Da “Poesie incitanti all’odio sociale”

angeli sopra berlino

di Alberto Rizzi

 

 

SPECIMEN

Su frammenti di vetro rotto cammina la speranza
e pone gli occhi attorno
—————————–e guarda
e seduto vede un maschio d’uomo
d’ampi gesti chino e grugnente che
——————————————-quasi fratel fatto a primate
scimmia dagli occhi surrealisti
————————————-a crudi bivalvi suca ‘l molle frutto

Ha sua mogliera accanto
——————————alla qual fedele è quasi sempre
che in parole poche ed occhi di baiassa
tenta di ministrar du’ figli
——————————-già pingui a tristi grassi
che verso il futuro senza futuro vanno
———————————————–catatonici o a nervi fatt’a pezzi
a pallidi pensieri a stent’appési
con dita rese fioche dai displei

Mentre così s’aggrada
—————————lei si sovvien
che quasi sempre lei gli fu fedele
—————————————-accettando ormai però suo fato
che un’inutile vita sembrarle le fa bella

Vede
——la Speranza
tale icona donata al nostro tempo
———————-a chi verrà
quale di noi testimonianza prima e vera

più fortunato o sol più saggio
————————————lui dopo di noi
se quasipercàso ci sopravviverà
E chinati gli occhi al suolo
ancor non smette di sperare piano

 

 

UNA BREVE SPECULAZIONE SULLA FENOMENOLOGIA DELL’ORRIDO

L’anima di chi lavora vola basso
come un bruco
——————ma meno nobile

E’ scusa di sudore
———–di piaghe o calli alle mani
il loro camminare testachìna
———————————-ignoranti del verde che fiorisce là
al riparo dei portoni

L’anima di chi lavora vola in basso
schiva la terra
—————–ma s’impalta d’unto & grasso
inciampa nelle grate dei tombini
a mentirne mendicata sorellanza

non ha coscienza dell’alto perché
—————————————-pur con lo sguardo fiss’al proprio corpo
a null’altro pone occhio
che a ciò dabbasso alla cintura

Brama fattezze robuste
—————————-allora
e un turpe parlar per sovrappiù

tutto ciò che l’intellettuale impotente
invidia a sua volta perché non ha
——————————–non ha coraggio d’avere
———————–perché anche lui vorrebbe volare basso
confuso in quel pattume proletario
che dice d’adorare
———————-finché pattume rimane
permettendogli l’ipotesi d’un’utile esistenza
———————–una protesi al cuore suo essiccato
randagio come una bestemmia
Perciò
———sostenuta da questo ben alto esempio
anche s’eppur conscia infin
de lo suo fine
——————-qual dentro un mareggiare pallido e assorto
empìta di stupido, vociante silenzio
——————————————-l’anima di chi lavora
s’aggrappa sempre al suo volare basso

 

 

UN FIL DI FUMO

S’è fatta un’ora tarda
————————-donna-vestal del Telepiù
ed ancor fissi
—————-devota al tuo mestiere
la luce che lieta singulta dallo schermo

Tu dimmi allor
——————-? qual cose passast’accànt’all’òggi a quali
che colme di significanza ti fussero

Come l’imberbe pennuto
————————————di quelli che stanziali
vanno per questi ostelli
——————————–il passo remigasti a sportivi spogliatoi
donde un cilestre afror di maschio
sveglia i sensi a lor signore
——————————–se quando di qui s’accostan

e questo è tutto

Impasti or tue mani nella cena
————————————-mentre di là
effluvio d’odio ti molce dallo schermo

a torme i figli vostri
————————pingui e catatonici a simiglianza vostra
oppur snervati da frenetici ansiolitici
—————————————————–a simiglianza vostr’a torme
rincoglioniti s’affollano ai displèi
—————————————-oppure come mosche si schiantano sugli alberi

Impasta allor di carne la tu’ cena
—————————————-signora
tu che disdegni lo specchio che trop’ sa
e inanellata cambi di canale
immacolata
quando a sentor t’accorgi di vedere
ciò che vi meriti vi si cada addosso

come scure il fuoco-sole
là fuori dalli vetri
e il ferro
———-fattosi manciata d’emozioni

China il tuo capo
———————tenue il volto di sorrisi
affianco l’apparecchio
——————————-né ti curar dei pochi come me
che viaggian quella goccia come lacrima
dal vetrospórco di finestra
ed il suo tendere per logica all’imbasso

China il capo e addòrmiti sedata

la stolta maggioranza degli idioti
ti rassicuri dell’aver ragione
———————————sputo di calor nella tua vena

Ti colga pur la morte pur te ancor serena

non c’è quaggiù più umanità che tenga

 

 

INVOCATIO

Padre Fiume
——————umiliato, deriso, vilipeso
riprendi ciò che è tuo

la vita e l’amore

Scalzando via la miseria
che bieca ti lorda
———————tràcciati bassa la tua vecchia strada
sulla pianura errante
—————————–cancella i sogni divenuti immondi e
con violenza sublime
——spietata umiltà
insegna ovunque l’inattualità del perdono

Fai che loro si perdano
—————————-come turbe squallide di subumani
fuggenti l’onda tua disalveata
———————————–fai che se ne perda il ricordo
nell’incancellabilità di qualche ombra
————————di qualche trave o spuntone
riemergente ed atteso di stagione in stagione
da occhi infine amici
——————————davvero
fai che si perdano

di salvo ci sarà sempre qualcuno
———————————————–ad estrema speranza come seme
che attraverso il velo del pianto
——————il muro del sorriso
poi vede

E concedi a noi il potere
——————–la forza
a noi ancor sì pochi nel rispetto
per acacciarli via e via di qui
—————————————–lontano ancor di più se tentassero il ritorno
nell’hic sunt leones delle loro menti
senza speranza irriverenti e ossute
——————-svuotate e uggiose

Per poi tornare noi
————————–Padre Fiume
a respirare piano d’un respiro quetato
nel ritmo comesàbbia delle onde
—abbracciare le ginocchia tue di salice ritorte
fratelli di crescita in ogni vita altrui
e in allegrezza e pace e cosìsìa

 

 

A R.C., PER SUA PERSONALE APOCALISSE

Bruciano il contado rami odorosi e opachi

Non è nulla
—————–è solo cosa giusta fra le molte
brano di poesia che si porta a specchio
——————–che sopravvive ad orbite svuotate
——————————————–al piscio
——————————————–ai morti inginocchiati
o a quelli che in piedi ti parlano in TV
——————————————–all’abominio

Quel che chiamasti “Padre” ci abbandonò
——————————————————–tu dici
via ci succhiò il sangue
con ogni pensier puro
—————————per regalarsi un deserto calcinato
dove sentirsi il solo
——————-l’unico
——————-il migliore

Per questo anche lui morrà
———————————stanne certo
orbite disossate in teschio fatto d’aria

Tu vedesti e piangesti
per la follia del subumano che non ci rassomiglia
ed ebete distrugge ciò ch’è buono e puro
————————————————–onde n’aver più specchio
per confermarsi bestia front’a Quello
che ben deforme dentro sì forte gli somiglia

Bruciano rami odorosi e stanchi, sì

è un profumo che si sparge caldo
al ciglio della strada
————————che si porta dentro aroma di terra
col caldo dell’erba dopo pioggia
e qualche insetto imprigionato
————————————-pigro e sfortunato fra le fascine
nel suo creder d’aver trovato casa

(pari in questo al migrante, che con odio vien respinto contro la sua giusta
certezza di poter trovar casa ovunque?)

se ne va con esso fumo altrove

Come e comunque i morti nostri

Anche se poi v’è modo e modo di morire

si muore d’impotenza
——————————quando colpisce al cuore
e stringere la mano ad un defunto
–fissarne il vuoto d’occhi
toglie a noi calore senza donare nulla

Va bene
———-è finita

Il male non è l’edificio alfin combusto
e neppure la pazzia di molti
che produce quest’ombre senza pace
———————————————od altro fumo
acre

il male è sprecare dei migliori
la saggezza ed il consiglio
———–respingerli a saliva
———–renderli ignorati
———–annegarli nel santo quorum a maggioranza della folla
ed impotenti, perciò morti, perciò

È ciò che ciascheduno fece
—————————————abbassando la faccia infìn’al fango
in fronte a ciò che tu credesti “Padre”

Brucia qualchecòsa laggiù
———————————? vedi

Per me son rami
——————–per te
fìdati
——sarà lo stesso

Abbraccia un albero

sfida una rondine a nutrìrsit’in mano

pianta i tuoi piedi ben’in terra
————————————infelice bipede finora
sei ancora in tempo
e lasciali coprirsi

Confida in Molti
e prendi/dona più che puoi
d’amore e di saggezza

 

CANZONE DI SPERANZA

Sempre cari mi furon questi colli
donde uno sguardo hermoso
————————-pulcro
s’abbraccia alla pianura sotto
————–a quella conca
che una penuria di foschia fa indovinare
e donde s’alza il rumore di quei bruti
che vanno e vengono
————————–ciechi nel lor’andàre senza un dove

Ma sedendo e mirando
—————————-pur se per compagn’avèndo la monnezza
che anche costì
———————su queste prode alte
molt’individui che compongon gente
qui lascian per sentirsi di qualcosa fieri
———————————————–men che bestie, ma fieri
di questo almeno in cuor lor provando vanto
——————————————————-io sedendo e mirando
io so che un giorno vi sarà silenzio

Non uno sciamare altrove dei rumori
—————————————————lento
ma un silenzio tutto ed inatteso
——————————————-che rapido da primo alzar di sole
ecco vedete
————–come corvo in volo su campi coltivati
nero regalerà un brivido nell’ossa
——————-un’occhiata stupita
dall’occhio all’occhio del vicino
——————-uno scalpicciar di passi
cui disabitudine ci fa ferir gli orecchi
——————-un’attenzione nuova ad ogni odore

Un silenzio forte e vivo
come voce che da gola “Tùdovesèi!!!” or gridi
e gridi e gridi ancora
d’uno stupore che trascenda fuga

E allor prevedo
———————-dal sommo d’una giogaia sacra
che un dai-molti-non-compreso nèmeton accoglie
————————————————————-un dio destarsi
di cespuglio in cespuglio
che si credeva morto

E disquamarsi in voci piane
prevedo quel silenzio
e Uomini
————press’a quel dio già da lungtèmpo desti
venire avanti
——————danzando il fucile fra le mani
o chi il non men sacro badile
—chi la cruna dell’ago
—chi libri belli
altireggèndo come icone
——————————popolo pastore che si ripiglia il tutto
la terra come l’aria

——————((la vita e l’amore)

dal far di subumani assaiassài lordate

E scenderanno i colli

E accenderanno il fuoco

 

(tutte le liriche sono tratte da “Poesie incitanti all’odio sociale”,
Ed. Puntoacapo, Novi Ligure (AL) 2008)

15 pensieri su “Da “Poesie incitanti all’odio sociale”

  1. …trovo notevolissime queste poesie di Alberto Rizzi, la sua voce impersona una sorta di angelo vendicatore che, indignato per la svolta dell'”umanità” nell’orrido subumano, incita più che all’odio i sopravvissuti all’odio a riprendersi il pianeta: “…popolo pastore che si ripiglia il tutto/ la terra come l’aria/ (la vita e l’amore)…” Alcune composizioni : “Un fil di fumo”, dove con un linguaggio trecentesco, a tratti aulico, da dolce stil novo, quindi dall’effetto sarcastico, il poeta si scaglia contro la figura stereotipata moderna di donna e madre, anzichè angelo del focolare domestico, di”un fil di fumo” … “Invocatio”, un preghira rivolta al Padre Fiume perchè spazzi via tutti i responsabili del suo degrado…”A.R.C. Per sua personale apocalisse”, un testo decisamente dissacrante, ma nella conclusione la voce dell’angelo-poeta, come ben nel suo ruolo, richiama l’uomo alla saggezza: “…”…abbraccia un albero/ sfida una rondine a nutrirsit’in mano/ pianta i tuoi piedi ben per terra/ infelice bipede finora/ sei ancora in tempo/ e lasciali coprirsi/ Confida in Molti/ e prendi-dona più che puoi/ d’amore e di saggezza”

    1. Innanzitutto grazie per il suo apprezzamento.

      Tutto quello che ha scritto, che è sostanzialmente giusto, mi permette di chiarire meglio alcuni concetti e di “aggiustare il tiro” su altri.

      In effetti le mie poesie “civili” prendono a bersaglio, coloro i quali hanno abiurato alla loro sensibilità, spiritualità, cultura e a ogni altra ricchezza interiore, per la comodità di vivere piegati a 90°… Non serve prendersela con chi è al potere (sia di fatto che nella facciata del Sistema), perché costoro hanno scelto coscientemente di vivere “fuori etica”; e possono governare solo in virtù del consenso o del tornaconto della maggioranza. Questo, si badi, sotto qualunque sistema politico.

      Di conseguenza, visto che – secondo me – è ormai impossibile far sì che la maggioranza prenda coscienza del proprio stato; o meglio, decida di uscire dal vicolo cieco nel quale la sua grettezza l’ha cacciata, l’unica soluzione è fare appello a quella che io chiamo “la minoranza sana del Paese”, affinché la smetta di sprecare le proprie energie, nel tentare di rianimare un cadavere, e cerchi di costruire qualcosa per se stessa, fosse anche una zattera, una scialuppa di salvataggio. Sempre pronta a fare entrare chi – spazio permettendo – faccia ancora in tempo ad aprire gli occhi.

      Questo comporta anche il ri-allearsi con la Natura (il “Padre Fiume” di “Invocatio” è il Po: che già diede prova in un paio d’occasioni di grande coraggio e determinazione, qui da noi): nel senso di non strapparsi i capelli di fronte alle catastrofi, che il comune sentire attribuisce alla “Natura assassina”, piuttosto che all’imbecillità di detta maggioranza. E quindi cercare di cavalcarle – se possibile – come un surfista cavalca l’onda.

      Questa nuova alleanza può avvenire (“A R.C., per sua personale apocalisse”) solo abbandonando il Monoteismo e ritornando al Politeismo, almeno a livello filosofico e/o di religiosità interiore.

      A questo punto mi resta solo da precisare, che con “Un fil di fumo” non voglio patrocinare il ruolo femminile di “angelo del focolare” in contrasto con atteggiamenti più moderni. Per me fondamentale è la libertà di scelta, che passa attraverso azioni minime, come decisioni cardine: decidere se tenersi o togliersi il velo sono sullo stesso piano; come vivere da single e realizzarsi attraverso il lavoro, oppure dedicarsi anima e corpo a casa e famiglia.

      Contrariamente al sentire comune (della maggioranza…), per me non è il fine che giustifica i mezzi: ma la scelta dei mezzi si riverbera sul benessere che il fine produrrà sugli altri.

      “Un fil di fumo” è (molto più semplicemente e secondo la logica delle “quote rosa”…) una lirica speculare a “Specimen”: se c’è una cosa nella quale uomo e donna hanno raggiunto la parità, è la responsabilità che hanno avuto nel permettere che questa società sia stata distrutta dall’interesse di pochi, scambiato stupidamente per il proprio.

      La ringrazio ancora.

    1. Li sta già facendo, Flavio, li sta già facendo; ogni volta che qualcuno apre il mio sito e legge la frase che c’è nell’home page: sia che, malgrado quella frase, qualcuno mi pubblichi, mi faccia fare una presentazione, mi dia spazio su un blog o una rivista; sia che scappi via e faccia finta che non esisto.

      Non dimenticare che “una dittatura cerca di sopprimere fisicamente i suoi oppositori, una democrazia cerca di ignorare chi la critica”. Virgolettata, perché non è mia, ma non ricordo chi l’abbia detto.

      Va bene così.

      Grazie, Flavio.

  2. Sì, anch’io trovo ridicolo quella specie di cappuccino (caffè e latte) in cui il padre possa fare la madre e lamadre possa fare il padre, o l’uomo la donna e la donna l’uomo. L’individuo è quello che è . La comprensione e la condivisione è la vera uscita verso la libertà che produce il vero senso felle unioni .
    Ma oggi i sensi di colpa creano molta confusione . Incasellati sia nei doveri che nelle “gioie”siamo prima o poi tutti uniti nel sacco della cosidetta normalità.
    Che tutti possano piangere o ridere con la personale intensità , abbracciare, accarezzare , lavorare, educare senza annullarsi in favore di una società che tutto può insegnare tranne la strada che conduce ad essere se stessi in favore di un mondo migliore.
    Dissacranti queste poesie? Direi di no, anzi….

    1. Sono d’accordo con lei e la ringrazio: infatti lo scopo che mi son dato, col filone “civile” della mia poesia, non è quello di dissacrare, ma quello di far meditare chi abbia questa capacità; e indurlo a trovare soluzioni coerenti col percorso di crescita, che devono compiere individuo e società.

  3. Ho già detto in privato ad Alberto Rizzi che stimo la sua ricerca poetica e artistica (si veda al link: http://www.seautos.it/) che come la mia e quella di tanti altri è sotterranea, ai margini, in ombra ( come volete) e destinata a svolgersi lì fino ad esaurimento. Ma ho degli appunti critici sul contenuto dei commenti qui pubblicati e li sottopongo alla discussione:

    @ Locatelli

    Io invece temo che proprio l’invocazione di un «angelo vendicatore» sia “poetica” ma consolatoria e rischi di distrarre dal compito (anche dei poeti) di capire e contrastare quella che chiami «la svolta dell’”umanità” nell’orrido subumano». L’indignazione – lo vediamo – non basta più, non smuove nulla.
    Quanto all’uso da parte di Rizzi di «un linguaggio trecentesco, a tratti aulico, da dolce stil novo» (che ha avuto precedenti letterari recenti tra i post-sperimentalisti, ad es. della rivista «Baldus» di Cepollaro e altri), pur apprezzandolo da un punto di vista meramente letterario (da appassionati di letteratura) perché ironico, sarcastico, anticonfromistico e raffinato, non mi pare che possa *sfondare* verso la benedetta/maledetta *realtà*, di cui abbiamo discusso anche a proposito del post di La Grassa ( e ancor prima). E poi non vorrei sorvolare su certi contenuti politici per me abbastanza ambigui che questa poesia comunque contiene. Cosa vuol dire, ad es., scagliarsi « contro la figura stereotipata moderna di donna e madre, anziché angelo del focolare domestico»? (Sì, Rizzi ha chiarito che non vuole « patrocinare il ruolo femminile di “angelo del focolare” in contrasto con atteggiamenti più moderni», ma altri sì…). E quel richiamo “pagano” al «Padre Fiume», che a me evoca rituali leghisti-bossiani? E ancora: come si fa a prendere-donare « più che puoi/ d’amore e di saggezza”», se i rapporti sociali sono stati sconvolti ancor più che in passato e a danno proprio dei singoli e dei «molti»?

    @ Rizzi

    Ho molte riserve verso le poesie “civili”. So che è fastidioso rimandare a discussioni precedenti ma devo farlo; e perciò chi ha voglia di approfondire la questione può leggersi uno scambio tra il compianto Gianmario Lucini, l’amico poeta-editore ai frequentatori di Poliscritture ben noto, e me sull’argomento ai seguenti link:
    https://moltinpoesia.wordpress.com/2013/10/14/gianmario-lucinipoesia-potere-e-ribellione-nota-deontologica/comment-page-1/#comment-8156
    https://moltinpoesia.wordpress.com/2013/10/17/ennio-abatedue-precisazioni-sulla-poesia-civile-e-sul-rapporto-tra-poesia-e-altri-saperi/
    Quelle riserve fanno da sfondo alla mia critica a tue affermazioni del tipo: 1. « Non serve prendersela con chi è al potere (sia di fatto che nella facciata del Sistema), perché costoro hanno scelto coscientemente di vivere “fuori etica”»; 2. « visto che – secondo me – è ormai impossibile far sì che la maggioranza prenda coscienza del proprio stato; o meglio, decida di uscire dal vicolo cieco nel quale la sua grettezza l’ha cacciata, l’unica soluzione è fare appello a quella che io chiamo “la minoranza sana del Paese”, affinché la smetta di sprecare le proprie energie, nel tentare di rianimare un cadavere, e cerchi di costruire qualcosa per se stessa, fosse anche una zattera, una scialuppa di salvataggio. Sempre pronta a fare entrare chi – spazio permettendo – faccia ancora in tempo ad aprire gli occhi.»
    La prima la trovo ingenua, perché la politica è *la politica* (buona o cattiva e si tratta di vedere per chi è buona e per chi è cattiva e scegliere con chi si sta) e non un «vivere “fuori etica”». La seconda perché, se trovo ragionevole che l’eventuale (ammesso che ci sia) « minoranza sana del Paese» non sprechi tempo a «rianimare un cadavere», non condivido che possa « costruire qualcosa per se stessa» e per pochi altri magari “ritardatari” che aprano gli occhi e possano essere aggiunti al suo «spazio». Le minoranze o agiscono in relazione (dinamica) con la maggioranza o tendono cristallizzarsi in sette di eletti più o meno spocchiosi o immusoniti. E questo io lo temo (non solo in poesia).
    Non so poi cosa tu intenda per «ri-allineamento alla Natura» (un ritorno ad essa, l’Incontaminata, la Buona, la non Matrigna? uno sviluppo sostenibile? la decrescita alla Latouche?). E a cosa ti riferisca quando scrivi che Il Po ( il “Padre Fiume”) « già diede prova in un paio d’occasioni di grande coraggio e determinazione». Non penso, infine, che le catastrofi siano imputabili solo all’imbecillità della «maggioranza». La storia delle società umane ha cristallizzato rapporti (diseguali e gerarchici) di forza tra loro; e la stupidità è sì un fattore che entra in gioco ma non l’unico o il decisivo o quello eliminabile senza il mutamento effettivo ( e non a parole) di quei rapporti. Insomma non credo che la soluzione delle difficoltà del rapporto degli uomini con la natura debba o possa tornare ad essere gestito su un piano religioso (politeista invece che monoteista). Né penso alla possibilità di una *effettiva* libertà individuale raggiungibile senza il mutamento dei rapporti sociali niente affatto liberi. Non si potrà mai « decidere se tenersi o togliersi il velo […]vivere da single e realizzarsi attraverso il lavoro, oppure dedicarsi anima e corpo a casa e famiglia.» se permangono rapporti sociali conflittuali o addirittura di guerra. Se l’io cambia in un modo (verso una libertà effettiva o immaginaria) mentre la società cambia in senso opposto irrigidendosi, imponendo più controllo sociale o paura o nuove élite più tracotanti di quelle del passato, vedo solo guai e tragedie in arrivo.

    1. Temo, Ennio, che dovrai attendere un po’ per una risposta: hai messo sul fuoco un bel po’ di argomentazioni e mi ci vorrà del tempo, per costruire una risposta che sia “esaustiva e articolata” da un lato, abbastanza sintetica – per non far fuggire chi può essere interessato… – dall’altro.

      Ma penso che qui nessuno abbia fretta.

      1. E’ stato un lavoraccio, ma alla fine ce l’ho fatta: ho diviso per punti le osservazioni di Ennio e ho provato a replicare. Mi scuso per la lunghezza… Speravo che il copia-incolla mantenesse i caratteri corsivi e non, coi quali avevo diversificato domande e risposte; pazienza se non è stato così. Riguardo alle perplessità sul filone della poesia “civile”, mi riservo una risposta separata: perché l’argomento è lungo e complesso (come dimostrano contributi e riflessioni trovate qui finora); così da riprendere e far ripartire la discussione al riguardo, se si vorrà.

        Ho già detto in privato ad Alberto Rizzi che stimo la sua ricerca poetica e artistica (si veda al link: http://www.seautos.it/) che come la mia e quella di tanti altri è sotterranea, ai margini, in ombra (come volete) e destinata a svolgersi lì fino ad esaurimento. Ma ho degli appunti critici sul contenuto dei commenti qui pubblicati e li sottopongo alla discussione:

        @ Locatelli
        “Io invece temo che proprio l’invocazione di un «angelo vendicatore» sia “poetica” ma consolatoria e rischi di distrarre dal compito (anche dei poeti) di capire e contrastare quella che chiami «la svolta dell’”umanità” nell’orrido subumano». L’indignazione – lo vediamo – non basta più, non smuove nulla.

        RISP. – Non faccio il tifo né per “angeli vendicatori”, né per “uomini della Provvidenza”; e questo né attraverso le mie poesie, né nella vita. Dato che – come tu stesso riconosci – l’indignazione non basta più, mi adopero con la poesia e nella vita, perché quella che chiamo “minoranza sana”, agisca nell’unico modo che credo ormai possibile: per sé stessa e per i propri “simili”. Ritornerò sull’argomento in una risposta seguente, visto che qui sto seguendo l’ordine che hai dato ai tuoi pensieri.

        “Quanto all’uso da parte di Rizzi di «un linguaggio trecentesco, a tratti aulico, da dolce stil novo… non mi pare che possa *sfondare* verso la benedetta/maledetta *realtà*, di cui abbiamo discusso anche a proposito del post di La Grassa ( e ancor prima).

        RISP. – In tutta onestà, lo uso solo per sottolineare meglio certi passaggi delle mie poesie: dando loro una certa musicalità (alle volte “anti-musicalità”, per usare un termine alla futurista…), per sottolineare o connotare un concetto, una situazione che ritengo importanti. “Sfonderà” verso la realtà? Non lo so; forse questo risultato potrà variare da lettore a lettore, sulla base della sua propria sensibilità.

        “Cosa vuol dire, ad es., scagliarsi « contro la figura stereotipata moderna di donna e madre, anziché angelo del focolare domestico»? (Sì, Rizzi ha chiarito che non vuole « patrocinare il ruolo femminile di “angelo del focolare” in contrasto con atteggiamenti più moderni», ma altri sì…).

        RISP. – Qui non ho capito a cosa tu riferisca quel “altri sì”: intendi che ci sono “altri punti”, riguardo al rapporto uomo / donna, nei quali l’ho fatto? O che altre persone hanno letto la mia poesia a quel modo, malgrado la mia precisazione?

        “E quel richiamo “pagano” al «Padre Fiume», che a me evoca rituali leghisti-bossiani?”

        RISP. – Per carità, lasciamo fuori certa feccia! Non è colpa mia se – per far breccia nell’immaginario collettivo della maggioranza decerebrata, contro cui spesso mi scaglio – certa gente plagia e corrompe, o distorce, elementi di culture antiche o differenti dalla nostra. Se poi a qualche lettore questo mio tentativo di far riflettere le persone sulla necessità di un riequilibrio nel rapporto Uomo-Natura (prendendo esempio da filosofie del passato), fa venire alla mente certe aberrazioni, non è un problema mio… Semmai dimostra come questo agire corrompa anche persone, che dovrebbero avere un’apertura mentale un pochino superiore alla media.

        “E ancora: come si fa a prendere-donare « più che puoi/ d’amore e di saggezza”», se i rapporti sociali sono stati sconvolti ancor più che in passato e a danno proprio dei singoli e dei «molti»?”

        RISP. – Chi ha sufficiente sensibilità e – di nuovo – apertura mentale, ci riesce benissimo. Che per questo venga compreso e apprezzato dalla maggioranza della società, è tutto un altro paio di maniche: e credo anche, che chi si occupa di arte e cultura, si renda benissimo conto di quanto poco questo accada. Ma non per questo è il caso di rinunciarci: questo significherebbe appiattirsi e omologarsi su quanti hanno fatto il possibile per sconvolgerli, i rapporti sociali: rimane solo la certezza che, per trovare “comprensione e apprezzamento”, ci si dovrà rivolgere alla solita minoranza…

        @ Rizzi
        Ho molte riserve verso le poesie “civili”. So che è fastidioso rimandare a discussioni precedenti ma devo farlo; e perciò chi ha voglia di approfondire la questione può leggersi uno scambio tra il compianto Gianmario Lucini, l’amico poeta-editore ai frequentatori di Poliscritture ben noto, e me sull’argomento ai seguenti link:
        https://moltinpoesia.wordpress.com/2013/10/14/gianmario-lucinipoesia-potere-e-ribellione-nota-deontologica/comment-page-1/#comment-8156
        https://moltinpoesia.wordpress.com/2013/10/17/ennio-abatedue-precisazioni-sulla-poesia-civile-e-sul-rapporto-tra-poesia-e-altri-saperi/;

        Quelle riserve fanno da sfondo alla mia critica a tue affermazioni del tipo: 1. «Non serve prendersela con chi è al potere (sia di fatto che nella facciata del Sistema), perché costoro hanno scelto coscientemente di vivere “fuori etica”» – La prima la trovo ingenua, perché la politica è *la politica* (buona o cattiva e si tratta di vedere per chi è buona e per chi è cattiva e scegliere con chi si sta) e non un «vivere “fuori etica”».

        RISP. – Qui è bene fare chiarezza subito: perché il relativismo va bene (e io sono relativista), ma a un certo punto bisogna mettere dei punti fissi; se no, si arriva alle chiacchiere da bar, che in questa sede mi sembrano davvero fuori posto.
        Ti rispondo allora, che qualunque cosa si faccia, farà il bene per qualcuno e il male per qualcun altro, sì; e figurarsi se anche in politica non vale questa regola. Ma esiste una disciplina che si chiama Etica, e che stabilisce ciò che è bene e ciò che è male, con una precisione un po’ maggiore delle leggi degli uomini. Così, se un politico intasca i soldi pubblici per pagarsi le cene con l’amante e i videogame del figlio, fa “il male” e basta: e lo fa, perché vive “fuori Etica”. E con lui vive fuori Etica chi lo vota: per invidia, perché farebbe lo stesso al suo posto. I simili si attirano.

        2) «visto che – secondo me – è ormai impossibile far sì che la maggioranza prenda coscienza del proprio stato; o meglio, decida di uscire dal vicolo cieco nel quale la sua grettezza l’ha cacciata, l’unica soluzione è fare appello a quella che io chiamo “la minoranza sana del Paese”, affinché la smetta di sprecare le proprie energie, nel tentare di rianimare un cadavere, e cerchi di costruire qualcosa per se stessa, fosse anche una zattera, una scialuppa di salvataggio. Sempre pronta a fare entrare chi – spazio permettendo – faccia ancora in tempo ad aprire gli occhi.» – (La mia critica è)… perché, se trovo ragionevole che l’eventuale (ammesso che ci sia) «minoranza sana del Paese» non sprechi tempo a «rianimare un cadavere», non condivido che possa «costruire qualcosa per se stessa» e per pochi altri magari “ritardatari” che aprano gli occhi e possano essere aggiunti al suo «spazio». Le minoranze o agiscono in relazione (dinamica) con la maggioranza o tendono cristallizzarsi in sette di eletti più o meno spocchiosi o immusoniti. E questo io lo temo (non solo in poesia).

        RISP. – Hai ragione: le minoranze dovrebbero agire in relazione dinamica con la maggioranza. Purtroppo si arriva a un punto, nel quale il dialogo non è più possibile: e allora o la minoranza fa qualcosa alla faccia di detta maggioranza, o perisce. Un po’ di tempo fa un centinaio di inglesi presero su armi e bagagli, armarono un vecchio galeone e andarono a fondare qualcosa che ora si chiama “Stati Uniti d’America”. Oddìo, forse come esempio potevo trovar di meglio, visti i problemi che quello Stato ha creato e tuttora crea al resto del mondo… Ma credo di essermi spiegato.

        Non so poi cosa tu intenda per «ri-allineamento alla Natura» (un ritorno ad essa, l’Incontaminata, la Buona, la non Matrigna? uno sviluppo sostenibile? la decrescita alla Latouche?).

        RISP. – Buona l’ultima. E una decrescita responsabile non è possibile senza un riequilibrio nel rapporto Uomo-Natura; un riequilibrio che implica automaticamente la decrescita da lui teorizzata.

        E a cosa ti riferisca quando scrivi che Il Po ( il “Padre Fiume”) «già diede prova in un paio d’occasioni di grande coraggio e determinazione». Non penso, infine, che le catastrofi siano imputabili solo all’imbecillità della «maggioranza».

        RISP. – Sì, qui mi son fatto prendere la mano dalla mia passione per le provocazioni, essendomi riferito alle due inondazioni avute nella seconda metà del Secolo scorso; delle quali (se vogliamo esser precisi) solo l’ultima fu provocata anche da cause antropiche. E me ne scuso: perché devo dare per scontato che, in questo sito, ci siano persone che già hanno voglia e capacità di mettere in discussione se stesse e tutto quello che sta loro attorno; così che le provocazioni, fra noi, diventano inutili, se non dannose. Cercherò di fare più attenzione in futuro.
        Detto questo (e premesso, che la responsabilità degli ultimi stravolgimenti sul Pianeta è in gran parte propria del comportamento della maggior parte degli umani), potremmo anche dire, che c’è catastrofe e catastrofe. Ma quando, accade che delle persone perdono casa o luogo di lavoro per un’inondazione, dopo che hanno permesso la cementificazione del letto di un torrente; e costruito casa e officina (se possibile abusivamente) a due metri dall’argine, se non direttamente nel greto: allora si dovrebbe avere la decenza di parlare non di “Natura assassina”, ma di “imbecillità umana”.
        Tento anche di far riflettere chi legge, che le catastrofi naturali – prima che una disgrazia – sono un segnale che ci viene dal Pianeta: un po’ come dire che non tutto il male vien per nuocere; a patto di saper ascoltare, per trovare rimedi, naturalmente.

        La storia delle società umane ha cristallizzato rapporti (diseguali e gerarchici) di forza tra loro; e la stupidità è sì un fattore che entra in gioco ma non l’unico o il decisivo o quello eliminabile senza il mutamento effettivo ( e non a parole) di quei rapporti. Insomma non credo che la soluzione delle difficoltà del rapporto degli uomini con la natura debba o possa tornare ad essere gestito su un piano religioso (politeista invece che monoteista).

        RISP. – Mi pare d’aver già precisato (ma non ne sono sicuro, quindi ci ritorno su), che la mia preferenza verso il Politeismo è basata su questioni filosofiche, non religiose. Nemmeno io credo all’utilità (e neppure alla possibilità) di riportare in vita le vecchie cerimonie, né porto avanti questo suggerimento, in ciò che scrivo e che faccio: se no, si finirebbe per riaprire la porta al primo Bossi che passa per la strada.

        Né penso alla possibilità di una *effettiva* libertà individuale raggiungibile senza il mutamento dei rapporti sociali niente affatto liberi. Non si potrà mai « decidere se tenersi o togliersi il velo […]vivere da single e realizzarsi attraverso il lavoro, oppure dedicarsi anima e corpo a casa e famiglia.» se permangono rapporti sociali conflittuali o addirittura di guerra. Se l’io cambia in un modo (verso una libertà effettiva o immaginaria) mentre la società cambia in senso opposto irrigidendosi, imponendo più controllo sociale o paura o nuove élite più tracotanti di quelle del passato, vedo solo guai e tragedie in arrivo.

        RISP. – Purtroppo, Ennio, ti sarai accorto che la guerra è già qui; e che non è nata da uno scontro fra l’evoluzione dell’Io dei singoli individui da una parte, e il “sentire comune” dall’altra. Certo un’evoluzione personale è più difficile, quando il sistema sociale va – eticamente parlando – nella direzione opposta. Però la propria crescita, la propria evoluzione, i propri cambiamenti devono venire ed essere perseguiti prima di tutto: se non cambiamo noi per primi, non si può pretendere che cambi nemmeno il condominio dove si abita; figurarsi il mondo.

  4. …in effetti non piacerebbe neanche a me trovarmi sull’arca di Noè e sentirmi “la minoranza sana del Paese”, quando tutti gli altri stanno affogando…mentre ,sì, ri-allinearmi in qualche modo alla natura mi piacerebbe, consapevole di aver perso il passo in una danza che non possiamo fare da soli…Politeismo, monoteismo o agmosticismo -ateismo: per me l’importante è il sentimento del sacro, che ci induce al rispetto e all’ascolto di ogni forma vivente. Infine credo che comunque sia importante in qualche modo indagare, alla luce dei valori che ci sostengono, le dinamiche perverse che hanno portato a questo stato di cose e fare delle scelte di campo…molto in sintesi, ma senza fretta

    1. Abbia pazienza: una parte delle risposte le avrà, quando avrò terminato quella sulle osservazioni portate da Ennio.

      Qui preciso solo una cosa, riguardo alla religiosità: nemmeno a me interessa come gli altri “identificano Dio” e oltretutto dovremmo aver ben chiara la differenza fra “religione” e “religiosità”.

      Quando parlo di Politeismo (o di Monoteismo), lo faccio rispetto alla filosofia che questi due differenti modi di vedere il Divino hanno: quella Politeista lavora per un’integrazione Uomo – Natura; l’altra ha la pretesa che l’Uomo le sia superiore: e questo concetto ha la sua grossa parte di responsabilità nello sfascio sociale che stiamo vivendo.

      Anche qui il discorso sarebbe molto lungo; faccio solo notare che, nel Monoteismo, esiste una netta contrapposizione fra Bene (che è dentro chi e dalla parte di chi ne segue le regole) e Male (che ne sta fuori): penso che il ragionamento che ne segue, con le sue conseguenze (che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, per non dire ormai sulla soglia di casa) sia semplice. Anche per questo, lo lascio fare a lei.

      1. Ecco, dopo aver terminato quella maratona sulle osservazioni di Ennio, chiudo con la cosa che mi era rimasta in sospeso, fra le precisazioni che volevo scriverti, in risposta a quel che hai sollevato e a completamento di una cosa scritta proprio in quella serie di risposta.

        Sì, l’idea di essere con pochi altri su una scialuppa in mezzo al mare, in attesa che le cose migliorino, non è piacevole. Ma, continuando col paragone marinaresco, vediamo quale potrebbe essere stata la storia di quella scialuppa.

        Allora, tu – con pochi altri amici – vi siete accorti che la nave stava affondando e che si stavano mettendo a mare le scialuppe; vi siete anche accorti, che la maggior parte dei passeggeri continua allegramente a ballare nel salone dei ricevimenti e vi sentite in obbligo di andare a dare l’allarme. Ci provate, ma nessuno vi ascolta, si divertono troppo; avete anche pensato di strattonare qualcuno, ma sono molti, molti più di voi: potrebbero incazzarsi, se rovinate loro la festa.

        A quel punto, con l’acqua che sale, la nave che si inclina e una piccola porzione di equipaggio e passeggeri che vi chiama, perché sembrava che voi aveste le idee chiare su quel che si dovesse fare, CON LA MORTE NEL CUORE MA SOPRATTUTTO SENZA NESSUN SENSO DI COLPA, girate le spalle al salone dei ricevimenti e ve ne andate senza voltarvi.

        Meglio provarci, no? Anche se – democraticamente parlando – avevate torto…

  5. Percorrere questi versi di A. Rizzi, è come percorrere l’acciottolato di un paese antico (mi viene in mente Narni, ad esempio). Non puoi andare di fretta, devi fermarti a guardare dove metti i piedi nella percezione che lì ci sono molte sovrapposizioni, altri cammini fatti prima del tuo. Fuor di metafora, nei versi di A. Rizzi, i richiami a cadenze dantesche – piacevole suono per le orecchie -, fuggevoli accenni montaliani, leopardiani, Puccini che si affaccia con la sua Madama Butterfly, rappresentano senza dubbio un godimento estetico (ed ‘estatico’) che possono senz’altro dare soddisfazione al suo lavoro di ricerca poetica e artistica, che, come sottolineato da Ennio, fa parte delle corde di questo scrittore.
    Ho invece delle perplessità rispetto all’intento (non so se chiamarlo politico o meno) di incitazione all’odio sociale.
    Nel senso che mancano in questi versi (può essere che in altri magari ci sia) quei passaggi ‘in crescendo’ per cui si arriva al climax di odio.
    Anche nell’ “Invocatio” al Padre Fiume, la perdita che viene sottolineata è relativa alla *vita e l’amore* (*Padre Fiume/umiliato, deriso,vilipeso/riprendi ciò che è tuo/la vita e l’amore*), troppo poco per sollecitare un vero movimento che invece dovrebbe avere come fulcro le condizioni economico/sociali. E qui concordo con l’appunto fatto da Ennio nel commento ad Annamaria: * E ancora: come si fa a prendere-donare « più che puoi/ d’amore e di saggezza”», se i rapporti sociali sono stati sconvolti ancor più che in passato e a danno proprio dei singoli e dei «molti»?
    Se sono d’accordo sul fatto che le maggioranze hanno già fatto le loro scelte (A. Rizzi) ed è fuori luogo tentare di ‘convertirle’, e che l’indignazione ormai serve a ben poco (E. Abate), non rimane che cercare di riflettere sulla tipologia degli interlocutori, non inscrivibile certo in un criterio quantitativo (maggioranza/minoranza) ma qualitativo.

    R.S.

  6. Grazie per queste riflessioni.

    Il suo giudizio è in parte fuorviato dal fatto che qui ci sono solo alcune delle poesie del libro, nel senso che in esso ve ne sono anche di “propositive” (ma la stessa “A R.C….” lo è; come in parte pure “Invocatio”); tutte le mie raccolte hanno – se non un “happy ending” – un finale “positivo”: perché esse devono spingere il lettore a cercarne uno almeno per sé, se non per gli altri.

    E’ anche un lavoro che vive di provocazione, a cominciare dal titolo, che deve servire a tenere lontani, quanti – per loro inadeguatezza – considerano con fastidio la poesia “civile”; e che nell’opera ci sono provocazioni anche più pesanti di quelle nelle poesie qui riportate.

    Va infine detto, che questa raccolta è stata fin da subito concepita come un dittico, la cui seconda metà dovrebbe uscire a Settembre, sempre per la “Puntoacapo”: “Poesie per le Nuove Resistenze” sarà senz’altro più propositiva, anche se conterrà le sue belle provocazioni; e se non andrà – temo – nella direzione di quanti vorrebbero sentirsi dire, che tutti insieme possiamo salvare questa società.

    Su altri punti che lei solleva, la prego di pazientare qualche giorno: ho quasi finito di scrivere la risposta puntuale alle molte osservazioni espresse da Ennio.

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