Frammenti di vita tragicomica

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I Quaderni di Italo (1)

di Italo Lo Vecchio

L’altra mattina, al rientro a casa dalla spesa (il nostro pane quotidiano…) carico come un mulo e come un mulo arrancante, mia moglie m’avverte che m’hanno cercato al telefono dall’Embajada de Cuba en Italia. E che, non trovandomi, m’invieranno una mail.

Cosa può volere da me l’Embajada de Cuba? mi sono domandato. Poi, lambiccamento dopo lambiccamento, l’idea s’affacciò. Vuoi vedere che, in questo mondo mondializzato a conduzione monopolare, benché oggi un po’ scricchiolante, l’ex Faro-del-mondo (quello degli oppressi, nel caso vi fossero dubbi) vuol rinverdire il suo pedigree chiamando i suoi fidi d’antan a una nueva revolución? I motivi c’erano, anzi: abbondavano. E l’idea mi piacque, anzi: m’attizzò.

Immaginandomi caracollare olivavestito tra fitte foreste e profonde quebradas (vi ricorda qualcosa?) della Sierra Maestra (prima avrei dovuto rifarmi crescere la barba, però), tirai fuori da (be’, da dove non ve lo dico) il mio “cuerno de chivo” – per i non addetti ai lavori: trattasi dell’imprescindibile AK 47, diffuso tra le genti perbene di tutto il mondo, lo stesso che, con molta lugimiranza, nei villaggi afghani veniva fabbricato artigianalmente a ridosso di quel che sappiamo (e se non lo sapete, c’è sempre l’opzione google) – e mi misi a lustrarlo, con la dedizione che di solito riservo alle cause perse.

Poi accesi il computer e… Contrordine compagni! La mail dell’Embajada, mia speranza, mia palingenesi, mia luce che indicava il cammino fino a poco prima, si materializzò sul desktop non già come una chiamata aux armes citoyens! bensì come A Farewell to Arms, film peraltro da me visto nella versione Vidor-Huston e libro poco apprezzato.

Mi si chiedeva, insomma, il permesso di pubblicare una poesia da me scritta in spagnolo vent’anni prima in occasione dei setenta aňos del compaňero Fidel, per un libro da editarsi in vista dei prossimi noventa aňos del compaňero Fidel.

Dunque: Ningun llamado revolucionario. Game over. Mi feci forza, raccogliendo l’invito che di bocca in bocca vola nei nostri giorni scellerati: che la Forza sia con te! e: quo vado? – no! questo non lo dissi, quest’idiozia sarebbe stata troppo anche per la mia sopportazione, e mi misi a navigare in rete. (Ora, non ho mai capito come si possa navigare in una rete, ma lo fanno tutti). Per consolarmi, cercai siti amici. Sì, quello di quell’italiana, la Maribel, che dà di prima mano notizie dalle comunità zapatiste in resistenza, i caracoles, contro il malgoverno, il liberismo colla sua protuberanza neo per i precisini, il capitalismo glocale, che testimonianza d’un’ostinata fedeltà! la Maribel, intendo, alla lotta zapatista, giovane di 500 e passa anni, la loro lotta, non la Maribel. Andiamo a vedere.

Il mio secondo amore nelle desdichadas tierras de América Latina è stato un colpo-di-fulmine: il Chiapas: 1994. Ossia: los compas, quelli che, arrivati nella Selva Lacandona con la verità in tasca, se la sono vista andare in mille pezzi al primo incontro con le comunità indigene. Ossia: l@s insurgentes,  quelli/e che “para que nos vieran, nos tapamos el rostro; para que nos nombraran, nos negamos el nombre”.

E lì la situazione era questa: il Sub era mediaticamente morto, già da molti mesi. Aveva seppellito il suo ologramma, quell’ologramma che entusiasmò intellettuali e centri sociali e (ciascuno ci metta il suo), quello che aveva portato la parola dei prescindibili dal processo capitalistico di produzione-riproduzione al mondo intero, e s’era taciuto. Al suo posto: il subcomandante Tacho, una vecchia conoscenza. E defilato: il Sub Galeano, il maestro zapatista ucciso in un’imboscata dai paramilitari.

Insomma, c’ero rimasto male per la scomparsa del Sub, o Sup, come dicevano i bambini della Realidad: anch’io avevo subito il fascino dell’ologramma. La prima guerriglia del XXI secolo, e così via. Adesso il punto era però un altro. Consolidare le conquiste politiche ottenute militarmente, progredire nell’amministrazione dei territori “donde el pueblo manda y el gobierno obedece”, sviluppare il lavoro civile delle Juntas de Buen Gobierno, che a dirlo qui da noi suona come una barzelletta, mentre là è una cosa estremamente seria.

Eppoi la crisi, la nostra, europea, alimentata dalla tonnara dei vincoli esterni in cui siamo andati a cacciarci come tarluchi (noi, i cittadini, dico, non certo quelli di sopra, che avevano tutto chiaro fin dall’inizio, e che c’hanno cavato il loro lesso, as usual) aveva prosciugato i canali classici di raccolta fondi, e ora non ce n’è più per nessuno, cazzo! e tantomeno per loro. Mentre il tabernacolo della moneta unica continua a esigere sempre più vittime: lavoro, diritti costituzionali, stato sociale.

Una sterzata al timone, e veleggio in acque da hic sunt leones. Metafora un po’ frusta, ma tant’è, questo passa il convento. Per il mainstream, invece, citofonare al proprio giornale preferito.

Se uno non s’interessa di politica economica, sarà la politica economica a interessarsi a lui. Sì, vabbe’, ma per saperlo bisogna prima capirlo. Del resto, se le cose potessero essere capite, non ci sarebbe bisogno di spiegarle, dice il primo principio della termodidattica d’Alberto Bagnai (che mi s’era impigliato nella rete, mentre la tiravo su). E a questo punto casca l’asino. O se volete, in modo più fico: Hic Rhodus, hic salta. Poveri greci! con quel salto, fatto in extremis, sono ricaduti nelle fauci della teutonica Europa. Anche un po’ per colpa del loro allenatore pasticcione, che qualcuno sostiene gli mancassero le basi, il Piano B, eccetera, a non pensare peggio. Ma che regione sfortunata, quella! Da lì vicino era appunto arrivata la prima avvisaglia della tempesta perfetta. E tutti, chi per interesse, chi per complicità, s’erano voltati dall’altra parte.

Adesso il bail-in preoccupa anche l’ABI: non se l’aspettavano quando danzavano alla musica dell’orchestrina nel salone delle feste del Titanic. O la loro arroganza li faceva credere che a loro non sarebbe toccato. Ma per quanto tu sia forte, c’è sempre qualcuno più forte di te. Infatti, nessun Potere è un monolite. Tantomeno, in fatto d’UE (strillo d’un neonato virtuale), la gettonata Germania. Le vecchie, bistrattate contraddizioni esistono ancora. E stanno dando il meglio di loro. Cmq., dacché storia è Storia, e benché non sia mai stata magistra vitae (sennò qualche scolaro, prima o poi, ne avrebbe tratto giovamento), le scialuppe del Titanic ai passeggeri di prima classe non sono mai mancate. E altre orchestrine aspettano pazienti il loro turno per dare il là alle danze.

Il voyage moderno inizia con un’imprecazione: Enfer! c’est un écueil! E “la morte per acqua” sarà per davvero una morte per acqua, e non più simbolo, metafora, allegoria d’una volontà altrui (che qualcuno vuole divina).

E come Phlebas il Fenicio m’inabisso, pertanto, in questo mare.

Ah, dimenticavo. Il Presidente del Consiglio ha raffreddato i toni. Forse qualcuno gli ha detto di star tranquillo (senza hashtag, stavolta) che la temuta letterina non gliel’avrebbero (ancora) inviata.

8 pensieri su “Frammenti di vita tragicomica

  1. Davvero splendido questo articolo.
    Solo che, da questa ‘Terra desolata’ così sapientemente descritta da I. L.V., come possiamo uscire senza affondare sempre più nella melmosa sterilità che andrà a corrodere anche ciò che può essere salvato?
    Dovendo ormai rinunciare – in un patetico *A Farewell to Arms * – all’ *imprescindibile* di altri tempi – * trattasi dell’imprescindibile AK 47* – e, rifiutando le paraculate dell’invito che *di bocca in bocca vola nei nostri giorni scellerati: che la Forza sia con te! e: quo vado? – no! questo non lo dissi, quest’idiozia sarebbe stata troppo anche per la mia sopportazione*, non ci rimane che guardare in faccia gli ‘amori’, rovesciare come guanti gli ‘idoli’ per capire di che pasta erano fatti!
    Come Phlebas, anche noi, spinti dal fenicio desiderio del mondo nuovo, eravamo belli (beh, concediamocelo!) e alti (idem), però come Phlebas, eravamo pur dentro in una Storia, mentre oggi siamo dentro un niente, ovvero siamo dentro la rete, nemmeno quella del Re Pescatore, ma quella che, per salvare i pesci grossi, fa la dannosa pesca a strascico per mandare in friggitoria ‘li pescetti’! (detto in altre parole è il concetto di bail-in).
    Morire per acqua non mi piace, ma nemmeno morire soffocati dalle risate tragiche.
    Di nuovo complimenti per questo bel pezzo di testimonianza. Ogni tanto una rispolveratina ci vuole onde evitare gli arrugginimenti!

    R.S.

  2. M’associo ai complimenti di Rita allo scritto di Lo Vecchio.
    Rileggendolo mi viene da esclamare: quando si è macinata certa letteratura si capisce meglio dove siamo finiti!
    L’autore è molto vicino ai nostri guai, direi. Ha perso l’America Latina come suo «paese allegorico». (Altri tra noi forse ebbero per qualche tempo la Russia o la Cina). E solo in qualche istante sembra accennare a qualche antica immagine consolatoria: Veltro? Angelo Sterminatore? Robin Hood? Baffone?
    Prevale – quanta amara! – soprattutto l’ironia in questi frammenti. E la disperazione delle nostre vite ripiegate per forza di cose sul quotidiano.
    Comunque fa benissimo a scostare il ben più amaro calice della “neo-cultura” fessbucchiana e dello zalonismo/fofismo (« no! questo non lo dissi, quest’idiozia sarebbe stata troppo anche per la mia sopportazione»).
    È una buona scelta, per chi li ha davvero “macinati”, stare con un piede orgogliosamente fra i Classici (confesso che io ho dovuto ripescare dai meandri della memoria e con l’aiuto del vituperato ma comodo Google il nome dell’autore di « Enfer! c’est un écueil!»…) e un altro nella più aggiornata riflessione sulle questioni politiche. In alcuni «siti amici» ancora se ne trova. Anche se – diciamocelo – assieme al miele c’è fin troppo fiele.

    P.s.
    Per comodità mia e d’altri copio incollo la strofe del “Viaggio” baudeleriano dove si trova il mezzo verso citato: Enfer ! c’est un écueil!
    Per un ripasso di tutto il componimento nella traduzione di Antonio Prete: https://REBSTEIN.WORDPRESS.COM/2008/10/31/CHARLES-BAUDELAIRE-TRADOTTO-DA-ANTONIO-PRETE/)

    II

    Nous imitons, horreur ! la toupie et la boule
    Dans leur valse et leurs bonds ; même dans nos sommeils
    La Curiosité nous tourmente et nous roule,
    Comme un Ange cruel qui fouette des soleils.
    Singulière fortune où le but se déplace,
    Et, n’étant nulle part, peut être n’importe où!
    Où l’Homme, dont jamais l’espérance n’est lasse,
    Pour trouver le repos court toujours comme un fou!
    Notre âme est un trois-mâts cherchant son Icarie;
    Une voix retentit sur le pont : « Ouvre l’oeil! »
    Une voix de la hune, ardente et folle, crie:
    « Amour… gloire… bonheur ! » Enfer ! c’est un écueil!
    Chaque îlot signalé par l’homme de vigie
    Est un Eldorado promis par le Destin;
    L’Imagination qui dresse son orgie
    Ne trouve qu’un récif aux clartés du matin.
    Ô le pauvre amoureux des pays chimériques!
    Faut-il le mettre aux fers, le jeter à la mer,
    Ce matelot ivrogne, inventeur d’Amériques
    Dont le mirage rend le gouffre plus amer?
    Tel le vieux vagabond, piétinant dans la boue,
    Rêve, le nez en l’air, de brillants paradis;
    Son oeil ensorcelé découvre une Capoue
    Partout où la chandelle illumine un taudis.

    II

    Imitiamo la trottola che danzando si svolge,
    la palla che rimbalza, e persino dormendo,
    lei, la Curiosità, ci tormenta e rivolge
    come Angelo che in alto sferzi i soli tremendo.
    È una sorte ben strana: la meta si disloca,
    può essere dovunque, eppure mai si mostra.
    L’Uomo, la cui speranza non diviene mai fioca,
    chiede riposo e folle gira come una giostra.
    È l’anima un naviglio che cerca la sua Icaria.
    “Attenzione !” si sente gridare dalla soglia
    del ponte, e dalla coffa un grido incendia l’aria:
    “Gloria… piacere… amore…!”. Dannazione! uno scoglio!
    Ogni isola avvistata da quello ch’è di scolta
    pare un verde Eldorado promesso dal Destino,
    la Fantasia che già nell’orgia era disciolta
    scorge soltanto un banco al lume del mattino.
    Povero innamorato di regioni chimeriche!
    Ti metteranno ai ferri, ti getteranno in mare,
    ubriaco marinaio, inventore d’Americhe,
    il cui miraggio rende gli abissi più amari?
    Così il vecchio barbone, se la melma calpesta,
    sogna, col naso all’aria, paradisiaci cieli,
    con lo sguardo stregato una Capua egli avvista
    ovunque una candela un tugurio riveli.

  3. Grazie per i commenti lusinghieri. Sul baudelairiano “écueil”, l’apripista è stato Dante col suo Ulisse. Mi chiedo quanto sia costato al fiorentino con-dannare il suo personaggio costretto dal “vincolo esterno”, dopo l’incitazione ben nota che rivendicava all’uomo la ricerca di “virtute” e “canoscenza”.
    Anche nella “Terra desolata” possono nascere “fiori”. T.S. Eliot l’ha dimostrato con la sua opera, e De André ce l’ha ricordato. Perciò l’invito è a tirare su le reti. Ci si trova roba di nicchia, fiori o pesci ignorati dai più, ma di più non so fare. Forse la Storia lo sa fare, che se non è magistra vitae in mancanza di scolari, è comunque “autorevole”

  4. …ringrazio anch’io Italo Lo Vecchio per il bel racconto di un ex rivoluzionario ancora pronto ad imbracciare il fucile e impegnato in una proficua pesca in rete, ma anche per quanto afferma nel suo intervento: “Anche nella “Terra desolata” possono nascere “fiori”..”. Una speranza nonostante il fallimento degli ideali per cui si è lottato, nonostante lo scoglio, che è il limite di ogni impresa umana…ma forse anche nonostante quella neo-cultura che ha ingabbiato, anzi rinchiuso in una camicia di forza molti, perchè tra loro ci sono figli, nipoti, amiche, vicini di casa e perfetti sconosciuti, donne e uomini della strada e non si può pensare che siano del tutto perduti…stritolati nel gioco dei potenti. Tengo buono “l’invito a tirare su le reti”

  5. Il Vecchio Italo ha colpito ancora, tra lazzi e frizzi, cinismo e disincanto come il grande Petrolini.
    Ma Annamaria conforta: trasmettiamo da una casa in Argentina, con la distanza atlantica che fa la memoria più vicina…

  6. Un bel pezzo di bravura, non c’è che dire: citazioni, strizzatine d’occhio, ecc.

    Se vogliamo parlare sul serio di Resistenze (se non di rivoluzioni…), bisogna ammettere che da un pezzo non ci sono più “Palazzi d’Inverno” da prendere d’assalto. Non so, se questo sia un bene o un male, ma è così. Il potere economico ha cambiato le regole del gioco: e chi lo combatte deve fare altrettanto, muovendosi su un campo di battaglia, che è molto più immateriale di qualche decennio fa.

    Per inciso questo concetto l’avevano capito abbastanza bene quelli della R.A.F. di Baader e Meinhof: ma l’ideologia che li condizionava rovinò tutto, dal punto di vista delle soluzioni strategiche.

    Adesso, se si vuole fare un po’ di attività fisica, non è rimasto molto: in Italia solo la ValSusa; forse quell’infelice pezzo di Campania conosciuto come “terra dei fuochi”, ma non ho la minima idea di come si stiano organizzando laggiù; ammesso che si stiano organizzando…

    In realtà ci sono molti altri posti, dove si può far pratica col vecchio, caro AK: praticamente dovunque si stia muovendo l’ISIS e sciagure simili, annesse e connesse. Facendo però bene attenzione, che ci si infila in un ginepraio alla “tutti contro tutti”; nel quale, in più, non è detto che la pallottola che ti colpirà, non venga da un presunto amico. Si può scegliere di dare una mano a una parte in lotta, fra quelle che vengono al momento più bastonate (i primi che mi vengono in mente sono i Curdi), così per spirito cavalleresco; ma senza pretendere di essere per forza dalla “parte giusta”.

    Che questa situazione di estrema fluidità tra “bene” e “male”, questo spostamento del conflitto su altri livelli, diversi dalla “guerra guerreggiata”, sia un bene oppure no, come ho detto non ho un’idea ben precisa. Ma di sicuro, chi vuole combattere quanti ci stanno portando verso un sistema di schiavitù nemmeno tanto strisciante, dovranno adeguarsi e aggiornarsi.

    Chi invecchia è indubbiamente tagliato fuori: pensando magari di rimanere sulla linea del fronte con entusiastiche recensioni a Zalone…

  7. @ Alberto Rizzi. “Il potere economico ha cambiato le regole del gioco: e chi lo combatte deve fare altrettanto, muovendosi su un campo di battaglia, che è molto più immateriale di qualche decennio fa”. Giusto, infatti mi chiedo dove si sia cacciato oggi il “Palazzo d’Inverno”. Il Parlamento italiano? O forse Piazzaffari che ne muove i fili? O magari la BCE che presiede a tutto? Oppure s’è trasferito a Bruxelles? O è la “Merkel”? O anche i poteri industriali e finanziari teutonici dietro di lei? Che confusione in questa “nuova” geografia! Be’, da “vecchio” lascio ai ggiovani la risposta.

    1. Benché non più ggiovane (anagraficamente parlando), le posso confermare che non c’è più alcun “Palazzo d’Inverno”, degno di questo nome e della nostra conseguente attenzione. Punto.

      Il tentativo di rendere immateriale (cioè digitale) il denaro, comporta una speculare “gassificazione” dei luoghi di potere. Per cui, se potrà senza dubbio essere egoticamente corroborante bruciare – che so – la sede della BCE, il potere finanziario che da lì si (auto)controlla, si ricostituirebbe immediatamente in un “altrove”, la cui ubicazione fisica non ha soverchia importanza.

      Ha presente il cyborg nemico di Schwarznegger, negli ultimi “Terminator”, che si rimodella anche quando ridotto in poltiglia e tritato da un carro armato? Ecco, una liquidità del genere…

      Pertanto, a tale trasformazione del Nemico, occorre rispondere allo stesso modo e in senso speculare: fregarsene delle sue roccaforti (almeno fino a che non diventa un problema di legittima difesa) e impegnarsi nel poco autoerotico* compito, di creare sul territorio una rete – fisica ma altrettanto elastica – di strutture, nelle quali si ragioni in maniera alternativa a livello economico, culturale e di ritmi di vita.

      *Poco autoerotico e quindi molto concreto; al contrario di un lancio di molotov contro la sede di un Partito in un momento di tedio esistenziale.

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