrava procedere a gonfie vele …

4- Solo che già nel 1992 in Jugoslavia, poi via via in una serie di stati dove si sono verificate modificazioni di sistemi politici che hanno assunto forme di nazionalismo revanscista sempre più accentuato, hanno mostrato il nuovo volto del millennio che stava per iniziare. Era l’età della “guerra infinita”, come è stata definita da G.W. Bush con una formula che nel suo cinismo forse più di ogni altra ha però l’onestà di mostrare il nuovo volto della realtà mondiale. La presenza militare USA diffusa in decine e decine di stati fino a creare una rete indistricabile di potere, i rapimenti di avversari/nemici, veri o presunti, torturati e trattenuti senza limite sono state alcune delle caratteristiche di questa nuova epoca. Basti pensare alle ultime immagini di marines che urinano su avversari deceduti. Con la scusa della libertà e della democrazia si è venuto così a costituire un clima internazionale arroventato e segnato da nuovi e continui potenziali terreni di conflitto.

5- In questo quadro le strutture internazionali, sostanzialmente sottoposte a tutela USA, hanno perso gran parte della loro capacità di funzionare, se mai hanno davvero funzionato come camera di compensazione delle diverse forze internazionali in concorrenza fra di loro. E contemporaneamente sono emersi nuovi soggetti, presenti nelle situazioni di crisi, che hanno iniziato a svolgere una funzione che un tempo era riservata a poche istituzioni ben definite e che invece oggi vedono le cosiddette ONLUS operare in modi che, se in alcuni casi sono espressione di sincera attenzione per le tragedie che insanguinano il pianeta, in altri casi non possono che lasciare almeno delle ombre …

6- Non meno importante è porre l’attenzione sulle diverse “rivoluzioni colorate” che hanno entusiasmato negli ultimi due decenni la stampa occidentale, a cui si sono aggiunte nell’ultimo anno le cosiddette “rivoluzioni della primavera araba”. Si tratta di fenomeni complessi che troppo spesso vengono letti nei loro aspetti esteriori, si sarebbe portati a dire quasi folkloristici, se non fosse per le tragedie umane che li segnano. Facile è rifarsi a categorie usate e abusate quali libertà, democrazia … Più difficile è poi che vengano messi in luce gli aspetti più profondi del quadro politico e sociale in cui questi fenomeni si vengono ad iscrivere. Si ha spesso l’impressione che ciò che conta e su cui si ferma l’attenzione sia l’aspetto emozionale del fenomeno, lo spettacolo che porta in campo mass media, giornalisti, inviati del più vario tipo, “esperti” più o meno estemporanei, ma tutti buoni a riempire il tempo e l’immaginario della gente. Ciò che davvero si verifica dietro le quinte rimane coperto da un velo di omertà che raramente si riesce a scuotere.

7- Il grande assente in questo dibattito sembra essere proprio il pensiero di una sinistra che non sia da parata o “emozionale”. Esemplare in questo quadro il caso della “rivoluzione libica” realizzata grazie al contributo liberatore di USA, Inghilterra, Francia, e Italia. Come non rimanere insensibili pensando che, giusto giusto dopo un secolo, abbiamo “rifornito” ancora una volta di bombe il suolo libico? Ed ancora come non vedere in quella “Santa Alleanza” liberatrice il segno del neocolonialismo che, dopo la ventata indipendentistica/anti-imperialista degli anni ’50-’60 del secolo scorso, ritorna a far sentire in prima persona, con la sua potenza di fuoco, il suo peso nella gestione della politica nord-africana? Eppure pochissime e marginali sono state le voci che si sono fatte sentire su questo tema. Si è piuttosto notato un silenzio complice … e una volontà di non analizzare questi problemi se non nelle facili formulazioni che vengono fornite dall’ideologia borghese.

8- Nel 1999 D’Alema ebbe la spudoratezza di scrivere su un suo libello, Kosovo, che i bombardamenti contro Belgrado furono il fiore all’occhiello del suo governo, Bersani in tono minore ha lasciato che il governo Berlusconi bombardasse Tripoli.

9- Pertini ebbe a dire una volta, rifacendosi ad un vecchio slogan socialista “svuotiamo gli arsenali, riempiamo i granai”. Ciò che si è verificato negli ultimi due decenni è stato esattamente l’opposto. La stessa Italia si sta riarmando in modo tale da lasciare basiti coloro che si ricordano che la Costituzione aveva fra i suoi articoli un articolo affermava il ripudio della guerra. I “warlords” di questo pianeta lo stanno riempiendo di armi … Quale ne sarà l’esito?

Si tratta di una serie di aspetti, diversi ma convergenti, che ci mettono ogni giorno di fronte a una realtà spesso sconfortante che però non possiamo nasconderci che esiste. Né ci è dato di poter agire per modificare un quadro che è legato a meccanismi da molti punti di vista imponderabili. In più la nostra rivista non ha certo voce tale da assumere un valore che non sia di testimonianza, ma anche una piccola pietra … Cercando di interpretare i fatti possiamo individuare qualche cosa di imprevisto. Ricordiamoci che i fatti sono i ciottoli della strada che porta alla verità e che troppo spesso la falsa coscienza che governa il mondo tende a nascondere.

Romain Rolland, l’autore dell’immortale Au dessus de la melé, ebbe a scrivere nell’agosto del 1915, quando tutti lo riempivano d’insulti e irridevano alla sua voce solitaria di convinto nemico di una guerra imperialista che si risolveva in un unico grande massacro, a chi gli chiedeva quali fra le sue credenze avesse distrutto la guerra rispondeva:
“Di ciò che credevo la guerra non ha distrutto nulla. L’ha reso anzi più forte. Essa ha rafforzato:
1- Il mio disprezzo per le classi dirigenti – governi, oligarchie finanziarie, chiese e pretesa aristocrazia intellettuale – che hanno portato il popolo a questo inutile massacro;
2- I miei sentimenti di fraternità per chiunque soffre, in qualunque nazione;
3- La mia fede nell’unione futura e nell’avvento di una struttura sociale nuova, più umana e più giusta.”
Il suo monito appare oggi più che mai attuale, e può essere di stimolo per una indagine che ci consenta di lavorare fra ieri e domani leggendo “il presente come storia”.

10 pensieri su “CANTIERI DI POLISCRITTURE “Guerra&Guerre” di Giulio Toffoli

  1. L’inferno in tera

    Confesso che so’ stanco e sconzolato
    che ancora ce s’ammazza in Tera Santa,
    che doppo settant’anni er cararmato
    sta sempre lì che a spari se la canta.

    Per monno da tutt’antro affaccendato
    la volontà de pace nun è tanta
    e conti su na mano chi accorato
    su sto sfracelo piagne e nun la pianta.

    ‘Ndo’ stanno li Potenti giorno e sera
    è na ricerca senza risurtato:
    magara so’ impegnati a n’antra guera.

    Perfino er Padreterno s’è vortato
    pe nun guardaje la facciaccia nera
    a st’omo ch’en ber giorno t’ha creato.

    E adesso è solo inferno su sta sfera.

  2. …guarda come si sbriciola la terra
    siamo barchette di carta
    sul fiume esodato in mille rivoli
    non ha argini, scende persin dai tetti
    tutto travolge l’acqua in ira
    eppure era tanto attesa.

    C’ è una rabbia buia
    che esplode dagli animi contratti
    la guerra è l’altra faccia della natura,
    straripano arsenali militari
    dai basamenti infernali
    la fucina dei demoni
    arrota arrota umani

    una bimba vestita di nulla

    1. Grido

      Nella campagna infuocato
      cade l’ultimo derelitto muro

      La ricerca della casa
      nell’ignoranza del seguito
      resta la condanna

      Non fare pane né spettacolo
      né più amore dentro l’abbraccio
      rode il tempo la vergogna

      Non dare fiducia a chi
      ha la veste logora non piangere
      sul suolo senza vento

      La speranza resta la pillola
      la medicina del futuro
      la sola che spinge

      Ma arretra la ragazza
      davanti al fiore dai petali neri
      l’acque confondono non lavano

      Il terrore dell’ancora sparge
      sulla corona d’allori
      la sua velenosa sapienza

      Resta popolo a guardare
      e pensa senza disperazione
      quella dei poveri cristi

      Accendi la vita della rinascita
      io ti aiuterò non so come
      ma per ragion d’amore
      radicherò la mia storia
      con la tua

      Chi sa chi persevera
      resta – ma tu arrabbiati
      non farti desiderare
      ascolta la tua innocenza
      rompi il duro campo
      resisti al vento
      come la ginestra ancora.

      E. Banfi

      E’ tutto ciò che vorrei dire

  3. Finora

    Non succede niente raccolgo pensieri
    negli orti comuni preparo insalate
    e un frutto di stagione. Le notizie
    non promettono soste alle inclemenze
    dei venti contrari al momento
    non c’è ragione di scegliere
    tra opzioni confuse. Esposti
    alla stagione finora niente è cambiato.

  4. SUL TITOLO DEL NUMERO 12 DI POLISCRITTURE

    L’incalzare degli eventi di questi giorni e le decisioni inquietanti dei capi di Stato (in particolare quella del francese Holland) impongono la necessità di non chiudersi nel silenzio e di riflettere al meglio con tutta l’intelligenza e la passione di cui siamo capaci. Mi pare perciò utile rendere pubblico questo scambio tra due redattori in preparazione del prossimo numero del cartaceo. [E. A.]

    Luca Ferrieri

    Oppure proporrei: Senza pace.
    Non penso che titolare Guerra & guerre significhi di per sé dimenticare la pace, al contrario: la scaletta è eloquente. Ma c’è, sia nella scaletta che nel titolo, una certa predominanza del tema dell’analisi dei conflitti rispetto a quello della costruzione (anche mentale) della pace. Mettere la pace nel titolo (sia in positivo che in negativo: la pace che non c’è) allora può significare questo: ridare centralità alla prospettiva della pace, utopica come tutte le prospettive, ma scandita da precisi gesti ed impegni nel quotidiano. Forse il primo impegno da prendere o dilemma da dirimere allora è quello se – qui e ora – vogliamo prima di tutto dire che “siamo in guerra”oppure che “rifiutiamo la guerra”. La prima affermazione, comunque la si voglia intendere, finisce in una sorta di accettazione dello stato presente di cose, per alcuni porta con sé lo stato di emergenza permanente e la sospensione democratica, per altri il sano realismo della guerra che è già qui, nonostante le ipocrisie dei governi e dei benpensanti benestanti. Ma l’esito, secondo me, è lo stesso: la simmetria tra le logiche e i modi di atteggiarsi degli Holland e dei terroristi. Alla fine ci si perde sempre nella spirale del chi ha iniziato prima, come se questo contasse di più del gesto di chi invece è capace di finire prima.
    La seconda affermazione è quella che dovrebbe essere al centro del numero di Poliscritture: decostruire la guerra/costruire la pace. E’ chiaro che si può essere contro una guerra sia da pacifisti che da non pacifisti, ma se vogliamo essere contro la guerra (cioè se vogliamo rendere la guerra un tabù, l’unico tabù che abbia un senso) il mondo del pacifismo ha una sua primogenitura e una sua voce ben riconoscibile anche se plurale e questo dovrebbe apparire anche nel numero.
    A tutti ciao,
    Luca F.

    Giulio Toffoli

    Carissimo Luca

    ho letto le tue note un poco rapidamente e mi segnerò il testo per riprenderlo con calma ma ti segnalo una mia prima sensazione. Il titolo La pace che non c’è a me piace davvero tanto. La proporrei senza difficoltà subito come titolo del numero.
    Poi convengo su entrambe le tue notazioni.
    Con una sola precisazione.
    E’ vero che sappiamo tutto, che siamo sommersi dalle informazioni ma credo che fare il punto su quello che succede intorno a noi rimanga elemento imprescindibile. Ciò ovviamente non per fare una analisi geopolitica puntuale che altri fanno regolarmente e meglio di quello che noi potremmo per infiniti motivi realizzare. Si tratta solo di ripensare, almeno nel mio modello, a ciò che capita intorno a noi facendo una sintesi critica su queste diverse forme di “guerra empia”.
    Al lavoro e grazie

    Giulio

  5. Costruire un numero sul tema ‘guerra e pace’ (teniamoci alla visione classica per ora) mentre Hollande e altri capi di Stato ci stanno trascinando in guerra (o stanno continuando la guerra: più o meno permanente o addirittura eterna… ricordiamoci che è dalla prima Guerra del Golfo, 1990, che ci affanniamo con maggiore o minore attenzione sulla questione) è davvero una scommessa ardua. Anche perché dobbiamo farlo senza più bussole che orientino. E nel frattempo la paura, che scaturisce da immagini e urla (tutti abbiamo visto e sentito qualcosa da radio e TV) e quella che viene istillata dall’alto con la scusa della vigilanza, cresce. E’ difficile uscire “di pianto in ragione” (Fortini). Nella costruzione di questo numero 12 di Poliscritture esiste un’effettiva oscillazione anche tra noi (e lo mostrano i vari interventi arrivati). Luca Chiarei dice bene: bisognerà “sviluppare una riflessione che sia capace di prospettiva, che risponda alla necessità del “che fare”, senza perdere di vista la concretezza e durezza della realtà con la quale ci confrontiamo”. In teoria non si può non essere d’accordo. Chi non vorrebbe una bella quadratura del cerchio, una sintesi di realismo e utopismo? Ma come arrivarci ed è possibile arrivarci? Tentiamo. Avendo presente che chi pone l’accento sulla realtà della guerra non è un guerrafondaio o un cinico: indica dati ineludibili su cui ragionare. E che pure chi non vuole dimenticare la pace non è semplicemente un ingenuo. Dai materiali che raccoglieremo e dalle riflessioni in proprio che faremo come redattori dobbiamo però, ad un certo punto, dopo un tira e molla inevitabile tra i due poli del realismo e dell’utopismo, scattare una foto, fissare una scena, fosse pure provvisoria. Non so se in essa prevarrà il realismo o l’utopismo. E’ però importante che il realismo non copra un immaginario cinico e che l’utopismo sia ragionato.

  6. Er cervello de li potenti

    Vorebbe di’ a sti quattro capoccioni
    che reggheno le sorti de sta Tera
    si co le bombe inzieme a li cannoni
    ce ponno assicurà la pace vera

    invece d’antre morti e distruzzioni
    capaci de lasciacce sempre in guera
    co voja de vendette e ribbellioni
    com’è sta quotidiana tiritera.

    Allora si la Storia è professora
    che spiega da millenni la lezzione,
    dovrebbe èsse arivata la bon’ora

    de mettese a studià coll’intenzione
    che pe curà sto male che ciaccora
    ce serve ben diverza soluzzione.

    Ma ‘r cervello ar Potente dà de fora
    così che de cambiallo è n’illusione
    che puro a Cristo j’è costato allora

    e a tanti d’antra razza e religgione.

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