bataclan bataclan bataclan

1977 Caduta dal cavallo 1977

Per tener desta l’attenzione sui fatti di Parigi e incoraggiare la discussione in corso metto in primo piano questo post del 14 nov. 2015 [E. A]

di E. A.

è buia ma buia ma buia
non la notte,  l’Europa
a occhi sbarrati stanotte

“venite presto
ci ammazzano
tutti”
febbrile digitando
nell’opalescenza…
buio sparviero calando
sul Bataclan

la guerra la guerra
ricamavamo
la guerra la guerra c’è già
era qua

non pensata
che piega la poesia
che piega la ragione
e le taglia le teste

a labbra chiuse
scrivete la paura
contate i morti
non chiudete le frontiere tra le menti

pensate
l’orrore
il buio
il mondo

pensate

140 pensieri su “bataclan bataclan bataclan

  1. Avanti!

    Questa volta ce la puoi fare. Non dare retta ai corrotti della pace, a quelli
    che fin qui ti hanno tenuta in vita
    che dopo ogni combattimento ti han curata ogni volta con dosi shocking
    di naftalina e profumo francese.
    Dolce formalina, spettro delle rovine, avrai bisogno anche tu, soprattutto tu
    di farla finita con vinti e vincitori
    una volta per sempre.

  2. …se voi ragazzi, accorsi per una notte di svago
    dove musica e amici
    ora inghiottiti come vecchi
    al termine di una vita,
    pietrificati su un’assurda domanda
    -dal gioco all’orrore…perchè?
    Che c’entriamo?-
    gioco nello stadio, tra i brindisi scintillanti
    di una notte parigina
    -che c’entriamo?-…
    Chi potrebbe rispondervi,
    vittime sacrificali in atto di guerra
    nell’oscuro gioco dei potenti?

  3. …bataclan bataclan bataclan…sembra il richiamo del pifferaio magico e anche in quella “fiaba” a pagare oer gli errori dei potenti furono gli innocenti..

  4. Vedo rimugino cammino rimbalzo
    sulla buccia dell’arancia blu Sykaos
    di memoria Oitariana la pianta del piede
    sensibile alla vibrazione della sciagura che incombe
    droni volano invisibili e registrano itinerari umani
    disumani colpiscono arrestano le pulsazioni
    di cuori che automatici vivevano e speravano
    a Raqqa o a l’île de la Citè buoni o cattivi
    (solo Dio lo sa, ché è grande) il fuoco dell’inferno
    teleguidato o fatto di esplosione umana
    brucia e gasifica le vite ed è ormai guerra
    nelle strade e nei televisori
    futuri ipotetici negati dal fruscio di moneta
    la via della seta mutata in rete di sangue
    eserciti di respiri in fuga per bracci di mare
    bambini ancora con ai piedi scarpe da casa
    sprofondare anche ad un metro solo dalla meta
    per sempre come palloncini sfuggiti
    alle madri loro per le quali il più da poter sperare
    era quella fuga non una scuola e chissà
    un master di lingua o design
    schierarsi in guerra è la necessità
    tra le linee si muore la tua aria pur se mefitica
    è la tua vita e dal tuo lato della rete è quel che ami

  5. SEGNALAZIONE

    Strage di Parigi: stiamo perdendo la guerra con la jihad.
    Scritto da Aldo Giannuli

    Stralcio:
    Da dove vengono questi professionisti? La cosa più probabile ì che siano venuti da fuori e siano stati trasferiti in Francia in un momento imprecisato ed un vista di una azione, anche se non necessariamente una azione predeterminata. C’è un fenomeno che si sta delineando da ormai molto tempo: quello dello “sciame sismico” delle guerre mediorientali, per cui i reduci di un teatro di guerra si riversano in un altro e poi in un terzo, dando vita ad una sorta di comunità di professionisti della guerriglia, che ricorda molto da vicino il fenomeno del travaso degli ex appartenenti alle Brigate Internazionali in Spagna, che poi fornirono il primo quadro della guerriglia partigiana durante la II Guerra Mondiale. Ovviamente nessuna parentela né politica né ideologica fra i due fenomeni, ma delle similarità per così dire “sociologiche” ed operative che meriterebbero una attenta analisi comparativa. In fondo, anche Al Quaeda si formò sulla base di quanti erano accorsi in Afghanistan per combattere i sovietici. Possinile che i servizi occidentali non abbiano cercato di fare una “anagrafe” – per quanto parziale ed imprecisa- dei reduci delle varie guerre?

    Terzo ordine di problemi: da dove viene il colpo? Stando alle rivendicazioni sarebbe un’operazione dell’Isis per rappresaglia all’intervento in Siria dei francesi. Ed, ovviamente, è possibilissimo che le cose stiano così, ma è bene mantenere un po’ di dubbio, non è il caso di prendere per oro colato queste rivendicazioni. Durante la strage di Chiarlie Hebdo abbiamo visto l’accavallarsi di un uomo dell’Isis come Coulibaly sull’azione di uomini dei Aqpa come i fratelli Kouachi, il che fece intuire una corsa fra i due gruppi per “cappellare” l’operazione.

    Il dubbio sorge dal fatto che fra Isis ed Al Quaeda c’è stata una differenziazione strategica iniziale: Al Quaeda ha sempre teorizzato gli attentati in Occidente per colpire il “nemico lontano” mentre l’Isis l’azione in Medio Oriente per colpire il “nemico vicino”. Questa azione, quindi, sarebbe nello spirito più di Aq che dell’Isis. Quindi la rivendicazione potrebbe essere un modo di appropriarsi di un’azione non propria, per esigenze pubblicitarie. Però, almeno sino a quest’ora, manca una rivendicazione di Aq, Dunque, dobbiamo prendere in considerazione altre due ipotesi: che l’Isis abbia modificato parzialmente la sua strategia aggiungendo anche azioni in Occidente o che fra i due gruppi possa essere intervenuto un qualche accordo per il quale Aq lascia il terreno dell’azione armata all’Isis per concentrarsi nelle azioni di “entrismo” nelle sfere di potere del mondo islamico o sulla base di altre intese.

    (da http://www.aldogiannuli.it/strage-di-parigi-stiamo-perdendo-la-guerra-con-la-jihad/)

  6. SEGNALAZIONE

    La guerra è arrivata in Europa
    di Giulietto Chiesa

    Era pronosticato. Ora si vede che significa. La vita politica europea sarà sconvolta. Il fanatismo: una facciata che non spiega la sua ‘intelligence’

    L’avevamo pronosticato. Adesso si vede meglio cosa significa. Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre. Non ci sarà possibilità di difesa per le classi sfruttate, subalterne. Ogni momento della vita collettiva sarà rubricato come problema di ordine pubblico. Controlli generalizzati in nome della difesa contro il terrorismo. La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector.

    Politici e giornalisti, che ripetono le favole che si sono raccontate e ci hanno raccontato, sono nella più grande confusione.

    Adesso si vede l’importanza di avere, o di non avere, una televisione che organizzi la difesa delle grandi masse.

    Ed è solo l’inizio. La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale. Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa.

    Obiettivo chiarissimo: terrorizzare l’Europa e costringerla sotto l’ombrello americano. A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accorti.

    Germania e Francia (il match di calcio) sono nuovamente avvertite. E, con loro, Merkel e Hollande. I due leader europei che stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano sono avvertiti.

    (DA http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=124647&typeb=0&la-guerra-e-arrivata-in-europa)

  7. ci inseguono ci insegnano

    hai paura? io no di morire
    è accadere di tutti
    ma essi ci inseguono
    per insegnarci il futuro
    di vita dopo la morte
    per noi
    per i piccoli in sorte
    al nostro grembo-destino
    noi viventi del solo cammino di luce che resta
    la bella esistenza che è il dono
    il solo mezzo e la prova di unione di spiriti in ricca
    differenza sofferenza di limiti
    per noi che morire è difficile noi piccoli sempre
    che non sappiamo morire
    come essi ci insegnano
    per noi che morire è finire
    – per loro moltiplicare –
    per noi sarà meglio con loro
    insieme assumere il rischio
    di sterminare

  8. Non c’è nessuno scontro di civiltà.
    Ci sono solo interessi geopolitici in corso d’opera.
    Lo stato dell’arte è caotico ma non illogico.
    Magari piacerebbe anche agli USA un’Europa “coesa” (innalziamo livello di guardia-difendiamo i nostri valori! etc) sotto i suoi diktat per mezzo degli attuali governi, senza le crescenti fughe laterali e quindi più docile ai suoi progetti (TTIP e non solo)?

  9. SEGNALAZIONE

    Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo fare

    http://www.limesonline.com/parigi-il-branco-di-lupi-lo-stato-islamico-e-quello-che-possiamo-fare/87990

    Stralcio:

    Geopoliticamente c’è una novità: al-Qaida si muoveva in una situazione in cui gli Stati erano ancora relativamente forti; l’Is approfitta della loro fragilità nel mondo liquido, in cui saltano le frontiere. In sintesi: non esiste lo scontro tra civiltà ma c’è uno scontro dentro una civiltà, in corso da molto tempo. Per utilizzare un linguaggio da web: oggi nella Umma il potere è contendibile.
    A partire da tale fatto incontestabile, due questioni si impongono all’Occidente e alla Russia.
    La prima è esterna e riguarda la presenza (politica, economica e militare) in Medio Oriente: se e come starci. La seconda è interna: come difendere le nostre democrazie, basate sulla convivenza tra diversi, allorquando i musulmani qui residenti sono coinvolti in tale brutale contesa? Come preservare la nostra civiltà dai turbamenti violenti della civiltà vicina? Se ci limitiamo a perdere la testa, invocando vendetta senza capire il contesto, infilandoci senza riflessione sempre di più nel pantano mediorientale e utilizzando lo stesso linguaggio bellicoso dei terroristi, non facciamo niente di buono. Potremmo anzi concedere allo Stato Islamico la resa del “nostro” modello di convivenza, per entrare nel “loro” clima di guerra.
    Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna e la qualità della nostra democrazia. Serve più intelligence e una maggiore opera di contrasto coordinata tra polizie, soprattutto nell’ambito delle collettività immigrate di origine arabo-islamiche, che rappresentano un’importante posta in gioco del terrorismo islamico. Da notare anche che tali attentati si moltiplicano proprio mentre lo Stato Islamico perde terreno in Siria. Contemporaneamente occorre conservare il nostro clima sociale il più sereno possibile. Mantenere la calma significa non cedere ai richiami dell’odio che bramerebbero vendetta, che per rancore trasformerebbero le nostre città in ghetti contrapposti, seminando cultura del disprezzo e inimicizia. Le immagini del britannico che spinge la ragazza velata sotto la metro di Londra fanno il gioco di Daesh.
    Sarebbe da apprendisti stregoni incoscienti rendere incandescente il nostro clima sociale, provocare risentimenti eccetera. Così regaliamo il controllo delle comunità islamiche occidentali ai terroristi, cedendo alla loro logica dell’odio proprio in casa nostra. Per dirla col linguaggio politico italiano: mostrarci più forti del loro odio non è buonismo complice, è parte della sfida. Il “cattivismo” diventa invece oggettivamente complice perché appunto fa il gioco dello Stato Islamico.
    In secondo luogo, dobbiamo darci una politica comune sulla guerra di Siria, vero crogiuolo dove si formano i terroristi. Imporre la tregua e il negoziato è una priorità strategica. Solo la fine di quel conflitto potrà aiutarci. Aggiungere guerra a guerra produce solo effetti devastanti, come pensa papa Francesco sulla Siria. Finora abbiamo commesso molti errori: l’Occidente si è diviso, alcuni governi si sono schierati, altri hanno silenziosamente fornito armi, altri ancora hanno avuto atteggiamenti ondivaghi, non si è parlato con una sola voce agli Stati vicini a Siria e Iraq eccetera.

    Nota.
    Questa posizione rimanda a questioni che tentammo di discutere in un vecchio post:
    “Islam in decadenza?” di Ezio Partesana (https://www.poliscritture.it/2014/12/16/islam-in-decadenza/).
    Forse sarebbe il caso di riapprofondire il tema.

    1. L’articolo è interessante perché, in qualche modo, per noi, rassicurante.
      D’altra parte qualsiasi altro modo di affrontare il tema ci affonderebbe nell’irrazionalità. Con questo articolo sembra, e probabilmente è, possibile agire in modo sobrio e razionale, in una prospettiva strategica, e politica.

  10. Bataclan e uno
    bataclan e due
    bataclan e tre
    Aggiudicato!
    A chi?
    A tutti gli uomini
    che respirano
    l’aria infettata dall’odio
    e non sono in grado
    di distruggere la guerra!

  11. Stralcio di un articolo scritto da Giacomo Sartori, su la Nazione indiana:

    Solo qualche pensiero personale a caldissimo sulla “geografia”, ma forse sarebbe meglio di parlare sulla sociologia, di questi massacri, prima ancora che siano rivendicati e che se ne conoscano i dettagli (per ora se ne sa pochissimo), prima che sia digerita l’emozione, prima che parta la grande macchina delle interpretazioni. Perché questa che è stata colpita non è la Parigi della politica, del potere (e delle decisioni che sono state prese di recente sui bombardamenti in Siria), delle imprese internazionali, della finanza, o anche solo delle grandi ricchezze. E’ la Parigi dove da una ventina d’anni chi può permetterselo, e nella maniera in cui può permetterselo (i prezzi sono alle stelle, e tagliano fuori di fatto una gran fetta della popolazione), fa la “fête”, e in particolare appunto il venerdì e il sabato.
    I terroristi avrebbero potuto colpire un grande teatro (sono sempre stupito, quando mi capita di andare per esempio all’Odeon, dal pubblico, rigorosamente bianco e spocchiamente danaroso), “l’Opera”, alcuni ristoranti supercostosi dei “beaux quartiers”. Perché in realtà da un paio di secoli tutta la capitale il fine settimana, ma non solo, “fait la fete”, la pittura e la letteratura se ne sono ampiamente occupate. Ma qui appunto negli ultimi vent’anni sono nati (per contaminazione a partire dalla rue Oberkampf) centinaia di ristoranti e ristorantini e baretti di tutti i tipi (non pochi tenuti da italiani espatriati, o dove lavorano degli italiani, detto tra parentesi), molti con le loro “terraces”, e la gente viene anche dagli altri quartieri e dalle periferie, riempie i marciapiedi e nelle ore di punta anche le strade. Si dice questa mattina che è stata scelta quest’area per la vicinanza con la sede di Charlie Hebdo, per marcare il legame con quella prima e simbolicissima carneficina. Non credo che la ragione che sia questa. Come non credo che c’entrino molto le questioni logistiche, anche se colpire le zone ricche, molto più sorvegliate, e più facili da controllare, sarebbe stato molto più difficile.
    Il ristorante d’angolo Petit Cambodge della rue Bichat, per esempio, dove i morti pare siano stati quattordici, non ha una clientela danarosa, ma piuttosto di studenti e giovani che appunto possono pur sempre permettersi un ristorante (relativamente) non caro. Di faccia, giusto dall’altra parte della strada, a dieci metri, c’è, e esisteva ben prima, uno “storico” caffè arabo, con una clientela più popolare, o insomma anche popolare (soprattutto a certe ore), e molto più legato al quartiere. E di faccia al locale dellaFontaine au Roi c’è un Mc Donald, dove per due euro si può pur sempre buttar giù qualcosina (la stessa cifra in un qualsiasi altro locale non basta per un caffè). Mi sembrano molto indicative queste prossimità, che aiutano a capire meglio come e in quale contesto sono stati scelti gli “obiettivi”.
    Come anche non mi sembra anodino che risalendo la rue du Faubourg du Temple, a poche centinaia di metri dal ristorante Casa nostra dove ci sono stati dei morti, si entra nel cuore popolare di Belleville, dove predominano persone di origine asiatica e magrebina (e anche qui ci sono ora moltissimi giovani italiani). Perché a Parigi esistono ancora alcune zone davvero popolari, anche se se si stanno riducendo sempre di più, mano a mano che gli abitanti sono catapultati nelle periferie con il solito meccanismo dei prezzi degli appartamenti e degli affitti. Qui sì c’è la vera povertà, e per la strada si incontrano molti reietti. Duecento metri nella direzione opposta, invece, oltre piazza della République comincia invece l’ormai danarosissimo Marais, dove vivono tantissimi facoltosi italiani che possono permetterselo.
    Mi domando se nella testa di chi ha organizzato queste stragi, Parigi, e la Francia, e insomma il Nemico, sia questa realtà della “fête” del fine settimana. Perché appunto qui, o non lontano da qui, vivono, o bazzicano loro e i loro amici, parte delle loro famiglie. Molti giovani “di famiglie svantaggiate” non possono certo permettersi i caffè e i ristoranti, ma ci passano davanti, li conoscono, stanno lì a parlare o a farsi spinelli in gruppetti nelle entrate dei palazzi (personalmente mi ha sempre colpito questa segregazione dal sapore di apartheid, e che fa parte del paesaggio di queste zone, è l’altra faccia della fête”). Mi domando se questi ragazzi, tra cui qualcuno viene purtroppo indottrinato e si radicalizza, l’altra Parigi, quella vera, quella dove si decide e circolano i grandi capitali, la conoscano. Confesso che io stesso, con la mia pelle e i miei capelli chiari, sono sempre stupito, e non mi sento a mio agio, quando ci vado. E’ davvero un altro mondo, fatto di inarrivabili beni immobili e mobili, di pulizia (anche etnica), di distanza abissale da chi è escluso dalla scuola e dal lavoro, e ha difficoltà a sopravvivere.
    Questi invece sono i quartieri della “mixité”, belli e vivi proprio per la gran mescola di culture e abitudini, e per la tolleranza che è dipinta su tante facce e si respira nell’aria. Direi che il Bataclan, con le svariatissime forme di musica e gli spettacoli molto diversi che propone, può essere considerato un tempio della “mixité”. E paradossalmente è proprio questa Francia più aperta e mista che è forse, o comunque lo sarebbe, più propensa a capire le ragioni e i problemi dei giovani che si sono radicalizzati, che viene presa come bersaglio. Una Francia che certo non vuole sentire parlare di Front National e di derive populiste. Il terrorismo finisce sempre per prendersela con chi gli è “strutturalmente” più vicino (pensiamo al Partito comunista nei nostri anni di piombo, pensiamo proprio a Charlie Hebdo).
    In realtà queste zone stanno cambiando a vista d’occhio. Proprio nella rue Bichat e nelle vie limitrofe stanno apparendo eleganti studi di architetti, luccicanti negozi di vino o “traiteurs” dai prezzi imbarazzanti, negozi di giocattoli o di sontuosetti vestiti per bambini, ristorantini con certe pretese. E nei paraggi dell’uscita delle scuole si vedono un sacco di giovani mamme spigliate ma danarose con bambini che di popolare non hanno proprio nulla. In altre parole è in atto una galoppante gentrificazione, e la corrispondente evacuazione delle frange più povere. Per abitudine questi giovani che si stanno insediando e stanno prendendo possesso delle case e delle vie vengono chiamati “bobo” (bourgois – bohémiens), termine apparso nei primi anni 2000, e che per un breve periodo ha indicato in modo efficace una fetta di popolazione con afflati artistici ma non sprovvista di mezzi. Personalmente questi nuovi protagonisti vincenti mi sembrano ora sempre più bourgois che bohémiens, pur sprovvisti di molte rigidità borghesi e pur pareccchio disinibiti, a cominciare proprio dalla maniera di parlare e di vestire. Ma sarebbe un lungo discorso, e qui mi interessa solo sottolineare il carattere di transizione, sia geografica che forse anche storica, di questa Francia che è stata scelta come simbolo da colpire.
    Tutto ciò lasciando per ora prevalere l’emozione per i morti e i feriti, come è giusto.

    1. E’ molto utile e interessante questo articolo, perché permette ancora di pensare… fare collegamenti tra eventi, cercare dei “sensi” trasversali ai fatti, cogliere le simbologie che legano le azioni tra loro, etc. Con acutezza Sartori ci riesce a far immaginare il mondo che vogliono gli uomini del Califfato, forse il mondo in cui già loro vivono, ma soprattutto quello in cui pretendono che noi tutti viviamo. Ci preparano un futuro.
      L’accenno di A. Inglese al film Timbuctù finisce di creare con le immagini questa visione, che si impone ai nostri occhi. Forse la risposta da dare é soprattutto quella alla domanda: noi come vogliamo vivere?

      1. Se anzi che unirsi in matrimonio, finisce che l’edonismo prevalga sulla cultura, ecco che si vive nelle fiabe, dove può bastare il colpo di un petardo per far tremare la vetrina dei vini d’annata. Culturalmente impreparati ci si espone a tutto, perfino alle chiacchiere di chi giustifica la presenza di un fucile in ogni famiglia.
        Massimo rispetto per il grande Allah, ma a noi c’importa del petrolio, e di farli a pezzi tenendo divisi confini e popolazioni, in modo di garantirci lo sfruttamento. Questo gli arabi lo sanno benissimo, hai voglia a sventolare bandiere di democrazia!
        Come vorrei che l’occidente, per Natale, decidesse di adoperarsi per l’unione dei popoli arabi in un solo grande continente! Questo sì, metterebbe in minoranza l’Isis. Ecco perché è importante mantenere una politica di accoglienza. Altrimenti, come sempre, è solo guerra.

      2. @ Massenz

        A me colpisce – cosa che accade sistematicamente di fronte ad eventi tragici – la tendenza (secondo me esorcistica) in vari siti (NI, LPLC) e in varie bacheche di FB a psicologizzare e sociologizzare (senso di colpa, stili di vita, etc.).
        Non è che siano letture *sbagliate* ma del tutto incomplete e reticenti. Perché i fatti di Parigi (e non solo: Libano, Kenya) hanno componenti militari e politiche in buona parte oscure e quasi indecifrabili. Preferire questi “pezzi” alle analisi politiche argomentate (che se si dà un’occhiata in giro sul Web non mancano) a me pare un segno di pigrizia e di confusione.
        Se uno poi le cose chiare le deve leggere oggi su Famiglia cristiana: http://www.famigliacristiana.it/articolo/francia-almeno-smettiamola-con-le-chiacchiere.aspx
        vuol proprio dire che una intera tradizione di pensiero (riassumibile in questo verso di Fortini: “uscire di pianto in ragione”) s’è perduta.

        1. Dici bene… infatti il limite di queste “letture” sta nel fatto che lasciano fare ad altri dei tentativi di interpretazioni politiche complesse, di fronte ad eventi che possono essere definiti “oscuri” o difficilmente analizzabili se non conoscendo davvero troppe cose che, personalmente, non so.
          Mi assumo il mio limite, del resto Famiglia Cristiana avrà i suoi, e comunque non mi piace parlare a vanvera di fronte a fenomeni la cui complessità richiederebbe conoscenze politiche, economiche, militari, strategiche, storiche, religiose…
          Perché, ti sembra di poter tu, noi, altri… interpretare questa strage di Parigi uscendo da ciò che già tanti giornali o illustri commentatori affermano? Abbiamo altri strumenti più adatti e profondi per comprendere la complessità di ciò che sta avvenendo? Ho paura che anche questi semplici pensieri non siano degni, secondo te, e quindi forse non vale la pena neanche di esporsi pensando in questo modo così “psicologico” o “sociologico”… perchè comunque non basta, non basta mai nulla, e dunque siamo davvero condannati al silenzio. Amen.

          1. @ Massenz

            Ma perché personalizzare e vedere in quel che ho scritto un rimprovero o una pretesa di saperla più lunga? Se non “abbiamo altri strumenti più adatti e profondi per comprendere la complessità di ciò che sta avvenendo”, vanno cercati. Dire “non basta” ( ma io ho detto anche che sul Web si trovano cose da approfondire e più degne di studio e riflessione di queste di NI o di LPLC) equivale a spingere ( me e gli altri) a cercare ancora, a cercare con più passione; e non a condannarsi al silenzio.

          2. @ Ennio

            Non t’irrigidire subito se si esce dal seminato. Due sono le cose: o cerchi di capire sfruttando l’unico mezzo alternativo che hai a disposizione, vale a dire la rete, o ti accontenti dell’avanspettacolo televisivo. L’articolo di Sartori, pur senza giungere a conclusioni interessanti, completa a modo suo il puzzle delle informazioni grazie alla conoscenza diretta dei luoghi in cui si è svolta la tragedia. Tentare di comporre il puzzle è l’esatto contrario dell’essere pigri e confusi. Si potrebbe obiettare che ragionare condizionati da etichette è come voler fare geopolitica perché s’è giocato per anni a risiko.

        2. Comunque, per smentire le conclusioni a cui si potrebbe giungere leggendo l’articolo di famiglia cristiana:

          Certo si può obiettare che noi qui si dia per scontato che la strage di Parigi sia una precisa strategia della tensione da addossare a quei mandanti occidentali. Ma ogni ora che passa, è chiaro che si è trattato di un’azione professionale del più alto livello: sette attentati simultanei, personale perfettamente addestrato, che ricarica le armi con fredda efficienza, non sono certo dei teppistelli venuti da qualche banlieue parigina. Basta pensare anche solo quanto costa una simile operazione, per intuirlo.

          Beh, ci sono piccoli indizi che i blogger francesi stanno racimolando. Il teatro Bataclan, per 40 anni proprietà di una famiglia ebraica, è stato venduto al gruppo Lagardére l’11 settembre scorso…forse conviene ricordare che anche il piccolo mercato ebraico Hyper Cacher, era stato venduto dal suo prorpietario, Michel Emsalem, alla vigilia dell’orribile evento seguìto alla strage di Charlie Hebdo. Gli apparati di sicurezza privati della comunità ebraica avevano preavvertito i loro correligionari che ci sarebbe stato un attentato il 13 novembre, e conveniva non uscire: questo risulta dal Times of Israel.

          http://www.timesofisrael.com/in-france-defense-experts-see-parallels-to-israel/

          E poi c’è la firma: i terroristi che si sono fatti esplodere, non senza aver prima lanciato lontano da sé il prezioso documento d’identità che li identificava, onde non si danneggiasse nell’auto-esplosione. Uno di loro, dal passaporto siriano, risultava arrivato in Grecia. A parte che i passaporti “siriani” si vendono ad Istanbul un tanto al chilo, onde Berlino li prenda per buoni, è una costante ben nota. Dall’11 Settembre ai fratelli Koauchi, sempre occorre che appaiano documenti miracolosamenti intatti, o dimenticati sui sedili delle auto usate per gli attentati. Massimo Mazzucco ricorda che anche nel ’63, quando l’FBI diramò la segnaletica di ricercato per Lee Oswald, non potendo dire che era quello che aveva sparato a Kennedy (non si poteva ancora sapere) dissero che il fuggiasco aveva perso un documento d’identità…un vecchio trucco poliziesco, di cui non possono far a meno.

          Tutti in guerra contro l’ISIS! Come voleva Erdogan
          di Maurizio Blondet – 16/11/2015

  12. Smettiamo di fare la guerra e la guerra finirà
    Nient’altro dietro le spalle
    nient’altro davanti agli occhi
    Solo un senso
    un’utopia
    una volontà
    Nient’altro
    Eppure ancora
    si ricomincia a soffrire
    si ricomincia a morire
    si ricomincia ad odiare
    La storia
    ce lo ordina?
    quanto vale
    il nostro nome:
    Gente

  13. SEGNALAZIONE

    ESCALATION DELLA GUERRA PERMANENTE
    di Salvatore Palidda

    Stralcio:

    Chiunque può dire: io o qualche mio familiare o amico avremmo potuto essere fra i massacrati nei luoghi della strage di Parigi. Allora siamo tutti in guerra? Ma io o i miei familiari e amici non abbiamo dichiarato alcuna guerra, non abbiamo fatto alcun gesto ostile contro nessuno. Cosa fare? Sperare nella protezione di chi promette «Saremo spietati!», dare loro pieno sostegno?
    Contrariamente a quanto sciorinano tanti commentatori, la strage di Parigi non è un fatto orrendo mai accaduto in Europa o nel resto del mondo. Al di là della macabra contabilità da becchini, basta ricordare le bombe di un mese fa contro i manifestanti pacifisti in Turchia, o del 2004 alla stazione di Madrid, o le stragi di palestinesi con le bombe al fosforo israeliane, e centinaia di altri massacri. Secondo Claudio Magris siamo alla quarta guerra mondiale, dopo la terza – la guerra fredda, dal 1945 al 1989 – che ha fatto circa 45 milioni di morti; il Papa e altri ripetono da tempo che siamo alla terza guerra mondiale. La guerra è il fatto politico totale che s’è imposto e pervade tutto e tutti. Come tutte le guerre anche quella odierna – che non si svolge contro stati nemici e non è regolata da norme internazionali – i contendenti coinvolgono la popolazione civile massacrandola, e chiedendo il suo sostegno per proteggerla.
    Ma chi sono i contendenti di oggi? Come siamo approdati alla guerra attuale? Colla «memoria corta» che viene alimentata nei paesi cosiddetti occidentali, usi a presentarsi quali «santuari di pace» in un mondo di guerre, si ignora il processo che ha portato all’attuale guerra permanente. Il che vuol dire che non ci si domanda quali saranno i suoi costi (e benefici), e a danno (e vantaggio) di chi.
    […]
    Colpito Al Qaeda, ecco che emerge l’ISIS. Un nemico ancora più orrendo, capace di ogni sorta di atrocità persino nei confronti di donne e bambini. Secondo alcuni, fra i quali Olivier Roy, l’ISIS sembra credere all’Apocalisse e si muove per realizzarla. Ma da dove viene questa mostruosità? Com’è riuscita a disporre di tante risorse finanziarie, di tanti mezzi e armi? Come riesce ad avere consenso e reclutare anche giovani europei e statunitensi? Diversi esperti accreditati, militari e civili, ammettono che l’ISIS trova facilitazioni negli Emirati Arabi, in Iraq e forse anche presso la criminalità organizzata transnazionale, grazie a traffici di armi, droga e capitali.
    […]
    Parallelamente, mentre tutti i paesi aumentano le spese militari e per le polizie, le loro politiche economiche accrescono la distanza fra ricchi e poveri e incentivano le neo-schiavitù, le emigrazioni disperate e la mortalità per malattie oncologiche oltre che per fame e, nei paesi non-dominanti, anche per banali malattie e malnutrizione in assenza di farmaci e cure. Perché stupirsi allora se nei paesi dominanti alcune decine di giovani marginali o marginalizzati, spesso oggetto di discriminazione razziale, aderiscono all’ISIS invece di autodistruggersi con un’overdose? Il mito degli «uomini bomba» appartiene a giovani o meno giovani che hanno «perso ogni speranza», che non intravedono alcuna possibilità concreta di trovare un percorso pacifico di emancipazione (e non possono approdare allo scetticismo insegnato da Hannah Arendt, Pasolini o Foucault). Ricordiamoci che i primi «uomini bomba» emergono fra i palestinesi come tentativo disperato di rovesciare il rapporto di forze asimmetrico nei confronti delle risorse militari di Israele. L’adesione all’ISIS non è che la folle radicalizzazione di un odio verso l’Occidente liberista che cova da tempo. Raramente si parla delle tante realtà africane nelle quali oltre alle guerre le nostre multinazionali continuano a seminare disastri di ogni sorta, dalle contaminazioni da rifiuti tossici ai disastri ambientali ed economici.
    Come per caso, a Parigi la strage del 13 novembre si consuma due settimane prima del COP21, il summit di circa 200 paesi che avrebbero dovuto approvare una netta riduzione nelle emissioni di gas tossici e ogni sorta di sostanze inquinanti, e lo stanziamento di risorse ingenti per bonificare un pianeta altrimenti destinato alla distruzione. Facile prevedere che i paesi dominanti, invece, riusciranno a imporre la scelta di investire ulteriormente nella guerra al terrorismo, mettendo in secondo piano quella contro i disastri sanitari-ambientali ed economici. In nome della prevenzione del terrorismo verrà probabilmente accantonata ogni ipotesi di misure a favore dei profughi, «visto che fra essi possono infiltrarsi i terroristi» (un caso su quanti? Ed è passato perché si è troppo buonisti con i profughi? Mangime per il pollaio razzista). I propositi delle autorità francesi e di altri paesi, in materia di lotta al terrorismo, sono quelli già sperimentati in particolare dopo l’11 settembre: sempre più risorse a servizi segreti e polizie. Avremo una sorta di stato di assedio permanente, che legittimerà violenze e abusi nei confronti dei semplici sospetti e persino dei loro parenti. Ancora una volta saremo chiamati ad acconsentire al sacrificio delle libertà in nome della salvaguardia della nostra «civiltà». Saremo costretti a sopportare ancora per chissà quanto tempo le gesticolazioni e i deliri della guerra permanente infinita.
    Probabilmente questo orrido teatro (nel senso goffmaniano di effettiva realtà della società) non potrà però durare a lungo, e finirà per alternarsi con qualche altra «opera». Del tutto inutile proporre alle attuali autorità aggiustamenti alle pratiche che proprio esse hanno sciaguratamente ideato (cfr.http://www.mediapart.fr). L’unica possibilità di interrompere la proliferazione della guerra consiste invece nel mobilitare la capacità critica, suscitare una parresia di massa.

    ( da https://www.alfabeta2.it/2015/11/16/guerra-permanente/)

    *Questo articolo mi è stato segnalato anche da Emilia Banfi

  14. …trovo quest’ultimo articolo di Salvatore Palidda davvero lucido nell’analisi della situazione. Ne deduco che sarebbe il caso di ribellarsi all’idea di farsi trascinatre in una guerra( anche solo come idea) ampiamente pianificata dall’alto, noi come burattini da manovrare, da dirigere nelle reazioni e nelle controreazioni…

  15. Visto che la realtà (horror) supera qualsiasi fantasia (complottista o semplicemente cinematografica, aggiungiamo per il piacere della complessità ( Massenz cit) , un’altra lettura:

    http://maestrodidietrologia.blogspot.it/2015/11/ba-ta-clan-venerdi-13-di-sangue-e-arena.html?showComment=1447751359543#c7361560673459364088

    Nota di E.A.
    Ricordo ancora una volta che degli articoli segnalati, specie se lunghi, va riportato solo il link e, se si vuole, un breve stralcio ritenuto significativo. In questo caso ‘ro’ mi segnali il brano da riportare e lo aggiungerò.

  16. SEGNALAZIONE

    Il lutto diventa legge – di Judith Butler

    Appare chiaro, dai dibattiti televisivi, che lo “stato di emergenza”, anche se temporanea, crea in realtà un precedente per un’intensificazione dello “stato di polizia”. Si parla di militarizzazione (o meglio, del modo in cui “portarne a compimento” il processo), di libertà e di lotta contro “l’Islam”, quest’ultimo inteso come un’entità amorfa. Hollande, nel pronunciare la parola “guerra” ha provato a fare il macho, ma a colpire, in realtà, è l’aspetto imitativo della sua performance – al punto da rendere difficile seguirlo seriamente. Proprio questo buffone, in ogni caso, assumerà ora il ruolo di capo dell’esercito.

    Lo stato di emergenza dissolve la distinzione tra Stato ed esercito. La gente vuole vedere la polizia, una polizia militarizzata a proteggerla. Un desiderio pericoloso, per quanto comprensibile. Molti sono attratti dagli aspetti caritatevoli dei poteri speciali concessi al sovrano in uno stato di emergenza, come ad esempio le corse in taxi gratuite, la scorsa notte, per chiunque avesse bisogno di tornare a casa, o l’apertura degli ospedali per tutti i feriti. Non è stato dichiarato il coprifuoco, ma i servizi pubblici sono stati comunque ridotti e le manifestazioni pubbliche vietate – ad esempio i rassemblements (“assembramenti”) per piangere i morti sono stati considerati illegali. Ho partecipato a uno di questi, a Place de la République: la polizia continuava a dire a tutti i presenti di separarsi, ma in pochi obbedivano. È stato, per me, un breve momento di speranza.

    (DA http://effimera.org/il-lutto-diventa-legge-di-judith-butler/)

      1. Cristiana, anche quando tu scrivi cose intelligenti le approvo, anche se so che sei “femminista”. E spero che valga anche per le mie cose “marxiste” o “comunista” “esodante”! E poi io ascolto anche i “morti”. ( Cfr. la risposta di Majakovskij alla domanda “Quale poesia oggi?).

        1. Tra parentesi mi riferivo al femminismo che riesce a vedere l’imperatore nudo: “Hollande, nel pronunciare la parola ‘guerra’ ha provato a fare il macho, ma a colpire, in realtà, è l’aspetto imitativo della sua performance – al punto da rendere difficile seguirlo seriamente. Proprio questo buffone, in ogni caso, assumerà ora il ruolo di capo dell’esercito”.
          E poi:
          ” La scelta del concerto rock come obiettivo – come scenario per gli omicidi, in realtà – è stata così argomentata: ospitava ‘idolatria’ e ‘un festival della perversione’. Mi domando dove abbiano trovato il termine ‘perversione’. Suona quasi come uno sconfinamento da un altro contesto.”
          Scorci di prospettiva che il femminismo consente, non perché sia intelligente, ma perché è politico.

  17. SEGNALAZIONE

    Tutti in guerra contro l’ISIS! Come voleva Erdogan

    di Maurizio Blondet – 16/11/2015
    
Fonte: Maurizio Blondet

    Un generale tedesco : “La Turchia vuol trascinare la NATO in questa situazione (la guerra in Siria) perché lo scope reale della Turchia è di abbattere Assad…Le azioni dell’ISIS e quel che accade ai curdi sono secondarie. Deve essere chiaro che un alleato che si comporta così non merita la protezione dell’Alleanza”. Era l’8 ottobre 2014, il generale tedesco (ora a riposo ) si chiama Harald Kujat, e in qualità di membro della Commissione Militare NATO denunciava – durante una trasmissione ARD-TV, Anne Will – che Ankara stesse cercando di invocare la clausola articolo 5 (che obbliga i membri della NATO ad intervenire a fianco di un suo membro minacciato) per i suoi interessi loscamente locali. Specificamente, Ankara vuole creare in Siria una zona cuscinetto (no-fly), grosso modo tra Aleppo, Idlib. Latakia e la propria frontiera, con l’idea nemmeno tanto nascosta di farne poi la propria “82 esima provincia” (la definizione è del giornale Hurriyet). Il generale tedesco auspicava allora che la NATO ritirasse i Patriot dal confine turco, per dare un segnale. I Patriot sono stati ritirati a fine agosto.
    A metà novembre la strage di Parigi, immediatamente attribuita all’ISIS. Ma che cosa è l’ISIS? Si noti, la strage islamista è accaduta il giorno prima dell’importante vertice del G-20 di Antalya, Turchia. Dove Erdogan – esaltato dall’aver stravinto le elezioni – incontra i governi occidentali che gli hanno tenuto bordone, e forse non gliene hanno tenuto abbastanza, e cominciano a volersi ritrarre – data anche la presenza dei russi. E pone condizioni, minacciando di inondare l’Europa di altri pretesi profughi.
    Perché il Sultano di Ankara non ha affatto rinunciato al suo caro progetto di zona-cuscinetto proteggi-ribelli.
    Il 9 novembre scorso, il suo primo ministro, Davutoglu, sé fatto intervistare da Christiana Amanpour (CNN) ed ha rilanciato la proposta di una invasione militare di terra per crearla: “…Truppe di terra è qualcosa di cui dobbiamo parlare insieme (con gli alleati, ndr.) e condividere…occorre una strategia con campagna aerea e truppe al suolo integrate…non possiamo farlo da soli”.
    Cercava un pretesto per trascinare l’Occidente nella sua guerra. Ora, il fatto che dopo lo sterminio di Parigi Hollande abbia gridato: “Guerra! Guerra!”, come tanti media occidentalisti, significa che lui (e noi) stiamo facendo ad Erdogan il favore lungamente atteso? Guerra! All’ISIS si risponde solo con la guerra!

    Si fa’ presto a dire ISIS – è , come si diceva di Al Qaeda, un franchising:  nella zona che Erdogan vorrebbe fare cuscinetto sono impiantati, secondo l’insospettabile Syrian Observatory for Human Right (un apparato di propaganda anti-Assad) almeno 2 mila combattenti provenienti da Cecenia, Daghestan ed altre regioni del Caucaso che sono spesso turcofone, proprio il tipo di gente su cui il neo-ottomano stende la sua protezione. Ad Idlib è impiantato il partito Islamico Cinese del Turkestan, ossia gli uiguri; gli uzbeki dello “ Imam Bukhari Jamaat and Katibat Tawhid wal Jihad”; secondo l’USAID sono tre i gruppi militari usbeki (5 mila in tutto) che si battono in Siria. I ceceni sarebbero 2 mila; gli uiguri, un migliaio. Tutti estremisti dell’Asia centrale, che minacciano la Russia e i suoi satelliti, nonché la Cina.
    Se la NATO andasse a fare “la guerra” in Siria, sarebbe per creare questa zona-cuscinetto e santuario sicuro per questi terroristi-guerriglieri,  sfidando l’interdizione aerea russa. Sono gli stessi   combattenti per la libertà  che abbiamo visto all’opera a Parigi, a scuoterci dalle nostre piacevoli vite? Si  fa’ presto a dire ISIS.

    Il fatto è che ad indicare Erdogan come il mandante ultimo possibile della strage non sono mezze figure. E’ un’analista come Christina Lin, del Washington Institute for Near Aest Polico WINEP (che scrive anche per ilTimes of Israel) e l’inviato speciale informatissimo Pepe Escobar di fama internazionale.
    Quindici formazioni di terroristi operanti in Siria – ricorda Escobar – hanno inviato le loro congratulazioni ad Erdogan per la sua brillante vittoria elettorale: dalla branca locale dei Fratelli Musulmani alla Armata di Conquista…tutte formazioni che hanno giurato lealtà al Califfato, quello sostenuto dalla Cia e dai sauditi, il regnante del Katar, insomma i soliti. Nell’incontro di Vienna, i russi hanno messo insieme tutti costoro cercando di far sì che stilassero una lista di “oppositori moderati” da mettere al tavolo per trattare la transizione e la deposizione controllata di Assad.
    Naturalmente Erdogan, sauditi e americani hanno voluto escludere i loro 15 protetti dalla lista dei “terroristi” delegittimati a partecipare alla transizione verso la supposta democrazia: sono tutti gruppi che – ironizza Pepe – “rispetteranno le elezioni democratiche; gli altri gruppi religiosi; pronti a negoziare con chiunque; che rispetteranno il cessate-il-fuoco, e poi di disarmare e mai più impegnarsi nella jihad globale”.     
    Certo, come no.
    Escobar paventa che ad Antalya, i turchi otterranno dall’Occidente – sia sotto mandato NATO o del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – il permesso di mettere “scarponi al suolo” per invadere la futura zona-cuscinetto siriana di 10-11 mila soldati turchi, con la scusa di battere il solo “gruppo terrorista” che sarà rimasto sulla lista dopo i depennamenti di questo e di quello stato-protettore (ciascuno protettore dei “suoi” terroristi).

    Speriamo di no.
    Ma perché no, dopotutto? Laurent Fabius, il ministro degli esteri di Hollande, nel dicembre 2012 si rifiutò che fosse messa nella lista delle formazioni terroriste Al-Nusrah (ossia Al Qaeda in Siria) con la motivazione che “sul terreno, fanno un buon lavoro” (un bon boulot, uccidendo i soldati siriani e, en passant, cristiani, donne bambini…): non è lo stesso modo di pensare di Erdogan e dei sauditi? Non è forse l’identico frasario criminale inaugurato dai neocon e dalla loro “guerra al terrorismo globale” senza limiti né remore morali dopo l’11 settembre? Nell’agosto 2014, Le Monde – il più ufficioso dei media francesi – ha rivelato che Hollande aveva dato ordini ai servizi francesi di consegnare clandestinamente armi da guerra ai ribelli in Siria, contro le norme internazionali che mettevano l’embargo su simili consegne: non è l’identico comportamento criminale?
    La “guerra al terrorismo” ha prodotto 13 milioni di morti come minimo fra Irak, Afghanistan e Pakistan: crimini contro l’umanità che restano impuniti e a cui abbiamo preso parte anche noi, se non altro come contribuenti. Un minimo ritorno ai principi di umanità e del diritto richiederà che questa gente sia trascinata davanti a un tribunale internazionale che li giudichi per questi orrori,  un Norimberga vero.
    Per adesso Hollande dichiara “lo stato di guerra”: è in combutta con Erdogan? Ha consentito la strage a questo scopo?

    Per ora dobbiamo registrare la frase di Alain Chouet, che è l’ex capo dei servizi francesi di antiterrorismo, DGSE: questo preteso scontro di civiltà, questa guerra al terrorismo del governo francese , “è un’impostura che ne maschera un’altra, quella dell’alleanza militare tra i paesi occidentali e i padrini finanziari del jihadismo”.
    Intende le petromonarchie del golfo, sauditi in testa. Ma si può escludere la partecipazione americana? Non è l’occasione d’oro (e di sangue) per recuperare l’iniziativa in Siria, persa dopo l’intervento di Mosca? Pochi giorni prima della professionalissima strage di Parigi, il 29 ottobre, il capo della Cia John O. Brennan s’è incontrato col direttore attuale della Cia francese, il DGSE Bernard Bajolet, l’ex capo del MI5 John Sawers, un caporione israeliano de servizi di nome Yaacov Amidror, alla George Washington University, Center for Cyber and Homeland Security. Titolo dell’incontro, Panel on the Shared 21st Century International Mission , ossia missione condivisa per il 21mo secolo.
    In questo “panel”, il francese ha tenuto un discorso ai colleghi sul tema:  “Le Moyen-Orient d’avant ne reviendra pas”, ossia: Il Medio Oriente di prima non tornerà. In pratica, paesi come Siria e Irak resteranno smembrati secondo linee etnico-religiose:  il francese non ha fatto che ri-illustrare un’altra volta  il progetto che fu indicato già nell’82 dalla rivista ebraica Kivunim.
    Avranno parlato anche del terroristico mega-attentato prossimo venturo a Parigi?

    (…) In tanta bassezza ed orrore morale dei governi occidentali che si coinvolgono in questi sporchi giorchi con criminali e formazioni delinquenziali o jihadiste – brilla per nettezza il saluto del presidente Assad ai morti francesi: “Parigi prova adesso quel che i siriani provano da cinque anni”; E poi: “Ipocriti, chiamate ‘terroristi’ quelli che colpiscono voi, e ‘ribelli moderati’ quando colpiscono noi”. E infine il monito:
    “Il terrorismo non è una carta che giocate e poi vi mettete in tasca – è uno scorpione che vi morde”.

  18. SEGNALAZIONE: DIETRO LA SCENA CHI? O L’ATTORE E’ IN SCENA?

    Americani, israelianI o russi dietro la mattanza di Parigi? Non ci credo: ecco perché.
    Scritto da Aldo Giannuli

    Per cui, allo stato dei fatti temo che non ci sia alcuna particolare dietrologia da fare: la realtà, nella sostanza, è quella che appare: la strage l’hanno fatta gli jihadisti che ormai sono perfettamente in grado di portare a termine operazioni di questa complessità (e temo che sinora li abbiamo sottovalutati) ed i servizi di antiterrorismo occidentali hanno sbagliato tutto perché si muovono sulla base di presupposti totalmente errati. D’altra parte, se dopo 14 anni dall’11 settembre siano a questo punto, sono i fatti a dirlo.

    Aver a che fare con un nemico di questo tipo è cosa che, per una ragione o l’altra, si fa fatica ad accettare: siamo più pronti a pensare in termini di strategia della tensione o di interferenze straniere (ed americani ed israeliani sono sempre in testa alla classifica), non ci piace sentirci “Occidentali” perché rischia di farci somigliare a solenni imbecilli come Belpietro o Salvini o la Le Pen, eccetera. Ora poi, Battista ha deciso che bisogna chiedere scusa alla Fallaci (figuriamoci!). Disagi che sento anche io (potete immaginarlo). Ma occorre arrendersi alla realtà che dice che è in atto una guerra dell’islam radicale e jihadista contro l’Occidente e quindi contro noi tutti. Lo so che questo inferno è stato scatenato dalle scellerate guerre del golfo e dell’Afghanistan, lo so che è stata una scelta dei nostri governanti e che in molti siamo stati contro quelle guerre e che dicevamo “non in mio nome”. Ma questi sparano addosso alla gente comune in un teatro o in uno stadio, non fanno alcuna distinzione fra governanti e governati e qui tocca difendersi. Quando c’è una guerra non c’è la possibilità di una pace separata da trattare individualmente.

    Allora un nuovo intervento degli euro-americani in Medio Oriente contro l’Isis? Non mi pare la scelta politicamente più intelligente, anzi, messa così sono del tutto contrario. Ma di questo riparleremo.

    (DA http://www.aldogiannuli.it/retroscena-strage-parigi/)

  19. SEGNALAZIONE: NO, L’ATTORE PRINCIPALE E’ UNO SOLO: GLI USA

    L’arte della guerra

    La strategia del caos

    di Manlio Dinucci

    Bandiere a mezz’asta nei paesi Nato per «l’11 Settembre della Francia», mentre il presidente Obama annuncia ai media: «Vi forniremo accurate informazioni su chi è responsabile». Non c’è bisogno di aspettare, è già chiaro. L’ennesima strage di innocenti è stata provocata dalla serie di bombe a frammentazione geopolitica, fatte esplodere secondo una precisa strategia.

    Quella attuata da quando gli Usa, vinto il confronto con l’Urss, si sono autonominati «il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali», proponendosi di «impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione – l’Europa occidentale, l’Asia orientale, il territorio dell’ex Unione sovietica e l’Asia sud-occidentale – le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale».

    A tal fine gli Usa hanno riorientato dal 1991 la propria strategia e, accordandosi con le potenze europee, quella della Nato. Da allora sono stati frammentati o demoliti con la guerra (aperta e coperta), uno dopo l’altro, gli Stati ritenuti di ostacolo al piano di dominio globale – Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina e altri – mentre altri ancora (tra cui l’Iran) sono nel mirino.

    Queste guerre, che hanno mietuto milioni di vittime, hanno disgregato intere società, creando una enorme massa di disperati, la cui frustrazione e ribellione sfociano da un lato in reale resistenza, ma dall’altro vengono sfruttate dalla Cia e altri servizi segreti (compresi quelli francesi) per irretire combattenti in una «jihad» di fatto funzionale alla strategia Usa/Nato. Si è così formata una armata ombra, costituita da gruppi islamici (spesso concorrenti) impiegati per minare dall’interno lo Stato libico mentre la Nato lo attaccava, quindi per una analoga operazione in Siria e Iraq.

    Da questa è nato l’Isis, nel quale sono confluiti «foreign fighters» tra cui agenti di servizi segreti, che ha ricevuto miliardi di dollari e moderne armi dall’Arabia saudita e da altre monarchie arabe, alleate degli Usa e in particolare della Francia.

    Strategia non nuova: oltre 35 anni fa, per far cadere l’Urss nella «trappola afghana», furono reclutati tramite la Cia decine di migliaia di mujaidin da oltre 40 paesi. Tra questi il ricco saudita Osama bin Laden, giunto in Afghanistan con 4 mila uomini, lo stesso che dopo avrebbe fondato Al Qaeda divenendo «nemico numero uno» degli Usa.

    Washington non è l’apprendista stregone incapace di controllare le forze messe in moto. È il centro motore di una strategia che, demolendo interi Stati, provoca una caotica reazione a catena di divisioni e conflitti da utilizzare secondo l’antico metodo del «divide et impera».

    L’attacco terroristico di Parigi, eseguito da una manovalanza convinta di colpire l’odiato Occidente, è avvenuto con perfetto tempismo nel momento in cui la Russia, intervenendo militarmente, ha bloccato il piano Usa/Nato di demolire lo Stato siriano e ha annunciato contromisure militari alla crescente espansione della Nato ad Est.

    L’attacco terroristico, creando in Europa un clima da stato di assedio, «giustifica» un accelerato potenziamento militare dei paesi europei della Nato, compreso l’aumento della loro spesa militare richiesto dagli Usa, e apre la strada ad altre guerre sotto comando Usa. La Francia che finora aveva condotto «contro l’Isis in Siria solo attacchi sporadici», scrive il New York Times, ha effettuato domenica notte «come rappresaglia, il più aggressivo attacco aereo contro la città siriana di Raqqa, colpendo obiettivi Isis indicati dagli Stati uniti». Tra questi, specificano funzionari Usa, «alcune cliniche e un museo».

    (DA il manifesto, 17 novembre 2015)

  20. SEGNALAZIONE

    Siamo dentro la guerra
    di Etienne Balibar

    In una violenta reazione collettiva, la guerra precipita tutti i conti non saldati delle colonizzazioni e degli imperi: minoranze oppresse, frontiere tracciate arbitrariamente, risorse minerarie espropriate, zone di influenza oggetto di disputa, giganteschi contratti di fornitura di armamenti. La guerra cerca e trova all’occorrenza appoggi fra le popolazioni avverse.
    Il peggio, forse, è che essa riattiva «odi teologici» millenari: gli scismi dell’Islam, lo scontro fra i monoteismi e i loro succedanei laici.
    Nessuna guerra di religione, diciamolo chiaramente, ha le sue cause nella religione stessa: c’è sempre un «substrato» di oppressioni, conflitti di potere, strategie economiche. E ricchezze troppo grandi, e troppo grandi miserie. Ma quando il «codice» della religione (o della «controreligione») se ne appropria, la crudeltà può eccedere ogni limite, perché il nemico diventa anatema. Sono nati mostri di barbarie, che si rafforzano con la follia della loro stessa violenza – come Daesh con le decapitazioni, gli stupri delle donne ridotte in schiavitù, le distruzioni di tesori culturali dell’umanità.
    Ma proliferano ugualmente altre barbarie, apparentemente più «razionali», come la «guerra dei droni» del presidente Obama (premio Nobel per la pace) la quale, ormai è assodato, uccide nove civili per ogni terrorista eliminato.
    In questa guerra nomade, indefinita, polimorfa, dissimmetrica, le popolazioni delle «due sponde» del Mediterraneo diventano ostaggi.
    […]
    Che fare, dunque?
    Prima di tutto, e assolutamente, riflettere, resistere alla paura, alle generalizzazioni, alle pulsioni di vendetta. Naturalmente, prendere tutte le misure di protezione civile e militare, di intelligence e di sicurezza, necessarie per prevenire le azioni terroristiche o contrastarle, e se possibile anche giudicare e punire i loro autori e complici.
    Ma, ciò facendo, esigere dagli Stati «democratici» la vigilanza massima contro gli atti di odio nei confronti dei cittadini e dei residenti che, a causa della loro origine, religione o anche abitudini di vita, sono indicati come il «nemico interno» dagli autoproclamatisi patrioti.
    E poi: esigere dagli stessi Stati che, nel momento in cui rafforzano i propri dispositivi di sicurezza, rispettino i diritti individuali e collettivi che fondano la loro legittimità. Gli esempi del «Patriot Act» e di Guantanamo mostrano che non è scontato.
    Ma soprattutto: rimettere la pace al centro dell’agenda, anche se raggiungerla sembra così difficile. Dico la pace, non la «vittoria»: la pace duratura, giusta, fatta non di vigliaccheria e compromessi, o di controterrore, ma di coraggio e intransigenza.
    La pace per tutti coloro i quali vi hanno interesse, sulle due sponde di questo mare comune che ha visto nascere la nostra civiltà, ma anche i nostri conflitti nazionali, religiosi, coloniali, neocoloniali e postcoloniali.
    Non mi faccio illusioni circa le probabilità di realizzazione di quest’obiettivo. Ma non vedo in quale altro modo, al di là dello slancio morale che può ispirare, le iniziative politiche di resistenza alla catastrofe possano precisarsi e articolarsi.
    […]
    Occorre dunque che gli europei di cultura laica e cristiana sappiano quel che i musulmani pensano circa l’uso della jihad per legittimare avventure totalitarie e azioni terroristiche, e quali mezzi hanno per resistervi dall’interno. Allo stesso modo, i musulmani (e i non musulmani) del Sud del Mediterraneo devono sapere a che punto sono le nazioni del «Nord», un tempo dominanti, rispetto al razzismo, all’islamofobia, al neocolonialismo. E soprattutto, occorre che gli «occidentali» e gli «orientali» costruiscano insieme il linguaggio di un nuovo universalismo, assumendosi il rischio di parlare gli uni per gli altri. La chiusura delle frontiere, la loro imposizione a scapito del multiculturalismo delle società di tutta la regione, questa è già la guerra civile.
    Ma in questa prospettiva, l’Europa ha virtualmente una funzione insostituibile, che deve onorare malgrado tutti i sintomi della sua attuale decomposizione, o piuttosto per porvi rimedio, nell’urgenza.
    Ogni paese ha la capacità di trascinare tutti gli altri nell’impasse, ma tutti insieme i paesi potrebbero costruire vie d’uscita e costruire argini.
    Dopo la «crisi finanziaria» e la «crisi dei rifugiati», la guerra potrebbe uccidere l’Europa, a meno che l’Europa non dia segno di esistere, di fronte alla guerra.
    E’ questo continente che può lavorare alla rifondazione del diritto internazionale, vegliare affinché la sicurezza delle democrazie non sia pagata con la fine dello Stato di diritto, e cercare nella diversità delle comunità presenti sul proprio territorio la materia per una nuova forma di opinione pubblica.
    Esigere dai cittadini, cioè tutti noi, di essere all’altezza dei loro compiti, è chiedere l’impossibile? Forse; ma è anche affermare che abbiamo la responsabilità di far accadere quel che è ancora possibile, o che può tornare a esserlo.

    (Da http://ilmanifesto.info/siamo-dentro-la-guerra/)

  21. SEGNALAZIONE

    Il mito e gli attentati (le scuse a Oriana)
    di Giorgio Mascitelli

    Una delle reazioni, in fondo tra le più prevedibili, agli attentati di Parigi è stato il diffondersi prima nell’apparato mediatico ufficiale e di conseguenza sui social network di messaggi inneggianti a Oriana Fallaci e alla sua franca anche se politicamente scorretta chiaroveggenza in materia di Islam, che sarebbe oggi colpevolmente dimenticata. “Scusaci Oriana, avevi ragione” è il titolo di un intervento di Pierluigi Battista sul Corriere della sera del 16 novembre e in effetti corrisponde a un hashtag che mi è capitato di vedere alquanto spesso in rete in questi giorni. Del resto uno degli ingredienti del successo dei libri dell’illustre giornalista fiorentina è stata proprio la presentazione delle sue opere come prodotti di una mentalità controcorrente e invisa alle élite, insomma come ci ricorda Tzvetan Todorov ne La paura dei barbari molti lettori pensano che “la Fallaci abbia avuto il merito di proclamare ad alta voce ciò che ciascuno pensa tra sé, ma non osa dire, per paura di attirarsi i fulmini del politically correct ( anche se si tratta di un’idea sbagliata: libri come quello della Fallaci e di altri islamofobi sono regolarmente presenti nelle classifiche dei bastseller)”.

    Ciononostante vale la pena di riflettere sul richiamo alle scuse che saremmo tenuti a darle: questo invito presuppone che Oriana Fallaci sarebbe stata perseguitata per le sue idee impopolari ma veritiere o perlomeno pervicacemente ignorata. In tal caso la sua vicenda avrebbe qualcosa in comune, nella prima ipotesi, con quella di Gesù Cristo o nella seconda con quella di Cassandra.

    Il che è un elemento platealmente falso perché le idee e i valori di Oriana Fallaci lungi dall’essere state perseguitati o trascurati sono stati ampiamente sostenuti dal potere mediatico in quanto strettamente funzionali agli interessi delle élite politiche occidentali negli anni successivi all’attacco alle Torri Gemelle.

    (DA http://www.alfabeta2.it/2015/11/18/il-mito-e-gli-attentati-le-scuse-a-oriana/)

  22. 1 L’altra sera ascoltavo in tv Luttwack affermare che aver dato luogo ad Al Qaeda pur di far cadere l’Unione Sovietica è stata una mossa di gran lunga intelligente e vantaggiosa.
    2 Leggo nell’Epilogo di Soldati, di F. Mini, Einaudi 2008: “Di fatto, nessuno sta combattendo il terrorismo, ma stiamo tutti contribuendo soprattutto con l’indifferenza a realizzare un apparato di pressione militare e civile, palese e occulto, per gestire un mondo volutamente destabilizzato su vari piani e livelli. … Il nuovo obiettivo è la frantumazione di qualsiasi potere ‘incompatibile’ con gli interessi dei grandi. Lo squilibrio globale parte dalle aree di conflitto e tensioni endemiche, come i Balcani, il Caucaso, il Medioriente, l’Asia centrale e l’Africa, per diffondersi a macchia d’olio.”
    Sottolineo i termini: occulto, destabilizzato, frantumazione.
    Riporto queste affermazioni fatte da un esperto militare nel *2008*, e la tranquilla costatazione di Luttwack , per sottolineare come l’analisi del (futuro) presente fosse acquisita da tempo. Questo video di Dinucci insegue strategie decise da ventanni!
    Ho bisogno di analisi che anticipino. Che analizzino la subalternità italiana alla politica militare degli USA: ci sono o no differenze tra il nostro ministro degli esteri e quella della difesa?
    Se gli inglesi, alleati degli americani, escono dall’Europa, chi comanderà in Europa? i francesi? con la Le Pen e i russi? e in Italia, Salvini con i russi? e che faranno gli stati dell’Europa orientale?
    Scrive Gianfranco La Grassa http://www.conflittiestrategie.it/attenti-alle-trappole: “Il fine strategico delle forze che volessero battersi per far avanzare il multipolarismo dovrebbe essere l’asse Parigi-Berlino-Mosca. Quanta strada si dovrà compiere per questo! Abbiamo la Nato in Europa e la UE – nei suoi apparati sedicenti comunitari – in sostanza la coadiuva … Il rapporto con Mosca deve avvenire sulla base di tali presupposti che rafforzino alcuni decisivi paesi europei, ponendoli in condizione di non passare affatto dalla subordinazione agli Usa ad un’altra subordinazione, bensì ad una reale alleanza paritetica. … La lotta all’islamismo estremista dell’Isis, che deve andare di pari passo con lo sforzo per non essere invasi da milioni di emigranti da ‘quelle zone’ ha un senso se è anch’essa una mossa tattica – certo rilevante e che richiederà grande impegno e atteggiamenti assai drastici di autodifesa (implicante anche l’offesa) – in vista della suddetta finalità strategica: crescita del multipolarismo. Questo rappresenta la ‘bestia nera’ degli Stati Uniti, che lo combattono da almeno sei-sette anni tramite la cosiddetta ‘strategia del caos’, di fatto acceleratasi a partire dal 2011 con la sedicente ‘primavera araba’.”

    1. “Ho bisogno di analisi che anticipino. Che analizzino la subalternità italiana alla politica militare degli USA” (Fischer)

      Mi pare che Dinucci proprio di questa subalternità (non solo italiana ma europea) parli. Quanto ad “analisi che anticipino” mi pare che siamo messi maluccio dovunque ci giriamo. Dove stanno le «forze che [dovrebbero] battersi per far avanzare il multipolarismo», come sostiene G. La Grassa? La stessa ipotesi di un «asse Parigi-Berlino-Mosca» prima di precisarsi ( e ammesso che sia davvero auspicabile… io ho dei bei dubbi) ne avrà di strada da macinare. E poi la relazione tra «lotta all’islamismo estremista dell’Isis», che dovrebbe «andare di pari passo con lo sforzo per non essere invasi da milioni di emigranti», concretamente cosa comporterebbe? Proviamo a immaginarcelo: sparare sull’Isis e anche sui profughi?
      C’è un abisso tra ragionamenti geopolitici e ragionamenti sul piano della vita sociale di milioni di persone che è tremendo. E penso con amarezza al detto di Brecht: «Anders als die Kämpfe der Höne sine die Kämpfe der Tiefe! (Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo», che ho citato all’inizio della scaletta «Quale poesia oggi?» (Preciso: citazione – e spero non profetica – è anche il “Canto sospeso” di Luigi Nono, eh! E poi chiedersi “quale poesia” è come dire “quale politica” o “quale speranza”… ).

      1. Le lotte sulle cime programmano e realizzano, le lotte sul fondo sono ribellioni, resistenze, opposizioni – e devono comunque capire bene a cosa, e comunque identificare un futuro.
        Politica e speranza, appunto, per non subire soltanto, soffrendo e lamentandomi. Meglio un futuro-progetto che la passivita’ di un eterno presente. Capire dove si sta andando, chi guida, chi va in altre direzioni. Oppure la disperazione catastrofista di Bifo?

  23. SEGNALAZIONE

    IL DEMONIO IL SUICIDIO LA GUERRA
    di Franco Berardi

    Stralcio:
    “Il colonialismo, lo sfruttamento, le guerre. E adesso tutto questo ci ritorna indietro.” ha detto un uomo di mezza età intervistato da una televisione italiana. Era un cittadino di Parigi che stava cercando i suoi due figli davanti al Bataclan nella notte che rischia di cambiare la vita di tutti.
    Tra i fiori che i passanti hanno lasciato davanti alla discoteca c’era un biglietto con su scritto in stampatello: “Your wars, our dead”. Una frase che abbiamo ripetuto mille volte durante le immense manifestazioni pacifiste che nei primi anni zerozero cercavano di fermare la guerra che l’Occidente stava preparando. Non si fermarono, bombardarono Baghdad coi risultati che adesso vediamo.
    Stasera ho visto gli studenti della Sorbona cantare la Marsigliese insieme a François Hollande e Manuel Valls: c’erano dei ragazzi molto giovani, uno aveva un cappello di foggia un po’ desueta, uno era paffutello, e aveva lo sguardo gentile e tutti cantavano insieme: “Aux armes, citoyens, formez vos bataillons, Marchons, marchons…”
    E adesso? Dove marciamo adesso? Hollande dichiara lo stato d’urgenza e trasforma la Francia in uno stato di polizia per portare guerra al regno delle tenebre, esattamente come fece l’America di Bush quindici anni fa. La guerra di Bush creò le condizioni da cui è nato Daesh: grazie alla guerra di Bush il regno delle tenebre si è esteso e potenziato enormemente. La guerra è divenuta eterna come Bush promise fin da principio.
    La guerra di Hollande provocherà un disastro anche maggiore: il Presidente francese ricatta l’Unione Europea, chiamandola nella fornace di una guerra contro il regno delle tenebre in cui ogni luce è destinata a spegnersi, e in ogni città europea ci sono pattuglie di uomini che due secoli di colonialismo di sfruttamento e di umiliazione ha predisposto alla vendetta. Ora la vendetta è matura: Hollande gliela fornisce su un piatto d’argento. Ogni città europea sprofonderà nella paura. E quando la paura cresce i fascisti si rafforzano. E per contenere i fascisti i governi si fascistizzano.
    L’Unione europea, che l’austerità ha trasformato in una macchina per l’impoverimento della società, ora tenterà di sopravvivere blindando le frontiere esterne e quelle interne. Austerità e stato di polizia, ecco il futuro dell’Unione europea.
    Ogni persona ragionevole sa che la guerra non risolve i problemi: li peggiora, li moltiplica, li trasforma in tragedie. Ma quando ti sparano addosso il sabato sera che puoi fare?
    Quel grumo di orrore che si chiama Daesh va estirpato, e se qualcuno può farlo lo faccia.
    Non credo che lo faranno le popolazioni islamiche, perché una minoranza laica cosmopolita e colta ci ha provato nel 2011, ma è stata schiacciata, con la complicità dei sauditi, degli americani e dell’Unione europea. I lavoratori e gli studenti che cacciarono Moubarak, come quelli che occuparono Gezi Park sono stati sconfitti con la complicità dell’Occidente, e la primavera araba è stata cancellata in alcuni paesi dai militari, altrove dagli islamisti, altrove da islamisti militari.
    Dunque deve farlo la Francia? Deve farlo l’Unione europea? Lo farà, lo sta facendo, ed è la nuova forma del suicidio che sta inghiottendo il mondo.
    La guerra è in corso, e non c’è modo di evitarla.
    Non ha potuto evitarla Valeria Solesin, veneziana ricercatrice e volontaria di Emergency. E’ stata uccisa da un gruppo di idioti che non avevano altra speranza se non quella di uccidere per essere uccisi. Né possono evitare la guerra centinaia di migliaia di siriani, afghani, egiziani che camminano nel fango e nella pioggia per fuggire i fanatici che hanno occupato le loro città. Marciano sotto la pioggia (loro davvero, non come gli studenti della Sorbona che cantano e sono marciati). Loro davvero camminano nel fango coi bagagli i bambini e le mogli, fino a quando si trovano di fronte a dei muri di filo spinato e cani poliziotto e militari armati. I governi e i popoli europei temono che i fuggiaschi portino il terrore, mentre stanno fuggendo il terrore. Ma ora la cronaca ci informa del fatto che uno dei massacratori del Bataclan veniva dalla Siria, era passato dall’isola di Leros confondendosi in mezzo alle sue stesse vittime, mescolandosi alle famiglie di migranti che stavano sfuggendo ai bastardi come lui.
    I governi europei hanno fomentato le guerre da cui la gente fugge, e ora chiudono la porta davanti alle vittime del loro avventurismo e trasformano l’Europa in uno stato di polizia e si presentano come i protettori della sicurezza. Il cerchio è chiuso?
    Un esercito di assassini fanatici è dunque riuscito a trascinare l’intero bacino mediterraneo in un abisso? Al momento pare di sì.
    Ma chi sono costoro?
    Sono uomini di venti anni che quando ne avevano dieci videro in televisione le fotografie di Abou Ghraib e promisero a se stessi di ammazzare almeno un occidentale. Sono disoccupati delle banlieux di Parigi e Londra, del Cairo e di Baghdad, e non hanno che un modo per guadagnarsi un salario: arruolarsi nell’esercito del Califfo che gli dà 450 dollari al mese. Milioni di giovani pronti ad arruolarsi, e il nostro futuro è scritto nel loro passato: duecento anni di colonialismo e sfruttamento ora ci stanno presentando il conto.
    Eppure dobbiamo continuare a ragionare: anche nel momento più drammatico, anche quando non c’è più una via d’uscita – capire è la sola via d’uscita. Se la violenza che stiamo subendo ci toglie la capacità di pensare e di capire allora si è persa l’ultima battaglia.
    Quel signore che stava cercando i suoi figli nella notte parigina ha mantenuto la lucidità e ha detto: questa catastrofe è stata preparata da duecento anni di colonialismo, di impoverimento e di umiliazione, ed è stata infine perfezionata dalle guerre di Cheney di Bush e di Blair, e ora esplode in ogni spazio della vita quotidiana.
    Alla fine di questa tragedia inconcepibile le cose hanno una loro banale e marxistissima razionalità, la storia del capitalismo si sta evolvendo verso la sua forma perfetta: la necro-corporation. La forma perfetta del capitalismo: la produzione di morte senza più mediazioni.
    Mentre le aziende bio-tecno promettono di offrirci presto modifiche genetiche capaci di farci vivere duecento anni, la morte è al momento l’impresa più lucrosa.
    La morte è l’impresa più lucrosa nel Messico di Chapo Guzman, un narco-imprenditore che grazie a sequestri torture e massacri è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo al punto che la rivista Fortune lo ha messo nella sua lista annuale attribuendo la sua fortuna all’industria dei trasporti (come no). E’ l’impresa più lucrosa nel Califfato di Al Baghdadi dove puoi guadagnare un salario se combatti, e se ti fai esplodere in un luogo affollato la tua famiglia avrà di che sopravvivere. E’ l’impresa più lucrosa su scala globale, e il vertice sul clima di Parigi non fermerà le emissioni che stanno soffocandoci perché adesso la guerra avrà la precedenza.
    La storia del capitalismo si conclude nella necro-economia: accumulazione a mezzo di morte. Il suicidio dell’umanità.
    C’è un futuro oltre il suicidio? Per il momento non sembra, ma possiamo stare certi che non c’è modo di uscire dall’inferno senza uscire dal capitalismo.
    (da http://comune-info.net/2015/11/il-demonio-il-suicidio-e-la-guerra/)

    Nota.
    É apocalittico, sì, e usa in abbondanza metafore (regno delle tenebre, fornace di una guerra, ecc.) al posto di analisi più empiriche e documentate; ma, siccome invita a ragionare, ragioniamo anche su quel che egli scrive. Avrei un po’ di dubbi sul concetto di *necro-economia* e più che il *suicidio dell’umanità* vedo la distruzione di certi pezzi di “umanità” e il rafforzamento di altri. [E.A.]

    1. Caro Ennio,
      sono così confusa…sarà la vecchiaia che avanza . E’ una confusione dolorosa e se chiudo gli occhi mi sembra di vedere piaghe che avanzano senza rimedio.
      Non penso di essere la sola a provare queste sensazioni, ma nonostante tutto cerco di capire il mio scoramento e quello di chi mi sta vicino.
      Denaro, potere , guerre , terrore, religioni che portano solo orrori.
      Le bombe che ormai scoppiano senza freno mi fanno pensare che ogni volta che un potente decide di bombardare , abbia un vero e proprio orgasmo.
      Non posso continuare a sopportare tutto ciò. Voglio trovare la maniera per poter giustificare almeno qualcosa di ciò che ho descritto, ci penso continuamente senza trovare risposta. Cerco di vivere come ho sempre fatto senza perdere il coraggio e la gioia che mi dà la vita attraverso la natura e i grandi valori che essa mi trasmette….ma fino a quando anch’essa potrà resistere? Aspettare ancora una risposta …la mia risposta e poi …?
      Arriva la sera e ancora io e il mio compagno ci auguriamo una buona notte.
      Forse è solo questo che ancora ci fa sperare in un giorno nuovo.
      Ciao.

    2. La guerra di Hollande puo’ essere come la guerra di Bush solo se misurata con l’allargamento del regno delle tenebre e la guerra eterna, che sono concetti savonaroliani piuttosto che storico-politici. Continuo a voler capire la differenza tra Gentiloni e la Pinotti, prima del suicidio dell’umanita’.

  24. @ Fischer

    “Capire dove si sta andando, chi guida, chi va in altre direzioni. Oppure la disperazione catastrofista di Bifo?”

    Ecco dalla intensa discussione che sta avvenendo su “Le parole e le cose” la posizione di uno che ha capito “dove si sta andando” (Eros Barone, col quale ho spesso dialogato), vicinissima a quella di G. La Grassa:

    “Oggi l’Europa si trova a fare i conti con le conseguenze delle sue scelte di politica estera e in Italia il partito unico bicefalo del centro-sinistra e del centro-destra porta per intero le responsabilità di questo disastro, perché, se è la destra che ha fatto la guerra alla Libia, è stato con il plauso di un certo Bersani che salutò le prime bombe cadute sul paese arabo con la celebre frase: “Alla buon’ora!”. In conclusione, il terrorismo islamico reazionario è una derivata dell’avventurismo con cui Washington persegue il suo progetto di un altro secolo americano. Di fronte ad una politica dissennata che semina vento e raccoglie tempesta, temo perciò che non vi sia nessuno spazio per la resipiscenza e che la parola d’ordine delle forze che conducono questo gioco sanguinoso sia quella stessa di Enrico IV: “Parigi val bene una messa”. Infine, qualcuno potrebbe domandare quale sia il ruolo della UE. La risposta è che la UE non ha alcun ruolo, essendo un informe aggregato sub-imperialista, l’equivalente contemporaneo di quel mostro gotico dalle mille membra che fu l’Impero dopo la pace di Westfalia del 1648. La politica e la guerra, che ne è la continuazione con altri mezzi, sono infatti precluse all’informe aggregato. Ma se la UE non ha alcun ruolo, questo significa che gli Stati nazionali, che gli sprovveduti hanno spacciato come defunti, possono (e devono) tornare ad essere i veri attori della politica internazionale.”
    (http://www.leparoleelecose.it/?p=21088#comment-316876).

    Discutiamola (come ho proposto di fare per quella di Bifo), ma sapendo che – questa è la mia impressione – si passa dalla padella alla brace (Salvini, Le Pen, ecc.). Non c’è un ritorno alla nazione sotto egemonia di forze “nostre”. Proprio perché non esiste quel “noi” che ci servirebbe. Siamo nella posizione di Madre Courage non di chi ha un partito capace di inserirsi nei grandi giochi strategici e aprire varchi al futuro.
    Comunque ragioniamo e non ci disperiamo. Una generica speranza *non ragionata* non ci serve.

  25. SEGNALAZIONE

    Quale fascinazione attrae uomini e donne che vivono in Occidente ad arruolarsi nell’esercito dello Stato Islamico?

    «La seduzione è fortissima. C’è uno Stato da costruire, una “terra promessa” da raggiungere. Perché attaccare la metropolitana di Londra quando si può andare a combattere a Kobane? Il principale obiettivo dello Stato Islamico è rappresentare per i musulmani sunniti ciò che Israele è per gli ebrei: uno Stato nella loro antica terra, rioccupata in tempi moderni; un potente Stato confessionale che li protegga ovunque essi si trovino. Anche se non ci piace, questo noi dobbiamo cercare di capirlo. Inoltre l’intervento armato americano ha dato a questa seduzione una spinta propulsiva».

    (Da un’intervista del 18 novembre 2014 a Loretta Napoleoni all’uscita in Italia del suo “Isis. Lo Stato del terrore “(Feltrinelli, Milano 2014) : http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/califfato-holding-del-terrore.aspx)

  26. SEGNALAZIONE

    La sfida che ci lancia lo Stato Islamico

    Non conviene prendersela con uno Stato pre-esistente, difeso dalla comunità internazionale, ma concentrarsi su territori dalla scarsa coesione, con forti scontenti sociali e deboli relazioni col governo centrale. Nel mondo globalizzato tali zone sono numerose, anche nell’universo musulmano. Ora, con l’Is (Stato Islamico), tale Stato è stato creato: un pezzo di Siria e di Iraq, facendo saltare le frontiere tracciate dagli europei dopo la Prima guerra mondiale. Così, mentre Bin Laden è morto e i suoi successori braccati si nascondono, lo Stato islamico rinasce dalle ceneri dell’antico impero Ottomano, in Mesopotamia. Infatti al Baghdadi, leader dell’Is, si è autoproclamato califfo, uno dei titoli che aveva anche il Sultano di Istanbul.

    È una mossa importante perché nell’immaginario musulmano rimanda ai primi secoli dell’Islam. Il “nuovo” Stato non è riconosciuto da nessuno ma i suoi sostenitori puntano alla legittimazione delle masse arabo-musulmane – sunniti stanchi dell’oppressione sciita – cui un’assidua propaganda fa luccicare il mito dell’epoca d’oro. Anche dopo la Grande guerra, con la fine degli ottomani, gli arabi avevano chiesto (senza ottenerlo) un regno. Si preferì il divide et impera creando Stati nazionali nuovi di zecca, come l’Iraq e la Siria.

    Il mito dell’epoca d’oro è duro a morire nell’Islam. Da quando ha perso il potere temporale – in favore di turchi prima ed europei poi – il mondo arabo-musulmano non ha cessato di vagheggiare una forma di nostalgia per un passato remoto, quando il “vero” islam, egualitario ed incorrotto, regnava senza dissensi da Baghdad o Damasco. Si tratta di un mito senza basi reali: anche nei primi secoli ci furono lotte intestine, divisioni, corruzioni. Anzi fu in quell’epoca che si compì l’evento più grave per l’islam, la Fitna, il grande scisma tra sunniti e sciiti. Qui gioca anche una certa gelosia sunnita nei confronti degli sciiti che uno Stato ce l’hanno da sempre: l’Iran.

    Gli Stati arabo-sunniti invece sono deboli, disegnati da estranei, divisi fra loro, in mano ad elite corrotte e prone allo straniero, incapaci di difendersi (vedi le sconfitte con Israele) e soprattutto insensibili ai bisogni della popolazione. Il nazionalismo arabo filo-occidentale non ha funzionato; meno ancora il socialismo panarabo proposto dal Cremlino ai tempi dell’Urss.

    Cosa resta allora se non un califfato? L’Is scommette sul sentimento di umiliazione dei sunniti arabi e prospetta loro una soluzione etnico-religiosa. Così può giocare su due registri: usare un doppio discorso arabista e islamista assieme, all’occorrenza. Ci aveva provato anche Saddam verso la fine del suo dominio, quando da iperlaico aveva azzardato una rocambolesca conversione all’islam. Era troppo tardi, ma i successivi errori compiuti in Iraq e Siria hanno lasciato all’Is tutto lo spazio necessario. Certo un punto debole di al Baghdadi è proprio l’organizzazione dello Stato stesso: i suoi non paiono in grado di assicurare giustizia, lavoro e sicurezza ai “cittadini”.

    L’amministrazione di uno Stato non si improvvisa e non basta stabilire tribunali religiosi sul territorio per soddisfare i bisogni di una popolazione che era tra le più laiche ed istruite del Medio Oriente, prima del decennio di embarghi e guerre. Ma il vero problema è il messaggio che l’idea stessa di “Stato islamico” veicola. È la rappresentazione che l’Is lancia a popolazioni stremate da guerre ripetute, umiliazioni, sconfitte e repressioni. A noi ciò sembra assurdo. A giusto titolo proviamo raccapriccio e orrore davanti alle immagini delle decapitazioni e delle altre assurde violenze. Ricordiamoci però che abbiamo avuto la stessa reazione davanti agli orrori delle guerre in ex Jugoslavia. Teniamo inoltre a mente che purtroppo tali pratiche oscene funzionano anche come appello e reclutamento di giovani, prima di tutto arabi e poi venuti da Occidente.

    I messaggi dello Stato Islamico sono di due tipi: terrificanti verso di noi (Occidente e resto del mondo) per incutere paura e tenere a distanza; seducenti verso gli arabo-sunniti: ‘venite tutti qui, costruiamo il nostro Stato e saremo finalmente liberi!’, proclama il califfo. È a questo messaggio che dobbiamo rivolgere tutta la nostra attenzione; ad esso vanno trovate risposte convincenti. La storia è punteggiata da miti che rivivono artificialmente: si pensi alle nostalgie nazionaliste in Europa, ai secessionismi o alle guerre balcaniche combattute in nome di un passato remoto. C’è un tempo che non passa, una memoria malata davanti ad un presente troppo incerto, frustrante e insoddisfacente. Guardare indietro sembra un rifugio sicuro. D’altronde in questo nostro tempo fiorisce il vintage e il futuro appare come una minaccia. Spesso le dittature iniziano così, ne sappiamo qualcosa in Europa. E cominciano così anche le guerre: quelle contro un nemico “immaginario” e immaginato, costruito a tavolino.

    (Da 29/12/2014
    Non basteranno armi e denaro contro al Baghdadi: dobbiamo essere in grado di proporre al mondo sunnita una narrazione alternativa e più convincente.
    Le maschere del califfo
    di Mario Giro
    http://www.limesonline.com/la-sfida-che-ci-lancia-lo-stato-islamico/67586?refresh_ce)

    Nota.
    Anche a proposito di mito e di *ritorni alla nazione* ( a un ‘noi’ nazionale)

    1. Beh, leggendo attentamente ciò che ha proposto Ennio, credo che l’Europa dovrebbe svegliarsi unirsi e dare esempi di democrazia non prevedendo guerre. altrimenti , come dice bene Cristiana, siamo al suicidio dell’umanità-
      Sarò retorica: l’unione fa la forza, ma mi sembra molto, troppo tardi.
      I popoli sono delusi, arrabbiati e sempre più poveri , dove e come troveranno questa forza? Quali decisioni potrà prendere la gente lasciata sola con la povertà e il terrore? Sacrifici in nome dell’ideale? Ideale, una parola che ha perso quasi tutta la sua grande importanza. Dovremo certo ritornare a cambiare le nostre abitudini ma mi sembra che sia come arrampicarsi su una salita molto ripida sulla quale hanno cosparso , volontariamente, sostanze scivolose. Potremmo tentare di cercare altre strade, Dove ? E con chi? Leviamoci le maschere!!!!

      1. NON LEGGETE QUESTO COMMENTO: E’ GRAVEMENTE COMPLOTTISTA!

        Metto in collegamento questi fatti:
        1 referendum in gran Bretagna, massimo alleato degli USA, per uscire dalla UE
        2 necessità per gli States di trovare un nuovo referente in Europa
        3 attacco commerciale degli USA alla Germania, Volkswagen ecc.
        4 accordi silenziosi tra USA e Russia per fare il lavoro sporco in Siria
        5 bombardamenti francesi in Siria

        Certo: le costellazioni celesti sono una nostra proiezione di forme, tra stelle e galassie lontanissime tra loro. Di rincalzo alla mia visione paranoica questo link: http://www.maurizioblondet.it/e-strategia-della-tensione-lo-dimostra-la-cronologia-2/
        Oggi tocca così, la Francia guida, la Germania e i suoi alleati subalterni est-europei anti-russi, aspetteranno un po’. La divisione internazionale del lavoro (bellico) richiede che tocchi alla Russia eliminare l’infezione islamica negli stati dell’Asia confinanti a sud. Domani si vedrà.

  27. La dissennata guerra di Hollande non è come la dissennata guerra di Bush. L’americano doveva ubbidire alle lobbies dei fabbricanti d’armi che, invece di una vasta ed energica azione internazionale di intelligence e di polizia che avrebbe potuto facilmente sgominare Al Qaeda, avevano fortissimi interessi economici a che le azioni belliche avessero corso. Saddam fu il pretesto che sappiamo. E le terribili, nefaste conseguenze di quella guerra le stiamo ancora pagando. Hollande invece ubbidisce solo alla sua paura e alla sua incapacità. Certo, oggi come allora, la guerra è deleteria e aggrava i problemi. Ma sono tragedie diverse. Intelligence e polizia oggi non bastano più. Occorre invece mettere finalmente in campo vaste, molteplici iniziative di lungo respiro e di grande portata che sappiano riscattare l’Occidente della sua colonizzazione e del secolare sfruttamento perpetrato. A questo chiama oggi la storia. È ora che l’Occidente si svegli. Gli uomini di cultura facciano la loro parte. Odio e paura davvero non servono.

  28. …avremmo bisogno, ma soprattutto avremmo dovuto, mettere in campo “molteplici iniziative di lungo respiro e di grande portata che sappiano riscattare l’Occidente…”
    (Paolo Ottaviani). Penso che sia vero e abbiamo perso la corsa almeno due volte: ovviamente quando l’Occidente per due secoli si è lanciato in politiche e guerre di colonialismo e di sfruttamento verso le popolazioni dei territori nordafricani e del medio oriente, che ora ci presentano il conto, ma soprattutto in questi ultimi cinquant’anni, ancor prima delle ultime ondate migratorie, quando abbiamo “accolto” molto male la presenza di immigrati arabi nei nostri quartieri e città: prima come invisibili emarginati, poi, dopo l’11 Settembre, come temibili potenziali terroristi…Nessuna politica di vera accoglienza. A Saint Denis, piccolo centro a nord di Parigi, con forte presenza di stranieri, criminalità e disoccupaione, dove si nascondevano gli attentatori fuggiaschi, sembra che nessuno voglia fornire informazioni e collaborare con la polizia. Temo che si possano estremizzare i due fronti della paura e dell’odio proprio qui nelle nostre vie: una guerra di sguardi, di gesti sbagliati…ne sono già stata testimone

    1. Annamaria cara, te lo dico con molto affetto, consapevole che questo mio intervento/invito potevo svolgerlo in spazio privato (leggi via mail). Scelgo questo spazio pubblico perché tu sei una rappresentante archetipo di milioni di cosiddetti “democratici”( …di sinistra?), e sei in buona fede sicuramente rispetto a coloro, che a capo di questo fiume o corrente, hanno manipolato e stravolto ogni capacità cerebrale.

      Il tuo discorso sull’ “omertà” di certi ambienti, per giunta con l’aggravante , cattolica o meno, boldriniana o meno, di una nostra generica mancanza di accoglienza, rende doveroso un confronto, tanto più laddove una parte dellla tua formazione (cerebrale? culturale? antropologica?….) dichiarava mesi , mesi fa, alcune ragioni che fanno a pugni con quanto hai scritto ieri, in questo tuo commento, che erano nel libro sulle nostre radici nel mondo “arabo” di Buttafuoco.

      Quanto esponi in questo tuo commento fa il gioco di coloro che per loro propagande troglodite, meritano ben altri argomenti che sono nella tua testa , altrimenti la coppia Boldrini/Salvini sarà vittoriosa in eterno.

      Le fandonie, le panzane, le truffe che ti /ci stanno raccondando sull’omertà di certi spazi musulmani, quartiere di saint denis incluso, meritano attenzione, compresa la tua, per ricostruire il puzzle storico, pluridecennale, se non secolare, di certe propagande. Come non è accettabile il negazionismo di uno sterminio, non devono essere accettate le premesse e le azioni di un altro e di un altro ancora e ancora…

      ti lascio alla lettura di
      https://theintercept.com/2015/11/18/terrorists-were-already-known-to-authorities/

      ” quasi tutti i protagonisti degli ultimi attentati di cui abbiamo notizia, sono persone ampiamente conosciute dai servizi di intelligence, spesso a causa di denunce partite proprio da esponenti delle comunità islamiche di riferimento (a smentire chi parla di ambienti musulmani, in termini generali, caratterizzati dall’omertà).”

      c’è un altro post, in cui Ennio invita a sviluppare su diversi lati o punti di osservazione, cosa significa fare poesia oggi…ora,io non dico che ognuno dei vari Trilussa contemporanei ( vedi Francesco di Stefano) debban scoperchiare gli altarini del palcoscenico horror pianeta, né che debbano muoversi come dei Brecht o dei Günter Grass , però insomma ce ne sarebbe proprio tanto tanto bisogno, vista la fossa di sciacalli , cavallette e alligatori in cui è finita la vita politica dei telesudditi (compresi quelli che si credono più evoluti, o democratici di altri). Credo anche che osservare poeticamente questa fossa abissale da un genere poetico artistico, possa dare nuova linfa e nutrimento allo stesso genere quando parla di un fiore , di una memoria, di una rabbia o di un amore, visto che questa corrente, dello stesso genere artistico, a sua volta non è messa molto bene, o comunque risentedella stess decadenza di periodo.

      ciao Annamaria

  29. Cara Ro, sì, ricordo la lettura di un libro interessante di Buttafuoco di cui riferii qualche mese fa e mi era molto piaciuto per quel documentare le origini comuni delle religioni monoteiste: cristianesimo, islamismo ed ebraismo proprio in quell’area medio orientale oggi teatro di guerre sanguinose; guerre come conseguenza anche della suddivisione impropria del territorio dopo la prima guerra mondiale ad opera di francesi e inglesi, che non tennero in nessun conto la storia della popolazione… Proprio tra Mesopotania, Siria e Palestina ha avuto origine la culla della nostra comune civiltà, senza distinzione tra popoli civili e barbari, come ora dichiara Holland …Ragion per cui, credimi, ero ben lontana dall’attribuire un compostamento di omertà al mondo mussulmano…Parlando di Saint Denis avrei potuto riferirmi ad un quartiere del Bronx o di Napoli, ma anche in questo caso senza pretese di discriminazione, semplicemente constatando che là dove la popolazione a lungo vive una condizione di miseria e di emarginazione tende a non avere più fiducia nelle istituzioni, a entrare in una sorta di mondo a parte …
    Scusami, non sono una storica, sicuramente ho scritto anche delle inesattezze. Ciao Ro

    1. Sembravano e sembrano chiare e ragionevoli anche a me le pacate osservazioni di Annamaria Locatelli, ancor più se messe a confronto con quelle di chi non fa differenza alcuna tra Boldrini (Arrigo o Laura?) e Salvini (Tommaso o Matteo?). Ma siamo proprio così certi che “la culla della nostra comune civiltà” stia nelle terre che hanno generato le religioni monoteiste e non piuttosto nella razionalità classica dei greci che proprio contro gli eserciti e i despoti provenienti da quelle stesse zone geografiche combatterono e vinsero?

  30. ciao Annamaria, ti ringrazio per primo di questo tua risposta , anche nel suo umile tono. Non prendere questo mio secondo intervento , se puoi, come un’obiezione di incompletezza sostanziale del tuo commento, poichè ti ripeto che siamo di fronte a un modello o matrice del semplice ragionare in base al quale non hanno ingabbiato solo te o pochi simili, ma tanti, e liquidamente o trasversalmente appartenenti a apparenti sezioni “politiche” opposte (anche per target di voto e/o di non voto).

    Quanto ti dicevo nel mio primo, non prevedeva cultura storica, né ufficiale ( dei vincitori) nè diversa ( dei perdenti?), ma semplice e banale aritmetica, diciamo logica.

    Ti opponevo, non tanto razzismo e autorazzismo di qualsiasi luogo del pianeta ridotto a modello di profitto più utile per i vari potenti (imperiali o subappalpatori locali), bensì la scala o la filiera di altre responsabilità.

    Ti opponevo che di fronte anche a tutte le letture proposte in questo post, che sono peraltro una goccia, rispetto all’oceano da cui attingere, occorreva ricollocare le priorità per un sguardo più a fuoco possibile sugli aspetti cruciali, da cui ti/ci distolgono per dedicarsi ad altri. La responsabilità della famosa “intelligence”, o altrimenti detta agenzie dei vari servizi segreti, è di gran lunga principale nella resocontazione di questi “eventi”, rispetto alle conseguenze delle nostre guerre sante, di Algeria o di Libia o di Siria etc con tanta immigrazione ridotta alle condizioni da te descritte, e comoda comoda tanto a Boldrini ( o qualsiasi altro Hollande) quanto a Salvini (o qualsiasi altra Le Pen) per le loro rispettive nauseabonde propagande, ma soprattutto di grande rilevanza per i guardiani del caos e del suo ordine. La responsabilità dei Servizi è di gran lunga principale -checchè ora te li mostrino in lungo e largo per la mitica europa, tutti impegnati e sguinzagliati ( cani a seguito compresi, eroi morti in guerra, cordogli inclusi, degli animalisti, da Brambillona, i duduisti fino agli ecologisti)-, alla millantata omertà di questa o quella periferia musulmana , ingrediente mediatico necessario alla recita di copertura; e che quandanche fosse tale sarebbe magari giustificabile, visto che se dici come stanno le cose , svelando certe ben più gravi complicità dei servizi ( nelle sue costanti operazioni di sfruttamento delle manovalanze criminali, da certe bande fino ad altre, da certi terrorismi fino ad altri) , di solito non fai una bella fine, te lo assicuro.

    Sai Annamaria, leggendo quel tuo commento di ieri, e quello di oggi, nonche altri di altri sparsi in questo post, mi viene il dubbio che serva ben poco proporre letture;se anche quella piccola goccia scivolata in questo spazio, fosse stata “accolta” nel fare in continuazione movimento della propria attività cerebrale, non saremmo di fronte alla strage principale di questi giorni , mesi , anni, decenni in cui i nostri guardiani hanno vinto la scommessa principale, far fuori il cervello ( sia destro che sinistro) del suddito senza che nemmeno potesse accorgesene, senza più bisogno di una camera di tortura o a gas.

  31. …sicuramente nella nostra civiltà è presente la razionalità classica dei greci e il loro messaggio ma è anche, credo, il risultato di un crogiuolo di civiltà, che comprende l’influenza del mondo arabo medio orientale ed africano, viste le vestigia che hanno lasciato sulle nostre sponde del Mediterraneo. La religione è un aspetto importante della cultura. Il libro di Buttafuoco in cui si illustano molto bene tali influenze e “contaminazioni” si intitola “Il feroce saracino” ed. Mompiani

    1. @ Annamaria Locatelli
      Grazie, sinceramente, dell’informazione bibliografica. Il libro di Buttafuoco, Edizioni Bompiani, l’ho già letto.

  32. SEGNALAZIONE

    Siria: Un banchetto con tanti invitati
    di Fulvio Scaglione
    Vicedirettore di Famiglia Cristiana

    Stralcio:

    non solo Israele ma molti Stati “scommettono sull’Isis”, che ha fatto (anche a loro favore) il lavoro sporco di mutilare il regime di Assad. La vera domanda ora è: perché Israele, turchia, giordania, Arabia Saudita e Usa, dopo decenni di pace armata ma pur sempre pace con Assad, pensano che sarà più facile convivere con l’Isis? Per come si sono messe le cose, è chiaro ed evidente infatti che, eliminato Assad (o ridotto il suo controllo a una piccola fetta della vecchia Siria, appoggiata e sostenuta da Iran e Russia), a dominare sul resto non saranno le “opposizioni moderate”, che contano come il due di picche quando la briscola è quadri, ma le dirigenze espresse dalle formazioni islamiste. Con ovvia prevalenza di quello che conosciamo come Isis. Possibile che avere a che fare con Al Baghdadi sia meglio che tenere a bada Assad? Possibile che sia questo l’interesse del Medio Oriente?

    La risposta è, ovviamente, no. A meno che qualcuno già sappia che, una volta fatto il proprio lavoro, l’Isis scomparirà rapidamente com’è nato. Lasciando il posto a una qualche testa di legno scelta dalle potenze per fare il proconsole in loro vece. Vedremo, vedremo.

    (Da http://www.famigliacristiana.it/blogpost/golan.aspx)

  33. COMMENTO ALLA DISCUSSIONE IN CORSO SU “LE PAROLE E LE COSE” SOTTO IL POST “L’EUROPA DOPO IL 13 NOVEMBRE” DI MAURO PIRAS
    (http://www.leparoleelecose.it/?p=21088)

    Ennio Abate
    20 novembre 2015 a 22:48

    Vorrei esprimere (sia pur in ritardo) la mia insoddisfazione nei confronti delle due principali posizioni emerse finora dal dibattito (quella di Piras da una parte; e di Barone, Buffagni e Cucinotta dall’altra), sperando che non sia solo personale e incoraggi anche altri ad approfondire le questioni che porrò.
    Parto dal “sano” empirismo di Piras, che accusa le visioni d’insieme (sempre ideologiche?) di non cogliere il «diverso» presente nel nuovo attentato a Parigi. Obietterei quanto segue:
    1. Fosse pure invecchiato il concetto di imperialismo, ma dalla Guerra del Golfo del 1990 in poi è vero o no che gli Usa e i suoi alleati della Nato hanno condotto continue guerre sullo scacchiere mediorientale?
    2. I sostegni ad Al Qaeda sono, secondo lui, accertati o frottole?
    3. «La condanna di qualsiasi guerra», pur rimanendo «posizione puramente morale dei pacifisti», cioè incapace di delineare una politica per fermare o diminuire i massacri, non è preferibile alla posizione di quanti continuano ad appoggiare guerre che, come egli stesso scrive, distruggono ma non sono in grado di costruire: «L’errore più grave degli interventi militari occidentali è stato quello di distruggere degli stati senza pensare a crearne altri, a garantire la transizione politica»? (A parte: ma perché spetterebbe agli occidentali il compito di costruire gli stati agli altri popoli?).
    4. È davvero irrilevante (non solo moralmente anche politicamente) la sproporzione tra il numero dei caduti che sentiamo *nostri* e piangiamo e quello dei tanti che restano in una sorta di zona limbica del nostro pensiero critico o addirittura rientrano comodamente nel concetto dei *costi inevitabili* di ogni guerra *giusta* in difesa della democrazia?
    5. Se «si fa fatica a pensare che ci vorrà tempo per capire» e c’è un diffuso «ottundimento della coscienza, che si chiude nelle sue gabbie rassicuranti», perché buttarsi subito a difendere la posizione di Holland?
    5.1. Se il 13 novembre 2015 a Parigi «qualcosa di diverso è successo» perché non includere anche il discorso di Holland tra quelli che non valgono più? Cosa ha esso di *nuovo* rispetto a quello *vecchio* di chi accusa l’imperialismo (Usa in particolare)? Perché solo quest’ultimo discorso si ridurrebbe a «predica», a vuota retorica? Non è «ripetizione ossessiva» anche il discorso della guerra?
    5.2. Solo oggi si profilerebbe «l’eventualità che altri portino la guerra in Europa»? Ma la ex- Jugoslavia non era in Europa? E non ci furono, prima di questi, gli attentati a Madrid in Spagna (11 marzo 2004, che uccisero 191 persone, 177 delle quali morte immediatamente negli attentati, e provocarono 2.057 feriti) e in Gran Bretagna (7 luglio 2005 a Londra)?
    5.3. Anche se la novità stesse nel fatto che « il soggetto che ha attaccato la Francia è uno stato, per quanto non riconosciuto e attaccato da una coalizione internazionale proprio perché vuole diventare stato», possiamo sorvolare sulle ragioni per cui si è potuto formare o sta tentando di formarsi? Perché, invece, svirgolare dichiarando sveltamente che «uno stato attaccato da uno stato ha il diritto di difendersi»?
    5.4 È poi vero che la Francia starebbe facendo una «guerra difensiva [che] non esce dal recinto della legittimazione democratica»? (Erano *difensivi* anche i precedenti interventi in Irak, in Libia, etc?).
    6. Siamo d’accordo su un solo punto: «l’inesistenza dell’Europa», che Piras stesso riconosce. Ma questo non dovrebbe indurre alla prudenza? Come potrà un’Europa “inesistente”, che ha già dimostrato – come Piras stesso dice – di non saper agire «durante la crisi del debito greco, e in tutta la lunga crisi dei rifugiati» seguire Holland nella nuova guerra, un’operazione certo più impegnativa e rischiosa?
    7. Il punto più oscuro e controverso riguarda il modo come Piras dà per scontato che il nemico principale e unico sia – come ci raccontano – il “terrorismo” (in questo caso: l’Isis). Egli liquida con sprezzo, parlando addirittura di «potenza dimezzata americana» (cioè statunitense), tutte le critiche degli “antimperialisti”. Questo tabù della sua riflessione mi pare in contrasto con la pretesa di ragionare al di là degli schemi o delle “tiritere”. Ma allora «la vischiosità degli stati nazionali [che] ha impedito di fare il passo verso un vero potere europeo» è fattore tutto interno alla loro storia di stati nazionali? Non è per nulla o ben poco condizionata dalle scelte del più potente alleato d’oltre Oceano? Sarebbe doveroso un approfondimento visto che si parla tanto di globalizzazione.
    Cosa, invece, non mi convince nei discorsi dei tre “antimperialisti”?
    La distinzione tra terrorismo e guerra (di Cucinotta) la trovo utile sul piano dell’analisi storico-politica, ma non risponde all’esigenza legittima di tutti noi che siamo di fatto sottoposti a queste minacce. Essere uccisi da un terrorista o in guerra da un soldato cosa cambia?
    Se poi gli Usa sono i burattinai dell’Isis, dovremmo dedurne che sono nostri nemici o ambigui amici. O magari – chissà – ci *appaiono* burattinai ma agiscono invece *a fin di bene* o persino a nostro vantaggio. Se invece fossimo del tutto convinti che gli USA, avendo «scelto di adottare in medioriente una strategia che è stata definita del caos», continuino soltanto la loro tradizionale politica imperialista (o imperiale), molto blandamente ostacolati dalla Russia – è una posizione ormai assodata per una certa fascia di persone che proviene da esperienze sia di sinistra critica che di destra critica – ci sarebbero due punti da chiarire al meglio nella discussione:
    1. dimostrare che, come insinua Piras, questa analisi non è una vecchia «tiritera» di nostalgici del periodo della Guerra fredda;
    2. indicare come renderci (almeno in prospettiva) autonomi o più autonomi da questi alleati Nato così invadenti o più “padroni” che alleati.
    La sordità di una vasta area sociale a trattare questi temi a me non pare però dovuta a “stupidità”. Certo esiste un clima di paura che consente «all’establishment europeo di far passare le politiche più antipopolari che si possano immaginare, e soprattutto di mantenere in piedi la UE, almeno per il tempo necessario a fare approvare il TTIP » (Cucinotta). Ma esiste davvero un progetto politico che miri all’autonomia dagli Usa e da altre potenze maggiori?
    Per ora esistono, credo, due orientamenti abbastanza informali – gli stessi che si scontrano in questa discussione: da una parte quanti, come Piras, vogliono rimediare al vuoto politico (l’«Europa inesistente») rilanciando il progetto di un’Europa non più solo economica ma politica. E, dall’altra, quanti – in questa discussione Barone, Buffagni e Cucinotta – vogliono un recupero della sovranità nazionale, passando per il disfacimento dell’UE (dell’«Europa inesistente») e puntando al “ritorno” o al rafforzamento degli stati nazionali.
    Da qui, di fronte al nuovo attentato di Parigi, deriva anche la proposta “nazionalista” di Cucinotta: «A mio parere, ciascuno dei paesi europei dovrebbe al momento limitarsi a contrastare le azioni dell’ISIS nel proprio territorio».
    Non so valutare la validità in prospettiva dei due orientamenti. Anche perché diffido di entrambi e delle valutazioni esclusivamente geopolitiche. Entrambi,comunque, mi paiono poco coinvolgenti, perché in fondo ci riducono a mere tifoserie a favore di questo o quello dei principali capi di stato e dei rispettivi ceti dirigenti che li sostengono.
    Avevo guardato a suo tempo con una certa simpatia all’idea di un’Europa sociale di Balibar, ma non mi pare che abbia trovato consenso o abbia fatto passi avanti nel tempo.
    Forti però restano le mie riserve verso il *sovranismo*. Come ho già altre volte obiettato, questa ipotesi mi pare in ritardo rispetto all’evoluzione della storia che ci ha ingabbiato in *questa* Europa (UE). E Cucinotta stesso è costretto a parlare di difesa di una «nostra residua sovranità». Sarebbe come chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. O, peggio, passare dalla padella (in cui ci hanno cucinato le grandi potenze per tutto il secondo Novecento) alla *solita* brace: i nazionalismi che, lungi dall’essere un rimedio alla crisi, rischiano di riportarci alle tragiche esperienze del primo Novecento.
    Ma, anche se quella storia non si ripetesse e fosse ancora possibile ricostruire «le strutture che possano garantire un ripristino della nostra sovranità nazionale», è davvero un buon progetto politico unirsi « patriotticamente attorno alla nostra amata costituzione nata dalla resistenza» (Cucinotta)? Né mi sento di affermare, come fa Buffagni, che «i cittadini europei sono protetti più dalla Russia, dall’Iran e da Hezbollah che dalla UE».
    Ritornare agli stati sovrani non mi pare meno difficile che fare uno Stato politico europeo. Ma indipendentemente da questo, qual è però la scelta di valore da sostenere, la scommessa da fare? Ritornare agli stati sovrani o costruire più decisamente lo Stato (politico o federato) europeo? E nella logica di «Jean Thiriart, di Napoleone, e anche di Hitler»? O in alleanza con la Russia di Putin, lodatissima da Barone e che però a me pare un semplice ribaltamento della «russofobia da quattro soldi» di Piras?
    A questo punto, criticate le varie posizioni, cosa potrei proporre (sempre ragionando in teoria)? Non certo l’utopia (né in forma socialdemocratica: « Una specie di Svizzera+Svezia» o una «Potenza gentile» alla Rusconi né « la rivoluzione proletaria planetaria» su cui ironizza Piras…). Semplicemente una posizione alla Madre Courage. Poca cosa, forse, ma questo è quel che penso.

    1. Ho molto apprezzato quest’ultimo discorso di Ennio, perché onestamente riconosce alla realpolitik il ruolo che le compete: quello di non poter risolvere nulla quando le forze in campo giungono a una disperante situazione di stallo. Alla meglio, si tenteranno dei rappezzi nella speranza di evitare per quanto possibile altre morti inutili e inutili disperazioni. La guerra mondiale ” a pezzi”, come è stata definita da qualche politologo, è la sola novità di rilievo e forse, in qualche modo, offre un segno storicamente evolutivo rispetto alle guerre del passato. I segnali di questa “novità” sono rintracciabili nell’esito della Guerra fredda, dove miracolosamente si evitarono scontri di dimensioni apocalittiche. Il male va curato con iniezioni di salute: bisogna che i paesi arabi trovino un’alleanza geopolitica, che non snaturi le loro tradizioni, la loro storia e la loro cultura. Per fare questo servono accordi internazionali che non scontentino le popolazioni. Quindi, sul fronte occidentale, servono politiche di accoglienza e integrazione.
      Mi resta da capire quale sia in questo momento la posizione degli Stati Uniti. Nella politica americana contano le scelte del presidente di turno: Obama non è Bush, e il fatto che non intervenga militarmente mi dà da pensare. Possibile che lasci fare a Mosca tutto il lavoro sporco, sapendo che questo avrà un prezzo? Mi sono dato due risposte, tra loro contrastanti: 1 – la presa d’atto che gli errori della politica espansionistica hanno generato un tumore in medio oriente, e che a fronte della difficile situazione economica un’altra guerra verrebbe a pesare sull’esito della ripresa economica. 2 – che si ha interesse a lasciar fare all’Isis in virtù di un progressivo assestamento concordato con i potentati economici sauditi. Ma in tutti i casi l’America non potrebbe dichiararsi a favore dell’Islam estremistico. Ennesimo fallimento? Anche nella seconda guerra mondiale l’America attese non poco prima di intervenire… sotto accusa sono tutte le politiche vetero espansionistiche. Secondo me Israele si troverà forzatamente a dover accettare un patto di alleanza con gli stati arabi. E presto qualcuno si sbarazzerà di Erdogan. Se l’America non interviene l’Isis è segnata, e l’Europa migliorerà i suoi rapporti di vicinato con la Russia.

      1. Mi ricollego a questo intervento di Mayoor…
        “Quindi, sul fronte occidentale, servono politiche di accoglienza e integrazione” – parlare del “che fare” mi sembra (per me e per ora) il miglior esercizio di riflessione… Anche se ho letto tutto il dibattito e ringrazio per le numerose informazioni che ho potuto recepire; poi sulle valutazioni politiche dissento qua e là, sono d’accordo qua e là… Insomma non so fare un discorso coerente e completo.
        Sul che fare… rifiutare l’equazione Islam/terrorismo. Sembra facile, ma far passare questo concetto nella nostra società – fondamentalmente paurosa e parzialmente razzista – non è semplice, soprattutto ora. Pubblicare come avverrà lunedì su blog e siti vari i sermoni anti-terrorismo che venerdì sono stati letti in tantissime moschee d’Italia; questo è secondo me un fatto molto importante.
        Politiche di accoglienza e integrazione – i figli (italiani), la seconda generazione di provenienza extra-comunitaria. Questi ragazzi e adolescenti non saranno contenti di fare le pulizie presso le case borghesi occidentali e il loro inserimento in situazioni di lavoro più gratificanti non sarà affatto facile. Ho appena letto un libro di G. Ranchetti su questo tema (“Il percorso identitario degli adolescenti di origine straniera” – F.Angeli). Questo argomento si inserisce nella domanda più ampia; quale futuro? quale narrazione migliore si può fare rispetto alle seduzioni di un fantastico califfato che recluta tanti giovani di diversa origine, cultura, storia in tante parti del mondo? E ritorno alla mia domanda; quale vita?
        Personalmente sono una donna che ama i bar, bere vino, etc…; insomma sono un pessimo esempio. Una corruttrice. Se poi aggiungiamo che amo l’arte (Palmira… etc..) , la poesia e la musica, il mio tasso di “devianza” rispetto alle leggi della sharìa si eleva ancora di più… Non sono un modello, ma vorrei poter contribuire a costruire una IDEA (niente di più, certo, siamo impotenti di fronte ai grandi potentati economico/politici che governano la storia grande – noi siamo “sotto”…) di vita in cui i giovani si possano almeno in parte riconoscere, che serva ad alimentare speranza.
        Integrazione; lavorare per… Futuro; tra diversità culturali, navigare come curiosi e attenti. Nella diversità trovare bellezza e interesse.
        Altri due problemi; quello gravissimo è la diversità ricchi/poveri – enorme, devastante. Tutto quanto sopra detto si può fare e pensare se non si è troppo poveri; dunque al primo posto andrebbe la questione sociale.
        Che è politica. Che è economica. Che sta al fondo del grande malessere del mondo arabo (ricchi petrolieri esclusi) e che ha sullo sfondo il dramma del popolo palestinese. E su questo ho scritto tempo fa una poesia (tanto per collegarmi anche al tema del “a cosa serve la poesia”…) che a volte mi risuona dentro con dolore.
        E la questione Europa; qui sono ancora dell’idea che se c’è qualcosa da fare ancora possibile è mettere insieme i pezzi, qualche pezzetto, di quella Europa ideale (dei popoli, si diceva…) in cui tempo fa in molti credevamo. Per me l’Europa ha ancora delle possibilità; non voglio gli stati nazionali, me ne frego proprio. Mi piace vedere e sentire i giovani che scorrazzano per l’Europa come fossero ovunque a casa loro; che fanno i camerieri a Londra, o le commesse ad Amburgo, che parlano lingue diverse e magari non hanno neanche troppo nostalgia di casa. Questa gioventù (ricca? non sempre… molti anche di ceti più deboli, poveri no, certo) è quella che dovrà pensare una Europa più sociale, più autonoma dagli USA, più equa, più grande di pensiero e visione.
        I giovani – giovani i morti ammazzati, giovani i terroristi, giovani le nostre speranze per il futuro.

  34. ciao Annamaria..scusa se ritorno sul punto che ti ho sollevato ieri, più sfumato nel mio primo commento, più diretto nel secondo. E’ molto importante per me capire se il tuo silenzio, o al massimo aver spostato il pensiero e la parola su scambi di dati bibliografici, è da interpretare in un modo o in un altro. Preferirei che mi dicessi apertamente. Quindi rispetto alla mia obiezione cosa ne pensi ?

    Te la riepilogo:
    non volendo fare i giochi né dei pacifinti NATO alla Boldrini e simbolisti della pace annessi e connessi, né degli animalisti padani ( vedi the salvini’s sovranisti et similia), per i fatti di Saint Denis, è più importante concentrarsi su una filiera molto segreta delle complicità e responsabilità di appoggio interno ed esterno alla “mafia” horror islamista? o vale la pena, anche solo accennare, a presunte conseguenze “omertose” , convenienti a vendere meglio bufale sugli scenari delle cause, conseguenze spacciate dai militari mediatici (leggi giornalisti e intellettuali) che si concentrano su chi vive nel quartiere di Saint Denis vampirizzandolo con microfoni e telecamere ?

  35. Scommetterei, “sempre ragionando in teoria”, sullo “Stato Federato Europeo”, alleato critico di tutte le grandi potenze, emerse ed emergenti, alla “Kattrin”, figlia minore di Madre Courage, che avrà finalmente imparato ad esprimersi e di cui non sarà più necessario il sacrificio della vita.

  36. …sembra facile risponderti, Ro, che certo è più importante capire “le complicità e le responsabilità di appoggio interno ed esterno alla “mafia” horror” islamista” e questo sul piano teorico è vero, ma mi pongo il problema del punto di vista del “più piccolo”in mezzo a noi, e potrei essere benissimo io, schiacciato dai giochi giochetti di strapoteri sovrastanti che non è facile chiarire, come risulta dal commento di Ennio alla discussione in corso su LE PAROLE E LE COSE e tantomeno le soluzioni…La domanda che il più piccolo continuerà a porsi è “Chi è il mio nemico?” o “Chi è il mio amico?” , dandosi risposte assolutamente lontane dal vero, ma per la sopravvivenza. Confuse e contraddittorie, così come Madre Coraggio tra gli eserciti contrapposti di una guerra di trenta anni a chiedersi come cavarsela insieme ai figli…
    La guerra che viviamo mi sembra tra le più complicate con caratteristiche di guerra calda e di guerra fredda insieme…

    1. ciao Annamaria, a questo punto penso che abbiamo punti di formazione e osservazione così distanti , che non è possibile rendere complementari. Per me le chiacchiere stanno a zero sull’indviduazione del “nemico” , mi spiace per le ricche discussioni delle parole e le cose, tutte cose giustissime, ma se vuoi stare dalla parte “piccolo” come dici, di colui che non conta un cazzo e che è sempre stato messo nelle condizioni più becere (e imperiali) della guerra fra poveri, la prima cosa che deve dirgli, se ti sta a cuore chiaro, è che nulla è ciò come appare e che l'”alleato”, apparente amico, ma di fatto amico USA , è stato il migliore nemico, in casa sua, contro il suo stesso Stato e la sua stessa popolazione dalla truffa della liberazione a oggi. Se vuoi stare dalla parte del piccolo come dici, altre chiacchere non contano. O gli parli , per il caso francese, delle complicità dei servizi e dell’unico filo che li lega con i terroristi, oppure se ci giri attorno sulle cause, girerai attorno anche sulle conseguenze e duqnue non potrai ragionare su alcuna soluzione, perchè tutte quelle che prenderai partiranno da premesse cannate.

      Devi parlargli dei suoi soldi e di come potrebbe vivere con un mitico, per ora, “multiculturalismo” da retorica tipica della pseudo sinistra se e solo se , prendendone solo una (moltiplica per tutte le altre dalla somalia ad oggi), si destinassero i duecento milioni al giorno che in media costa un missione di guerra, pardon di pace, boldrini docet, alla costruzione di quartieri ( di qualsiasi città d’italia, di francia o della mitica europa) con infrastrutture ( quali anche scuole, ospedali, teatri, dancing e biblioteche…) degni di una società che si dice evoluta o occidentale. Ahivoglia a costruire soluzioni per il piccolo che ti starebbe a cuore, con 200.000.0000 di euro al giorno per ogni stato amico del nemico..

      1. …ciao Ro, ti rispondo, ma non vorrei che diventasse un dialogo solo tra noi..Mi spiace ma forse non son riuscita a farmi capire perchè condivido del tutto quello che tu dici sui giochi imperialisti USA e NATO nel mondo e in Europa, come sulla guerra tra poveri che ne è una conseguenza..Quando ho parlato di “omertà” (forse avrei dovuto virgolettare la parola) nel quartiere di Saint Denis e di “piccoli” confusi nel vortice di sottili ricatti e false visioni da guerra fredda che ci mettono gli uni contro gli altri armati, intendo noi dal basso che dovremmo invece solidarizzare e lottare…Ora penso proprio alla figura di Kattrin, nominata da Paolo Ottaviani, che sempre in Madre Goraggio, in mancanza di voce (perchè noi l’abbiamo?) utizza un tamburo per farsi sentire e salvare gli abitanti del villaggio dall’assalto dei soldati..Dovremmo imitarla?

  37. Nelle mie lunghe notti senza sonno, mentre ripasso, ora l’uno ora l’altro, gli interventi che da svariati orizzonti (Famiglia Cristiana, Etienne Balibar, Dinucci Manlio e altri ancora) analizzano, con fondatezza e dati allarmanti, lo stato delle cose in relazione agli attentati di Parigi
    … nelle mie giornate senza parole, perché non c’è altro da aggiungere, ormai sta già tutto lì, detto, dimostrato (V. Putin, alla chiusura del summit di Antalya, dichiara pubblicamente che l’Isis è finanziato da individui di 40 Paesi ivi inclusi alcuni membri del G20)
    ….. in questi giorni in cui le mie stesse sensazioni mi tradiscono e l’esaltazione al suono della Marseillaise si trasforma in nausea profonda perché non si può più appartenere allo stesso canto che un tempo, assieme all’Internazionale, infiammava gli animi alla lotta
    … nei momenti di paralizzante ansia mentre mi chiedo “e tu perché non dici nulla, perché non intervieni?” e come si fa, rispondo, non basta più giocare con le parole e trovare quelle che attizzino gli animi per sollecitare reazioni di guerra (non basta cambiare acronimo da Isis a Daesh!) o di stimolo a fare qualche cosa….
    e allora penso che sia necessario un senso che leghi le conoscenze che abbiamo con l’inanità in cui ci troviamo….
    bisogna dare un movimento a questo qualche cosa, una direzione ….
    e allora mi viene in mente una immagine, un quadro…
    no, non si tratta del dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo, realizzato nel 1901 e intitolato “Il cammino dei lavoratori” (poi nominato “Il Quarto Stato”)…
    il ‘quadro’ che mi irrompe nella mente rappresenta una foto scattata a Parigi l’undici gennaio 2015, e riguarda la manifestazione contro il terrorismo dopo i fatti alla Charlie Hebdo.
    Gomito a gomito marciano uniti una cinquantina fra capi di Stato e rappresentanti di governo provenienti da tutto il mondo (sono assieme Benjamin Nethanyahu e Mahmud Abbas!) e ‘dietro’ due milioni di persone. Così la cronaca.
    Davanti a loro, nulla che li fermi… eh, già! Perché anche noi siamo ‘dietro’.

    Per questo prenderei indicazione dalla pregnante poesia di Ennio raccogliendo quello che lui scarta, epperò è nello scarto che evidenzia, facendo un lavoro di sottolineatura all’incontrario, degli aspetti importanti.
    Il mio Ba-ta-clan suonerebbe allora così:

    …….. l’Europa
    nell’opalescenza
    ricamavamo
    il mondo

    Eccoci là, in quell’ambigua opalescenza. Noi siamo avviluppati lì. Affascinati da idee (belle) che non ci traghettano verso alcun futuro. Come scrive Cristiana: *Meglio un futuro-progetto che la passività’ di un eterno presente. Capire dove si sta andando, chi guida, chi va in altre direzioni.* Non facile, ovviamente. Anche perché non sempre ci riesce differenziare il registro dell’interpretazione dei fatti (dalla gamma quasi infinita) dal registro della strategia (dalla gamma più limitata). Nello stesso tempo raccogliendo con attenzione il suggerimento di Ennio (ripreso da B. Brecth): “Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo”.

    Anche perché, poi, *chiedersi “quale poesia” è come dire “quale politica” o “quale speranza”…(Ennio).

    R.S.

    1. cristiana fischer 21 novembre 2015 alle 17:40

      “Usare la ragione” (Rovelli), quella “universale” di Touraine, vuol dire non solo “non essere dietro” (Simonitto), ma vedere quello che è davanti agli occhi, non sotto e non nascosto. Non ci sono “complotti” alla Giulietto Chiesa – ma c’è chi chiude gli occhi e si fodera il cervello.
      Per ragionare non si indovina o si sospetta, ma si osserva e si collega. Poi, combinando, un solo sistema dà effettivamente un posto e un ordine ai dati, e questo avviene perché anche la realtà è opera umana, quindi sono congrui realtà e conoscenza. Non sarà un processo semplice e lineare ma senz’altro raggiungibile e vero.
      Questo possiamo fare, Rita, ma non mi faccio spaventare dalla infinità delle interpretazioni. Il più contenuto registro della strategia, infatti, si svolge nel possibile: che è collegato al reale, non all’infinito.

  38. L’Itallia capolista

    “Gente de celo, de mare e de tera!”,
    strillava dar barcone Mussolini.
    “È l’ora de giocasse li destini
    come ar lotto puntanno su la guerra!

    Armamose e varcate li confini
    pe sfragne l’ossa a Francia ed Inghirtera!”
    Che mai s’è scritta paggina più nera
    lo sanno vecchi adurti e regazzini.

    Si quella fu traggedia scriteriata,
    adesso c’è la farza der Leghista
    deciso a organizzatte na crociata

    p’annà der Califfato a la conquista.
    Inzomma vòi ner pianto o la risata
    l’Itallia è sempre ar monno capolista.

  39. SEGNALAZIONE
    Carlo Rovelli, fisico: Usiamo la ragione

    In questi giorni, dopo le stragi di Parigi, Rovelli ha scritto un testo in cui esaminando le tessere del puzzle “mesopotamico” – e ricomponendole in una proposta – indica una possibile via d’uscita per mettere fine allo stato di guerra da cui è nato e in cui prospera Daesh, il cosiddetto stato islamico. «Il motivo per cui ho voluto parlare – racconta Rovelli – è che sento che c’è una esplosione di irrazionalità. La stessa cosa, con tutt’altra scala intellettuale, che faceva Einstein all’inizio della prima guerra mondiale, quando diceva “non facciamo la guerra, è una stupidaggine assoluta”. Anche allora c’era stato un mondo intellettuale che diceva “non cadiamo in questo orrore di ammazzarsi l’un l’altro”. Quando la società intera si lascia andare alla paura o all’orrore si comporta in maniera irrazionale, credo che sia il dovere di tutti gli intellettuali, non perché sono scienziati ma perché sono intellettuali, di dire “fermi, usiamo la ragione!”. Io voglio mettere delle cose sul piatto, non sono un politico, spero che queste idee vengano discusse in maniera razionale e non emotiva, e non nella logica del “c’è un conflitto, quindi dobbiamo ammazzare gli altri”, ma nella logica “c’è un conflitto, cerchiamo di risolverlo nel modo che crei meno dolore possibile nel mondo”».

    (da http://www.radiopopolare.it/2015/11/usiamo-la-ragione-da-parigi-alla-mesopotamia/)

  40. SEGNALAZIONE
    Alain Touraine: Universalismo contro guerra di civiltà

    Per me la modernità si distingue soprattutto per l’universalismo. E’ l’idea dell’illuminismo. Daesh parla invece un linguaggio anti-universalista, manicheo (esiste solo l’islam o l’anti-islam). Inoltre, non si devono in nessun modo inviare truppe sul terreno. Sarebbe la morte, finirebbe come nel Vietnam. L’unica soluzione nella regione è mobilitare la coscienza nazionale degli stati nuovi, come è successo cinquant’anni fa in Egitto con il nasserismo. Conosco bene dirigenti politici e militari dei curdi iracheni: nelle loro sei province c’è la formazione di una coscienza nazionale, anche se solamente tre sono indipendenti, tra cui Mosul. Oggi bisogna aiutare i peshmerga curdi che hanno preso la città dei massacri di Sinjar».

    Perché non si interviene contro Daesh tagliando finanziamenti, bloccando la vendita delle armi, l’acquisto del loro petrolio?«Non lo so. Questo è un problema per Daesh stesso. Loro non sono islam, religione. Loro sono petrolio, armi, propaganda. Ci sono due cose importanti da dire: la prima, separare in modo chiaro ciò che c’è di economico, di politico e di “religioso” in Daesh. La seconda, evitare il doppio gioco: come quello della Turchia, del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti dove i governi di questi paesi sono parte della coalizione anti-Daesh mentre Ong e famiglie ricche degli stessi paesi finanziano Daesh. Lo dico come sociologo, e non come specialista del mondo arabo, dobbiamo insistere di più su un aspetto positivo: accettare, aiutare, riconoscere l’islam come religione. So che è difficile farlo per quei francesi che hanno una laicità molto ambigua. E’ importante appoggiare la religione islamica: aiutare la formazione degli imam, costruire moschee decenti. Ci vuole una formazione religiosa adeguata che i jihadisti non hanno. Loro non sanno quasi niente dell’islam come religione. Bisogna mostrare rispetto verso tutte le religioni, quella islamica cristiana ebraica. Ciò suppone una trasformazione della cultura politica, non solo francese, che deve riconoscere la necessità di una convergenza tra lo spiritualismo laico, filosofico, etico e religioso: non sono nemici, ma fanno parte dello stesso grande movimento. E’ una lotta importantissima contro il totalitarismo culturale di Daesh».

    E l’Europa, professor Touraine? «Daesh in Medioriente o il Front National in Francia sono due movimenti fratelli, sono quelli che io chiamo “anti-movimenti sociali”. Sono movimenti di comunità, di identità, di odio verso l’altro. Se noi facciamo una politica in Europa di respingimento sbagliamo. L’universalismo esige da tutti noi di aprire le braccia ai rifugiati, ad esempio ai cittadini siriani, che sono gente molto simile a noi e che possono partecipare alla nostra vita senza difficoltà, dimostrare che la maggioranza della popolazione siriana può vivere in Europa senza problemi, al di là degli ostacoli materiali e burocratici. E’ fondamentale – conclude il grande sociologo – dimostrare di fronte a Daesh che noi non siamo differenti ma che stiamo parlano in termini di universalismo e non di differenze fra due civiltà».

    (Da http://www.radiopopolare.it/2015/11/diritti-dignita-contro-la-guerra-di-civilta/)

  41. SEGNALAZIONE
    Alessandro Politi, analista strategico: Interessi convergenti e interessi divergenti

    Diversa invece la prospettiva dell’analista strategico Alessandro Politi, ospite della seconda parte di Memos. C’è una ragione particolare nella tempistica della strage di Parigi? «Una delle ipotesi che è andata per la maggiore – risponde Politi – è quella del tentativo di impedire la visita del presidente iraniano Rohani in Francia e in Italia. E’ possibile, ma allo stesso tempo direi che è chiedere troppo ad un attentato terroristico. Un attentato terroristico crea delle vittime non per terrorizzare la popolazione ma per influenzare le elite. Anche se il messaggio di rivendicazione dell’Isis fosse finto, il collegamento ovvio è con l’intervento francese in Siria. Quindi l’attentato di Parigi sarebbe una ritorsione».

    Politi mette in evidenza anche «tutta una serie di giochi più sottili, che però passano attraverso il finanziamento di questi gruppi, e che riguardano invece la mobilità dello scacchiere del Golfo e del Levante. Una mobilità misurabile ad esempio con il fatto che l’Iran sta emergendo come nuova potenza. Una potenza accettabile nel salotto buono della politica, ma non necessariamente dai partner del Golfo». Lei parla di mobilità nello scacchiere, ma si capisce chi è in guerra con chi in quell’area?«Si tratta di una guerra che come tutte quelle complesse ha molte facce e strati – sostiene Politi. Ad un certo livello si collabora, o si finge di collaborare; ad un altro ci si tira calci sotto il tavolo per interessi estremamente concreti. Ad esempio: tutti i paesi del GCC (Gulf Cooperation Council) sono nell’alleanza contro l’Isis, o meglio contro Dawla (Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham, ndr), cioè lo Stato Islamico. Però, guarda caso, ci sono canali di finanziamento che non vengono efficacemente contrastati anche se sono privati. Non dimentichiamoci che quando i britannici erano impegnati in Irlanda del Nord contro l’Ira arrivavano soldi ai terroristi irlandesi da più o meno anonimi donatori americani e il governo di Washington non fece assolutamente nulla per decenni.

    Quindi non sono cose inedite. Anche tra le potenze che sono fuori dell’area è chiaro che ci sono interessi convergenti, qualche volta “convergenze parallele” tra Stati Uniti e Russia, e interessi divergenti. La Turchia è un caso classico di ambivalenza. Russia e Stati Uniti collaborano più o meno di buon grado o controvoglia dai tempi del disarmo chimico di Bashar El-Assad. Quindi ciò che vediamo è un chiaro interesse statunitense a cercare di governare il cambiamento dell’area senza restarne coinvolto, e un altrettanto chiaro interesse russo a non venire espulso in conseguenza di una possibile caduta di Assad. Il problema politico è tutto qui: rassicurare Iran e Russia che i loro interessi legittimi, o comunque comprensibili, verranno tenuti in conto ma che forse la famiglia Assad non è più la miglior garanzia per questi interessi. Facile a dirsi, molto più complicato a negoziarsi», conclude Alessandro Politi.

    (Da http://www.radiopopolare.it/2015/11/hollande-il-suo-e-vetero-colonialismo/)

  42. SEGNALAZIONE
    Adriano Prosperi, storico: L’Europa non esiste politicamente

    La prima impressione del professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa alla notizia delle stragi di venerdì scorso a Parigi è stata scioccante. «Mi è sembrata una discesa di un gradino molto alto nella cupezza di questi tempi, nello smarrimento per tutti. Una sensazione di freddo e di cupezza spaventosa», racconta. «E’ stata la conferma che non solo non si è usciti dalla sindrome che avevamo creduto di chiudere con la liberazione di Auschwitz, ma che si entra in un percorso ancora più terrificante e preoccupante. Un percorso in cui si incrociano colpe storiche della politica colonialistica europea, colpe recenti della politica fatta dai paesi occidentali nel vicino oriente e qualcosa di più antico e di più selvaggio».

    Quella che lei ci racconta, professor Prosperi, è una eclissi della ragione. Perché? «Ci sono molte cause recenti e anche premesse remote, ma certamente ciò che ci sta più a cuore è il presente e il futuro. Verso dove stiamo andando? Assistiamo ad una situazione in cui noi, come cittadini europei, siamo impotenti per la mancanza di una politica estera del paese “Europa”. Ciò mi preoccupa. Questo atto ha eletto una capitale, Parigi; l’ha individuata anche per ragioni simboliche: Parigi è la capitale della libertà. Questo atto, invece, non ha individuato né Bruxelles né Berlino. La gigantesca potenza tedesca è un nano politico e la ancor di più gigantesca potenza data dall’insieme dei paesi dell’Europea non esiste politicamente. Non abbiamo un governo eletto dai cittadini che decida per tutti noi sulla base di ciò i cittadini vogliono. Siamo dunque davanti ad un’impotenza agghiacciante. Dobbiamo affidarci solo alle ipotesi di una saldatura politica tra Stati Uniti e Russia, finalmente dopo una lunga guerra fredda. Dobbiamo sperare – prosegue lo storico – che la mossa di Putin trovi riscontro in un consenso, in una cooperazione sostanziale da parte degli Stati Uniti che con la sua politica finora non ha voluto rischiare propri soldati gettando soltanto bombe. Ma noi, cittadini dell’Unione Europea, a chi possiamo mandare le nostre richieste?

    (Da http://www.radiopopolare.it/2015/11/hollande-il-suo-e-vetero-colonialismo/)

  43. COMMENTO A “UCCISORI E UCCISI” DI FRANCESCO PECORARO
    (http://www.leparoleelecose.it/?p=21122)

    Articolo davvero orrendo e ipocrita. Non sono d’accordo sull’apologia del silenzio di fronte alle tragedie, ma è da irresponsabili in questi momenti pesantissimi per *noi* e *loro* sfoggiare il nichilismo della propria «non sradicabile cultura novecentesca». Che è poi è un niccianesimo volgarizzato, razzista e travestito da classismo. Dove i servi sarebbero i ragazzi arabi e i signori i «ragazzi europei belli levigati creativi, super-qualificati ecc». Intervengo solo per dire che, siccome Pecoraro si permette di parlare di «differenza di classe», chi pensasse a Marx si sbaglierebbe di grosso. Marx spese una vita per scrivere «Il Capitale» e dare fondamenta scientifiche alla sua visione della lotta tra le classi. Pecoraro, forse perché s’annoia o non ha mai tempo per approfondire le cose (« per rispondere a tutte [le questioni sollevate nei commenti] mi servirebbe molto tempo»), psicologizza e sociologizza a tutto spiano. E si diverte pure a prenderci in giro.

      1. …nonché prima, in ordine di apparizione, Michela:

        michela
        20 novembre 2015 a 11:41

        Mi chiedo quale abisso di disumanità possa consentire a qualcuno di sedersi davanti a un mucchietto di fotografie e, magari tra un caffè e una telefonata, risolversi ad accomunare studenti, aspiranti rocchettari, camerieri cileni, aspiranti violoncelliste algerine, impiegati cinquantenni della provincia francese e nonne nella categoria

        “ragazzi europei belli levigati creativi, super-qualificati, con buone prospettive di lavoro e quasi sicuramente un futuro, ragazzi con dottorato alla Sorbona e barbe e baffi e capelli da hipster, che si muovono disinvolti attraverso le frontiere ormai virtuali d’Europa, ragazzi che coltivano liberamente i loro rapporti, che non hanno regole sessuali, ragazze prive di alcun senso di minorità, libere, che ti guardano dritto negli occhi, ragazzi protetti dall’Occidente, di cui sono la crema e probabilmente i futuri dominanti”.

        Agghiacciante.

        1. E’ meglio che faccia spiegare alle parole delle due commentatrici la ragione del mio apprezzamento (@ ro: Michela in fondo commenta semplicemente le parole di Pecoraro con “agghiaccianti”).
          T.d.R. : ” proviamo a parlare anche di immaginario, di alterità. Di identità essenzialista, delle identità essenzialiste di noi occidentali. Il marxismo di Pecoraro, per esempio, è un essenzialismo, che non fa i conti con i processi materiali, sociologici della realtà, come mostra la collocazione sociale di Abaaoud. Se usi il marxismo come una clava introducendo cioè distinzioni rozze, schematiche, produci un’analisi che non è in sintonia con la realtà di cui parli (…) Facciamo attenzione alle parole… Esistono inoltre innumerevoli islamismi; esiste una complessità enorme del mondo arabo; è esistito infine tra gli anni Sessanta e Settanta un mondo arabo più laico del nostro… E poi: non c’è questa contrapposizione tra atei europei e credenti islamici, non c’è nella realtà e quindi non creiamola con le parole. Non esiste un’etica dell’Occidente: esistono, per fortuna, le etiche. E non solo quella marxista e liberale (altra contrapposizione, altro essenzialismo), ma anche forme più complesse e miste, orientate dalla relazione con l’altro…”
          B.C. : “Io credo che anche nella nostra forma di vita da lei (cioè da Pecoraro) tanto disprezzata si aprano prospettive di senso più che rispettabili, e che molti individui aspirino con sincerità a forme intersoggettive di bene che trascendono il loro interesse particolare e il loro edonismo: facendo il medico, il giudice, il politico, l’insegnante, il padre… Nessuna di queste attività è di per sé complice del capitalismo, mentre il fatto che sia dia una pluralità di beni, e che l’individuo occidentale possa scegliere liberamente quali perseguire, è certamente un portato della modernità (che ha un valore sempre ambivalente, ma che non coincide col capitalismo)”
          “Nessuna di queste attività è *di per sé* complice del capitalismo”, e anche “la modernità ha sempre un valore ambivalente, ma *non coincide* col capitalismo” mi paiono affermazioni pratiche ma anche critiche, che non separano, come non separano “le etiche più complesse e miste” ma producono legami, umani e critici.

          1. Non hai forse letto la premessa, é quella che descrive il contesto dell’uomo gregge, o pecora infatti, ma intentellettualmente pseudo dotato tanto da risultarne un quadretto “agghiacciante ” di lui seduto a parlare di queste “cose” per la sua caffè letterarata platea.

            Rimane il fatto che al di là come tu o altri vogliate dare tagli marxisti ideologizzati , uno é già sufficiente questo quadro; due l’ordine di apparizione parte, se non vuoi fare ulteriori sotto categorie di genere, da Michela. Un semplice inconfutabile dato di fatto crono-logico per il genere da te citato

    1. Ho l’impressione che F. Pecoraro, preso dall’impeto della ‘narrazione’ (oggi questo stile va molto di moda: non serve più rispettare i ‘fatti’ – certi ‘fatti’, ovviamente – ma si privilegiano i racconti sui medesimi), ‘svolazzi’ con molta leggerezza e facilità facendo affermazioni corrive (certo, lui ha poco tempo) su temi che meritano invece tutt’altra attenzione.
      Già affibbiare alla ‘mente’ così, tout court, una attribuzione di ‘atea’ unita allo specifico di ‘occidentale’ e, soprattutto, definendola STRUTTURALMENTE incapace di….*figurarsi […] la mente islamista, nelle sue motivazioni e nel suo immaginario*, è una corbelleria tale che mi ha fatto afferrare ai braccioli della poltrona, mettere gli occhiali, rileggere bene… per non sentirmi catapultata nell’oscurantismo del Medio Evo (periodo in cui tutto ciò che non si comprendeva andava buttato al rogo, donne incluse), altro che nella cultura novecentesca, con tutto quello che si è studiato sulla mente, sul suo funzionamento e sui suoi processi!
      Se abbiamo raggiunto un livello evolutivo tale che ci ha portato a ‘scegliere’ se permanere in una posizione di dipendenza assoluta nei confronti di una qualche divinità (trascendente o immanente) o emanciparci da essa, ciò è avvenuto a seguito di un processo di pensiero (e non di una determinazione strutturale) per cui la complessità dei nostri fantasmi più arcaici, legati alla vita e alla morte, ha avuto modo di essere conosciuta e, con vicende alterne, elaborata e IN PARTE superata.
      Questo processo ci permette di capire meglio ‘oggi’ la composizione di alcune formazioni precedenti (come diceva Marx – “Introduzione alla critica dell’economia politica”, 1857 : “L’anatomia dell’uomo è la chiave per capire l’anatomia della scimmia”), o, anche, di come l’elemento sociale possa illuminare quello individuale.
      Questo ci fa anche dire che le nostre modalità ancestrali, la nostra ‘barbarie’ interna, non scompaiono nel nostro processo maturativo ma continuano ad esserci più o meno controllate o più o meno dissimulate. Magari ne prendiamo le distanze così come facciamo con la gestione dell’aggressività spesso confusa con la violenza. Siamo orrendamente stupiti che persista la ‘barbarie’ del corpo-a-corpo, mentre la violenza che colpisce indiscriminatamente a largo raggio attraverso i bombardamenti (non a caso chiamati ‘chirurgici’, o guerre umanitarie) ci colpisce emotivamente molto meno, o in modo più mediato, perché veniamo ‘distratti’ da principi quali ‘giusto’, ‘legittimo’, ecc. ecc..
      Senza dubbio il ‘nostro’ avrà inteso parlare, più che di ‘mente’, di ‘mentalità’, di ‘cultura’, e quindi di un portato che travalica il percorso soggettivo per imbricarsi con quello sociale. Ma il senso non cambia molto in quanto resta l’immagine di una profonda negazione relazionale tra sé e l’altro da sé di cui vengono ‘a priori’ definiti ‘inimmaginabili’ i processi mentali, come se si trattasse di figure che non appartengono alla stessa specie umana, né più né meno di come era vissuta la donna nei tempi bui..

      Quanto al passaggio: *La mia non sradicabile cultura novecentesca mi porta a supporre che la differenza di classe, generando odio «naturale»…*, mi chiedo da quale punto della lettura di Marx si estrinsechi questo ‘portato’ emotivo.
      Marx non parlava di nessuna ‘naturalità’ nella sua analisi, e nemmeno di ‘odio’, in quanto non si riferiva al conflitto tra ricchi e poveri, tra signori e servi, il tutto letto in un’ottica ‘umanistica’ di sfruttamento’ , ma individuava un conflitto specifico, un antagonismo storicamente determinato tra gli interessi di due classi sociali tra loro contrapposte, borghesia e proletariato. E, all’epoca, lui individuava il motore di questa contrapposizione nella proprietà o non proprietà dei mezzi di produzione. Da questa lotta tra INTERESSI contrapposti, il proletariato avrebbe portato ad una rivoluzione sociale trasformando la stessa struttura dei rapporti di produzione e di potere attraverso il passaggio da uno Stato borghese ad uno Stato proletario.
      Il fatto che nulla di tutto questo si sia realizzato, che oggi parlare di ‘classi’ (intese in senso marxiano) sia ormai superato dagli eventi, ciò che possiamo fare è recuperare l’analisi more scientifico, e non ricorrere a mozioni extra-analitiche, come i ‘sentimenti’. Non nego la presenza e l’importanza delle emozioni, ma se le facciamo diventare (o permettiamo loro di essere) il motore della storia senza una ‘guida’, ho fondati dubbi che si possa uscire da questa melmosa impasse.
      Capisco che Pecoraro, nel parlare di ‘odio’ possa appoggiarsi ad un illustre poeta (*) ma confondere i vaneggiamenti con delle analisi è quanto di peggio ci possa capitare. Ciò con tutto il rispetto per il grande poeta che Sanguineti mostrò di essere. Ragion per cui preferirei che ci si muovesse sulla base di analisi ragionate e non soltanto su conati di odio (che poi facilmente si trasformano in compiacenza in determinati momenti: esempio emblematico i funerali di Gianni Agnelli nel 2003).
      Oppure capire, come riconosce Pecoraro stesso (però senza modificare il suo presupposto di base legato all’odio di classe equiparato – arbitrariamente – ad *ogni forma di disagio economico e di costrizione ai margini, dunque di sofferenza sociale, [che] genera una forma più o meno sorda di odio e, se incontra un sistema ideologico capace di accoglierlo, di organizzarlo e finalizzarlo) che esso odio può sfociare in modo *spietatamente operativo* … *attraverso il crimine, o l’azione politica, o il credo religioso*. E allora l’escalation è perniciosa.

      (*) C’è un breve scritto del 2007 del poeta Edoardo Sanguineti intitolato Restauriamo l’Odio di Classe:
      «Bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. Loro sono i capitalisti, noi siamo i proletari del mondo d’oggi: non più gli operai di Marx o i contadini di Mao, ma “tutti coloro che lavorano per un capitalista, chi in qualche modo sta dove c’è un capitalista che sfrutta il suo lavoro”. A me sta a cuore un punto. Vedo che oggi si rinuncia a parlare di proletariato. Credo invece che non c’è nulla da vergognarsi a riproporre la questione. È il segreto di pulcinella: il proletariato esiste. È un male che la coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via via si sproletarizza. Bisogna invece restaurare l’odio di classe, perché loro ci odiano e noi dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? Recuperare la coscienza di una classe del proletariato di oggi, è essenziale. È importante riaffermare l’esistenza del proletariato. Oggi i proletari sono pure gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari, i pensionati. Poi c’è il sottoproletariato, che ha problemi di sopravvivenza e al quale la destra propone con successo un libro dei sogni».
      R.S.

  44. “Se usi il marxismo come una clava introducendo cioè distinzioni rozze, schematiche, produci un’analisi che non è in sintonia con la realtà di cui parli” ( Fischer citando TdR)

    Ma dov’è ‘sto marxismo di Pecoraro? Perché anche Tiziana de Rogatis (TdR) prende lucciole per lanterne? Come ho cercato di dire, Pecoraro appartiene all’area dei *pentiti*, di quelli che di Marx si sono un po’ sciacquati la bocca attorno al ’68-’69 e poi si sono rifugiati in un niccianesimo d’accatto.

    1. Eccolo qui il “marxismo” di Pecoraro: ” La mia non sradicabile cultura novecentesca mi porta a supporre che la differenza di classe, generando odio «naturale», giochi un ruolo decisivo nella scelta delle vittime, oltre che del lasciarsi «cadere» nell’avvitamento islamista. Ogni forma di disagio economico e di costrizione ai margini, dunque di sofferenza sociale, genera una forma più o meno sorda di odio”…
      Cultura novecentesca che ha coniugato disagio con odio: proprio ieri sera leggevo che le SA erano soprannominate *beefsteak*, brune di fuori e rosse dentro, per i socialdemocratici e i comunisti che erano entrati a farvi parte. Del resto il nazismo si chiamava nazional-socialismo.
      Povero Marx, eppure qualcuno lo interpreta ancora così. La stessa T.d.R. precisa: “Le ragioni strettamente socio-economiche di cui parla Piras sono quelle su cui Pecoraro ha impostato il suo intervento”, le ragioni strettamente socio-economiche delle implicazioni sociologiche, non marxiste.

      1. No poveri noi che qualifichiamo “marxismo” ( sia pur virgolettando) un discorsetto come quello di Pecoraro, non povero Marx!

        1. Però, Ennio, tutte parlano del “marxismo di Pecoraro”, sulla cui consistenza piove un certo sarcasmo, o peggio… non diversamente nella sostanza da quanto tu hai scritto.

          1. Beh quello di Pecoraro – il suo cognome stavolta permette un po’ d’ironia – è proprio un “marxismo da pecorari”…

  45. @ Massenz (22 novembre 2015 alle 12:00)

    “Pubblicare come avverrà lunedì su blog e siti vari i sermoni anti-terrorismo che venerdì sono stati letti in tantissime moschee d’Italia; questo è secondo me un fatto molto importante”.

    Dissento da questa valutazione. A me queste manifestazioni di “lealismo” nei confronti dei *nostri* valori democratici ha fatto pensare a quelle che avvennero in Italia all’indomani della uccisione di Aldo Moro da parte delle BR (o a quella, guidata dai capi dei vari stati, all’indomani della strage di Charlie Ebdo). Non riesco a stabilire quanto siano sincere, spontanee e convinte (lasciamo perdere il numero alto a basso dei partecipanti) e quanto coatte, dettate soprattutto dal clima di paura e di possibili ritorsioni.
    Il brutto è però che questi sentimenti, anche quando fossero davvero sinceramente ostili ai “terroristi”, sono politicamente unilaterali. Non hanno chiaro cioè – come ho già spiegato rispondendo a Piras su “Le parole e le cose” e come si è visto bene nella videointervista a Giulietto Chiesa alla “Zanzara” – che tipo di manovre stanno facendo Usa, Russia, Francia, UE in Siria e più in generale in Medio Oriente. Né sanno che cosa sia davvero questo Isis. E’ giusto schierarci tutti contro il “terrorismo” dell’Isis e basta?
    Non è una scelta quantomeno affrettata e unilaterale? Non si sorvola così facendo sulla inefficacia della politica di guerra (o delle ‘operazioni di polizia internazionale a tutela dei diritti umani’), che non solo non ha riportato l’ordine in Medio Oriente, ma sta rafforzando o esasperando proprio le risposte terroristiche?

    E allora la domanda «quale futuro» o «quale vita», se non vuole essere retorica o peggio soltanto difensiva e fatta per arginare «le seduzioni di un fantastico califfato che recluta tanti giovani di diversa origine, cultura, storia in tante parti del mondo», deve appunto essere preceduta da un’analisi che chiarisca a fondo per quali ragioni « siamo impotenti». Ma non solo di fronte ai “terroristi” ma anche «di fronte ai grandi potentati economico/politici che governano la storia grande». Se i primi risultassero occulti strumenti dei secondi saremmo ancora più in difficoltà. Europa dei popoli? Ritorno agli stati nazionali? Mica facile scegliere. Perciò preferisco la posizione alla Madre Courage. Ma ragioniamoci su, sperando che ci sia tempo per farlo.

  46. SEGNALAZIONE

    Loro, io, noi: riflessioni sul novembre parigino
    di Judith Revel

    Stralcio:

    E’ forse la cosa che mi ha maggiormente colpita, in particolare sui social network, anche rispetto alla dinamica che era stata quella del “dopo Charlie” a gennaio scorso: passato il primo shock, non si è trattato di capire ma di “sentire”, anzi, di “sentirsi” come una delle vittime, di proiettarsi nel cuore dell’orrore, di manifestarne i segni e il dolore – con tutte le varianti di appropriazione (abbastanza oscena, credo) di lutti, paure, dolori, traumi altrui. Sono circondata da gente (anche amici, anche colleghi, insomma anche persone che dovrebbero per mestiere reagire altrimenti) che, invece di essere duramente sotto shock ma animata dalla voglia di comprendere, riempie le proprie bacheche facebook di “big hugs”, racconti di insonnie, foto di giovani vittime che vengono chiamate per nome come se fossero parenti, analisi dettagliate delle varie ansie provate, messaggi del tipo “vi sono vicini, ce la faremo”, “riusciremo a sopravvivere”, “hanno provato ad ammazzarci ma siamo solo feriti”, e tutta una variazione di narrazioni del loro stato psicologico, della loro intimità, che mi lascia sgomenta. Gente che non dorme, gente che piange, gente che vomita, gente che ti dice “ma potevo essere là“, o “conosco uno che conosce uno che ha incontrato uno che è morto”. E che non lo fa in nome di una comune umanità di cui si sentirebbe partecipe. Lo fa sul modo dell’appropriazione privata, egotica. Certo che ognuno di noi poteva essere uno di loro. Ma così non è stato, appunto. A noi, proprio per questo, tocca la responsabilità di capire, per fare in modo che altre mattanze di quel genere non possano più accadere. E invece cosa abbiamo? Un’esplosione di narcisismo che prende il massacro come un’occasione di vivere per persona interposta un evento “storico”, e di diventare finalmente eroi della propria vita, di sentirsi paradossalmente qualcuno. Un violentissimo ripiegamento sull’individuale, sull’ego, sul sé. Una volta si diceva “il privato è politico”. Oggi, quell’individualizzazione narcisista è la morte della politica: ognuno vive in un permanente reality show sociale – attore di se stesso e di una vicenda atroce di cui pretende essere protagonista in primis. Da lì, credo, a distanza di quasi una settimana, l’enorme difficoltà di uscire dal registro affettivo e individuale – se non in forme già costituite e immediatamente disponibili: la nazione appunto, o la bandiera o la Marsigliese o il french way of life, ecc.
    Ieri, ho visto con T. un film bellissimo (di due anni fa, credo: fu presentato a Cannes) sulle ragazze delle banlieue, sulla loro energia ma anche sulla loro disperazione. Bandes de filles, di Céline Sciamma l’hai per caso visto? Se no, cercalo su internet e guardalo. Poi i discorsi sulla resistenza alla barbarie attraverso la riaffermazione del piacere di vivere (penso agli appelli a stare in terrazzo, a bere, a mangiare, a far l’amore, a divertirsi, a essere leggeri e felici, che si sono moltiplicati in questi giorni) ti sembrano incredibilmente falsi, e anche un po’ schifosi: certo che resistere alla barbarie può significare questo per noi, parigini e parigine “dell’interno”, cioè di una città dove il prezzo al metro quadro si attesta in media sui 10.000 euro, e che abbiamo la possibilità di accedere a quel piacere di vivere di cui gli aperitivi in terrazzo e i concerti rock sono diventati il simbolo. Ma quanto può esserlo per popolazioni intere in cui ogni orizzonte sembra sbarrato? É quello che racconta il film – ed è il film più disperatamente femminista (allegro, energetico, divertente, ma disperato) che io abbia mai visto.
    La mia ovviamente non è una ricerca di “scuse”, o di attenuanti per gli assassini, che tali rimangono, e che come tali vanno combattuti. È solo un modo per dire che pretendere curare il male con cataplasmi (ammesso che quei cataplasmi non avvelenino direttamente la democrazia stessa, e che siano legittimi) è ridicolo. Bisogna andare alle radici del male, e una di queste radici è ormai il grado di sofferenza sociale raggiunto da migliaia di persone letteralmente senza più orizzonte, né possibilità di sentirsi vivi. L’abbiamo creata noi, quella situazione, perché ormai sono passati troppi anni: certi (pochi) ragazzi, invece di bruciare macchine come dieci anni fa, ormai scelgono anche altro – fare più male possibile agli “altri”, e autodistruggersi in quel gesto. Quando leggo sotto la penna di qualcuno testi che ci servono la solita manfrina sul suicidio dell’intera società capitalistica ormai arrivata in punto di morte, sulla necropolitica insomma, lo trovo osceno.

    (da http://www.euronomade.info/?p=6133)

  47. Le mie precedenti considerazioni/obiezioni a una certa curva, anzi rettilineo di Annamaria, erano rivolte in questo spazio “pubblico” , non certo per incalzare solo lei allo sviluppo di una rincorsa, con fuga, lontani da impostazioni “standard” o ben comode a coloro che godono di ampi ricavi da armi e diversamente guerre fra poveri.

    Tali rettilinei, al contrario di certi tornanti per stomaci deboli e forti, non permettono la visione , o perlomeno sbirciarne sprazzi possibili di panorami (del puzzle horror) e tali rettilinei non contraddistinguono un metodo di pensare gli avvenimenti in questione solo ed esclusivamente di Annamaria, ma come dicevo nelle premesse sono di “molti”, pur essendo apparentemente assegnabili come quelli che in prevalenza leggo in questo spazio attenti ai “piccoli”, schiacciati dai grandi potenti. E questi rettilinei ti portano a stamparti contro muri di autorazzismo, proprio come previsto dai desiderata dei disegnatori /guardiani della costruzione più estesa e imperiale della storia delle colonie, nella succursale “Europa”. Se in una prima fase abbiamo visto un certo abbondare di maiali e zingari, altrimenti detti Piigs e Gipsy, che avevano vissuto, udivamo e udiamo ancora, *sopra le loro possibilità*, e che sono stati presi per il naso (per no dire l’inc.cool eight in altri dettagli) dagli stessi che dicavno di essere dalla parte di chi non aveva mai vissuto manco mezza possibilità, in una seconda fase (progettata o meno tavolino, in questo caso contano solo i risultati ottenuti) gli avvoltoi di cui sopra ( guardiani e loro militari mediatici, in ogni e dove, spazi c.d.”alternativi” inclusivi, mainstream e non) hanno fatto l’ein-plein dell’autorazzismo . In una società ormai resa “atomicamente” liquida, era un gioco da ragazzi ottenerlo anche per i “molti” o quella “polis” che direbbe e si farebbe in quattro laddove si tratta di rivendicare o voler riscattare “il piccolo” rispetto alla prepotenza dei grandi (distruttori di terre e uomini).

    Eppure si direbbe che ai poeti , o aspiranti tali, i simboli siano il proprio pane ( e per questo periodo horror, ma ogni era ha la sua apocalisse quotidiana già avvenuta, siano anche il proprio sangue). Tuttavia anche il mio caro Francesco Di Stefano è portato all’autorazzismo (lo dico con grande dispiacere per l’affetto e la stima che provo e proverò sempre per lui) , perchè ormai rispolverare il cattofascismo di “mussolini” , è poco graffiante e Trilussa va aggiornato alle tragedie delle bestie contemporanee, per giunta FDS non denuncia, nella sua arte, uno dei mali più attuali che dalla sua scomparsa, lo ha sostituito imbrogliando i mitici “italiani” , pure colonialisti e , facendogli credere di essere in democrazia, sono passati da excolonialisti dell’ultima ora, armate brancaleone ma d’atrocità in libia, a semplice sub-colonia braccio armato della Nato, per giunta andando alla conquista “per conto di terzi”, in cui il terzo è il solito imperialissimo esportatore di democrazia (non si riescono ancora a quantificare i danni all’industria italiana dell’operazione in libia odissea all’alba; quella stessa industria che poi vorremmo mettere pure in poesia per le conseguenze della “crisi”?).

    Francesco di Stefano poteva fare , e spero possa farlo, un pezzo delirante sul cane anti-imam per eccellenza, pastore, e per giunta belga, col nome di un attore di Hollywood, o del reality show, quale è il caduto di guerra ( o presunto tale per la gioia del terrore del sudditosmart) Diesel. Francesco che si prende per il culo il delirio degli animalisti o dei vegani , del cordoglio uozzapparo o fessobuccaro per un cane, telecomandato dalle solite centrali…

    Annamaria o Luca, Lucio o Paolo o Emilia o altri potranno fare parodie poetiche o liriche impegnate, sul reality che si sta svolgendo a Bruxelles per farci digerire sempre più quanto è bella questa europa con Bruxelles, in cui i vampiri antiuomo ( non solo “arabo”) ma di qualsiasi etnia indigena o non, si sono divorati in questi due giorni , da ogni schermo e trasmissione, qualsiasi traccia , se mai ne fosse rimasta una, di materiale cosiddetto cerebrale.

    Se credete, cari poeti e amici dei poeti, come spesso dichiarate su altre pagine, che Ennio sia per voi quel faro segnalatore di letture che vi danno nutrimento, datevi una mossa!

  48. @ Ro

    Cara Ro,
    se Ennio è un faro tu sei un lampo che va e viene solo quando c’è un temporale !
    Resta con noi anche quando il cielo è blu.

  49. @ Ro

    Musica in scatola di bionda qualità
    per la stagione grigia
    si effonde azzurrina tra gli alberi
    e nei capelli.

    Non so quale sorriso perfetto
    e femminile c’incanta e sovrasta
    corpo e pensieri che come pesci
    se ne vanno controcorrente.

    Tempo di pace che sopravvive
    anche in questo interno chiaro
    mentre fuori ci aspetta divertita
    la notte.

    Tempo di pace nel deserto.
    Sulla sponda del fiume, in un momento
    di confidenza con l’incredibile
    sotto l’immenso cielo d’amore.

    Oppure a Conny Island
    in una notte trafitta da insegne
    sognando di ricevere un caldo
    pompino dalla vicina di casa
    se solo capisse

    o ascoltando musica colta
    da un 33 giri sorseggiando ottimo gin
    e scrutando sul ghiaccio
    l’espressione mansueta
    di un orso bianco. Che non c’è.

    A Parigi musica latina
    tangueros e maracas, di tutto un po’
    e sconsolate discese da Montmartre
    nel rumore dei propri passi
    che ci fanno sentire soli
    e vivi.

    Senza notizie è il tempo di pace.

    1. @mayor
      Gran bella poesia che sa trovare in se stessa i suoi fari e i suoi lampi. Meraviglioso, nella sua laconica e utopica felicità, l’ultimo verso…. Ma non sarà “senza notizie” il tempo che ci attende… e comunque: Grazie Lucio!

  50. Mayoor sei grande!
    Questa poesia sta nel cielo , nel cuore, nel fuoco, nelle tenebre nel coraggio, nella paura, nella pace, nell’intervallo del piacere.
    A tutti hai parlato e così deve essere, senza giudizi ma con grande capacità-
    Complimenti!

      1. …grazie Mayoor, la tua poesia sa ritagliare uno spazio di serenità ( o felicità?) nel cuore dell’incubo…

        1. Non so, Annamaria, a volte ci tocca (ai poeti) di pensare a cose che nessuno considera. Vedere la pace in un conflitto è da pazzi, o da irresponsabili, ma anche questa è realtà…

  51. Per Cristiana e per Ennio

    🙂
    Come direbbe COMIDAD, con tutto il rispetto per le pecore che come animali a quattro zampe hanno sicuramente più dignità dell’animale eretto a due zampe,chiamato pure due volte sapiens sapiens, il “soggettone” in questione si presta a divertissement da sana osteria quando ancora c’erano e dovevano essere sostituite con i karaoke da pub del caffe letterario PECORARO e PECORECCIO in questione, nonché nobile APPECORATO a testimone e maestro di altri adepti da appecorare. In pratica una appecorology più della stessa scientology, da prendere paura a leggere non tanto lui, ma chi lo sostiene.

    Per Lucio
    “Senza notizie” ed altro ancora , rende il tuo scatto (poetico-pittorico) davvero pieno e nel tuo inconfondibile stile

    Per Emy
    Se potessi essere anche di poco poco come Rino Gaetano, saprei essere tanto nel suo blu come nel suo lampo…grazie del nostro affetto 🙂

  52. …a proposito di autorazzismo che può essere anche vero, ma umano in certe situazioni…

    La corsa alla pace s’è mai vista?
    Se qualcosa si muove va al rallentatore…
    La corsa alle armi, invece, non s’arresta,
    vince il campionato del mondo
    anzi”vince” il mondo.
    In più la prima, timida ormai,
    si nasconde, rossa di paura e di vergogna,
    per quel che vede fare
    dai signori della guerra,
    massacri dagli scranni dorati
    e lei inerme tra le vittime.
    Impari e perdente ogni confronto?
    Ma la pace potrà mai rovesciar le sorti,
    lei stessa facendosi guerriera?
    Assai difficile, penso, finchè non affina le sue armi
    nella ferrea convinzione,
    più dura del diamante e del cannone,
    di avere assolutamente ragione
    a pretendere il buon diritto delle genti
    alla vita e alla dignità
    …e forse così la pace vincerà la guerra
    i tamburi della pace

  53. Ciao Annamaria cara, un sorriso a te e a chi ho fatto sorridere, come Cristiana, nonostante le cose un po’ aspre o da pungolo che vi ho lasciato ieri e in questi giorni. Veniamo di nuovo al tema dell’autorazzismo e anche a questo tuo nuovo frutto, ritornando a quella di Lucio. Vorrei prendere un filo per ricollegare il tutto su uno dei nodi , capo e rompicapo dei giochi (del caos) del discorso relativo alle identità, che Ennio propone in altre letture ultimo post. Non so se ne sarò capace, anche perché ho poco tempo per strutturare meglio questo spunto.

    Tu,Annamaria, umanamente, e comprendo credimi, ritieni naturale , umano un certo autorazzismo in certi situazioni. Ti dico che hai ragione perché infatti siamo in un periodo in cui il racconto del mondo è affidato a chi , vuoi direttamente, vuoi subdolamente, ha tutto l’interesse a “comunicarlo” ricco di notizie e eventi (senza eventi o senza notizie, Lucio cit) in modo che addirittura anche le persone più lontane da chiare e nette posizioni, che per comodità, chiameremo leghiste e di centro destra, possano essere imbrogliate e ingabbiate in spazi che nulla hanno a che fare con autonomia, indipendenza, spirito (anche critico) nemmeno di un popolo o di un insieme di popoli, o di un paese o di un ‘europa, ma neppure ad iniziare da quella individuale di un singolo…tu figurati se di un insieme di individui!

    Facciamo un esempio pratico, che solleva tutta la commozione e l’adesione, umana e comprensibile (tanto più visto il precedente sterminio di “ebrei” ) per l’attuale di “arabi” (cristiani, musulmani , atei etc etc tutti) in terre sante, nonché probabile qui in Europa come il precedente… Prendi la manifestazione che ti/ci ha ricordato anche Ennio, non in mio nome. Paragonala ad alcune marce dei nostri pacifinti da tavola della pace e di assisi , tradendo ogni spirito dell’indimenicabile Capitini, prendi la tua nuova che possiamo accarezzare solo fra noi , perchè fa comodissimo a certe bandiere ridotte a gadget dei suddetti pacifinti, con buona pace della tua buona fede, su cui metto la mia mano sul fuoco. Queste marce, manifestazioni, indignazioni, piazze fanno comodissimo ai guardiani del terrore e della guerra, perché non puntano il dito sui responsabili , lo deviano nella difesa, di conseguenza ben poco solida, di alcune tenere foglioline, nascondendo la radice . Non in mio nome, in primis, se vuole essere di difesa del proprio porto o passaporto o identità da non scambiare con altre con cui non si vuole avere niente a che fare, deve partire puntando il dito contro chi ha ridotto la tua terra mediterranea, mediorientale ( nord africana etc ) all’annientamento, armando e finanziando dittaori e controdittatori, ribelli e contro ribelli, per ottenere il massimo profitto (del tuo petrolio, rotte marine, rinconversioni in oppio etc etc) . L atua identità era la seta, ora è la sete per un sogno imperiale americano che è il peggiore die tuoi incubi. Puoi fare questo non in mio nome, possibilmente senza bruciare bandiere americane o israeliane, puoi farlo con tutti gli strumenti non violenti amati da Gandhi o il nostro Dolci o Capitini, ma questa è l’unica difesa possibile del tuo nome. Del resto anche la parola “difesa”, nel piano più militare, è stata stravolta, altrimenti saremmo in un altra italia e in un’altra europa, che non va in missione di guerre per conto terzi , ergo per utili netti in altrui bilanci… altrui inclusi Lockheed Martin o Blackwater Worldwide , sette sorelle e fratelli delle petromonarchie et cetera et cetera

    “Al mercato elettorale si chiede a gran voce che i musulmani si dissocino da quanto accaduto a Parigi venerdì 13 novembre. E se lo fanno non è mai abbastanza. Non si tratta di una richiesta sincera ma di una psicosi collettiva di chi vuole rivendicare la propria identità soltanto quando essa è (o sembra) minacciata. Allora capisci il sistema dell’informazione occidentale quando vedi con che facilità il circo politico-mediatico associ Islam, Corano e Terrorismo e come dalla caduta del muro di Berlino ad oggi nessuno abbia mai contestato il fatto che gli Stati Uniti d’America possiedano, fin dalla loro nascita, la convinzione di essere stati scelti da Dio (quale? Il nostro?) per redimere l’umanità.”
    (…)
    http://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/esportare-la-democrazia-in-nome-di-dio-notinmyname/
    Sebastiano Caputo, 23 novembre 2015
    —-
    un abbraccio Annamaria
    🙂

    ps
    non ho inteso la poesia di Lucio come un spazio di serenità, ma di presa poetica per il culo delle nostre magiche atmosfere e notizie atlantiche

    1. Grazie, Ro. L’interpretazione è corretta, al punto che ho tolto l’ultimo verso perché qualcuno mi ha fatto notare che era pleonastico. Aveva ragione, la poesia si risolve nella “presa poetica per il culo ” a cui non serve dare spiegazioni… anche se è vero, però, che esiste una pace pacifista, invisibile ma sovrastante, che non andrebbe giudicata come ovattante o smemorante, o aliena dai misfatti del mondo, perché credo appartenga alla natura umana, almeno quanto la sua crudeltà.

      1. Vedi Lucio, io e te, in questo contesto, siamo relativamente “liberi” di assecondare ciò che chiami e che anch’io posso chiamare “natura”, ma fra noi. Io posso prendere le rincorse a ringraziarti, tu anche, e io ancora, anzi tecnicamente se Ennio può correggere, anch’io devo fare una modifica perchè non era mia intenzione usare qualcosa che svilisce certe terre e uomini, facendo il gioco di coloro che, anche di tante popolazioni (per nulla arabe, per nulla mediorientali, se non per favorevoli contaminazioni ormai del passato remoto) che si affacciano nell’ atlantico, dal Brasile al Portogallo, dall’ Irlanda all’ Argentina, hanno subito, brics o non brics successivi, il destino dello stesso cortile mediterraneo, con squadroni della morte o dello spread, piani condor o piani gladio 1.0 e release successive che ormai dovremmo conoscere a menadito (come se facendoti un esempio strampalato, fossi un tossico, ovviamente facendomi mi dico che seguo la mia natura e, dopo decenni che mi parlano in tutte le salse e trasmissioni, degli effetti ben poco salutari sulla mia natura, che in primis che è il mio stesso corpo, io fingessi a me stesso di non saperne proprio nulla di queste maledette conseguenze)

        Quindi dovevo scrivere per non ferire ulteriormente tutti i caduti e i sopravvisuti di questo terrore USA, come *atlantiste*…magiche atmosfere atlantiste, non atlantiche, che tu ha con efficacia preso poeticamente all’assalto

        Questo refuso o errore fra noi non fa orrore nè male a nessuno, ma in altri spazi e contesti “il nemico” che finge di essere tuo amico, studia , ascolta e imbadisce la sua tavola ( della guerra) con la tua tavola (della pace). Della natura del bosco di Gianmario, ad esempio, nulla rimane, quindi meglio orientare la propria natura non violenta, a ragionamenti e azioni che non diano tregua al nemico, altrimenti il passo della pace da una tavola al nobel, al nobel più bianco di tutti i neri d’america e del mondo, è molto molto breve e non si rivolta dalla tomba (in cui è stato messo guarda caso da chi) solo Malcom X.

        E questo non dare tregua, è di per sè non violento perché puoi farlo solo con un’arma, quella più in disuso anche nei contesti cosiddetti intellettuali, l’efficace presa poetica per il culo ( oppure cinematografica, teatrale, pittorica, informativa, giornalistica, etc et) della brodaglia puzzolente con cui ti hanno nutrito oltre i polli, pure i loro galli (leggi intellettuali, poeti, registi, politici…).

        Esche. Mangime del racconto della Storia. Trappole e inganni, ora pure mediatici, per raccontarti sia con serenità , sia con terrore, il palcoscenico delle notizie dal mondo , dal tuo paese, dall’europa. Schizofrenie simmetriche che non meritano, proprio per il rispetto che dobbiamo alla nostra natura ( e possibilmente anche di cervello), nessun nostro cosciente o incosciente appoggio esterno, o involontaria complicità.

        ciao Lucio 🙂

  54. Riporto qui un commento dell’amico Luca Gori, che ho ricevuto su Facebook. Lo faccio perché secondo me Luca ha talento per la poesia, o forse per la satira, non so.

    un po’ di storia, geografia, geometria, matematica, economia e finanza, religione, zero in condotta. Maga Magò ci farebbe un elisir di lunga vita (perchè la vita è pur sempre una lotta). Saipem un pozzo di San Patrizio in mezzo al Mediterraneo (sarà un caso che appena trovato un gran giacimento, che doveva portare stabilità in quella zona, sono cominciati i problemi?), Fiat ci farebbe una nuova Panda più grande, più SUV anzi più Grizzly. Israele una colonia. Colonia una nuova Acqua di Giò. In ogni disgrazia c’è insistentemente uno che se ne fa grazia, sempre che poi l’exvoto non venga venduto da solito prete in astinenza di oboli. Anche il divino non vive di solo pane, ma 1/2 d’acqua, 1/4ino di vino dolce e caffè (purchè La Vazza) per metterci la pezza a fine pasto, se qualcosa non è piaciuto e sopra tutto il Fernet, che per troppi è sempre un fer spurc che porta tetano e infenzioni in tutte le coalizioni).
    (pesco sempre dal diario di Lucio Mayoor Tosi che ne sa sempre una più dell’Inter, oltre di tante altre cose che non dice per modestia)

  55. Vi mando questa nuova poesia, e vi chiedo se sia il caso che pubblichi anche sul mio blog. Capirete: se è vero che l’occidente è coglione e potrebbe non dargli peso, non so per quegli altri…

    Stupro.

    Il maschio occidente allena il fallo con mosse pubblicitarie
    sulle pareti della vagina

    e si delizia al pensiero riproduttivo del proprio dominio
    conservatore della specie.

    Con mosse suadenti perfora il miele della volontà d’amore
    e vince quando l’eiaculazione

    sfocia nella carneficina: immenso fungo atomico che
    combinato con l’aria

    porterà pace a tutte le sementi e frutti gravidi di lussuria
    destinati a ripetere le gesta

    dei loro padri. Nel mentre la donna muore molte volte
    e si prosciuga.

    Ben diverso è l’oriente sodomita. Egli stringe maschio e femmina
    nell’abbraccio penetrandoli

    divinamente. Senza mascara e tacchi a spillo ma come bestie
    purché si compia

    il verbo del profeta. Non il suo ché nell’atto d’amore s’annulla
    soltanto, vittima sacrificale

    del proprio starnuto.

    Gioca e strilla nel suo seggiolone un bambino gagliardo.

      1. No, Mayoor, per piacere non farla circolare. L’oriente sodomita? E la pedofilia ecclesiastica occidentale, allora? e i movimenti LGBT? E i turisti, maschi, occidentali, che ho visto scendere nelle barche sulle rive del Nilo ad Assuan? Ma cos’è questa rivendicazione di un sesso “correttamente eterosessuale” sia pure gaglioffo, occidentale, e un sesso infantilmente promiscuo orientale? Se tu vuoi, come credo di capire, indicare due modalità psicologicamente immature di interpretare il ruolo maschile, evita però di collocarlo geograficamente e culturalmente!

          1. … però l’intento era un altro. Tentavo un parallelo tra guerra e sesso, a me dell’eteromania perfetta non me ne importa nulla.

          2. Ma perché cancellare? Meglio capire perché finiamo per usare uno spazio pubblico in un modo che a me pare discutibile e decontestualizzato…

  56. SERIAMENTE E DI PETTO

    @ Mayoor

    Continuo a non capire perché, proprio in questi giorni in cui la storia ci imporrebbe uno sforzo in più almeno per tentare di capire il senso di eventi che potrebbero avere risvolti tragici per tutti, si debba – nella zona apparentemente franca della poesia e proprio qui su “Poliscritture” – parlar d’*altro*.
    E non mi si risponda che l’*altro* qui evocato nei tuoi versi è invece ben collegato ai fatti di Parigi. O che è parlando di questo *altro* che la poesia dà il meglio di sé e costruisce «uno spazio di serenità (o felicità?) nel cuore dell’incubo…» (Locatelli).
    Beh, anche sul Titanic che affondava pare che l’orchestra per un bel po’ abbia continuato a suonare la stessa musichetta di sempre.

    P.s.
    E poi non mescoliamo i temi a capriccio. Se si hanno altri temi da trattare si fa un altro post.

  57. Hai cominciato tu con una poesia. E io scrivo poesie con la presunzione di cercare punti di vista inconsueti. Cancellala per favore, ma non dirmi che questo non sia un ragionare sul tema… per giunta femminista, cosa che Cristiana non sembra aver capito. O forse sono io che ho sbagliato tutto.

      1. @ Mayoor

        La mia non è una censura. Un chiarimento mi pare possibile e benefico per tutti/e. Si tratta, innanzitutto, di capire quali sono i modi migliori per commentare in questo nostro spazio. In secondo luogo, è certo che ho cominciato io con una poesia e che tu hai tutto il diritto di postare le tue. Ma si tratta anche di trovare nel vivo di una situazione la risposta alla domanda – vedi un po’ – “quale poesia oggi?”. La mia e le tue o le poesie d’altri/e sono solo esempi di modi diversi d’intendere il rapporto con certi eventi e il modo di fissarli in poesia. Non è detto che abbia ragione io o che ce l’abbia tu. Per ora, dunque, non cancello.

    1. @ Mayoor: Accidenti a questo femminismo infilato dappertutto! La tua poesia è una riflessione fatta da un maschio su fantasie storicamente incoraggiate e realizzate in società a prevalente immaginario maschile. Opportunissimo che i maschi le facciano, queste riflessioni, perché li riguarda. E’ vero che ha cominciato il femminismo a riflettere, sulla sessualità propria a dir la verità, ma anche a dire ai maschi che avrebbero dovuto anch’essi fare un lavoro su di sé.
      E’ vero anche che il terrorismo e la guerra coinvolgono fantasie di sesso, anche perché sono strutture per lo più omofiliche. Sto leggendo un libro del solito generale Mini (solito, perché lo cito sempre) in gran parte dedicato agli eunuchi e al nesso potere-eunuchi. Per dire che la sessualità e il potere si conoscono bene tra loro, eccome!
      Ma il tema è così ampio che chiede appunto altri spazi e riferimenti.

      1. Grazie per avermelo ricordato. All’inizio degli anni ’80 lessi Il mito del potere maschile, di Warren Farrell, proprio perché capii il messaggio delle femministe (In realtà un libretto quasi senza storia). Eri già nata, immagino. E non sto a dire della terapia… ma come dici tu, che pure ammetti l’ovvietà del nesso sesso-potere, il tema è così ampio!

          1. @ mayor
            La tua è davvero una “presunzione”. Il nesso sesso-violenza guerresca è vecchio come il cucco. E’ già presente, per esempio, nei lirici greci. Ciò non toglie che questo tuo ultimo tentativo poetico sia decisamente fallito. Non per ciò che dici ma per come lo dici. La forma non è mai indifferente al poetare. Una “poesia” quindi non da censurare ma da “autocestinare”.

  58. Ok questo di achtung é passato…il precedente a cui mi riferivo, no in quanto conteneva più di un link? W.Press deve avermi scambiato per spam. ..:-)

  59. @Paolo Ottaviani

    è quel che ho detto, che in questo caso vorrei auto censurarmi… ma per riflettere, non perché pensi di aver fallito un testo. Ho ragione di credere che questa poesia andrebbe solo perfezionata.

      1. @ mayor
        Talvolta, per far emergere quel “qualcosa di buono” che può trovarsi dappertutto, è bene cestinare, dimenticare… “il buono”, se ce n’è, rifiorirà chissà quando… ciò che conta davvero non è il fatto altri – ” me lo confermano le critiche” – ti dicano che c’è del buono… ma il fatto che tu, e solo tu, riterrai quella determinata poesia immodificabile e non più “perfezionabile”, se invece tu stesso la censureresti…

        1. Paolo, ti ringrazio ma
          malgrado il tono biblico anche questa poesia ha avuto una genesi personale. E intendo rispettarla. Stiamo uscendo dal tema, non vorrei si smorzasse la luce dei copincolla (ironico eh!)

          1. Se posso permettermi, Mayoor, visto che nella poesia sei tu l’autore, è l’angolo di prospettiva che puoi mutare, non il tema, né l’argomentare: è il soggetto narrante che dispone l’oggetto di indagine e lo ristruttura in rapporto a sé che deve riprendere la padronanza del tema. Se è possibile. Altrimenti il tema lo sopraffà dall’esterno. Come in realtà mi pare sia possibile, e non auspicabile, in questa poesia.

  60. Via, siete troppo amichevoli. Pensate piuttosto ai tipi che in televisione ci vanno dopo essersi fatti annusando petroldollari… lo si capisce anche dal sorriso che sotto c’è un stato erettivo più che imbarazzante. Che diamine: si scopassero tra di loro…

    1. Ok, tu vedi il sorriso che c’è sotto. Io annuserei solo puzza di esplosivi (vicino alla mia zona c’è una “polveriera” che ogni tot di tempo azzera gli esplosivi delle guerre passate avvelenando le viti gli olivi e i polmoni). Scoparsi tra loro (meglio le giovani donne e i ragazzini) è un invito che ti rimandano volentieri. Non c’è leggerezza, Mayoor. E ci stiamo tornando in mezzo, sì o no?

        1. Caro Mayoor permettimi d’insistere: quello scoparsi tra loro (meglio le giovani donne e i ragazzini) che tu hai individuato è, appunto, qualcosa che ti rimandano. Un gran lavoro da fare. Altro che bacchettate.

          1. Ma che dici? I “LORO” IN QUESTIONE SONO AMERICANRUSSIARABIANGOVERNANTI+HOLLANDEQUELCHEOFFREL’EUROPA, guarda Cristiana che mi stai preoccupando…

          2. No, caro, so quello che dico. Se loro, i dominanti americanrussianarabian ecc, dominano, noi siamo anche complici delle “forme” di dominio. Razzismo, consumismo e… quel sesso che tu hai cercato di individuare con la tua poesia. Vai avanti. Baci.

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