Donne e uomini

godimento ederle

di Arnaldo Éderle

 

Le donne donne donne donne donne
sono tutte donne con culi e seni
che passano per le strade e le profumano
di carne di donna e se la godono
ad ogni passo, e fingono di sistemarsi
la gonna e invece si accarezzano il culo
e ridono.
Chi le stringe nello sguardo chi le tocca
con le mani senza tocco chi le sfiora
con le gambe mentre tagliano le strade
con i loro muscoli, gli uomini
uomini uomini uomini.
C’è un grande carnale amore per le nostre
strade un bordello infinito pieno di
odori di ascelle e d’inguini umidi di
sperma rappreso.
Che gaudio di piacere inespresso muto!
che silenzioso piacere che
che desideri che voglia!

Ma non è tutto qui. Dall’altro lato delle
strade camminano uomini e donne
senza voglie e desideri senza grilli
nelle teste e con grandi fardelli scuri
sulle spalle, non li vediamo i loro pesanti
sacchi di pene e grovigli di pensieri
non li vediamo ma ci sono, forse basta
osservare le loro spalle e i loro occhi
senza speranza e luce.
Ogni tanto si fermano forse per sistemarli
meglio e per asciugarsi il sudore che
gronda dalle fronti o che s’inerpica
sulle braccia come minuscole ragne
fastidiose.
Ah, hai voglia di cacciarle con le mani
o scuotendo il capo!
Intanto donne e uomini dell’altro marciapiede
seguitano le loro manovre i loro
amori a un palmo di mano.

Camminano queste persone di secondo rango
si superano raramente, il loro passo
è quasi sempre uguale guardano i loro simili
raramente ma non li giudicano non li tagliano
con occhi affilati con desideri di valutazioni
astratte e inutili non gli tagliano addosso
i loro vani criteri (che non hanno né li
vogliono). Hanno un cervello quasi inabile
a certe funzioni, vivono dove pestano
pensano senza margini di qualità
o di valori. Non ne troverebbero di valori,
se li mangiano tra denti stretti
e parole mute.

Chi guardasse sotto le loro camicie
vedrebbe ossa incrociate e pelli di seta
pronta allo strappo lacerata
alle giunture e disegnata con righe
di sangue color dell’ebano.
E mentre le donne e gli uomini dell’altro
camminamento si guardano con occhi spermati
e labbra tremanti, loro i diseredati
tacciono non hanno parole
non le ricordano, il silenzio parte dalla gola
arriva alle mani ai piedi ai toraci
e alle deboli gambe che muovono
come bastoni da montagna.

Chi volesse mescolarle l’una e l’altra
compagine non saprebbe come fare,
il desiderio di comunità e fratellanza
brucia come stecchi secchi ma senza legno
come mucchi di voglie senza trasporto senza
amore. Si sbirciano con avidità
ma le fiamme non sbocciano non tingono di rosso
l’aria, rimangono bianche
come candidi fazzoletti, senza voglie
di abbracci e di calore.

Ah, se volessero unirsi questi due strani
popoli, se desiderassero con tutte le
loro forze abbracciarsi stringersi le mani
chiedersi un reciproco come stai dove vivi!

O popoli diversi, o gente disuguale,
perché non incrociate i vostri
innocenti destini le vostre
incolpevoli esigenze?
Quaggiù nelle nostre pianure sui nostri
scogli avvelenati anche i vostri piaceri e le
vostre pene sono accolti
benevolmente come il bianco e il nero sulla
tavolozza del pittore.
Non ci sono divieti luoghi deputati
dove si coltiva il marcio o si curano
i bei fiori dipinti di grazia e di
profumi, dove si cantano inni gloriosi
o dove si recitano requiem per i morti che vivono.

O popoli diversi spegnete le vostre insegne
e godetevi il mondo, tanto grande e
pietoso, stringetevi le mani.

13 pensieri su “Donne e uomini

  1. Ma quanti attraversamenti, di nascosto, casuali, improvvisi, in ritardo, tra i due marciapiedi! A parte tutto, siamo creature ciclotimiche.

  2. Sì. “Stringetevi le mani”. Splendida tutta la poesia. Magnifica la terzina finale. Più bella ancora sarebbe stata in prima persona plurale:

    “O popoli diversi spegniamo le nostre insegne
    e godiamoci il mondo, tanto grande e
    pietoso, stringiamoci le mani.”

    Complimenti vivissimi ad Arnaldo Ederle.

  3. Che questo poemetto di Ederle possa essere applaudito anche dalle femministe (d’antan!) – ohibò! – mi ha stupito. Ma “godiamoci [questo] mondo”.

    1. Rispondo volentieri. Ho letto il poemetto come una giocosa (rabelaisiana) rappresentazione di due file di umanità (su uno stesso gradone purgatoriale?), ambedue mancanti, una per eccesso, una per difetto, della matura conciliazione, dell’equilibrio, tra piacere e autopunizione.
      Contemporaneamente so bene -per esperienza personale e di traffici umani- che l’alternarsi di umori e comportamenti euforici e autopunitivi è una condizione diffusa e spesso a lungo protratta nella vita. E’ a proposito di questa seconda considerazione che parlo di attraversamenti, più o meno consapevoli, più o meno liberatori, più o meno di pentimento (troppo tardi ho capito che avrei dovuto invece…) tra il godersela e il frenarsi, tra il liberarsi e il ritirarsi, più seriamente: tra la naturalezza e l’astensione, tra la naturalità e la sobrietà. Spero di essermi spiegata.
      Anche per questo non condivido l’invito di Paolo Ottaviani a usare il noi invece della terza persona: mi pare che il poeta stia in una distanza dai due atteggiamenti, che descrive con evidente ironia, evidente nell’eccesso stesso della descrizione.
      E’ la mia lettura, chiaramente.
      p.s. Grazie dei libri, te ne scriverò appena riletti.

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