“Quo vado”: zalonismo und fofismo

quo vado

Una critica veloce alla recensione di Goffredo Fofi(qui) a «Quo vado»

di Samizdat

1.
Non sono convinto che il personaggio di Zalone rappresenti oggi la cosiddetta «persona comune», sia «uno di noi» o «“uno uguale a noi” ». Noi siamo singoli, diversi, diversissimi e solo in parte e in alcuni momenti (più facilmente a cinema, dove viene sollecitato il nostro immaginario proprio come nei sogni) ci identifichiamo o assomigliamo a Zalone e allo stereotipo della «persona comune» che egli recita.

2.
Se oggi il cinema offre, come modelli con cui identificarsi, in «Quo vado», rivolto alle «famigliole» il personaggio di Zalone, « né particolarmente sveglio né particolarmente sciocco» (un po’ come Renzi, no?); e, ne «La grande bellezza», film rivolto al ceto medio colto (o semicolto), il personaggio cinico e disincantato di Servillo (un po’ come Berlusconi, no?) , dobbiamo davvero gioire di questo “nuovo cinema” o continuare a preoccuparci perché non fa che sintonizzare il senso comune di massa al senso comune dei potenti di turno?

3.
Temo che le «idee abbastanza chiare e [i] giudizi abbastanza precisi sugli uomini comuni della nostra comune Italia», che secondo Fofi sarebbero «il punto di forza del film», lo siano solo a prima vista; e che la realtà degli «uomini comuni della nostra comune Italia» sia tutt’altra (magari peggiore o, chissà, migliore o comunque più drammatica, pesante e complessa di quella che Gennaro Nunziante, lo sceneggiatore e regista da lui lodato, riesca a vedere).

4.
Qualcuno dei vecchi (come me) mi dovrà spiegare come fa un intellettuale raffinato come Fofi, che da giovane ha discusso con Panzieri o Fortini o Masi o Rieser o Solmi, a parlare oggi come Monti o il ministro Poletti. Come fa, cioè, a prendere sul serio discorsi psico-sociologici su «un maschio costretto oggi a liberarsi della mamma o a limitarne l’influenza per poter stare nella postmodernità e a liberarsi ugualmente dell’ossessione del posto fisso». Non capisco, infatti, come si possano cercare le cause vere dei «“ritardi” del protagonista» nelle strutture astoriche del mammismo o nel sogno del posto fisso e non nelle scelte dei poteri politici che vanno imponendo ai giovani e a tutti un tipo di «postmodernità» *per pezzenti*, che riduce sistematicamente i posti di lavoro sia fissi che precari.
Concludendo, « malinconica, spuntata, passiva, meschina è a ben vedere l’Italia», ma è davvero il mammismo e la ricerca del posto fisso ad averla ridotta in tali pietose condizioni?

18 pensieri su ““Quo vado”: zalonismo und fofismo

  1. Punto primo.
    Non sono convinto che il personaggio di Zalone (come in verità qualsiasi ipotetico “personaggio”) rappresenti oggi la cosiddetta «persona comune» semplicemente perché il “rappresentare” è sempre e comunque un’operazione scenica – “portare di nuovo in presenza” questo il significato etimologico e più vero del “rappresentare” – e in quel “di nuovo” (re-ad-presentiam) si scava lo iato incolmabile con la realtà, e quindi anche con quelle “persone comuni” che, in carne ed ossa, o hanno la forza di “rappresentarsi” da sole o sono nel silenzio. L’attore Checco Zalone “rappresenta” infatti soltanto il signor Luca Medici.

    Punto secondo.
    Il cinema non offre “modelli”. Il cinema offre cinema. Liberi gli altri di assumere a “modello” un determinato film e persino di “gioire” o di “preoccuparsi” del supposto “modello”. Ma non mi pare sia questo il miglior modo di esercitare e dispiegare la propria libertà.

    Punto terzo.
    È vero – e persino banale sottolinearlo – che gli “uomini comuni della nostra comune Italia” siano tutt’altra cosa di quelli “rappresentati” nel film in questione. Una realtà, questa nostra di oggi, non da “temere” ma da migliorare e cambiare.

    Punto quarto.
    Non commentabile. Posso esprimere solo il mio dolore e la mia “pietas” per tutti coloro che “vedono” solo un’Italia “malinconica, spuntata, passiva, meschina”. È appunto l’Italia “rappresentata” dal Signor Luca Medici.
    (Quando Pulcinella mandava in delirio le folle, le strade e i teatri napoletani Giambattista Vico scriveva il “De antiquissima Italorum sapientia”).

  2. a Checco Zalone
    Checco chi l’avrebbe mai detto!

    Il film è piacevole
    simpatico
    consapevole
    romantico
    Alla fine
    si esce da certe brutture
    si ama si cambia
    e….
    si finisce su POLISCRITTURE!!!

  3. A prescindere dai modelli ai quali farebbe riferimento Zalone nel suo filmetto. ovviamente enfatizzati dalla realtà filmica, la pellicola in questione mi sembra di una povertà inattesa, e recitata persino modestamente. Ho rimpianto Fantozzi e i suoi dialoghi con Gianni Agus. Non parliamo poi della grande stagione della Commedia al’italiana con i tanti straordinari registi e sceneggiatori che l’hanno costruita. Un abisso.
    E in fondo si ride poco, io mai. Il fatto sconcertante consiste in una verità incontrovertibile: questo filmetto di serie B ha battuto tutti i record d’incasso e forse supererà persino il mitico Avatar campione.

    1. Ciò che non riesco a capire è il fatto che certi intellettuali (che ho seguito anche in televisione), siano andati a vedere il film, pur conoscendo il filone di Checco Zalone. Per poter fare facili critiche? Per la potenza di Mediaset che lo ha tanto pubblicizzato? per curiosità? Mi auguro che si per questo ultimo motivo, altrimenti non ci siamo….

  4. …i personaggi e le situazioni del film ( per come lo descrivete voi, ma io non l’ho visto) non sono che modelli stereotipati della nostra società, perchè effettivamente noi, persone comuni, abbiamo percorsi più profondi e complessi, tuttavia a loro volta diventano per il grande pubblico modelli in cui, anche solo parzialmente, identificarsi e fanno tendenza….Insomma i mass media, in particolare televisione, giochi elettronici, cinema.. , giocano un’influenza non da poco sulle menti e sui comportameti se non ci si attrezza di sufficiente spirito critico. Se si vuole solo ridere un po’, almeno esserne consapevoli.

    1. cara Annamaria , la tua è una osservazione, ma sai quanti criticano questo film senza averlo visto!
      – non l’ho visto ma…- dicono, come se fosse un male da evitare. allora questo mi fa tanto ridere , questa è l’Italia di Checco Zalone ! quella dei critici dei libri mai letti, di spettacoli mai visti, di pagine fatte scrivere da altri.

  5. Quello che trovo criticabile nella comicità e nei film di Zalone è il suo eccessivo indulgere all’autorazzismo (i suoi luoghi comuni che mostrano l’italiano medio come neanche la Bild teutonica lo dipinge). Certo, l’autocritica è segno di maturità, ma a paragone d’uno Scola, tanto per citare un nome che oggi si fa spesso per l’evidente motivo, mettiamo di “Brutti, sporchi, cattivi”, l’intelligenza filmica e narrativa di quest’ultimo è incomparabile con la “grettezza” di Zalone. Questo, al di qua di de gustibus. Perché se ZaLone è quel nuovo, grande comico che sbanca al botteghino, i termini di paragone non possono essere che so, Salemme, Pieraccioni, Vanzina, Oldoini, ecc. ma si dovrebbe ambire a paragonarlo a modelli più “alti”. Che a mio avviso sono per lui irraggiungibili. Eppoi, che un Ministro della cultura lo ringrazi per il risultato al botteghini, via, mi pare un po’ eccessivo (a meno che, pensando male, le sue tematiche: l’italiano opportunista, pasticcione, corrotto, lavativo, non facciano gioco politico). Nessun politico mi risulta abbia mai ringraziato, poniamo, Pasolini (da vivo), che se non avrà fatto al botteghino come Zalone, ha contribuito non poco a diffondere la cultura italiana all’estero.

  6. Tengo a precisare ( e non per bloccare la discussione sul film di Zalone) che la mia critica riguarda la recensione di Fofi.

  7. Per restare sul pezzo, dunque: ” Qualcuno dei vecchi (come me) mi dovrà spiegare come fa un intellettuale raffinato come Fofi, che da giovane ha discusso con Panzieri o Fortini o Masi o Rieser o Solmi, a parlare oggi come Monti o il ministro Poletti”. A mio avviso, che il “raffinato” Fofi abbia discusso da giovane con Fortini, ecc. non lo esime dal fatto che oggi sia “Poletti”. Sull’austeriano Monti, oramai è facile dirne peste e corna, ma gli intellettuali alla Fofi avevano ballato in piazza alla notizia dell’estromissione del “malefico” Berlusconi da parte di un Podestà straniero che aveva messo al suo posto un Quisling, sia pur illustre, italiano. E l’Unità era uscita con il titolone “La Liberazione”. Il mainstream ha cooptato molti intellettuali “di tendenza”, anzi: quasi tutti. Il loro silenzio sui veri drammi dell’Italia, che hanno portato alla disoccupazione giovanile al 40%, alla riduzione o compressione dei salari a parità di mansione, al passaggio dalla politica di piena occupazione auspicata dalla Costituzione (una prece) alla piena “occupabilità” compatibile col sistema auspicata dai trattati europei (la BCE non ha per obiettivo principale l’occupazione, ma la “stabilità” dei prezzi, e nemmeno ci riesce malgrado il quantitative easing -, questo silenzio, è, come si dice, assordante. La trahison des clercs è cosa vecchia, ma essendo la Storia a suo modo ciclica, si sta ripetendo, in nuove forme. Mai come oggi il carro dei vincitori è stato così affollato di intellettuali. Come sul Titanic: tutti a ballare al suono dell’orchestrina. Finora le scialuppe per loro sono bastate, ma…

  8. …non so se esco dal tema, ma trovo giusto sottolineare come spesso oggi il cinema e il servizio televisivo pubblico e non per quanto riguarda film, notiziari, programmi tendano a prediligere il prodotto “mediocre”, quasi un imperativo categorico, come dire “popolare”…lo noti in tv nella scelta della scaletta di presentazione delle notizie, delle fasce orarie per i vari programmi (i migliori di notte) o al cinema per i film “di successo popolare” con commenti su tutti i giornali. Ma, secondo me, è qui la confusione, voluta credo, di farci passare come popolari alcuni film, mentre altri, dove personaggi, storie e situazioni sono scavati, veri, autentici, proprio per tutti, cioè davvero popolari, vengono come silenziati, passati in sordina, velocemente, come ci si dovesse vergognare del loro qualcosa in più…Per la scomparsa di Ettore Scola solo per un giorno e solo alcuni canali televisivi hanno trasmesso i suoi film…e chissà quando ancora

  9. Sinceramente mi disturba molto di più l’ambiguità di G. Fofi (il suo non prendere posizione e barcamenarsi con un : ‘sì’, ‘no’, ‘ni’) che non il film di Zalone, film che non andrò a vedere per la semplice ragione che queste rappresentazioni – nella loro comicità che va verso la semplificazione del pensiero più che dirigersi verso la sua complessità (la comicità è un’arte che porta sempre con sé anche il tragico, come lo vedevamo bene nella prima commedia all’italiana) – mi turbano più che divertirmi.
    Qualche settimana fa, a casa di amici, sono stata coinvolta nella visione di un recente (2014) film di Gianni di Gregorio, “Buoni a nulla”, stesse tematiche legate alle nuove leggi sulla flessibilità del lavoro, stessi problemi del ‘maschio italiano (?)’ mammodipendente, stessi luoghi comuni, stessa conclusione: l’amore finalmente ci redimerà. Una serie di sketch, magari anche indovinati, ma spendibili in uno dei tanti programmi televisivi di intrattenimento. Che cosa fa la differenza? Visto che, in fondo si tratta di ‘cinema’, la settima arte, forse si potrebbe pretendere qualche cosa di più di un brodo allungato, quanto ai contenuti?
    Allora, il botteghino? Per poter parlare di qualche cosa, come scrive Emy, bisogna averla toccata con mano. Ma quali sono i criteri con i quali tocchiamo e leggiamo le cose? Ma, soprattutto, il ‘critico’ o l’intellettuale, dalla parte di chi stanno?
    Mi ricordo un episodio di tanti anni fa quando organizzavo le serate di Cinema e Psicoanalisi. Al momento della interazione con il pubblico, dopo la proiezione del film, si alzò un giovane uomo che, in modo polemico, mi disse che, dopo una pesante giornata di lavoro in fabbrica, si aspettava di trovare un film d’evasione – data anche la locandina ammiccante – e quindi non aveva nessuna voglia di rompersi i cosiddetti sissi ponendosi ulteriori domande. Lo ringraziai per la sua franchezza che però lasciava tutti e due nella impossibilità di fare alcunché. Io non potevo aiutare lui perchè lui non poteva aiutare me ad aiutarlo. Mi avesse detto che il mio linguaggio era troppo complesso, avrei potuto semplificarlo; mi avesse detto che il tema trattato era lontano dalle sue esperienze reali, avremmo cercato le vie per costituire i nessi, se possibili. Ma la domanda che mi veniva posta era invece ben diversa ed era in antitesi con il progetto delle proiezioni: io vengo qui perché non voglio che qui si introduca alcun pensiero. Perché introdurre un pensiero implica, prima o poi, confrontarsi con delle scelte, mentre rimanere nella alternanza dura fatica/divertimento (ovviamente arrabbiandosi di quando in quando per le cosiddette ingiustizie sociali) permette di mantenere un certo equilibrio.
    Per questo, tornando al post, il problema non è il film di Luca Medici ma il ‘checcozalonismo’ nel quale si sta sprofondando, complici coloro che cercano sempre predellini su cui montare e salvarsi le scarpe dagli inzaccheramenti.

    R.S.

  10. Uno di noi?
    Ma noi chi?
    Io non ho la villetta non ho camere al piano superiore cosa che può permettersi solo una certa classe sociale…quante fandonie nel film e nella recensione..

  11. @ Emy

    Cara Emy,
    qui non si tratta solo di ‘tanto rumore per nulla’ ma di un sistema che impedisce di fare chiarezza.
    Le favole ci devono pur insegnare qualche cosa che va al di là del puro godimento messo in moto dalle fantasie e dalla gestione delle paure infantili.
    La negazione della ‘drammaticità’ facendola passare per ‘innocenza’ ci è stata ben insegnata in Cappuccetto Rosso e il Lupo (“ma che grandi occhi che hai”, ecc. ecc.) e, purtroppo, patita in tutti i processi di seduzione dei minori (“non è nulla di grave, che male c’è, è solo un gioco!”).
    Se una cosa fosse davvero leggera, non ci sarebbe alcun bisogno di ‘caricarci’ sopra, farne diventare un caso nazionale. E, se viene fatta questa operazione, un intellettuale, o sedicente tale, avrebbe l’obbligo di chiarire come stanno le cose. O esimersi dal parlarne in un certo modo.
    Ognuno è libero di divertirsi come meglio crede. Non sto dicendo che uno non può trovare questo film di suo gradimento, ma non posso sopportare che mi venga detto che è *un film significativo, che si riallaccia idealmente – anche se in tempi e con energie diverse – alla grande stagione della commedia all’italiana* (G. Fofi)
    Non ci si può parare il sedere parlando di * tempi e di energie diverse*. L’arte è arte e oltrepassa (e nello stesso tempo sussume) le diversità. Quello che invece viene sostenuto è un falso che disabitua le nuove generazioni a pensare, a riflettere, a comparare. E dove il trionfo del luogo comune (“uno uguale a noi”) azzera ogni ipotesi di cambiamento e viene accettato con malinconica rassegnazione.
    Tutto qui. E non mi sembra poco.

    R.S.

    1. Cara Rita,
      invece io penso che il film con la sua leggerezza faccia molto pensare, scuote e purtroppo devo ammettere , non certo con la tua competenza che ogni volta ammiro molto, che il film è molto scomodo e se non si vuol sorridere, purtroppo ci sarebbe da piangere, perché i difetti della nostra società sono chiaramente esposti. Certo che per questo film è stata fatta unapubblicità eccessiva come per tanti altri film, che però non hanno avuto un riscontro così grande e immediato di pubblico. E’ vero che la nostra Italia potrebbe anche essere rappresentata in altro modo, ma dobbiamo chiederlo a luigi Medici o a Checco Zalone?
      Perciò convengo con te quando dici : Non carichiamoci sopra!
      Mi sembra che qui lo si stia facendo.

  12. @ Emy
    *il film con la sua leggerezza faccia molto pensare, scuote […] è molto scomodo e se non si vuol sorridere, purtroppo ci sarebbe da piangere, perché i difetti della nostra società sono chiaramente esposti.*

    Non lo metto in dubbio, Emy. Ma il mio discorso era un altro. Magari ci si ritornerà su.

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