I giganti e gli uomini

Marc-CHAGALL 1

di Arnaldo Éderle

a Gianmario Lucini

 

Dobbiamo forse aspettare
a leccarci le carni
quasi a brandelli? A cent’anni
o a duecento?
Ma vieni ora, fresca e odorosa a darmi
le tue braccia e le tue ottime
gambe, vieni!
Così tuonava sulla bella Ginevra
il gigante sdraiato nelle piume,
nudo e possente.
La bella Ginevra stava in piedi davanti
al letto finché il gigante si rotolava
e grugniva istigato dalla sua grande
bellezza rosa. Mentre si accomodava
i seni con le mani sottili e le dita,
lei stava attenta a non grattarsi
i capezzoli dorati sporgenti e duri
come pietra.
Il gigante allungava le braccia e la chiamava
con la sua voce spaventosa piena
di desiderio.

E lì si spezzò la fiaba del gigante e della
bella Ginevra.
Ne nacque un’altra di fiabe tutta diversa.
Il gigante era un ragazzo smilzo e gracile,
all’altro lato della stanza una biondina
magra si tirava i capelli lisci
e lunghi fin oltre la cintura. Non c’erano giganti
e donne nella stanza, vuota era e pulita
senza grugniti e desideri.

Chi li avesse visti, questi ultimi voglio dire,
avrebbe pensato a una famiglia bislacca
e povera come l’erba gialla, senza voglie
di vita e godimenti di nessun genere,
avrebbe visto la sciagura lì a due passi
e la sua faccia magra e dolente
le sue fattezze grigie, le povere gambe
come due ombre senza forze e i suoi
occhi ombrati senza luci e semichiusi,
avrebbe temuto un improvviso spegnimento.
Nessun chiarimento nella favola sulla
loro povertà, dei due ragazzi voglio dire,
nessuna elettricità nella loro immobile
positura nessuna vita.

Le braccia, due stecchi appesi
ad esilissime spalle non volevano nulla
erano solo appese come due
grappoli d’uva secca, nessuno avrebbe
tentato di rubarli.

Ma i giganti non li ignoravano, i giganti
dalle loro stanze d’oro, li osservavano
prendevano appunti sulla loro quiete
sulla loro inerzia, sulla loro nascosta bontà,
dico dei due magri ragazzi immobili e stanchi.
Nessuno li riconoscerebbe solo alcuni
li guarderebbero come strane statue
ai margini della vita all’ultimo respiro
o tratto del loro esile contratto
con l’esistenza.
Ah sì, non avevano la forza di vivere se non
nelle maglie del male nell’infruttifero
adagiarsi sull’erba grigia dei pendii dei
prati maledetti, ragazzi
senz’ombra.

Parole! Mi servite male questa volta,
note d’un rarefatto jazz m’inseguono nel tratto
che mi pare conduca al campo delle incertezze
nel mondo dell’universo di nebbie
che incantano la gioventù dei nostri giorni
come false anguane o aspidi religiose
che ci augurano la morte.

Parole parole senza pelle, venite in frotte
senza pensare a volte, assiepandovi
sui fogli della speranza come pensieri vuoti
come sterili foglie spinte dal vento della
cattiva fortuna e non pensate all’ansia
all’aspettarmi da voi dalla vostra presenza
il miracolo della salvezza l’aria
del buon augurio la forza della fedeltà.

V’erano uomini sani sulla terra ma
non so dire dove c’era la gente dalla lunga barba
e ragazzi ancora lisci che giocavano a bocce
nei rettangoli in terra battuta o a palline
nelle piste di sabbia.
Altri più grandi che mentivano
alle mamme per nuotare nel fiume sotto casa
altri ancora che praticavano il lavoro
nelle botteghe delle arti, altri e altri
ancora e ancora.
Stavano tutti nelle loro case dopo.
Ah giovani, che buttavate i piedi di qua
e di là nella danza, non prestavate
agli alti giganti la minima attenzione.
Ecco, la magra coppia che appare all’ombra
di Ginevra non alza un dito non muove un passo
e il profeta guizza la lingua che traspare
nello specchio dei pazzi.

Ma io non voglio la fine dei profeti.
Vedo l’inutilità di questi sentimenti vedo
il nerofumo della fine inaugurata dall’assenza
di umano movimento.
Oh parole! Fatemi la grazia d’ignorare una volta
le mie parole, datemi invece l’altra grazia
di venderle come stretta dell’anima
e strazio dinanzi alle indecenze
dei giganti e alla dolcezza delle nostre
debolezze.

50 pensieri su “I giganti e gli uomini

  1. Parole e carne. Forze e debolezze. Tempo nel tempo. Scrittura arguta e ricercata senza annullare semplicità e passione. Poesia da ricordare …da dedicare. Bellissima. grazie

  2. “Nessuno li riconoscerebbe solo alcuni
    li guarderebbero come strane statue
    ai margini della vita all’ultimo respiro”

    >> : questa non è poesia e non solo per gli orribili condizionali, ma anche le sciatte descrizioni che seguono, e quanto ai sensi o contenuti sono come disse qualcuno: “masticature di vecchie cotolette” !

  3. @ attanasio emanueli (nickname di….)

    Su L’OMBRA DELLE PAROLE solo poesia e qui su POLISCRITTURE sempre o spesso non poesia?
    Non faccia il Croce e non ci metta in croce o nelle due gabbiette binarie (poesia/non poesia)!
    Le “vecchie cotolette” (ammesso che queste di Ederle lo siano, ma ci vorrebbe una critica puntuale e non un frettoloso cenno: “orribili condizionali”, “sciatte descrizioni”…) possono essere più saporite di tanta carne in vari modi dopata.
    E se trovano, malgrado il suo parere, estimatori/trici vuol dire che anche dai testi che Lei giudica non poesia qualcuno/a trae qualche soddisfazione (o illusione). E perché strappargliela di mano? Almeno fin quando verrà stabilito in modo incontrovertibile cosa sia la (Vera) Poesia.

    1. …è una ottima cotoletta ! Mai cambiare la ricetta.
      E’ l’arte di impanare, la regolazione del fuoco, del tempo, della passione che contano!
      Sig. Attanasio,
      si faccia portare qualcos’altro…per esempio pollo ruspante rubato al contadino.

  4. “Parole! Mi servite male questa volta”

    Da questo verso in poi, il metaforico raccontino diventa poesia. Cosa accade, quale necessità determina questo improvviso colpo di reni verso l’ignoto? E perché Lucini, che c’entra? solo perché “… io non voglio la fine dei profeti” ?
    No, c’è di più: Lucini provocava i pensieri, inseguiva il senso delle parole sfidando la poesia bella a vedersela col fango della ragione! Ma cosa diventava in quel caso la poesia, che vita era costretta a fare, quella di una serva? Allo stesso modo, quando pare a me che Ederle se la prenda con se stesso, ecco che la ragione si fa guida della cieca poesia. Da quel verso in poi anche le metafore cambiano aspetto: più belle e ripulite, diventano poesia. Da quel verso in poi ritrovo perfino qualcosa di Sagredo!

    Oh parole! Fatemi la grazia d’ignorare una volta
    le mie parole, datemi invece l’altra grazia
    di venderle come stretta dell’anima
    e strazio dinanzi alle indecenze
    dei giganti e alla dolcezza delle nostre
    debolezze.

  5. Caro Attanasio, non so chi lei sia e non lo voglio sapere, ma certamente non è un linguista.
    In una lingua qualsiasi i verbi e le loro forme non sono mai né orribili, né belli, sono solo
    funzionali, e mi pare che nel caso specifico del miei condizionali funzionino alla perfezione. Quanto al resto del suo commento non discuto. Lei la vede così e così la
    dobbiamo accettare anche se non siamo d’accordo. Comunque grazie dell’intervento.
    Un saluto. Arnaldo Ederle

  6. Gentile Abate, Ederle e tutti,
    intanto seguo Poliscritture da tempo… blog che pubblica ottimi poeti e di conseguenza ottimi componimenti… e non sapevo che eravate così pronti ad incendiarvi, tutti! Comunque si dà il caso che questa volta Ederle non mi è sembrato all’altezza di altri suoi componimenti e quindi ho scritto quel che mi son sentito di scrivere, o devo fare l’ipocrita? – per quanto riguarda il linguista, signor Ederle lo sono fino al midollo, essendo stato discepolo di Roman Jakobson, Viktor Sklovskij, Levi-Strauss… conosciuti circa 50 anni fa e frequentati… e allora ne so più di lei e di tanti altri sedicenti “linguisti” italiani (e mi riferisco a quelli poco seri e plagiatori che sono il 90%). E ribadisco il mio giudizio su quei condizionali, tra l’altro uno dietro l’altro… e la loro funzione, dov’è? – Mi vuole dire per caso che la Poesia è solo funzione? Forse la Sua poesia lo è, e allora continui a “funzionare” nella stessa maniera dei funzionari della poesia che si spacciano per Poeti! E poi sono un lettore molto attento, e aggiungo esperto in cose di Poesia.
    Alla sig.ra Banfi le consiglio di non essere troppo entusiasta e di saper discernere le cose poetiche, perché quando scrive “bellissima” significa non solo per me , ma per la stessa Poesia, nulla, cioè vacuità critica!
    grazie a tutti, e gentile Abate io seguirò il Suo blog, perché è interessante e comprendo al Sua difesa.
    E. A.

    1. …”Alla Signora Banfi “le” consiglio….” eh eh, gent. Sig. Attanasio …da lei non me l’aspettavo!
      Io non so fare critica (questo Blog non è aperto solo ai critici), per me quel “bellissima” è così importante al punto che un critico come lei non può arrivare a capire.
      Sono una che va dove la porta il cuore ma, le assicuro, che non lascio mai a casa il cervello.
      Apprezzo senz’altro la sua sincerità.

  7. ….a me sembra una poesia molto intensa, carica di mestizia e di sfinitezza…e forse anche di confusione consapevole. Il poeta A. Ederle lo confessa tranquillamente: “Parole! Mi servite male questa volta…”, come per uno smarrimento improvviso davanti alla scomparsa di un poeta amico che si vorrebbe commemorare. C’è, come in tutte le vite, l’attraversamento di un sogno di pienezza di felicità, che alla prova del reale perde tutta la sua consistenza e persino la sua attrattiva, diventa “indecente” : la scelta va verso l’umanità dolente, povera, immersa nel quotidiano, come esprimono molto bene gli ultimi versi: ” Oh parole! Fatemi la grazia di ignorare una volta / le mie parole, datemi invece l’altra grazia/ di venderle come stretta dell’anima/ e strazio davanti all’indecenza/ dei giganti e alla dolcezza delle nostre /debolezze…

  8. @ attanasio emanueli

    Non c’è nessun incendio o sollecitazione a «fare l’ipocrita». Solo un cordiale rendere pan per focaccia. E poi lo stesso Ederle riconosce la legittimità del suo parere negativo. Non si deve piacere per forza e la valutazione soggettiva è un’architrave (fin troppo solida e insindacabile) della nostra civiltà. Ora, però, aggiungerei un invito al «discepolo di Roman Jakobson, Viktor Sklovskij, Levi-Strauss»: ci parli di loro, rinfreschi la memoria ai vecchi e apra gli occhi ai giovani su quei Santi Padri. ( Non ne usi il prestigio solo per bacchettare reali o immaginari « funzionari della poesia»). Un saluto e grazie delle sue provocazioni.

  9. Signor Abate Lei è in mala fede, le intenzioni che Lei mi appioppa, non sono mie, ma Sue, io cerco di diluire la questione, Lei invece ci ritorna con acredine dolcificata.
    I libri sui personaggi da me citati li potete leggere… sono in italiano dalla metà degli anni ’60.

  10. @ attanasio emanueli

    Togliendo il dolce all’acredine ( e sempre scherzando… nota per l’attore!): Non c’è paragone! Vuol mettere la testimonianza di un discepolo a fronte della lettura sillabata e travisata che possono fare piccoli, gogoliani, funzionari della poesia come noi dei Grandi del Formalismo o dello Strutturalismo!

  11. @ Ennio Abate
    Perché accettare l’anonimato o semi-anonimato – i vari “claudio pinelli”, “attanasio emanueli”, “attanasio emanuel” – ecc. ecc.? Non è un “pilastro della nostra civiltà” dichiarare senza alcun infingimento la propria identità? Non mi risulta che letterati e poeti siano esenti dall’elementare dovere di firmare col proprio vero nome le proprie “dichiarazioni”. Perché consentire, con tanto di “inviti” e ringraziamenti, questa palese – per usare un eufemismo – maleducazione?
    @Arnaldo Ederle
    Complimenti vivissimi. Condivido pienamente le sempre sagge osservazioni di Annamaria Locatelli…

  12. @ Ottaviani

    “La valutazione soggettiva è un’architrave (fin troppo solida e insindacabile) della nostra civiltà”: era detto ironicamente. E poi la “maleducazione” va interrogata, stanata, possibilmente indotta a esprimere la (piccola o grande) verità che copre. Poliscritture ha (per me) un dovere più alto e meno *elementare* da perseguire: essere “laboratorio di cultura critica” non di censura.

    1. @ Ennio Abate
      Caro Ennio, perché evocare la censura? Io ho parlato soltanto del “dovere elementare” di dichiarare la propria identità. Sono sinceramente dispiaciuto che tu non dai una risposta convincente a questa “elementare” richiesta. I “doveri più alti” di Poliscritture? Benissimo. Ma perché, in nome del “più alto”, calpestare “il dovere elementare”? Con gli infingimenti, caro Ennio, non si è mai stanato un bel nulla, anzi…

      1. @ Ottaviani

        Paolo, se uno non rispetta il “dovere elementare”, cosa dovrebbe fare l’amministratore di un blog? Cancellare i suoi commenti. Per questo ho parlato di censura. A me non va. Altra cosa è se uno usasse un nickname per offendere. Non mi pare il caso di ‘attanasio emanueli’ (alias…). Chiudiamola qui e parliamo del poemetto di Ederle. Ciao.

        1. @Ennio Abate
          La chiudiamo in disaccordo. Accettare e persino favorire l’anonimato è un errore, e di non poco conto. Anche un “Amministratore di blog” dovrebbe pretendere il rispetto delle regole “elementari”: tutti ne trarremmo vantaggi, “Poliscritture” compresa.

  13. Diomiassista a districarmi tra la poesia e la dedica a Lucini! Mi ricordo soltanto delle presentazioni di Lucini a Negrura, Burlesque e Le magnifiche donne di Glencourt, e deve entrarci per buone ragioni il mio ricordo, per la “libertà creativa” e il “vero e proprio aspetto ludico-creativo che è tipico dell’artigiano”, che Lucini a Ederle riconosceva. Ancora Lucini ha scritto per Ederle di equilibrio espressivo, di ironia, di “potenza evocativa del linguaggio, che scaturisce sempre da un sottofondo fantastico”.
    Ora, in questa poesia, conta l’opposizione tra il corpo pregno di vitale erotismo dilatato fino al gigantismo (che richiama la conoscenza e la frequentazione di Ederle del mondo provenzale e di Rabelais), e i corpicini dolenti e senza luce dei due giovani nella stanza vuota e pulita. E chi sono i giganti che non li ignoravano e

    “dalle loro stanze d’oro, li osservavano
    prendevano appunti sulla loro quiete
    sulla loro inerzia, sulla loro nascosta bontà”?

    Ederle e Lucini credo, e certo altri. Ederle chiede alla sua poesia una responsabilità diversa e qui forse si lega alla memoria di Lucini, nella consapevolezza di quei giovani diversi:

    “Oh parole! Fatemi la grazia d’ignorare una volta
    le mie parole, datemi invece l’altra grazia
    di venderle come stretta dell’anima
    e strazio dinanzi alle indecenze
    dei giganti”

    Le indecenze dei giganti! Perché insieme a quegli alti giganti ci sono stati giovani che buttando i piedi “di qua/e di là nella danza” non prestavano la minima attenzione, ma i giovani sono diventati

    “Ecco, la magra coppia che appare all’ombra
    di Ginevra non alza un dito non muove un passo
    e il profeta guizza la lingua che traspare
    nello specchio dei pazzi.

    Ma io non voglio la fine dei profeti.
    Vedo l’inutilità di questi sentimenti vedo
    il nerofumo della fine inaugurata dall’assenza
    di umano movimento.”

    L’inutilità di questi sentimenti si riferisce alla strofa “V’erano uomini sani sulla terra”, alle “parole senza pelle” come pensieri vuoti

    “come sterili foglie spinte dal vento della
    cattiva fortuna e non pensate all’ansia
    all’aspettarmi da voi dalla vostra presenza
    il miracolo della salvezza l’aria
    del buon augurio la forza della fedeltà.”

    Per il distacco consumato con i due magri ragazzi immobili e stanchi, che non hanno la forza di vivere, ragazzi senz’ombra, Ederle chiede alle parole l’altra grazia, di “venderle” (cioè di farsi comprare: con un gesto volontario) come strazio anche dinanzi “alla dolcezza delle nostre/debolezze”, senza voler dimenticare il proprio ruolo, come è stato anche quello di Lucini

  14. il signor Attanasio ha espresso il suo parere come chiunque altro. Non si vive di soli complimenti. Ederle ha risposto correttamente sostenendo il valore “funzionale” delle parole, seppur limitatamente a verbi e locuzioni. Io stesso ho criticato negativamente la prima parte di questa poesia: avevo infatti notato che, come in altri suoi componimenti, Ederle tende a scivolare bellamente nella prosa, nel racconto. Passi per la sua scelta di far derivare ogni argomento da belle donne (donna origine della vita ecc), anche se questa scelta estetica mi fa pensare a tanti quadri di Salvatore Fiume, artista parecchio manierato, ma che stimo.
    Non vedo ragione per scandalizzarsi tanto.

    1. @mayor
      Carissimo Lucio, lo scandalo non sta in ciò che viene detto, sempre ovviamente discutibile e giustamente opinabile, ma nel fatto che “il signor Attanasio”, come, con squisita eleganza, tu lo appelli, è in verità un soggetto ignoto a tutti. Interloquire con persona deliberatamente nascosta, questo è lo scandalo. Come è altrettanto scandalo confondere la censura – che è odioso oscuramento di liberi pensieri di libere e riconoscibili persone – con il rispetto di normali ed elementari norme di civiltà che richiedono che ciascuno si presenti col volto scoperto e riconoscibile.
      Ribadisco con forza, ma anche con tristezza, queste che per me sono ovvietà. in questo giorno di pianto.

      1. @ Ottaviani

        Mi spiace, Paolo. Eppure l’uso di nickname è cosa consueta e accettata anche in blog rispettabili. (Vedi ad es. Le parole e le cose). Alla condizione che ho già detto: il contenuto non dev ‘essere offensivo.

          1. @Ennio Abate
            Dispiace anche a me. Ancor di più perché, invece di combatterli, vengono presi ad esempio gli errori altrui.

          2. Capisco le tue ragioni, Paolo. Il mondo sarebbe sicuramente diverso e migliore se cominciassimo a cambiare anche in queste piccole cose. Ma dire che una poesia e incondizionatamente bellissima e dire che pare una cotoletta, è poi tanto diverso?

  15. Carissima Cristiana, ti ringrazio del tuo articolato commento che aspettavo con un po’
    d’impazienza, tanto lo stimo. E’ molto bello (anche se “Attanasio” stima quel “bello”
    come una cosa inutile, senza significato!) Un abbraccio. Arnaldo

    1. @mayor
      Sì, è molto diverso, caro Lucio. Un conto è dare un giudizio, per quanto strampalato, su una poesia, ben altro nascondere, perché tanto si sa che c’è chi colpevolmente ce lo concede, la propria identità. Così viene tutto ulteriormente falsato. Né la vita reale né la poesia hanno bisogno di questo. Hai giustamente scritto che il mondo “sarebbe sicuramente diverso e migliore se cominciassimo a cambiare anche in queste piccole cose”. Bravo. Ma allora cominciamo!

      1. “ben altro nascondere, perché tanto si sa che c’è chi colpevolmente ce lo concede, la propria identità” (Ottaviani)

        Colpevolmente!? Ce lo concede!? Allora dovremmo abolire anche gli pseudonimi?
        A me pare che esista anche il diritto a nascondere o mascherare la propria identità. *Se questo non danneggia altri*.

        1. …nel teatro (ma anche nella vita, consapevolmente o no) indossiamo molte maschere, come i vari personaggi che interpretiamo o che siamo…La verità presenta varie angolature e se ce ne arriva una sgradita, ma non dannosa, da parte di una mascherina…possiamo pensare che sia uno scherzo di carnevale o la pura verità…

      2. La poesia ha a che fare con la verità, non con le buone maniere. Comunque è vero: anche il commento più sgarbato andrebbe sempre motivato. Quanto a nescondersi: se è così, beh, non può dare piena soddisfazione nemmeno a chi lo fa. Non so immaginare un poeta che non abbia del coraggio.

  16. Davvero sono tempi bui!

    Quali tempi sono questi, quando
    discorrere d’alberi è quasi un delitto,
    perchè su troppe stragi comporta silenzio!

    Ma voi, quando sarà venuta l’ora
    che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
    pensate a noi
    con indulgenza.

  17. @ mayoor
    dire “bellissima” e dire che pare una “cotoletta” Potrebbe essere da un punto di vista critico la stessa cosa…è un peccato…un vero peccato, anche perché quel bellissima è preceduto da altre osservazioni . Comunque resto sempre del parere che anche la cotoletta ha un suo valore e ,ripeto, dipende da come viene cucinata se con passione e competenza resta sempre un gran piatto.

  18. Cara Cristiana, sei dolcissima in questa tua domanda! “dopi” è soltanto l’inizio di una frase, anzi di una parola:”dopo”, il seguito é: “dopo le nove di sera, prestavano ai sogni
    il valore delle loro mani e la luce dei loro occhi.” Purtroppo è un errore di stampa, ma,
    immagino, non ci sia nulla da fare, dobbiamo tenercelo così. Un grande abbraccio.
    Arnaldo

    *Ho corretto l’errore di battitura [E. A.]

    1. … oh sì, è la tempestività irredimibile del web! sorridiamo

      *Ho corretto l’errore di battitura [E. A.]

  19. Mi sono soffermato a guardare il dipinto messo a commento di questo post. Di chi è?
    Una donna nuda ma vista di spalle, quindi che non si dona; forse l’autore ha voluto fermare il ricordo di una storia d’amore, in qualche luogo, in un altro tempo. L’avrà dipinto un uomo certamente, si percepisce l’ingenuo voyeurismo. Di questo mi piacerebbe parlare con Ederle: della figura femminile, che nelle sue poesie fa pensare a rinnovato stilnovo. Non donne vere ma silhouette prese a simbolo di qualcosa che non capisco…

  20. …incuriosisce anche me l’immagine di quel dipinto: una figura femminile che giganteggia nel cielo, non calata nel reale, anzi incombente; lei ha i colori caldi della bella stagione, ma volge le spalle, il paesaggio di case quelli tenui dell’inverno…sembra parlarci di un sogno concluso, un amore forse, il cui ricordo si omaggia con un vaso di rose rosse…come su un monumento funerario. Ritornando alla poesia di A. Ederle, mi piacerebbe capirne meglio il collegamento…

  21. Pensavo tra me e me: come è possibile che persone di indubbia intelligenza e cultura possano confondere ciò che è tutelato dalla legge perché ha acquistato la stessa importanza del nome, con le identiche modalità che difendono lo stesso diritto al nome e lo stesso dovere di dichiararlo com’è il caso degli pseudonimi? Dagli pseudonimi infatti si risale alla vera identità della persona, dalle false identità evidentemente no. E come non intendere che la mancata o falsa dichiarazione di identità è un danno in sé e che alcuni, come per esempio il sottoscritto, può sentirsene ferito e danneggiato? Chi stabilisce se c’è o non c’è danno? E ancora: com’è possibile confondere le maschere dei vari personaggi teatrali o reali con la vera identità dei recitanti? All’ingresso dei teatri c’è la locandina con il vero nome degli attori… e quando io recito una delle infinite parti che la commedia della vita mi può richiedere mi presento comunque come Paolo Ottaviani. Pensavo tra me e me: ma perché debbo tristemente spiegare queste banali ovvietà a chi deliberatamente non le vuole ascoltare? Pensavo tra me e me… Eppure qualcuno ha parlato di coraggio!

    1. “E come non intendere che la mancata o falsa dichiarazione di identità è un danno in sé e che alcuni, come per esempio il sottoscritto, può sentirsene ferito e danneggiato?” (Ottaviani)

      Avevamo detto di chiuderla lì, ma si continua ed io replico ancora sia per la stima che ho nei tuoi confronti sia perché, se davvero ci fosse qualcosa di sbagliato nella mia (ma anche di altri) posizione, vorrei capirlo.
      Scrivi: ‘Un danno in sé’ equivale a un ‘danno per tutti’. Ma, nel caso in questione, finora solo tu, Paolo, ti sei sentito ‘ferito’ (e ho già detto che mi spiace). Ma in che cosa sei rimasto ‘danneggiato’ tuttora non lo capisco.

      1. @Ennio Abate
        Altri sono tornati sull’argomento. Mi sembrava giusto continuare a rispondere.
        “Sentirsi ferito” comporta di necessità anche un danno, se pur solo psicologico. La mancata o falsa dichiarazione di identità è certo un danno per tutti come sarebbe un vantaggio per tutti la dichiarazione veritiera della propria identità… che sia solo io a dirlo è pressoché insignificante…. l’importante è che tu, con normale coraggio, faccia rispettare le norme “elementari”. Grazie per la stima. Un saluto

    2. Ma come si fa ad essere sempre certi che si tratti di falso nome? Se così, il signor Attanasio avrà ben capito, solo che a questo punto non gli converrà fare un passo indietro.

  22. Cara Annamaria, quella figura è rosa, come il colore della carne della donna desiderata
    dal gigante. Questo, per metterla in testa al mio poemetto, già basta. Un caro saluto,
    Arnaldo Ederle

    1. Mi parrebbe evidente che Ennio conosca il nome vero del signor Attanasio (cavallo vanesio, cantava Renato Rascel, che conosceva bene Petrolini), quindi nel rapporto tra Ennio e Attanasio ci sarebbe forse anche la ragione dello pseudonimo. Soprattutto se la critica di A. è aspra e definitiva, e A. non vuole essere tirato in campo con tutte le sue glorie e polemiche passate.
      Polemiche da “letterati” (bon gré mal gré), mi parrebbe, di poco interesse, come è di poco interesse la critica per i condizionali e il contenuto rimasticato. Di poco interesse perché ho trovato nel testo di più e di meglio: il disinteresse per una poesia leccata (che in altre occasioni Ederle ha dimostrato di sapere fare, anche benino).
      Per questo, in sintesi, sono d’accordo con Ennio: pseudonimo sì, se non c’è insulto.

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