Pasolini al Teatro Officina di Milano

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di Angela Villa

Che alle voci dotte e spesso saccenti, che nel quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini si sono pavoneggiate imperversando dappertutto, si debbano aggiungere queste ingenue e affannate di giovani alle prese con  le sue “Lettere luterane”? Perché no? [E. A.]

1. Pasolini non poteva trovare una casa più adatta alle sue parole: Il Teatro Officina a Milano. Un teatro che ha una lunga storia alle spalle di scrittura per e sul quartiere. Un quartiere difficile, eterogeneo, dove a partire dagli anni Settanta un gruppo di studenti, insegnanti e operai, trasforma il salone di una balera in una sala di sperimentazione scenica. La storia si può leggere nel loro sito. È il 1973, siamo a Milano, in viale Monza 140. Sono gli anni del “decentramento teatrale”, in cui fioriscono teatri nelle zone periferiche di Milano, non più e non solo nel centro città. Lo stesso Paolo Grassi e il Piccolo daranno un forte contributo a questa visione con progetti e idee ma anche con contributi economici. È una storia che ha continuato compiere percorsi di vita anche negli anni a venire, attraverso gli spettacoli “Memorie di terra contadina”, “Cuore di fabbrica”, “Voci dei quartieri del mondo” prodotto nel 2005 con la Casa della carità di Don Virginio Colmegna, protagonisti gli immigrati stranieri che a Milano vivono e lavorano.

2. Il Teatro Officina oggi è luogo di crescita professionale e umana per molti giovani che seguono il laboratorio pomeridiano “Il centro dell’emozione”. Fra i tanti lavori svolti con i ragazzi del laboratorio, uno in particolare va citato LA PROFEZIA ALLE SPALLE, andato in scena 1 e 2 novembre 2015. Testimonianze (audio e video) su Pier Paolo Pasolini scelte e selezionate dai giovani stessi. Brani tratti da “Lettere Luterane” in cui si affronta il tema della “mutazione antropologica”, la perdita dei valori e il vuoto culturale degli anni Settanta, perno centrale dei ragionamenti di Pasolini, intellettuale lucidissimo e isolato, “tollerato” come si definiva egli stesso. (Lettere Luterane, Garzanti 2010, pag. 35). Daniela Airoldi Bianchi (Pedagogista teatrale, Docente del Master “Teatro e scuola” dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, Scienze della Formazione) che ha curato anche la regia della messa in scena, ha svolto insieme ai ragazzi un lavoro di conoscenza sull’opera di Pasolini. Il teatro come luogo di apprendimento, di pedagogia attiva e di riscoperta della narrazione. Daniela Airoldi Bianchi è partita da alcune domande semplici ed efficaci: «Come risuonano le parole di Pasolini nei cuori dei giovani nati nel Duemila? Quelle parole – per noi “padri” così chiare e nette – cosa muovono se vengono rilanciate oggi ai “figli” di quella stessa profezia? Si riconoscono e sentono la profezia, pur nelle opportune distinzioni, attuata e reale? A 40 anni dalla sua morte, il Teatro Officina riparte da qui, da cosa i figli pensano del pensiero amorevole e disperato di un padre profetico e forse incomprensibile». Da una lettura attenta delle “Lettere Luterane” e degli “Scritti Corsari”, i giovani del laboratorio dialogano con il poeta e raccontano la loro storia, la loro profezia sulla realtà contemporanea: il lavoro che non c’è, la crisi, il consumismo, il conflitto generazionale. Nei brani scritti dai ragazzi si legge tutta l’efficacia dell’attività svolta da Daniela, non c’è retorica, non c’è narcisismo, solo desiderio di conoscenza, consapevolezza di vivere in una realtà sfuggente e veloce. Massimo de Vita (Direttore Artistico del Teatro) anche lui in scena per leggere un brano dedicato alla figura del giovane “Gennariello che splende”, personaggio inventato da Pasolini, scugnizzo napoletano «dell’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande villaggio» (Lettere Luterane, Garzanti 2010, pag.75) anima buona con cui dialogare. Tutto questo per rendere dal vivo quello che il teatro deve essere: luogo di volontà e spiritualità, incontro di sensibilità.

3.Riporto di seguito, alcuni frammenti dei testi scritti dai giovani inseriti nella lettura scenica. Mi sembrano significativi per capire se quel patto di verità («Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca. ») che Pasolini strinse con i lettori e sé stesso, è ancora saldo o ha perso spessore nel tempo.

«Ho paura di non reggere il confronto: tu spieghi e sintetizzi dei concetti enormi in poche righe. Pensi 30 anni avanti, e io ho solo un grande caos in mente. E piantiamola di dire che questo spettacolo è un confronto, perché io parlo con un leggio vuoto, tu sei morto e io non potrò mai avere delle risposte ai miei dubbi. Quindi più che un confronto con te è un confronto con i tuoi testi, che io continuo a trovare insormontabili. Torniamo a parlare della colpa dei padri: nei tuoi scritti tu dici il consumismo ha cambiato in modo negativo quello che ci hanno trasmesso le generazioni precedenti, almeno penso di aver capito così. (…) Io non dico che non sia vero, ma questo sviluppo economico che ha portato al consumismo non lo volevano tutti i padri… Soltanto, molti non l’hanno capito in tempo, come hai fatto tu. (…) Quindi perché devi generalizzare? Perché i miei genitori dovrebbero avere una colpa? Perché deve esistere una colpa? (…) Non puoi accusare una generazione (quella dei padri) di questa colpa, al massimo li puoi accusare di inconsapevolezza di quello che stava accadendo. Le colpe sono molteplici, ma sono molteplici i responsabili (…) So che non mi potrai mai rispondere»
(Sebastian Luque Herrera)

«Questa generazione di giovani spenti, criminali come ci chiami tu, ha di certo anche le sue responsabilità, ma come possono queste colpe, di cui nessuno ci aveva avvisato, essere così gravi da farci subire una così pesante – dici tu – “cessazione d’amore”? Si parla tanto di questi giovani sbandati, ma cosa si è mai fatto concretamente per loro? Le nostre scuole cadono a pezzi, i nostri punti di ritrovo, quando ci sono, rasentano lo squallore. Ci avete cresciuto come Telemaco, ma quanti di voi si sono sforzati una volta sola di essere il nostro Ulisse?» (Francesco Arioli)

«“Il consumismo come causa di tutti i mali”. Devo dire che mi sembra di aver già sentito questa frase. Io vivo, Pierpaolo, con la tua profezia ormai avverata alle spalle, dove il consumismo regna sovrano e condiziona pesantemente le nostre vite. Le cose, vedi, non mi insegnano più niente; quello che interessa è semplicemente comprare e sostituire il telefono di sei mesi fa con la versione successiva. Vivo in un mondo in cui è necessario che tutti comprino e sostituiscano con altri acquisti il già comprato perché l’economia si basa proprio su questo processo, e se si ferma crolla tutto. (Vedi le banche americane nel 2007). D’altro canto non credo che un ipotetico “ritorno alla povertà” possa essere utile a qualcosa; non ho mai visto quei sorrisi di cui parli, quella “cultura povera”. Questa è la cultura in cui sono nata, questa è la mia epoca e non si può certo premere il tasto POWER e resettare tutto. Ma che dobbiamo fare? Che dobbiamo fare?» (Lucilla Amerini)

«Non voglio portarmi dietro “la lezione del padre” come una maledizione che mi pesa sulla schiena: voglio imparare da questa lezione impartitami, ma non come un obbligo bensì come un racconto. A te, Pierpaolo, che ti poni inevitabilmente – dici tu – come padre verso noi giovani, vorrei dire che a volte essere così certo delle tue certezze, non ti consente di capire che noi stiamo crescendo insieme con le nostre fragilità, e che una strada possibile è riconoscere e accettare le nostre fragilità, e non considerandole – come dici tu – una “colpa”» (Beatrice Federico)

4. Quel patto è ancora saldo nel tempo? Dubbi, fermenti, suggestioni, i giovani in pochi flash ci mostrano l’incertezza del nostro quotidiano e la necessità di liberarsi dei miti ma soprattutto rivelano un’estrema criticità nei confronti del pensiero che l’autore esprime in Lettere Luterane: che fare ora che i giochi sono fatti? Ora che la profezia si è avverata, lasciarsela alle spalle o ribaltarla? Del resto, difficile entrare in relazione con un autore come Pasolini, non solo perché si rischia di parlare soltanto a un leggio, come sostiene Sebastian ma soprattutto perché ci troviamo di fronte a una personalità poliedrica che si è espresso in campi differenti (pittura, poesia, narrativa, teatro, cinema, giornalismo), intellettuale frenetico e magmatico, vissuto ora come estremista di sinistra, ora come un nostalgico, un reazionario, un provocatore, un profeta geniale, un martire. Tutto e il contrario di tutto. Sfuggente e marcatamente presente, visibile e nello stesso tempo invisibile, sicuramente più comprensibile oggi. Il patto è ancora saldo…Tuttavia i ragazzi nei loro scritti sottolineano le contraddizioni del pensiero dell’autore e la consapevolezza che non si può sfuggire a una domanda chiave: che fare? Che cosa può fare oggi, Telemaco, in una società senza più padri o meglio in una società di padri assenti? Al di là di questi interrogativi leciti ma che non possono certamente risolvere la complessità del tema trattato, mi ritornano in mente le sensazioni provate nel buio mentre la parola musicale e metaforica del poeta viaggiava da un giovane lettore all’altro. Sensazioni corsare, voglia di guerra, voglia di pace. Voglia di seguire il padre, voglia di abbandonarlo. Che posso dire? Nel buio della sala ancora oggi Pasolini, come Gennariello, splende.

Milano Teatro Officina, novembre 2015

2 pensieri su “Pasolini al Teatro Officina di Milano

  1. …mi sembra molto bello e drammatco questo esprimersi corale dei giovani sulle loro presenti condizioni di vita alla luce del pensiero di Pier Paolo Pasolini…lo stimolo di una profezia non favorevole nei loro confronti (ma anche nei nostri, padri e madri ancora in vita) ha generato una riflessione profonda. Sembrano concordi da una parte nel riconoscere la loro fragilità, in una società consumistica senza volto umano, come ben diceva P.P. Pasolini, dall’altra nel volersi scrollare dalle spalle “la lezione del padre” come una maledizione…o”una colpa”(Beatrice Federico). Questi sussulti di ribellione in difesa di una speranza che deve pur sempre illuminare un cammino, senza per questo negare la difficile realtà che ci circonda. Auguro a questi giovani di continuare insieme il percorso, cercando inseme risposte alla domanda “Che fare?”, una domanda intergenerazionale…

  2. Queste testimonianze dei ragazzi andrebbero lette e commentate nelle scuole, ammesso di trovare il tempo per farlo ( svolgere tutto il programma di una singola materia è già un successo ). Sono convinto che un’alta percentuale di giovani farebbe un’esperienza forse decisiva per il proprio presente e per il futuro, quantomeno luminosamente in progress e felicemente destabilizzante .

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