A un anno dalla morte di Gianmario Lucini

Gianmario Lucini stupefatto

Raccolta di  poesie, commenti e ricordi a cura di E. A.

 Pubblico qui in occasione del primo anniversario della morte di Gianmario Lucini (28 ottobre 2014) i testi pervenutimi dopo il mio appello su FB da persone che l’hanno conosciuto e apprezzato e non l’hanno dimenticato. Altre riflessioni su di lui o sulle sue opere appariranno man mano  nei prossimi mesi. Un grazie a tutti/e. [E.A.]

Postilla. Aggiungo in APPENDICE altri contributi man mano che arrivano [E. A.]

1976 Alberi 1976

Gianmario
di Rina Accardo
AMICO
PADRE DI SCRITTURA
È CON TE CHE CAMMINO.

 

1980 circa Solitario, tempera

2015-03-26
di Francesco Aprile

la nostra patria è un agosto di mare e di falene
(dente iroso dell’Etna dalla baia di Pèllaro…)

Aldo Dramis

Di queste montagne non resta che una forma
lontana di nuvole, un giaciglio di pensieri,
l’adesione del cielo alla terra, dopo il mare.
Una adunata di volti e questa litania di corpi.
Di queste montagne non resta che il disegno dei
falchi dopo la collina, il battito della monda,
il rumore della tramontana sul mare e il vento,
a suonare le sue campane di foglia.

 

1978 Volto

Una sola volta, in Urbino
di Vitaliano Angelini

Ho incontrato Gianmario una sola volta, in Urbino, e ne ebbi la piacevole impressione di una figura pulita. Penso che appartenesse a quel ristretto gruppo di uomini che uniscono alla compostezza di un fare sociale la forte tensione per la libertà. Di conseguenza ho intuito subito di trovarmi di fronte ad un intellettuale dalla vasta apertura critica che si concentrava nell’individuazione di una verità morale. Il tratto che più colpiva in lui era l’assunto di un impegno a perseguire le proprie idee sino in fondo.

 

1978 UOVO E UCCELLO 1978

Ai monti
di Emilia Banfi

Sugli alpeggi, in alcuni giorni,
ritrovava la forza del pretendere,
scorgeva lontano la luce del mattino,
capiva il desiderio del volo
o della discesa veloce del falco,
restava a guardare le foglie
libere , impavide al vento.
Nessun disturbo,
se non quel senso del profondo
nel cercare qualcosa che assomigliasse
al vero respiro della vita
mai turbata da soliti rumori,
che ora gli parevano
guardie convalescenti
in attesa di un solo alito
che assomigliasse al suo.
Riprese il cammino
sotto una leggera pioggia,
così sottile ,
che il brillìo di una strada là sotto
gli sembrò un martirio,
un fatto acquisito nel tempo,
in uno spreco di tempo.

 

1997 Vento ed esplosione dipinto olio 1997

Tre poesie
di Paolo Cimarelli

“Era la nostra stagione”

Era la nostra stagione.
Sospinta dai leggeri profumi
dell’aria
mi giunse la tua voce amica
tra gli intrecci delle presentazioni.

Era la nostra stagione.
Colori vivi corsero nel vento
festosi.
Silenti e segrete
gemme, tenaci e antiche,
sbocciarono nel mio deserto.

Era la nostra stagione.
Prendendoci per mano
le nostre anime si riconobbero
amiche.
Un’istante infinito
e percorremmo insieme
il cammino.

La stagione è trascorsa.
Un soffio di vento ti ha rapita.
La mia disperazione ti invoca
la mia solitudine ti cerca
in ogni giorno, in ogni ora.

marzo 2007

Il vento degli anni

Il vento degli anni soffia
oggi sul mio balcone,
non parla del vano
né dell’età mia vegliarda.
Gentile mi porta
un gradito dono
il velato sussurro del bosco
e il tuo canto lontano

novembre 14

“Lunghe ombre”

Nella luce di seta,
nella luce dorata
lunghe ombre dintorno
su strade e su prati,
un sole – a occidente
già chino – dintorno spande
il saluto
del giorno che va.

Rasserena l’aria,
più cheta, pensosa.
Poi cala la sera
che al sonno invita
ogni cosa

ottobre 2015

 

1977 Punizione 1977 8 1

Intorno a Gianmario Lucini e alla sua poetica
di Luisa Colnaghi

Una definizione per Gianmario Lucini è difficile trovarla, aveva tante qualità: buono, generoso, sensibile dotato di tanti sentimenti e di grande umanità, dominato da una volontà assoluta di cercare il bene per sconfiggere il male nel mondo. Nei suoi testi di poesia o saggistica si nota sempre il conflitto fra il bene e il male, la giustizia e l’ingiustizia.
Ha scritto saggi e poesie dove esprime tutto il suo rancore con ironia e sarcasmo, consapevole dell’impossibilità di combattere il male con la poesia. Lui stesso dice : “La poesia “civile” è soltanto una distinzione di comodo, per identificare meglio una certa tematica, ma la poesia è o non è lei stessa da sempre”.
Ancora nella sua Nota d’Autore al libro Vilipendio dice: “Un Paese “vero”, inteso come realtà politica, dovrebbe essere quello dove ognuno è libero di essere ciò che vuole essere”… “Questo il sostrato, l’orizzonte nel quale la poesia si muove cercando di tenere alta la testa e, come direbbe Pascal, la “ragione del cuore che la ragione non conosce. Perché la poesia è anche verità, a suo modo… Ed è sofferenza per chi soffre e muore nel contesto più cinico di ingiustizia”.

Ha scritto molte belle poesie liriche per parlare dei boschi, delle valli, delle montagne, della natura. Una delle sue ultime poesie “Congedo” , una bella lirica alla fine del libro “Vilipendio”, sembra voler dare un addio al mondo con tutto il cuore, ma sempre con quella “benedetta collera” che non riusciva a nascondere. E poi, tante poesie di carattere “civile” dove affiora la violenza della parola che diventa odio e travalica quello che dovrebbe essere una testimonianza del poeta, una denuncia senza giudizio. Nella poesia “Prosit” del libro “Cronache da Rapa Nui”, si legge la sua ironia e sarcasmo per il mondo capitalista. In molti testi l’estetica è stata sacrificata per dare valore all’etica. E’ stata una scelta consapevole del peso che avrebbe avuto sulla sua poesia. Lui stesso dice (Nota dell’autore “Vilipendio”): “ questo libro è infatti una dichiarazione di ostilità intesa come sommo atto d’amore. L’amore vero è infatti senza maschere, senza menzogne, è coraggio di dire le cose come si vedono e non come fa piacere che siano viste “. E Nino Contiliamo nella Prefazione cita le parole di J.M.Lotman: “ In certi momenti storici il testo, per essere fruito esteticamente, deve avere obbligatoriamente una funzione non solo estetica…”
In diversi incontri ho avuto occasione di parlare con Gianmario Lucini, una persona umile ma determinata nelle sue decisioni. Dirigeva la casa Editrice CFR ed ha pubblicato molte antologie monotematiche. Una mia poesia è stata pubblicata sulla antologia “Cronache da Rapa Nui” con poesie su temi di carattere ecologico che G. Lucini non ha mai trascurato.

 

1976 Sublimazione 1976
Due poesie
di Donato Di Poce

Congedo cerimonioso

A Gianmario Lucini

Non c’è stato il tempo per un addio
Per un respiro ancora di vita
Un battito improvviso di verità
Un altro sogno da costruire insieme
Per un cuore impazzito d’amore.
Non c’è stato il tempo per un addio
Ma tu ci hai lasciato orme sapienziali nell’anima
Sogni d’inchiostro scolpiti nel cuore
Libri e parole che danzano nella bellezza
Di un mondo che muore d’orrore.
Non c’è stato il tempo per un addio
Mentre tu inseguivi orme di libertà
Transiti inattesi di orizzonti nuovi
Perché tu sapevi volare alto
Talmente alto che le stelle
Danzavano nel vento delle tue parole.
Non c’è stato il tempo per un addio
Perché stanotte una stella innamorata
Si è addormentata per sempre sul tuo cuore infinito.

Milano 30/10/2014

Senso e dissenso

a Gianmario Lucini

Riempivi il mio cuore sempre
Di senso e dissenso
Le tue mani plasmavano il vuoto
E costruivano arabeschi di luce
Nel buio dei giorni
Mentre il tuo sguardo si perdeva oltre
Il paradiso degli umili
E costruivi oasi di leggerezza
Giardini di verità
Lontano dal clamore dei media
A inseguire le nuvole
Ora ci ritroviamo
Corpi d’anime abrase dall’assenza
A inseguire labirinti d’amore
Labirinti di luce e d’assenza.

Milano 06/03/2015

 

1978 CAVALLINO E MASCHERA CHE SORRIDE 1978 circa

Un cazziatone ar Celo
di Francesco Di Stefano

Menandro scrive: “Mòre regazzetto
chi ar Padreterno in celo è tanto caro”,
ma è come conzolasse coll’ajetto
perch’é ‘n boccone tosto e così amaro

che quanno che t’ariva dritt’ar petto
er còre è sconquassato da no sparo
e sano nun ne resta più un pezzetto
pe fatte dar dolore da riparo.

Gianmario come me de primavere
n’aveva già ammucchiate un ber mazzetto
essenno de la rima n’ingegnere.

Mo visto che nun era un regazzetto
poteveno lissù dall’arte sfere
lassaccelo quaggiù quarc’antr’annetto!

 

1970 circa VEGETAZIONE E ATTREZZI su terrazzo di Sa

A Gianmario Lucini
di Arnaldo Ederle

Gianmario Lucini, prima di tutto l’amico dei poeti, dopo il loro mentore, il loro portabandiera, il loro alfiere, il loro collega. Come dimenticarlo, come tenerlo da parte e farne solo uno che ti ha riconosciuto e ti ha donato la vita che speravi.
Sì, era proprio così. Non se ne trovano tanti di amici di questo grande genere e di poeti così attenti al mondo e alle meno buone vicissitudini dei nostri destini. Gianmario non la dimenticava mai la nostra strana umanità e i nostri stranissimi comportamenti nei confronti della vita e dei non pochi scherzi che la vita ti tira, a volte veniali altre mortali. Chi lo ha conosciuto da vicino, che ha conosciuto la sua barba ha constato che la sua figura era e resta indimenticabile. I suoi discorsi a puntate brevi, le sue perentorie affermazioni, le sue sicure verità non erano cose da imparare a memoria, ma suggestioni profonde come i suoi versi impregnati sempre di attenzione nei confronti di tutto ciò che lo interessava, ed era molto, e tutto rivolto agli uomini, almeno a me pare.

 

1978 animale in crisi

Solo per email
di Cristiana Fischer

Conoscevo Gianmario solo per email, avendo partecipato ai suoi premi, al Turoldo e al Fortini, poi ho letto delle cose sue che mi aveva mandato, altri suoi libri li ho cercati. Dallo scritto “Pensiero poetico e critica integrale dell’arte” ho accolto le idee di pensiero poetico integrale, di arte non solo espressione ma creazione, di arte necessaria e sapere comune a tutti gli uomini, di arte atto temerario “perché lascia l’artista nudo e senza difese di fronte al giudizio (alla capacità di accoglimento) del fruitore di arte”.
Con queste idee Gianmario dava un corpo alla sua straordinaria capacità di entrare nel pensiero degli altri poeti, evidente nel suo lavoro di editore e nelle tante presentazioni scritte per poeti più e meno noti. Questa sua empatia poetica, tessuta anche di affettività, è il tratto che ricordo con più piacere e rispetto.
Per questo voglio offrire alla lettura di tutti ciò che ha risposto a un mio momento di sconforto, quando mi ero rivolta a lui con fiducia. In rapporto a una mediocre classificazione ricevuta in un premio gli avevo chiesto se anche per lui fossi una poeta mediocre e se quindi non fosse meglio, per me, smetterla di scrivere poesie scadenti. In realtà era da parte mia una richiesta assurda e pesante. Ed ecco la sua risposta, quasi allegra e svagata, e intanto ben radicata nelle sue idee sulla Poesia.

Carissima, la tua poesia…
Ci sono delle poesie che piacciono o non piacciono e noi poeti non dobbiamo tanto correr dietro al gusto della gente, perché gli artisti siamo noi, non la gente. Certo che la poesia è anche un atto di comunicazione e constatare che questa comunicazione non riceve il riscontro che ci si aspetta, può causare frustrazione, ma non per questo dobbiamo essere infedeli a quello che sentiamo. Ho licenziato proprio oggi la mia undicesima o dodicesima raccolta (non ricordo bene) e, detto fra noi, i miei libri hanno ricevuto, sinora, tre piccoli premi (e anzi il terzo lo andrò a ritirare il 14 p.v.). Non per questo mi abbatto e anzi credo che i premi letterari, anche se li organizzo, siano sempre un rebus. Basterebbe cambiare la giuria e cambierebbe sicuramente la graduatoria. Io cambio le giurie tutti gli anni… nella poesia moderna credo che si cerchi lo spessore e anche la riflessione filosofica, ma si pretende che tutto sia tradotto in immagini e suoni e sensazioni, non si apprezza la riflessione diretta che possiamo trovare nei classici. Il poeta di oggi deve parlare anche alla pancia e non solo alla testa: non è sbagliato, credo, se riflettiamo e constatiamo che la prima parte di noi che è interessata alla comunicazione è proprio quella emotiva… e quindi la gente si aspetta di fremere per qualcosa, ma in modo immediato, diretto, senza bisogno di riflettere, cercare nessi (che poi comunque si creano, in seconda battuta). Viviamo in un mondo veloce, troppo veloce, che cerca le botte emotive per sentirsi vivo e non ha più tempo per riflettere. La scommessa è cercare di arrivare alla riflessione proprio parlando alla pancia, alle emozioni, allo sdegno, alla gioia, ecc. ecc.
Insomma, un discorso incasinato, ma credo ci stia una dritta…
Ciao

 

1998 Animali

La forza delle parole
di Enzo Giarmoleo

“Elegia per il mare” di Gianmario Lucini, aveva destato in me enorme stupore non solo per la forza delle parole usate, ma anche per essersi lui stesso immedesimato nel paesaggio e nella cultura della Locride in particolare e della Calabria in generale. Lucini diventa un tutt’uno con la terra di Locri Ephizefiri e la sua poesia diventa fonte d’ispirazione. Dopo quella lettura mi sono chiesto come avesse fatto il poeta a descrivere con tanta veemenza quella terra, lui che veniva da tutt’altro humus culturale. Certo il grande amore per la natura giustifica in parte questa immersione in una cultura diversa dalla sua.

Dopo quella lettura mi sono avventurato, sollecitato da quella poesia, in questa terra desolata e ho ripreso contatto con luoghi che non vedevo da tanto tempo. Così ho rivisto dopo averlo letto nelle immagini di Lucini lo sconvolgimento ecologico di questa terra, la poesia di Locri Ephizefiri offuscata dalla “sozzura” reale e metaforica.

A Locri sotto il monumento di Nosside poetessa della Magna Grecia ho scritto queste parole che dedico a Gianmario

Nosside
Splendida
Magnetica
Dall’alto del tuo piedistallo
Continui a lanciare i tuoi strali d’amore
Dal basso ti chiedo di svelarmi
Il segreto del papiro che
Stretto nella mano innalzi al cielo.
Non ti accorgi che la bellezza
Non è più nelle nostri menti
Eppure la tua resiste
Al logorio del mare di Locri Ephizefiri
Ai furiosi venti iconoclasti
Vorrei raggiungerti sul piedistallo
Non per più vedere ma per acquisire
Una prospettiva penetrante sullo spazio
Poi da “straniero” dietro tuo suggerimento
Mi recherò a Mitilene
Per cogliere l’ultimo frammento rock
Per riferire che oltre il logorio del mare
Tieni alto il tuo papiro d’amore
E che sei pronta a scrivere un altro verso

 

1977 Incastro 77 circa

pietra e autunno
di Angela Greco

Sulle cime più alte il vento scompiglia
pensiero e ricordo
attraverso l’aria densa di chilometri
lascia che si riascolti un sorriso preciso:

forse un anno non è poi così lontano
dalla panchina di pietra e autunno
appena intravisto eppure nitidissimo
ed un tempo da battere
sulla carta e sul volto
riporta voce tra le righe.

 

1990 ALBERO IN ROSSO anni 90

Gianmario Lucini
di Annamaria Locatelli

ti riflettevi
nella bellezza e purezza
di montagne e fiori d’altura
come in occhi sinceri
e trovavi la forza e il coraggio
di guardare ad occhi ben aperti
la medusa

 

1976 FURTIVAMENTE NEL MONDO CLASSICO 1976

Due poesie
di Vincenzo Mastropirro

a Mario Lucini

Urla di ulivi squarciati
lacerano il vicino Salento
il tempo detta le regole
e svela desideri nascosti.

Col capo chino
ci abbandoniamo al ricordo
di pane e olive nere
sull’umile mensa d’un tempo.

Uomo insano, uomo insicuro
ammira la scultura matura
abbraccia gli avi degli avi
prega sulla loro eternità.

Nella mia lingua, il dialetto di Ruvo di Puglia (Ba) che Mario amava tanto:

Timbe-condra-Timbe

Me piosce métte ‘nzime
parole ca nan discene nudde
e chìésse so proprie chère.

Senò canzone falze
timbe-condra-timbe
a timbe pe’ sennò.

Scimmìnne au sunne tranquille
e fò mattìézze in dialìétte
astemanne r’astaime ca nan stuonne.

Tempo-contro-Tempo
Mi piace mettere insieme/ parole che non dicono niente/ e queste sono proprio quelle.// Suonare canzoni false/ tempo-contro-tempo/ a tempo per sognare.// Addormentarmi tranquillamente/ e fare l’amore in dialetto/ bestemmiando le bestemmie che non stanno.

 

 

1970 circa contadino tra gli alberi anni 70

Il fiore del cardo
di Maria Maddalena Monti

Si apre il fiore del cardo
nel prato che avvia al nevaio.
Fragilità apparente di petali,
madreperla cangiante nel sole.
Ma se la tempesta è vicina
ben stretto al cuore spinoso
ai venti contrario
ostinato
resiste.

 

1977 circa maschera  1977 circa
La sapienza umbratile: ricordo di Gianmario Lucini
di Alessandra Paganardi

Pozzolo Formigaro, 22 giugno 2008. La neonata editrice Puntoacapo organizzava uno dei suoi primi convegni sulle colline alessandrine (una tradizione poi felicemente rinnovata negli anni). Avevamo passato la giornata fra letture, conferenze e conversazioni, e la concludemmo con un buffet nelle stanze del castello. Fu quella l’occasione in cui, credo per la prima volta, parlai di persona con Gianmario Lucini, già incontrato altre volte in situazioni pubbliche. Ricordo una sera fresca, di quelle in cui la violenza del solstizio non pesa e l’estate tende la mano quasi con timidezza. Dopo cena sentii il bisogno di prendere un po’ d’aria e fuori, oltre a vari gruppi di persone che conversavano, c’era Gianmario che fumava. Ci salutammo, scambiammo qualche parola sulla giornata: io, che sono una “fumatrice sociale” e non certo una fumatrice abituale, probabilmente gli avrò anche scroccato una sigaretta, approfittando della sua gentilezza. Non ricordo nei particolari ciò che ci dicemmo a questo proposito, ma la conversazione virò quasi subito sulla nostra personale esperienza di poesia. Io avevo appena pubblicato un libro, “Tempo reale”, che aveva significato molto nella mia ricerca, e lui stava già scrivendo i testi delle sue “Sapienziali”, che avrebbe dato alle stampe alcuni anni dopo. Ricordo l’immancabile codino, il netto profilo greco, il tono pacato della voce. Parlammo della sua Valtellina, dei luoghi che anch’io conoscevo bene (sono da tempo una “fan” delle terme antiche di Bormio e preferisco di gran lunga la montagna al mare). Mi parlò a lungo dell’importanza che può avere, per chi scrive, un luogo, un ricordo, un paesaggio, un sapore. Parlammo di cosa significasse, o potesse significare ancora in poesia, l’autenticità. Un argomento su cui continuamente rifletto. E lui mi disse una frase che non ho dimenticato: “Non preoccuparti, se una persona scrive poesia per vera necessità, per vera vocazione, lo si vede sempre”. La naturalezza del suo atteggiamento, la calma dei suoi gesti mi resero al momento superfluo domandare da che cosa lo si potesse mai vedere. Fui colpita dalla totale mancanza di retorica di quest’uomo ed ebbi l’impressione di una reale saggezza – mi permetto di usare questo termine che, se qualcosa significa ancora, significa sapienza totalmente interiorizzata, senza residui. Gianmario era così: parlava con il volto, con il sorriso, con le mani; e sembrava tirar fuori le parole non dai molti libri che aveva studiato, ma da un posto speciale dentro di sé, in cui erano precipitate per rimanervi. Ricordo anche, di quest’uomo, la malinconia speciale, aspra ma delicata, come spesso accade nelle nature introverse. Non vorrei che la circostanza mi suscitasse qualche errore di parallasse, ma è possibile che proprio da allora io abbia cominciato a riflettere seriamente sulla distanza fra due sguardi soltanto in apparenza simili, e in realtà così profondamente diversi, come la malinconia e la tristezza.
Credo che questa conversazione, la prima, fra Gianmario e me si sia conclusa con il commiato sempre un po’ forzoso dei ritorni, specie se – come nel mio caso – non si guida l’auto e si ha bisogno di chiedere la cortesia di un passaggio. Avevamo iniziato a parlare nell’ indaco dell’ultimo crepuscolo; ci salutammo che era sera, una delle prime di quell’estate 2008. Poi ci furono altri contatti mail, altri incontri pubblici a Milano; ebbi l’onore di essere ospitata in una delle sue antologie, ed erano ancora in corso nuovi progetti con amici comuni. Ma preferisco ricordare Gianmario nella luce di quella prima sera d’estate: umbratile come la sapienza che portava nella sua persona e donava attorno a sé, senza mai misurare ciò che dava. Una generosità coraggiosa, che voglio dipingere con le sue stesse parole:

Non chiederti perché il tempo e la ragione
siano impazzite: neppure la scienza
lo sa: ci sono diverse opinioni
calcoli che avvalorano ipotesi in contrasto
bisogna avere il tempo per teorie certe
oltre ogni ragionevole dubbio,
tiriamo avanti finché dura la ventura
costruiremo un’arca per il tempo del diluvio.

(Da Gianmario Lucini, Poemetti del dito e altre confessioni, CFR pag. 29)

 

1978 ANITRA E GABBIANO PIETRIFICATI 1978

Uomini di montagna
di Edoardo Penoncini

a Gianmario Lucini, in mortem

ci sono quegli uomini di montagna,
severi con lo sguardo che ti punta
un alambicco che distilla suoni
hanno parole dolci, intermittenti
come le luci azzurre di natale

hanno pensieri forti e testa fina
una coscienza pulita, innocente
sembrano usciti da un mondo di fiabe
e sanno che i buoni vincono sempre

scalano montagne con la bandiera
arcobaleno e seminano pace
non hanno tempo per le pugnalate
al petto, per il cuore che denuncia
la sua stanchezza e supplica
un controllo,
il tagliando dei sessanta

se anche lo avevi previsto, lo vedi?
ti ha sorpreso davvero, l’imprevisto

(Ferrara, novembre 2014)

 

1977 siepi Scanzano lug 1977
Da: LA CENA DEL VERBO
di Marina Pizzi

(inedito)

Per ognuno di noi che acconsente
vive un ragazzo triste che ancora non sa
quanto odierà di esistere.

– Franco Fortini, “Complicità” (1969)

1.
Unica tregua somigliare al fango
Alla migliore traccia di sangue
Per sconfiggere speranza con l’anemia
Del balzo tenerissimo con la concreta
Realtà di andarsene finalmente superstiti
Bonari. Di te non credo la vitalità più bella
Né la cometa azzima di luce
Perché la ressa delle rondini è soqquadro
Sul finire dell’ultima cimasa.
Non resta che pagliaccio la sirena
Irrisa da soldati di conquista.
2.
Annuncio di chitarra vederti all’angolo
Dove la sposa cieca ti sorride
Coriandolo e malessere per sempre.
L’ausilio del gemello francescano
Non consente libertà di scelta
Ma esuli le palpebre di brevetto.
Dimmi perché piange la baldoria
Del fiume dotto di non tornare mai
Quasi del secolo il messaggio a dio.
3.
Dio della notte il mio sospiro
Sparuto quanto un indice di nebbia
La crudeltà del sale sfatto palmo
Con il mistero che deride la faccia
Faccenda senza resine di baci.
Il male barricato sulla fronte
Dissolve l’ossigeno geniale
La gente sugli spalti delle tombe.
Tu dimmi quale rondine corsara
Sapienza di dio non sapere
Perché le baracche da sole spopolano
Esatte bramosie cercare dio.
Capitomboli di sabbie volerti bene
Dietro la rotta tragica del guado
O di domani la speranza d’essere.
Pagliaccio al grado Generale
Questo fantasma d’anima malarica
Dove intercede il regno del cipresso.
4.
La notte dell’abaco quando più nulla conta rimanere
Al bacio dell’algebra bravura
O sotto teca ricordare il nonno
O la maretta insita alla darsena.
Inverno bello quanto un calamaio
Felice pagliaccio della poesia
Barriera al maestrale colma vendetta.
Materna la briciola che sogna da sola
La grande pagnotta della patria
Sgominata con un soffio di penuria.
5.
Ho una critica al rito perché non piange
Parla e recita cinge l’altare
Sulla truppa delle lacrime di altri
E questa piccolina aria di asilo
E’ vicina al mio collo gracile come un biscotto
La meringa di madre che mi fu amorosa gara
Qualora giungi in ritardo e il dondolo del sole
M’insegnò la rima con la luce pietosa
Dentro le tombe con gente che se ne va
Bruciata o sottoterra oltre i santi che non ci sono
Giammai vicini nonostante il calendario o a
Decine di copie per festeggiare il nuovo anno.
Le medicine delle nuvole piangono disperano
Su tutti, le resine non bastano per Natale
La fanga è ennesima maligna agro.
Tu graziosa mungi per l’anima marina e d’ara.
Addio, puoi morire da Capitano gentile.
6.
qui nel pianto che rottama chi fosti
si stipola la sporta delle lacrime
nel crimine del giglio che si oscura.
l’ennesima malizia della ruggine
germoglia girandole di pargoli
dove la madre è un astio di bestemmia.
biblioteca di aceri rossi le tue guance
stipendiate da dio per una riserva d’ àncora
o almeno in coro ripetere l’enigma
di fausti almanacchi creduli al pompiere
di fuoco l’acqua piccolina in pozze
tombale l’anemia di chi fosti.
7.
Viltà del tarlo il crollo ben tradente
Quanto la logica di perdere la vita.
Matassa di elemosine vederti
Sotto la vana statua la tua venere.
Ebbene adesso il secolo vanesio
Sibila silenzi dentro gli sguardi ebeti
Delle maestre fatue oltre il vento.
Ben oltre dio ho scoperto l’astro
Valente quanto un calice di stimmate
Immacolate madri di ben alte stature.
Il Carso di Ungaretti è raso al suolo
Per rendere maligne le retate
Tanto bacate le lignee strade fatue.
Intorno alla marea di guardare il cielo
Si sviluppa un popolo di lutto
Vano del tutto in pasto alla fanghiglia.
8.
L’età felice un granello di sabbia
Sotto gli esposti papaveri di niente
Con la morte del cielo non sedata
Lugubre attivista quale un rantolo
Bacato dalla resina di resistere.
La mia spoliazione rimprovera le spose
Le taniche vecchie senza fiori attorno
E’ così che piange il mio gendarme
A me tenuto stretto come un ciondolo
Una ripetizione che sa di arsenico
Buono lo sciroppo per i bimbi superstiti.
Nel lento sprofondare della palude di casa
Ho perso il ludo di guardarmi attorno
Tu presente maschia agonia che il lo sia.
Tutta una civiltà di panico
Anche l’agonia lo sarà nonostante tu
Creda alle sbarre alle terre dei morti.
Libri d’infami lettori stare a casa e non capire
Le pagine miliardarie di parole.
Un libro dopo l’altro ho perso il fare
La lunga cattedrale del portone che schiavi
Speciali trattiene. Intorno ai poveri senza parola
Si getta dalla finestra il lessico la sposa senza rima di bontà.
9.
La rondine nel passo
Nel lutto della foce giacché morente
Sono trappola vivente verso il so
La culla ennesima del falò
Però non brucio anzi ritorno
Fantoccio di sangue velenoso
Si dipana il libro che nessuno capirà
Ma poco importa tracciare il fantoccio
Della sapienza. Il postino all’orizzonte
Calcola gli zeri che incontra e la marina amorosa
Dove s’intana il coma di pargoli
Gotici. Padre di alta messa per perdonare i lupi
E le gentaglie alle prodezze degli assassini.
In fondo i colori amano i piangenti
I fagotti dei poveri che non sanno amare
E il carro funebre con la rondine in cima
Somiglia il paradiso che non c’è.
10.
Le bambole di pane ebbero tempo
di frangere aurore per gli abiti
quali un manipolo di baci.
Sto quaggiù dove piange il sale
le rotte nude di trovare il giorno
mancato per abitudine al cadavere.

 

Foto0931

Su Gianmario Lucini
di Paolo Statuti

Ecco il mio sincero ricordo: “un Amico, un Editore eroico e
coscienzioso, un Galantuomo e un Poeta che merita tutta la mia stima e
riconoscenza per la preziosa collaborazione che ha voluto instaurare tra
noi due.”

 

* I disegni e i dipinti che intervallano i testi  vengono dal “Narratorio grafico di Tabea Nineo”

 

APPENDICE

Adam Vaccaro
Un profeta tra noi

Capita ancora in questa nebbia e melma
Immobile un instancabile profeta che –
Barba bianca trapunta da occhi felici
Di stare qui tra noi persi e incapaci di
Vederci sconfitti per sempre con le vele
Appese alla mancanza di vento – vede

Le brezze invisibili che non cessano di sfi
Orarci le facce e farci carezze e spingerci a
Far alzare in volo i sederi molli e rassegnati
Sospinti dal vento inventato da lampade agite
Che almeno si facessero falò su questa baia

Dei nostri mucchi di carte incarnate che almeno
Si bruciasse qualche mostro che almeno servisse
A ritrovarci da qualche parte per qualche attimo
Di canto insieme in faccia a qualche infamia per dire
Tra ansimi di gioia disperati – anche noi non smettiamo

Giampaolo De Pietro

Di Gianmario non ho ricordi, ma ho presenti molti dei suoi “movimenti” – quando è venuto qui – l’ho incontrato sempre “in casa” – qui in Sicilia, a Catania – in macchina la prima volta, piena di libri (pieno di libri, lui, i suoi, militante della poesia che si porta e si trasporta) – a teatro, il teatro Coppola (teatro dei cittadini), ha fatto un incontro col pubblico “a caldo”, lui solo sul palco, io – che vivevo un momento “pesante” – ho chiesto di non accompagnarlo lassù (ancora adesso, anche quando non vivo periodi pesanti, per me stare di fronte a un pubblico è proprio “doloroso”), e lui non ha battuto ciglio, come avrebbe fatto quasi chiunque altro, non ha minimamente insistito o, tanto meno, provato a convincermi. Era un’antologia di “scrittura, o poesia contro le mafie”. Mi ha colpito secco secco, come una luce che taglia, senza “volerlo” fare, ma proprio perché è così, perché asciutta e illuminata. Quella volta doveva anche andarsene in Calabria, ma non viaggiava da solo, aveva, ripeto, l’automobile piena di libri, i suoi – me ne regalò alcuni, parlandomi benissimo degli autori che mi “presentava”. Le altre volte sono stati, se possibile, ancora più amichevoli, gli incontri con lui; uno, per la presentazione di Egregio Signor Tanto, da lui editato appassionatamente!, di Saragei Antonini, mia e sua amica e poeta amata. Andavamo a mangiare e bere insieme, serenissimamente, e poi a leggere a casa di Saragei, lì Gianmario ha fatto per noi una “performance” con suoi testi-aforistici e altri – era un libro in preparazione, proprio le bozze – ed abbiamo davvero riso-sorriso-riflettuto insieme, tutti quelli che eravamo. L’altra sua venuta qui a Catania è stata per la presentazione del libro di un’altra amica e poeta amata, Angela Bonanno, che aveva vinto con Pani schittu (bellissimo che vinca un libro in dialetto un premio non specificamente per scritture dialettali!) il premio Fortini proprio per le edizioni CFR – che serata piacevole, anche quella – all’università. Senza giacca e cravatta, ma col sopra della tuta – la felpa di chi ha più eleganza da portare che da “specchiare” con le altre – dei luoghi “ufficiali” (i più noiosi, possiamo ben generalizzare). Insieme a Marina, la moglie, questa volta, a un certo punto ricordo di averli salutati rapidamente, che andavano via di corsa dopo aver chiacchierato parecchio a tavola, dopo la cena.
Di Gianmario Lucini, ho meno ricordi e più presenti, questo mi è chiaro. Chiari, come il suo discorso e la sua netta presenza, di persona decisa e precisa, nell’aver scelto di essere un portatore sano di parola poetica, anche politica, priva di retorica, e non di lirismo.

Germana Duca

Gianmario Lucini, Per il bosco, CFR Editore, 2013

Laudato si’, o mi’ Signore, per il bosco e per tutte le tue creature: questo l’arrangiamento del Cantico francescano che potrebbe accompagnare la lettura della silloge novissima di Gianmario Lucini. Dove è dato assistere, ben guidati dalla densa prefazione di Ivan Fedeli, al dispiego di un reticolo di pensieri sulla bellezza dell’alfabeto naturale, fra allarmi e sortite. Le trenta poesie, concepite nel 2006, si alternano con foto in bianco e nero dando vita a una ibridazione dialogante fra parole e immagini che dichiarano l’amore di Lucini per la sua terra (Piateda-Valtellina, Orobie, Retiche, Brembo, Serio, Adda…) e per i dettagli stupefacenti che essa ospita. Diversamente da Nel bosco einaudiano di Elisa Biagini, piuttosto psico-criptico, sospeso com’è fra fabula e sogno, questo è un libro con la chiave dell’autore sulla porta: “Nella nostra vita occorre trovare un luogo sempre accessibile dove sia possibile una personale palingenesi […] Io l’ho trovato nelle mie montagne, a pochi passi dalla mia casa. Ognuno può trovarlo, dove decide di trovarlo. C’è sempre un bosco che ti attende da sempre – soltanto te, nessun altro”.
L’idea di palingenesi, limpida e complessa come la macchina mondiale al centro di tante opere di Paolo Volponi, anche qui muove dalla spinta generativa, dalla genesi. Lucini dà forma a tale simbiosi persino nella disposizione dei testi, con titoli non posti in alto come usa, ma sotto l’ultimo verso, fra parentesi, simili a semi o semenzali di ‘fiordipoesia’ posti a dimora nell’humus della pagina. Sfogliando Per il bosco si entra allora in un palinsesto di segni, voci, visioni che non collidono, anzi paiono sospinte a sublimarsi verso l’alto, fino a materializzarsi nelle croci che si incontrano durante il cammino: <>.
L’ascesa-ascesi del poeta ha contrappunti sonori di particolare delicatezza quando egli si fa interprete del creato, cedendo la parola agli alberi e ai massi erratici, ai cani pastore, alle uova di rana, ai piccoli fiori e alle bacche e, in più occasioni, al cantico dell’acqua, <>. Il suo fluire è pista musicale e lieta compagnia fino all’imporsi del silenzio che campeggia sulle cime: <>. Così ogni atto, anche il più concreto, vissuto nella consapevolezza della metamorfosi rigenerante, diviene espressa gratitudine per i doni ricevuti. L’explicit lo sottolinea: <>
Lucini con affondi e scatti di raro nitore, pur nelle velature, ascoltando l’inaudito imprime alla plaquette un ritmo poematico, scandito da riverberi e ombre, un po’ come accade nei famosi “sentieri nel bosco” di Van Gogh. Così le sue valli contadine e aristocratiche, in estrema Lombardia, oltre a contrastare la sordità interiore, divengono luogo di riparo, emblema dell’ambiente boschivo, con il buio che dirada lasciando spazio a una luce essenziale, alla chiarezza fragile del dialogo creaturale.

 

Silvana Colonna
Alcune osservazioni su “Vilipendio”

La poesia civile è soltanto una distinzione di comodo per identificare meglio una certa tematica,ma la poesia è o non è lei stessa da sempre”,scrive Lucini nella sua prefazione a “Vilipendio”.Un aspetto questo in cui anche Pasolini insisteva,proprio in un’altra prefazione,quella da lui scritta per “Le ceneri di Gramsci”:”Tutti questi films io li ho girati come poeta…tuttavia credo non si possa negare che un certo modo di provare qualcosa si ripeta identico…”.Anche per Lucini “quel certo modo di provare”,sia amore civile o indignazione verso gli abusi di potere,o amore verso l’altro o sofferenza o costrizione ,viene a coincidere,a mio parere, con uno stesso sentimento di conflitto ,di bisogno di verità:”L’amore è senza maschere ,senza menzogna,è il coraggio di dire le cose come si vedono”.Coincidono anche nell’indicazione di una necessità continua di dialogo,fosse anche urlo,parola muta,rantolo:”Taci gli urlai/canaglia di soldato-e pensai che avrei potuto amarla”.La ricerca di un ordine ,di un cosmo,di una ricomposizione(di pace)proprio dentro la scomposizione violenta(dentro il vilipendio del potere,della guerra)è forse, la stessa ricerca che possiamo riconoscere oggi nei murales,di Haring,di Basquiat,ecc, o in Bosch, a cui Lucini titola una poesia e a cui rimandano ,mi sembra i versi di “Rituale”,”L’amore”,”Il paranoico”.Tutto pare ricollegarsi in “Vilipendio”,i films di Rosi a una poesia sui films di Rosi,una citazione a una citazione ,un versetto a un verso e dove sempre, violenza e pace si confrontano:”sono il soldato del soldo e della polvere,/la scimmia che urla di terrore e s’appiattisce”.Anche per la poesia a chiusura di volume ,”Congedo”,Lucini preferisce scegliere un termine militare;questa volta però forse, per indicare una vacanza,una sospensione dalla guerra ,dall’esercito;la vittoria è del poeta:”Il cuore oggi naviga per un sentiero nobilissimo/e vorrebbe sognare passaggi di luce”perchè:”Questo è il dovere / del poeta capace di amare”.

Rosa Maria Corti

Ho conosciuto Gianmario Lucini nel 2006, a Melegnano, in occasione di un Premio Internazionale di Poesia.
Sul finire dell’estate 2014 ci siamo ritrovati per la pubblicazione di una mia artistica “fatica” letteraria (“Scaturigini”) e abbiamo chiacchierato a lungo e con piacere di storia, di politica e naturalmente di poesia, davanti a un fumante piatto di pizzoccheri, da Nello, a Ponte Valtellina. Ci siamo rivisti l’ultima volta a casa sua, a Piateda (So), per il controllo finale delle bozze di “Scaturigini”, una raccolta in cui il soggetto è la natura e la sua misteriosa tensione alla pienezza e alla vita, come dice bene Gianmario nella sua Nota critica. Gli avevo promesso di presentare la plaquette sulla sponda orientale del Lario (ci teneva!) e lui aveva promesso d’accompagnare la sottoscritta e mio marito Giorgio in Val d’Ambria (a lui molto cara) fino a una baita che sta a 1870 metri, dove ci saremmo presi il piacere di leggere insieme qualche poesia all’aria aperta oppure accanto al fuoco. Nel mese di dicembre avremmo dovuto ritrovarci a Menaggio per ricordare, riflettere, parlare di pace, nel Centenario della Grande Guerra (Lucini è sempre stato costruttore di pace con gli strumenti della parola) e presentare il volume Keffiyeh. Se n’è andato all’improvviso lasciandoci con il cuore sospeso, increduli. Resta per noi il profumo della sua amicizia. Io lo voglio immaginare, per qualche istante, al Dosso Giumella, seduto su una panchina di fronte ad un vasto anfiteatro naturale, intento ad arrotolare l’ultima sigaretta, con lo sguardo fisso sulle cime innevate della Val Vedello e del Pizzo del Diavolo di Tenda, quella panchina immortalata nella sua raccolta intitolata” Per il bosco” che contiene, a pagina sessanta, la poesia che vi propongo, profeticamente intitolata (ultima):

Su questa panchina potrei anche morire
figgendo lo sguardo sulle nevi di maggio
ed esalare il “nunc dimittis” con il cuore in subbuglio
per tanta pace e avvertendo sul capo
finalmente sgombro levissimo
il respiro dell’Eterno.

Giorgio Bolla

Per Gianmario

Il rispetto della memoria
entra nel caldo sangue
delle tue anime,
vita di baionette
di luce
su terrapieni di
voraci fiumi
nella purezza .

12 pensieri su “A un anno dalla morte di Gianmario Lucini

  1. Avevo scritto anch’io, a caldo, una poesia per Gianmario alla notizia della sua morte appresa per caso da una notifica e-mail di un blog . La ripubblico qui.

    Caro Gianmario,
    Lettere come questa sembrano inutili.
    Molte delle cose che si pensano lo sono.
    Servono ancora le parole? E le poesie
    hanno senso? Dico uno che ci guidi
    nel comprendere. E le sensazioni
    sono alla stregua delle parole?
    Si dileguano anch’esse
    se rimangono in noi, oggi
    restano come in chi non sa
    profferire. L’andare incostante
    rende ancor più incerto
    per noi il cercare. Provare
    e riprovare a sciogliere
    il dubbio estremo per evitare
    che la ragione si perda ancora
    nel bosco. Tutta la vita nelle mani
    dirai, serve a riconciliare
    il fine con il mezzo come il filo
    conduce all’aspo, né mai
    l’uomo potrebbe indovinare
    il giorno che lo lascia. Mi dirai
    quanto ogni cosa sia unita all’altra
    e tuttavia di non poter provare
    nella regione degli specchi
    la ragione divisa in tanti “sono”.
    Mi dirai anche delle parole
    che sono sale, da usare
    al modo giusto, talvolta
    con parsimonia.
    Le strade si dividono ci sembra
    se già sussurri di «sì»
    ma fino a che non vediamo
    fino a che evitiamo di guardare
    oltre vi è un abbraccio
    una sera di tante sere.
    30 ott. 014

    Giuseppina Di Leo

      1. Grazie Vincenzo, sei molto gentile. Ho la netta sensazione che con Gianmario abbiamo perso non solo un amico ma che un intero modo di concepire i rapporti umani, per noi che scriviamo poesie, sia tramontato. C’eri anche tu quella sera in libreria e ricorderai senz’altro la sua ostinata fede nel valore della scrittura come possibilità di cambiare in meglio un mondo che va ormai alla deriva (e non è pessimismo il mio). Un abbraccio.

  2. LE MANI, LE ALI

    metteva sempre le mani
    bianche come candele
    sulle ginocchia
    chiudeva gli occhi e cominciava
    una storia

    si dondolava un poco e poi uscivano fiamme
    dalle mani: ricordi, parole
    fingevo di dormire
    lei riapriva gli occhi

    le mani sempre accese
    nella mia notte.

    da Una Venere nel Tevere (CFR) a Gianmario

  3. …ringrazio per queste testimonianze, ricordi, disegni e dipinti intorno al poeta Gianmario Lucini, che ho avuto il piacere di conoscere solo attraverso la lettura di alcuni suoi scritti e interventi sul blog …vi leggo grande ammirazione per l’opera del poeta, per il suo impegno civile e la manifestazione di un profondo affetto, ma a colpirmi è stato soprattutto il senso di spaesamento emerso da una lettera di Giuseppina Di Leo scritta “a caldo” al poeta dopo l’ improvvisa scomparsa, non superabile, comprendendo il senso del mistero, se non con un abbraccio “…oltre vi è un abbraccio/ una sera di tante sere”…

  4. Sì, Annamaria, Gianmario era una persona speciale, intendendo con questo termine un uomo onesto e leale, inoltre era un intellettuale dotato di grande intelligenza unita ad una altrettanto grande sensibilità. In quella mia poesia/lettera ricordo l’ultimo incontro avvenuto non più di dieci/quindici giorni prima in una libreria del sud (a Corato) dove era venuto per presentare il suo ultimo lavoro. Ci eravamo scritti la sera, poche ore prima che accadesse l’inevitabile, in quella e-mail, inviata anche a molti altri, in cui si dichiarava inorridito per la violenza con la quale era stata uccisa una giovane. Gli risposi, ma non so se ebbe modo di leggere. Conservo ancora tutte le sue e-mail, ma ricordo anche gli innumerevoli suoi interventi sul blog. E c’era poi la sua sana ironia, con la quale smontava ogni roccaforte. E quando si discuteva con Gianmario c’era sempre da imparare.
    GDL

  5. …Grazie Giuseppina. Mi è mancata la conoscenza diretta del poeta Gianmario Lucini, ma, grazie a voi, ne ho un forte rimando…

  6. Gianmario era un grande organizzatore di eventi letterari, un buon poeta, un autentico filosofo e soprattutto un grande cuore. Solo perché i tempi sono quelli che sono, il suo lavoro sull’estetica è passato quasi inosservato. Credo che col tempo questo suo contributo al pensiero umano sarà riconosciuto come opera di grande valore. La cultura italiana, con la sua prematura dipartita, ha perso un punto di riferimento e una limpida voce. Tutti noi, un grande amico.

  7. SEGNALAZIONE DA POLISCRITTURE FB

    Gabriela Fantato

    Grazie,ancora, Ennio per questa iniziativa.noi lo abbiamo ricordato sabato 24, al Trotter, con chi era presenta….E’stato belo leggere qui tutte le parole che ho letto…mi hanno riportato alla mente QUANTI AMICI aveva Gianmario…e ora, chi una poesia, chi un incontro , chi una vera analisi testuale…lo ricordano….tutti tutti hanno colto un elemento, anzi, 2 ,che viene ripetuto e…. corre tra i testi dedicati al suo ricordo..qualcosa che lo caratterizzava davvero, e che voglo dire anche io, ora. GIANMARIO LUCINI era UOMO GENEROSO E PULITO, credeva nel bene,lottava come poteva…al suo massimo, per un mondo migliore, più vero…come ha scritto qualcuno..grazie Gianmario di essere stato anche MIO amico, non ti dimenticheremo…

    Ennio Abate

    Speriamo che non vengano dimenticati i PROBLEMI che lui poneva e che sono tutti là IRRISOLTI. ‘Non preci ma opere di bene’ leggevo da ragazzo su certi annunci funebri. Aggiornerei ‘Non lodi soltanto ma addosso ai problemi’.

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