I Quaderni di Italo II

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di Italo Lo Vecchio

 

La Merkel (che non è la culona inchiavabile di berluskiana memoria, ma un complesso di poteri politici, economici e finanziari corso da contraddizioni interne che per l’occasione s’è infilato la maschera della Frau). Non se la passa bene, si dice. E dopo i “fatti” di Colonia ancor peggio, si dice. Che sia la Merkel la nuova destinataria della letterina che come uno spettro s’aggira per l’Europa?

Insomma, per quanto Podestà tu sia, sappi che c’è sempre un Podestà più Podestà di te.

Sbrigato il compitino per casa, apro il giornale, El Comercio, on line, e leggo che… (vabbe’, sono già orridi questi tempi senza evocare altri incubi) a Quito, Ecuador, vive la seňora Italia Vaca, la quale, intervistata dal giornale (20/1/16), si lamenta del fatto che nel suo locale, il Danubio Azul, la clientela è al lumicino. La  seňora Italia Vaca non se ne spiega il motivo, i prezzi sono nella media (2 dollari per l’entrata che dà diritto al consumo d’una cerveza, 12 per il servicio, 11 alla chica e uno para la cama), i collegamenti con il centro città garantiti dai mezzi pubblici, l’ambiente è confortevole, il relax assicurato, eppure… nisba. Poi, visto che un responsabile bisogna pur trovarlo, attribuisce la colpa alla pericolosità del luogo dove sorge il locale. Io in conto metterei anche la crisi economica, ma se lo dice lei…

(Ah, se non l’avete ancora capito, la seňora Vaca di professione fa l’amministratrice d’un “prostibulo”, il Danubio Azul per l’appunto. Guglate per credere).

L’Ecuador non è nuovo al surrealismo dei nomi. Fino a qualche anno fa il direttore generale delle imposte ecuadoriane rispondeva al nome di Carlos Marx Carrasco. Uno storico militante socialista che, a capo del SRI (Servicio de Rentas Internas), era inflessibile cogli evasori. Quando venne nominato Ministro del lavoro passò a scontrarsi coi sindacati, o, come m’ha scritto in una mail un amico ecuadoriano: “de hecho que les puteaba a los líderes sindicales casi todos los días”. Be’, anche Carlos Marx, l’originale, se vivesse ai nostri dì, non potrebbe fare a meno di scontrarsi coi sindacati, a considerare il grado di tutela che esercitano sui lavoratori. Per non parlare dei precarizzati a vita, dei flessibilizzati che manco un giunco, degli “inoccupati”.

Certo che la neolingua sta facendo passi da gigante. E non solo nell’uso di termini stranieri all’interno dei disegni di legge. Una volta la Costituzione italiana (una prece) proteggeva il risparmio dei cittadini in tutte le sue forme; oggi i trattati europei attaccano il risparmio dei cittadini per proteggerlo dagli stessi “incauti” risparmiatori. Una volta la Costituzione riconosceva a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuoveva il pieno impiego; oggi la BCE disconosce questo diritto e prescrive la piena “occupabilità”.

E di compatibilità occupazionale in compatibilità sistemica, siamo arrivati al 44% di disoccupazione giovanile (tasso generale: 12,7%).

Ma hanno pure festeggiato nelle piazze perché ci ritrovassimo, poi, in questa merda. Ricordate il titolone dell’Unità? “La Liberazione”, esultava. Faceva il paio col “Fate presto” del Sole 24 ore. O la “Sòla 24 ore”, come l’appellano in rete. E gli intellettuali in prima fila, a godersi la defenestrazione. Orchestrine, danze, champagne per brindare alla lettera del Podestà straniero che aveva deposto il Malefico, e con lui la democrazia  (dettaglio sacrificabile per i novelli partigiani), imponendoci un Quisling con l’appoggio delle locali truppe cammellate.

Passata la festa e gabbato lo santo, s’è scoperto che l’Italia nel 2011, per ammissione della stessa Commissione europea sulla sostenibilità del debito dei paesi dell’Unione (nel suo rapporto del 2012), non era affatto sull’orlo del default, anzi il debito pubblico italiano era pienamente sostenibile. Già, il debito pubblico, ovvero il debito privato che per un colpo di bacchetta magica s’è trasformato in pubblico: quanti misfatti si sono commessi e si commettono in suo nome.

E niente, so’ propio de coccio, questi. Ma magari il problema si potesse risolvere col capire! Oltre i cervelli all’ammasso nella palus putredinis, ci sono interessi in gioco, e micamale, da difendere. E a difenderli a spada tratta s’incaricano quelli che ci rimettono di tasca propria. Legioni, moltitudini.

Il fondo è stato toccato? La Storia ci ricorda che c’è sempre un fondo, oltre il quale non si può andare. Però la Storia ha di bello che non dice mai quanto il fondo sia profondo.

Nessun delegato degli Stati generali convocati da Luigi XVI il 5 maggio 1789 credo potesse sapere, e neppure immaginare, che di lì a quattro anni la testa del re sarebbe rotolata sul palco davanti a una folla plaudente & festante. E nemmeno poteva sapere, nel caso il delegato appartenesse al Terzo Stato, da quali nuove élite sarebbe stato guidato.

La funzione Napolitano s’è rifatta sentire. Oramai le battute del copione le conosciamo. Ma nel caso le scordassimo, l’ex presdelarep s’è scomodato per rinfrescarcele.

Di Parigi gli restava, incrostato nel neurone superstite dalle innumerevoli falcidie dei suoi compagni, un ricordo, o per meglio dire, una puzza, un miasma, una fetenzia che aveva sùbito provveduto ad ambientare il suo sentire e che, seguitando a narrare in terza persona come si confà nei Quaderni, si potrebbe chiamare:

Il benvenuto della ville lumière

Un odore disgustoso svolazzò all’altezza del suo naso quando le porte automatiche della carrozza del métro su cui era salito alla Gare de Lyon si richiusero e la stazione di Châtelet dove doveva scendere era ancora lontana. Ben presto l’aria intorno s’ammorbò come in un’inesorabile camera a gas e, malgrado non avesse udito il rumore secco o molle che preannuncia lo sprigionarsi del mefitico gas intestinale di cui l’anonimo incontinente s’era liberato, i suoi effetti pestilenziali gli scolpirono in viso una smorfia feroce. Irritato, prese a scandagliare l’impassibilità dei passeggeri accanto a lui e interrogò gli occhi senza sguardo dei suoi vicini cercando di cogliervi inutilmente un qualche segno d’imbarazzo.

Il reo era forse il compassato signore di mezz’età in completo di gabardine grigio alla sua destra, impegnato a consultare le pagine degli indici di borsa del Figaro?

O la colpevole di tanta puzzolente scelleratezza era la ragazzona bionda  dall’aria olandese di fronte a lui in t-shirt rosa e pantaloni marroni extra large, dalla cui tasca sulla coscia spuntava una lonely planet della Francia?

Ma anche il ragazzo punk con l’orecchino al lobo sinistro e i capelli impietosamente rasati che, a piedi larghi davanti alla porta automatica, lanciava lo sguardo sopra le teste dei passeggeri perso in certi suoi indecifrabili rovelli giovanili, non era esente da sospetti.

E l’anziana signora con borsetta celeste in grembo e tailleur beige di cotone, seduta con circospezione come su delle uova sul bordo del sedile accanto al finestrino, che parte aveva in questo dramma fetente?

Insomma – si disse dopo un’attenta disamina semicircolare dello sguardo -, individuare il colpevole era pressoché impossibile. Nemmeno Sherlock Holmes ne sarebbe venuto a capo, con o senza il fido Watson – concluse proprio mentre una nuova puzza, dall’inconfondibile sentore di zuppa di cavoli fermentata, indizio d’alimentazione nordica, stava sferrando il suo attacco micidiale, nebulizzando tutt’intorno i suoi miasmi. E del tunnel buio e malsano in cui le carrozze del metro s’erano infilate con sferragliante baldanza non riusciva a intravedere la fine.

Costantino, Costantino il Grande (274-337), era noto a scuola (almeno nella mia, ché nella sua non saprei dire se era altrettanto noto, e nemmeno se i suoi compagni di classe, da quando s’era sparsa la voce che da Grande sarebbe divenuto un fan sfegatato del cristianesimo, gli si rivolgessero con la naturale cattiveria dei bambini, sbertucciandolo: Costantino il calabraghe! Costantino il baciapile!) per essersi convertito, di punto in bianco, alla religione cristiana. La sua visione: in hoc signo vinces, l’editto di Milano (313), eccetera. Ma era andata davvero così? La scuola ai miei tempi era d’un bigottismo centopercento, e ti facevano credere quello che volevano. Stava scritto nei libri di testo, nero-su-bianco, guai a metterlo in discussione. E chi eravamo noi, del resto, per azzardarci a contestarlo?

Anche da piccolo ero un bastian contrario, e, pur tenendomi prudentemente rinserrata nella strozza la mia atavica diffidenza (bastian contrario sì, però cuor-di-leone mica tanto), mi veniva da pensare che magari Costantino s’èra convertito perché vedeva quello che era sotto gli occhi di tutti: la tradizione politeistica romana s’era infiacchita, corrotta, imbolsita, e strascicava i piedi come un vecchio in una corsia ospedaliera. La religione cristiana, al contrario, era giovane, di più: fanciulla, e come tutte le religioni fanciulle sgambettava pimpante e scalciava a più non posso, perciò l’accettarla (religio licita) era il primo passo da compiere se si voleva conseguire la pace religiosa intesa a rafforzare l’unità dell’Impero. Poi, siccome ‘ste considerazioni erano d’un pragmatismo che sconfinava nell’opportunismo, insomma non facevano fico, c’ha dato su, il Costantino, una bella spennellata spirituale.

Fu Teodosio I (347-395), Grande pure lui (e te pareva!), a sdoganare definitivamente il cristianesimo, religio unica dell’Impero.

Da quel momento, la Croce guidò la Spada.

Telefonare ai nativi amerindi, per saperne di più.

I sangui dei quali, nei cinquecento e passa anni dal desencuentro, si sono talmente mescolati coi nipotini dei conquistadores che al giorno d’oggi è difficile stabilire le rispettive percentuali che scorrono nelle vene dell’attuale prodotto standard d’invasioni, razzie e stupri. Se dunque in questo garbuglio d’incroci etnici il sangue non è più un indicatore attendibile, a dirimere le cose sono chiamati forse i costumi ancestrali? Ma da un sacco di tempo i giovani indigeni si sono messi a imitare sfacciatamente i loro coetanei meticci, e abbigliarsi da punk, da cowboy o da starletta di sequel è considerato un embema d’emancipazione che sfoggiano fieri. Il territorio dove l’indigeno vivo, allora? Ma in numero sempre crescente i kichwa, i saraguro, i salasaca abbandonano le terre comunitarie dei padri per stabilirsi nelle squallide Invasiones che cingono ad anello le città andine, o per spingersi fino alle desolate e malariche pianure della Costa, inseguendo il miraggio d’una nuova vita che, al pari dell’orizzonte, più s’allontana da loro quanto più loro credevano di raggiungerla. La cultura originaria, infine? Ma la cultura indigena è stata ferocemente repressa e smantellata nel corso dei secoli dalla Santa Alleanza tra Chiesa cattolica e Corona spagnola, che in essa scorgevano l’una barbarie e paganesimo, l’altra la peste dell’affermazione identitaria, e tutte le sue espressioni materiali erano finite al rogo.

 

72 pensieri su “I Quaderni di Italo II

  1. Analisi impeccabile, ma come se ne esce da questa situazione? Mentre i ‘tanti malefici’ imperversano per contro non vedo proposte alternative concrete.

    A proposito della señora Italia Vaca e del suo locale Danubio Azul mi aspettavo prezzi più bassi, ma ha ragione sull’aumentata pericolosità dei luoghi. Tanti anni fa (1951-1958) ho vissuto in Venezuela, all’epoca del dittatore Marcos Pérez Jiménez. In quel tempo anche noi immigrati italiani stavamo benissimo: c’erano tante opportunità di lavoro e una notevole sicurezza sociale, non estesa, ovviamente, agli avversari politici. Dopo la cacciata del dittatore chi è rimasto mi dice che le cose sono peggiorate notevolmente su tutti i fronti: oggi bisogna guardarsi le spalle.

  2. un’analisi ben fatta, una scrittura densa di ironia, un vero pezzo di civile impegno
    che si lascia leggere senza essere pesante.
    grazie

  3. Pezzo di civile Impegno (LP)? Ma come se ne esce da questa situazione (AR)?
    Certo che la neolingua (scrive ILV) sta facendo passi da gigante.
    Come per la borsa in questi giorni, che tende a riportare i valori finanziari all’economia reale (al prezzo di teste tagliate), viene da ripiegarci sul dire: sia sì sì, no no.
    Eppure i fuochi d’artificio del Vecchio Italo rischiarano queste torbide notti.

  4. …e lanciano sinistri bagliori sul futuro, direttamente dal passato. E Italo lo Vecchio non ci ha ancora parlato di questioncine come dell mondo arabo, del “podestà più podestà di te”, di ombre cinesi, di Africa mon amour…

  5. Mi vado sempre più convincendo che tra non molti anni scoppierà una bella guerra mondiale. Sarà preceduta da tremende turbolenze sociali nella maggior parte dei paesi incluso il nostro. Sarà il più orribile bagno di sangue dell’intera storia umana. Siccome però non sono un profeta non so indicare date o dettagli qualificanti. È solo una mia sensazione, diciamo poetica. Il pensiero che vi assisterò mi atterrisce e mi affascina nel contempo. Ho sognato che morirò nel 2043.

      1. Ho appena letto le 10 tesi di Buffagni. Ciò che dice è nelle possibilità. Ho poi dato un’occhiata all’intera discussione. Dico solo una cosa su quest’ultima. Saranno proprio i discorsi sofistici in cui ci stiamo inviluppando e il dispregio verso la natura, con la conseguente nostra presunzione di saper fare di meglio, a condurci nel baratro.

    1. La Terza Guerra Mondiale è già iniziata da parecchi anni; solo che, essendo “asimmetrica e diffusa” (ed essendo la maggioranza della gente rincoglionita da questo sistema economico e sociale) in pochi se ne sono accorti. Teniamo anche presente che questo “progetto” (di Nuovo Ordine Mondiale) nasce subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e deve garantire il potere alle mafie finanziarie per almeno un paio di secoli. Questo per dare qualche data.

      Per capire almeno un po’ quello che sta accadendo in Italia (e altri Paesi più o meno limitrofi), bisogna ricordare che si sta “lavorando” sull’abbassamento del costo del lavoro in certe aree del globo, lo fa per compensarne l’inevitabile innalzamento in altre. Questo per qualche dettaglio.

      In mezzo a tutto ciò – purtroppo – temo che i pezzi del Sig. Lo Vecchio, per quanto accattivanti ed esteticamente ineccepibili, non aiutino non dico a trovare, ma nemmeno a cercare una soluzione.

  6. Ma perché scivolare dal piano dell’analisi (quello di Lo Vecchio) a quello apocalittico?
    Anche i sogni vanno interpretati e non dicono di sicuro la verità, caro Ricotta.
    E poi, con tutta la simpatia e il rispetto che ho avuto finora per Buffagni, ora che su LE PAROLE E LE COSE sta conducendo una vera e propria crociata sulla questione del cosiddetto “utero in affitto”, le mie riserve aumentano.
    E davvero inviterei a non distrarci dai temi del post. O, se proprio si vuole parlare di queste sue Dieci Tesi (proprio dieci, eh!), facciamolo *criticamente* , invece di rinforzare solo i timori apocalittici.
    Alla prima lettura a me pare di trovarmi di fronte a un dotto delirio religioso-metafisico- schmittiano. Incondivisibile.
    Ma davvero si possono intascare senza discuterle certe sue affermazioni tipo:
    – La questione della maternità surrogata ha un’importanza decisiva sul piano culturale e politico: è uno spartiacque e il segno di una svolta d’epoca;
    – la maternità surrogata è LA SCISSIONE DELL’ATOMO;
    – Le sue conseguenze sul piano culturale e politico saranno paragonabili, per ampiezza e importanza decisiva, a quelle derivanti dall’introduzione dell’arma atomica nel quadro dei rapporti politici fra potenze;
    – La forma di questo conflitto è la guerra di religione;
    – Oggi, lo scisma potenziale è chiaro a tutti, e plasticamente rappresentato dalla compresenza di due papi;
    – Il papa dominante ha sinora incentrato la sua azione dottrinale e pastorale su due temi:
    a) l’immigrazione: doverosa accoglienza di tutti i migranti, senza alcun monito, cautela o indicazione in merito alle gravi conseguenze culturali, religiose, sociali e politiche che lo sradicamento impone sia a chi migra, sia a chi riceve i migranti.
    b) la natura non umana, cioè a dire l’ambiente naturale, non inteso come cosmo ordinato, ma, conforme la visione scientista, come materiale biologico?

    1. “Anche i sogni vanno interpretati e non dicono di sicuro la verità, caro Ricotta.” Di sicuro non ci giurerei. Comunque io non ho alcuna intenzione di essere apocalittico ma ho semplicemente espresso molto sinteticamente il risultato di mie (antiche) riflessioni, di ciò che reputo possibile in un futuro prossimo. Anch’io penso come Alberto Rizzi (ma l’ha detto anche il papa, figuriamoci, anche se credo in un senso molto diverso, almeno dal mio) che la terza guerra mondiale è già iniziata, perciò io mi riferivo alle sue fasi più avanzate, al botto conclusivo. Per quanto riguarda Buffagni, che io leggo per la prima volta, al di là dell’irruenza del personaggio che si riflette nel suo stile letterario un po’ iperbolico, trovo che dica delle cose condivisibili. Su Lo Vecchio (anch’egli leggo per la prima volta) ho già detto che la sua analisi è perfetta ma che essa non ci porta ad elaborare soluzioni. Questo per me è un forte limite del suo approccio. Abbiamo bisogno di andare oltre, parlare dei problemi attuali in modo più esplicito, diretto, e prospettare azioni concrete per risolverli. È su questo terreno operativo che potremo misurare la praticabilità di una proposta o l’impossibilità di essa. Per me è stato illuminante constatare come già su un singolo tema, come quello dell’utero in affitto, ci sia una tale disparità di opinioni, un’impossibilità di convenire su una posizione comune. Alla fine prevarrà l’opinione di chi è in grado, per la sua posizione di potere, di imporre agli altri la propria visione. Tutto ciò fa poco sperare in un futuro tranquillo perché coloro che vengono repressi prima o poi si ribelleranno, ma non ordinatamente, vista la frammentazione delle posizioni, piuttosto in modo caotico, un tutti contro tutti.

    2. Caro Ennio,
      ecco il crociato pazzo.

      Rispondo brevemente (perchè non ho tempo, non perchè non abbia voglia).
      Perchè dieci tesi? Per fare numero tondo. Se ne possono anche scrivere sei o tredici. Mi rendo conto che le affermazioni contenute nelle tesi sono estreme, sono pazzo ma non stupido. L’estremismo delle mia affermazioni dipende da due ragioni: uno, che mi sembra più produttiva una follia di una banalità; due, che non mi sembrano poi tanto folli, queste tesi.

      Se uno ha la pazienza di leggere o rileggere quel che scrivo nei miei interventi su “le parole e le cose” – magari facendo la tara dei giudizi di valore, se gli danno fastidio – si accorge di questo: che a parer mio la maternità surrogata, cioè la mercificazione totale di esseri umani che però conservano tutti i diritti della persona garantiti dallo Stato liberale (+ l’incardinamento simbolico della riproduzione umana e dei concetti di paternità e maternità nella Tecnica) rappresenta una novità qualitativa nella storia.

      Novità qualitativa, perchè cambia radicalmente il modo di pensare l’uomo: il che cambia tutto, ma proprio tutto.La “scissione dell’atomo” di cui parlo è questa. Posso sbagliarmi? Certo che posso sbagliarmi.

      La guerra di religione europea tra cattolicità e protestantesimo è stata combattuta su un punto simbolico essenziale: la Presenza Reale del corpo e del sangue di Cristo nelle specie eucaristiche. Il resto, sola fides, sola scriptura, esegesi biblica, etc., sono importantissime politicamente, ma simbolicamente secondarie, e io qui prendo in esame l’aspetto simbolico del conflitto (che è il più importante, in una guerra di religione, perchè è la dimensione in cui la religione produce cultura, etica, diritto, politica, vita quotidiana, motivazioni umane: cose tutte indispensabili per fare la guerra).

      Tradotto, lo scontro sulla Presenza Reale vuol dire: “è vero o no che nella materia del mondo creato possono essere misteriosamente compresenti uomo e Dio, aldiqua e aldilà, visibile e invisibile?”

      Se la risposta è “sì”, l’uomo e il mondo non possono essere infinitamente manipolabili e manipolati; se la risposta è “no”, è vero il contrario. (Salto qualche secolo di filosofia, così facciamo prima)

      Intendiamoci: lo so anche io che le ragioni politiche ed economiche e storiche e sociali della guerra di religione 1 sono tante; e infatti, la guerra di religione è riuscita a placarsi solo quando la religione è stata messa da parte, o lasciata in sospeso, con il mai abbastanza lodato trattato di Westfalia, che le ha riportate in primo piano. Westfalia ha operato una riduzione filosofica, per così dire, della guerra di religione, e l’ha limitata a una normale guerra per la potenza.

      So anche che la guerra di religione 1 non sarebbe scoppiata se i principi tedeschi non avessero sponsorizzato, per i loro fini politici, le tesi luterane. Lasciato solo, Lutero avrebbe abiurato, o sarebbe finito sul rogo, e oggi sarebbe noto solo agli studiosi.

      Il punto è che oggi esistono sia le ragioni politiche di un conflitto tra impero marittimo e impero terrestre, sia le ragioni di un conflitto ideale che se non vogliamo definire “religioso” possiamo definire “antropologico” (zuppa & pan bagnato). E i segni della sponsorizzazione delle due posizioni antropologiche o religiose contrapposte da parte dei due imperi non me le sono inventate io, ma ci sono, ci sono eccome e NON sono episodi casuali: a queste cose, i governi stanno molto ma molto attenti.

      Quindi, non mi pare tanto peregrina la mia prognosi “conflitto politico + conflitto religioso/antropologico + sponsorizzazioni imperiali delle idealità religiose/antropologiche = guerra di religione 2, con le logiche che le sono proprie e che ho delineato. Spero che non si avveri, ma i dati ci sono tutti.

      Quanto al giudizio sulla situazione interna alla Chiesa cattolica e ai due papi, per la verità è l’analisi più pacifica contenuta nelle mie tesi. E’ vero (di questo sono sicuro) che c’è uno scisma virtuale, e mi par vera anche l’analisi delle rispettive linee fondamentali dei due papati. Se ne può discutere, non lo faccio perchè mi manca il tempo di analizzare i testi delle encicliche, etc.

      Ciao a tutti e grazie dell’attenzione.

      1. Ringrazio Roberto Buffagni per la sua risposta. E rendo pubblico il testo della mail che gli avevo inviato:

        Caro Roberto,
        sono rimasto ammirato e un po’ sgomento dalla vera e propria battaglia che hai ingaggiato su “Le parole e le cose” sulla questione del cosiddetto utero in affitto.
        Per ostacoli contingenti non sono riuscito a intervenire come intendevo fare. Poi, travolto dalla valanga d’interventi, mi sono limitato a leggere velocemente ripromettendomi una riflessione meditata quando troverò il tempo. A complicare le cose, sta il fatto che non riesco a concordare né con
        te né con Pellegrino. Ma ora ti scrivo per metterti lealmente al corrente del fatto che, in uno degli ultimi post su Poliscritture (https://www.poliscritture.it/2016/02/09/i-quaderni-di-italo-ii/), un’assidua commentatrice, Cristiana Fischer, ha rimandato alle tue “Dieci tesi” e io ho dichiarato il mio poco articolato ma deciso dissenso da esse.
        Un caro saluto
        Ennio

        Aggiungo qui che la discussione sta proseguendo su LPLC e che rimando io pure la riflessione sulla questione. Altri/e, che avessero posizioni più definite, possono riproporla in un post indipendente da questo.

        P.s.
        Un’ultima osservazione. Ho appena letto, sempre su LPLC, un intervento di Eros Barone che, fondandosi su studi etnologici, afferma una sua posizione abbastanza vicina, credo, al mio atteggiamento *provvisorio* (di cautela o diciamo pure d’incertezza). Ne riporto uno stralcio significativo:

        Eros Barone
        11 febbraio 2016 a 01:04
        http://www.leparoleelecose.it/?p=21884#comment-319677

        Insomma, questi esempi mostrano che non è il sesso né l’identità sessuale dei membri né la paternità fisiologica ad essere determinante per la costituzione di un’unione coniugale, il che è confermato anche dall’adagio romano secondo cui “is est pater quem nuptiae demonstrant”. Ciò che conta, in altri termini, è la legalità del matrimonio, sancita dal pagamento del “prezzo della sposa”, quindi una caratteristica non naturale ma economica, sociale e culturale.
        Non è difficile allora raffrontare queste situazioni con quella che è attualmente al centro della discussione politico-culturale e della normazione giuridico-istituzionale, e ricavarne la conclusione che, alla luce dell’esperienza etnologica, ciò che sembra possedere un’evidenza assiomatica, e cioè che i membri dell’unione coniugale siano di sesso differente, che il genitore dei figli sia normalmente il padre all’interno dell’unione coniugale, che la famiglia coniugale (padre, madre, figli) costituisca l’unità territoriale ed economica attraverso cui passano l’educazione e l’eredità, e perfino che questa unione si stabilisca tra esseri viventi, nulla di tutto ciò risulta universalmente riconosciuto. Ancora una volta, come accade in questa discussione e, più in generale, nel dibattito parlamentare sulla normazione delle nuove forme di organizzazione famigliare nessuno di questi princìpi è universalmente riconosciuto. Succede così anche a coloro che, come lo scrivente, riconoscono che la loro preferenza per la famiglia tradizionale è essenzialmente di natura emotiva e corrisponde ad un orientamento anti-malthusiano e pro-natalista, di restare prigionieri del falso dilemma che nasce da due particolarismi equieterogenei: quello delle culture e delle comunità di tipo tradizionale, da un lato, e quello delle nuove forme di organizzazione della famiglia e dei rapporti di consanguineità e filiazione, dall’altro. Una cosa però è certa: né la retorica del naturalismo a base creazionista né il feticismo della ‘seconda natura’ sono oggi in grado di prefigurare la via di uscita dalla crisi profonda e irreversibile della famiglia monogamica di tipo tradizionale e un superamento delle contraddizioni sociali, individuali e interpersonali che la dinamica di sviluppo e crisi del capitalismo determina incessantemente, facendo sì, come scrivono Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito Comunista”, che “tutto ciò che era solido svanisca nell’aria”.

        1. La posizione di Barone è quella tradizionale marxista. Sempre meglio dello schifo nichilista, ma qui secondo il mio modesto avviso, c’entra come i cavoli a merenda.
          Il punto è: nel marxismo, il rifiuto del concetto di “natura umana” (che non richiede l’adesione religiosa, tutt’altro) e la riconduzione di tutto l’uomo alla storia (storicismo, materialismo) sono i punti deboli sfondando i quali il marxismo diventa nichilismo. Vedere’ Preve, che su questo temino ha lavorato tutta la vita.
          Nella questione “utero in affitto” non ci sono in ballo le strutture economiche, etc. C’è in ballo il concetto di “natura umana”. Se esiste, non si può fare TUTTO con l’uomo. Se non esiste, sì (e infatti si fa). Qui il “può” significa “essere in grado di”. Se la natura umana esiste, quando tu la manipoli oltre a una soglia x, hai un blowback. Se non esiste, se ne può (si è in grado di) farne qualsiasi cosa che funzioni (che sia “performativa”).
          Io esprimo questi concetti nel mio linguaggio, che è religioso e cristiano cattolico. Se vi urta, togliete le Madonne, ma riflettete sulla cosa.

          1. @ Buffagni

            Rimanderei volentieri la discussione ad altro post. E comunque dopo che avrò fatto una mia attenta rilettura di tutta la discussione (ancora non conclusa) su “Le parole e le cose”.
            Ma, essendo il nostro confronto proprio su LPLC di lunga data, mi sono ricordato che abbiamo sfiorato argomenti simili nel dicembre 2012 (allora parlavamo della “forma-matrimonio” ), e attingendo all’archivio del mio PC, mi limito a stralciare questo brano di una mia risposta che riguarda proprio la questione marxismo/nichilismo:

            Accetto volentieri la correzione che il capitalismo non agisce (più) solo dall’esterno ma *dentro* le persone attraverso anche una capillare “colonizzazione dell’inconscio”, come è stato detto. Resto, invece, sorpreso nel vedermi aggregato a Derrida. Non vedo perché il mio sentirmi legato a una visione storico-materialistica d’ascendenza marxiana, «nella quale non ci sono “essenze” d’alcun tipo, né religioso né filosofico» sia «un’asserzione non meno nichilistica della proposta di Derrida». Marx non vedeva affatto la storia «orientata provvidenzialmente in una “grande narrazione”. La storia, mi pare di aver letto in Althusser, è come un treno che non ha nessuna destinazione prefissata. Noi ci saliamo sopra per un breve tratto di vita, prendiamo atto (in parte) del tragitto già compiuto, tentiamo di individuare qualche stazione, alla quale essa sembra diretta e, sulla base delle nostre deduzioni più o meno scientifiche e sotto la pressione costante dei nostri immaginari (“desideranti”) di partenza regoliamo più o meno razionalmente le nostre mosse o scelte. A nessuna delle stazioni previste o prevedibili neppure da un grande pensatore ( ad esempio, quella del comunismo ipotizzata da Marx) è garantito l’arrivo. Come a fine Novecento in parecchi abbiamo constatato. Né penso che il riciclaggio degli ex comunisti in liberisti “di riserva” discenda da posizioni marxiane, ma semmai dall’abbandono della problematica di Marx o da una loro formazione più storicista che marxiana ( o, se si vuole, di una formazione avvenuta nella scolastica dello «storicismo marxista»). (Non affronto in questo contesto di discussione già sfilacciata il discorso sulla posizione di Preve, rimandando ad un’occasione più favorevole).

            A presto

          2. @ A. Locatelli
            Scusi, signora, ma che cosa c’entra? E’ chiaro come il sole che ci può essere una donna che genera il figlio alla vecchia maniera e poi lo tortura e lo uccide, e una donna o un uomo che se lo compra con la maternità surrogata e poi lo alleva con attenzione amorosa. E allora? La storia riporta casi di schiavi che si fecero torturare e uccidere per salvare i padroni: evidentemente, tra quegli schiavi e quei padroni c’erano un affetto e una lealtà straordinari. E’ un argomento per il ripristino della schiavitù? A me non pare. Altrettanto, la storia riporta casi di padri e/o madri che ficcano il figlio neonato nel microonde perchè il suo pianto li esasperava, o che se lo dimenticano in automobile parcheggiata sotto sole canicolare e lo ritrovano bollito. Evidentemente, non gli volevano tanto bene. E’ un argomento contro la maternità e/o la paternità? Veda lei.

          3. @ C. Fischer

            Sì, signora Fischer, “Non si esce comunque mai dal discorso”, finchè si resta, appunto, sul piano del discorso, cioè sul piano intellettuale.
            Ci sono però altri due piani, sui quali dal discorso si esce eccome, e necessariamente.
            Uno è il piano spirituale (per chi crede che esista). Lì, le scelte sono univoche: si sceglie per il bene, si sceglie per il male, e stop.
            L’altro è il piano fisico, o materiale: lì si vince o si perde, e stop.
            Non è casuale la corrispondenza tra il piano spirituale e il piano fisico: è una massima della sapienza antica che “così in alto, come in basso”. Il piano intellettuale è il piano intermedio. Vi opera e regna il pensiero, che per questo può e deve essere completamente libero, e che mai, da solo, può giungere a conclusioni davvero cogenti e inconfutabili. Poi c’è il momento della decisione, sia sul piano spirituale, sia sul piano fisico. Sul piano fisico, il momento della decisione appartiene alla politica, e alla dimensione consustanziale alla politica: il conflitto, anche a morte.

          4. Sono d’accordo in tutto con questo suo ultumo commento.
            Che non si esca dal discorso lo sostenevo a proposito del conflitto sui sacramenti tra cattolicesimo e protestantesimo.

          5. p.s. … in cui si sceglie si, praticamente, fuori dal discorso, a morte anche. Ma allora il bene (o il male) è oltre l’essere, oltre una confessione.
            A meno che non si faccia coincidere il cattolicesimo con il pari di Pascal, il che storicamente non è.

          6. Come dicevo sopra, signora Fischer, la scelta o decisione è fatta così per sua natura. Il che a mio parere non costringe nessuno al pari pascaliano (che riguarda la verità di Dio, non l’azione, se non sul piano della scelta intellettuale, prima ancora che spirituale-esistenziale).
            La decisione costringe chi agisca sul piano materiale, cioè terreno o temporale che dir si voglia, ad accettare il paradosso intellettuale, o la contraddizione tragica di ogni azione nella storia.
            Esiste una azione spirituale univocamente buona, per chi pensa che esistano azioni spirituali. Non esiste invece una azione storica e politica univocamente buona, nelle sue motivazioni e nelle sue conseguenze. Non esiste proprio: ecco perchè mettevo in guardia, poco fa, contro il pericolo di identificare il proprio campo con “il Bene”. Non esiste, ma bisogna agire lo stesso. Tutto qua.
            Si vede con molta chiarezza nella guerra, e in ogni conflitto a morte. E’ univocamente bene, uccidere? No che non è univocamente bene. Eppure, ci sono circostanze in cui bisogna uccidere, e non uccidere è peggio che uccidere. Mi sono spiegato?

      2. Nelle dieci tesi di Buffagni e nel suo primo commento in questo post isolo tre affermazioni tanto radicali per il significato che implicano e per l’appartenenza che dichiarano, ma in realtà vuote quanto alla loro intima obbligatorietà.
        1) Riferendosi alla guerra di religione 1, tra cattolicità e protestantesimo, Buffagni chiama “punto simbolico essenziale la Presenza Reale del corpo e del sangue di Cristo nelle specie eucaristiche”.
        E’ però possibile considerare quel *punto simbolico* appunto una forma simbolica, storicamente collocata, e non *essenziale*.
        Infatti l’affermazione successiva di B “nella materia del mondo creato possono essere misteriosamente compresenti uomo e Dio, aldiqua e aldilà, visibile e invisibile” può avere anche altre e diverse traduzioni simboliche. Io individuo nella primarietà dell’amore (Duns Scoto) e più concretamente ancora nella nascita e nella dualità sessuale (Duns Scoto e l’immacolata concezione) la compresenza di uomo e dio: primarietà dell’amore e fatica di incarnarlo antropologicamente, storicamente, spiritualmente. Prima che l’ostia consacrata è la stessa esistenza umana che significa la compresenza di creaturalità e divino.
        2) “Per la Vecchia Religione, è ‘ordinato’ ciò che è adeguato e corrispondente alla struttura metafisica del reale. Ciò vale sia per l’ordinamento della personalità, sia per l’ordinamento della compagine sociale. La personalità e la compagine sociale si ordinano in rapporto con la ‘natura umana’ che è un dato strutturale permanente: anche se non ne sono, né possono mai esserne noti tutti gli aspetti e le possibilità; che anzi si esplicano, in modo parzialmente prevedibile ma sempre aperto all’irruzione del possibile, nelle storie personali e nella Storia comune”.
        La *natura umana* a cui Buffagni si appella svolge però un doppio ruolo: fa parte della struttura metafisica del reale e secondo questa struttura sarà ordinata dalla Vecchia Religione. E però, se i suoi aspetti e possibilità sono sempre aperti all’irruzione del possibile, la vecchia religione può ben essere incapace di ordinare un ontologico *possibile*.
        3) Atene e Gerusalemme: “con l’indebolirsi culturale e politico dell’istituzione ecclesiastica, le due correnti greca ed ebraica hanno iniziato a separarsi”. In realtà le due correnti si sono distinte, e persino combattute nei primi secoli, ma il cristianesimo ha parallelamente elaborato una propria differenza e teologia.
        Poveri due papi ridotti a rappresentare quelle lontane eredità!
        Il testo di Lo Vecchio, a questo punto, è stato sorpassato e non è più nemmeno un’occasione per la discussione. Invece la sua costitutiva erraticità ci indica l’ampiezza del possibile in cui vogliamo (chi lo vuole) rintracciare il filo della natura umana.

        1. …per riflettere ancora sul testo di Roberto Buffagni… Riguardo alla Nuova Religione o Antireligione dei nostri tempi, nella terza tesi, R.B. afferma che: ” …l’uomo vi viene inteso come un composto di materiale biologico indefinitivamente manipolabile + volontà; volontà arbitraria…”, penso in riferimento alla pratica della GPA e questo tradirebbe l’essenza della natura umana. Non sono una paladina di questa nuova modalità di procreazione, ma credo di dover sospendere il giudizio in proposito poichè, secondo me, la sua positività o meno dipende dal livello di serietà e responsabilità personale e reciproca delle persone coinvolte soprattutto verso i figli…Potrebbe essere esclusa la mercificazione e, per fortuna, non sono da paragonare a pratiche di eugenetica. Bisognerebbe tuttavia velocizzare l’iter di approvazione della nuova legge sulle adozioni e promuoverla in tutti i modi, così da risolvere piuttosto il problema dei bimbi soli. Inoltre penso che l’uomo abbia disatteso l’essenza della natura umana ( ammesso che si possa definire) da molto più tempo, cioè da quando opera “la manipolazione ” dell’uomo sull’uomo ( ma anche sugli animali) dei corpi nel senso più degenerativo: maltrattamenti, torture…La morte del giovane Giulio Regeni e di moltisimi come lui e le guerre imperialistiche sono il vero scandalo…

        2. Cara Signora Fischer,
          grazie per la replica.Le rispondo molto in breve, visto che Ennio ha invitato a rinviare un eventuale dibattito ad altra occasione.

          1) Presenza Reale. Certo che “E’ però possibile considerare quel *punto simbolico* appunto una forma simbolica, storicamente collocata, e non *essenziale*.” E’ la posizione modernista e protestante. Qui ci sarebbe da discutere sul concetto di “divinoumanità”, che è over my paygrade (non sono teologo).

          2) Natura umana, Vecchia Religione. Certo, “la vecchia religione può ben essere incapace di ordinare un ontologico *possibile*” Su questo punto, registravo solo un fatto (molto rilevante, ma solo un fatto); e cioè che l’impero terrestre ha adottato la Vecchia Religione come teologia civile. Del resto, le religioni non si improvvisano. Quella c’era, quella ha preso.

          3) Atene e Gerusalemme. Verissimo quanto lei dice, che le due correnti cristiane si sono combattute sin da subito, e anche che il cristianesimo ha elaborato una linea sua propria. Anche qui, registravo un fatto culturale e politico importante: e cioè che le linee di faglia lungo le quali mi pare si stia disegnando lo scisma nel cattolicesimo sono quelle. Atene viene attratta verso l’impero terrestre, Gerusalemme verso l’impero marittimo. Questo può avvenire perchè Roma (l’istituzione) si è molto indebolita, e non compone più le tensioni interne alla cattolicità, nè riesce a superarle in avanti con una nuova elaborazione.

          Non è prevedibile, perlomeno da me, l’eventuale risposta alla sfida storica che il cristianesimo potrebbe produrre per uscire dall’attuale impasse. Nella mia ipotesi, io cerco di vedere quali sono le forze effettualmente in campo, e il clivage dei conflitti sia politici sia religiosi e culturali.

          1. E’ molto interessante la sua risposta, in cui pare, ma probabilmente pare soltanto, che i due soggetti impero terrestre e impero marittimo si servano della religione, ridotta ad aspetto simbolico del conflitto.
            Credo invece che la sua autodefinizione di crociato pazzo la veda radicato in ben altra consistenza teologica e metafisica. Il collegamento tra la dimensione imperiale e quella ontologica è il vero busillis!

          2. Cara Signora Fischer,

            non esiste una religione che non si radichi, o se vuole si incarni, anche sul piano dell’effettualità storica, politica compresa.
            Che questo ponga dei bei problemini, non c’è il minimo dubbio. Non appena la religione diviene strumento politico, viene (anche) strumentalizzata. Secondo me, non *solo*strumentalizzata, ma non c’è dubbio che l’elemento strumentale sia sempre presente o almeno possibile, nel politico: perchè in ballo c’è sempre la questione del potere e della forza (e lei sa chi è il principe di questo mondo…). D’altro canto, una religione puramente interiore, che rifiuti a priori la dimensione storica e politica, è una contraddizione in termini. E’ vero che per chi pensi esista un luogo dove il bene produce solo il bene, il male solo il male, la sola azione veramente efficace è l’azione spiritualmente buona: il che spariglia tutte le carte politiche. Ma la dimensione terrena e politica resta, con tutte le sue tragiche contraddizioni. In questa dimensione, allora, chi abbia a cuore la sopravvivenza del cristianesimo saluterà con sollievo il fatto storico, non facile da prevedere solo pochi anni fa, che una nazione dotata di armamento nucleare strategico si dichiari ufficialmente cristiana.
            Da questa contraddizione discende a mio avviso la necessità di non identificare MAI un campo (di solito il nostro) con il Bene, l’altro con il Male. Anche e specialmente in una guerra di religione, ci può essere certamente un campo che difende la causa migliore (o la religione migliore), e un altro che difende la causa o la religione peggiore. Nessuno dei due campi, però, va identificato con il bene o con il male assoluto. Purtroppo, la dinamica delle guerre di religione tende proprio verso questa deriva terrificante.

          3. Ma se si parte dall’effettualità storica, una religione è puro rivestimento di più o meno generali visioni dei propri interessi ed eventuali valori.
            In realtà tra le due ipotesi, cosa si incarni o quale carne si rivesta… ecco, per me ma non solo per me, in questi tempi, è difficile decidere anche questo.

        3. @ C. Fischer

          La religione è un fatto umano, e punto. Questa è la mia posizione di fondo. Aggiungo che non è SOLO un fatto umano. Però è ANCHE un fatto umano. Come tale, è “un rivestimento”, come lei scrive, o “una incarnazione” come direi piuttosto io? Un abito o un corpo? Come vede, torniamo alla questione della Presenza Reale e alle risonanze simboliche che questo concetto produce nelle menti, nel linguaggio e nel mondo. Il suo “rivestimento” viene dall’accezione protestante e modernista dell’Eucarestia come “simbolo”, il mio “incarnazione” viene dalla mia accezione cattolica e ortodossa di Ecurarestia come “Presenza Reale”. Allo stesso modo, di chi è un figlio? Di chi lo genera, o di chi lo vuole (anche se poi esprime questa volontà commissionandolo e pagandolo?) Non so se mi sono spiegato…

          1. …e se poi la stessa madre che genera il figlio commette un infanticidio? Non è questa, di essere madri naturali, la codizione necessaria e sufficiente

          2. In teoria, cioè sul piano della conseguenza nel linguaggio, si può dire che l’una eucarestia “viene” dall’accezione protestante mentre l’altra eucarestia “viene” dall’accezione cattolica ortodossa. Quel “viene” implica degli eventi storici sul piano del discorso. Il protestantesimo ha disconosciuto la pretesa della chiesa cattolica di far intervenire, per suo mandato, sul piano rituale-sacramentale la reale presenza divina. Invece, partendo dalla testa e non dai piedi nel suo cammino, la chiesa cattolica sostiene che *prima* venne dal divino il dono dei sacramenti, che la chiesa poi riconobbe e istituì.
            Non si esce comunque mai dal discorso. Anche nel prologo “in inizio era il verbo e il verbo era presso dio”, il che è pur sempre *stato detto*, si afferma che è del verbo che si parla.
            Diciamo allora che il Verbo è la manifestazione, è la creazione, è la relazione… Ecco: è nella manifestazione che conosciamo il divino, nell’eucarestia come nella storia come nel nascere al mondo, come nella scelta individuale (dell’anima) di riconoscere il divino nella manifestazione. Stabilire confini nella scelta e nella manifestazione è un po’ difficile.
            Così è difficile opporre le due chiese, come forse invece sarebbe anche pensabile si oppongano i due imperi, terreste e marittimo.

  7. SEGNALAZIONE: ATTENZIONE ALLA PARANOIA

    Dal jolie temps alla crisi: paranoia e narcisismo nel presente.
    Scritto da Aldo Giannuli.
    (http://www.aldogiannuli.it/paranoia-e-narcisismo-nel-presente/)

    Un commento:

    GherardoMaffei
    6 febbraio 2016 a 08:23 | #
    Ritenere che la storia sia un percorso lineare e sempre più volto al progresso è una fissazione moderna. La verità è che non ci si vuole arrendere al fallimento storico dei dogmi teologici-ideologici di cui si sono nutrite schiere di giovani di sinistra pseudo democratici,marci intellettualoidi, la cui degna rappresentazione è stata la generazione dei “sessantottini”. Una generazioni di falliti, la prima responsabile della crisi irreversibile della porcilaia-occidente attuale, compreso l’estremo occidente rappresentato dagli USA, che ci ha regalato come capo un figlio di un africano, non escludendo che il prossimo sia una femmina. La terza guerra mondiale è alle porte: sarà una guerra a differenza delle due precedenti, una guerra di razze. La divisa del soldato della imminente guerra mondiale, sarà data dal colore della pelle, gli stermini delle due precedenti saranno poca cosa in confronto.Quello che lucidi intellettuali negli anni trenta del secolo scorso, profeti inascoltati, avevano preannunciato, si sta avverando, milioni di alogeni africani e asiatici, invaderanno il vecchio sterile marcio continente dedicandosi alle razzie e al saccheggio, ma soprattutto allo stupro della donna bianca, come fecero i mongoli dell’armata rossa nella Germania distrutta del 1945, con due milioni di donne tedesche.Periremo tutti,ma sinceramente democratici, pregni di valori resistenziali, al canto di “bella ciao”.
    Post Scriptum. Qualcuno ha citato la psicanalisi; sarà opportuno che costui legga il padre della psicanalisi moderna Sigmund Freud, il quale sosteneva che la femmina è animata nei confronti del maschio dall’invidia del pene.Ma non ditelo alle femministe tutte rigorosamente di sinistra …

    (http://www.aldogiannuli.it/paranoia-e-narcisismo-nel-presente/#comments)

  8. Ci si può scherzare ma anche questo è uno scenario possibile. Comunque sono sorpreso nello scoprire che ci sono diversi altri concordi con me sulla catastrofe prossima ventura. Detto ciò però mi piacerebbe andare su temi specifici. Ad esempio quali sono le opinioni dei redattori e lettori di questo blog sulle riforme di Renzi, su quelle costituzionali, sulla faccenda delle banche, su affittopoli, immigrazione, sicurezza sociale, flessibilità sul lavoro, unioni civili, stepchild adoption per omosessuali, utero in affitto e così via. Io sono nuovo e può darsi che se ne sia già discusso ma repetita iuvant.
    Se rimaniamo ai discorsi generali e generici non facciamo alcun progresso.

  9. ….purtroppo nello scritto di Roberto Buffagni (le dieci tesi) e in quello di Aldo Giannuli vedo molto dogmatismo e volontà di restaurazione di poteri che hanno imperversato per secoli. La crisi in corso viene imputata a coloro che hanno cercato, senza riuscirci, di farli traballare, mentre, secondo me, è proprio la conseguenza della radicalizzazione di quei poteri a livello mondiale. Per fare un esempio tratto dai quaderni di Italo Lo Vecchio: in America latina La Chiesa cattolica e lo Stato dei conquistadores si sono alleati per annientare i nativi, in quanto portatori di barbarie, paganesimo e identità, in nome di una “natura umana” superiore e apportatrice di civiltà, quella occidentale. Là tuttavia nel tempo “i sangui”, la cultura di indigeni e invasori si sono mescolati nella popolazione creola e si sente lo sguardo dello scrittore privilegiare le lotte popolari per la liberazione dal giogo dei comuni dittatori. Una storia di mescolamenti, come inevitabile, credo…Invece, sui nuovi capovolgimenti della storia voluti dai potenti, che pesano su popolazioni costrette a fuggire da guerre, su altre non preparate ad accoglierle, ci si irrigidisce su posizioni da ultima crociata. I migranti visti come un cavallo di troia pronti a dar fuoco ad una civiltà. Certo così andiamo incontro ad uno scontro sicuro, per giunta manovrato dall’alto

  10. @ Locatelli

    Non mi pare che nello scritto di Giannuli ci sia il dogmatismo che s’intravvede invece in quello di Buffagni. (Il commento che ho riportato non è di Giannuli! I link sono 2…). Stralcio dal pezzo di Giannuli:

    Poi è giunto il tempo della crisi ed abbiamo scoperto che nessuna delle promesse fatte è stata mantenuta: una grande guerra generalizzata non è in vista (anche se il rischio è un po’ più concreto oggi di quanto non lo fosse trenta anni fa), ma nuove forme di conflitto strisciante ed anomalo vanno diffondendosi, primo fra tutti il terrorismo e con esso è cresciuta l’invasività dello spionaggio e, parallelamente, sono declinate le libertà individuali; mai si sono spesi tanti soldi per gli armamenti; la medicina ha fatto molto, ma le aspettative erano assai maggiori e l’aumento della durata media di vita rallenta sin quasi ad arrestarsi, l’algoritmo che avrebbe dovuto scongiurare ogni grande crisi probabilmente era sbagliato, l’ascensore sociale sembra irreparabilmente rotto ed il futuro promette sempre meno alle giovani generazioni. E torna il tempo della paranoia.

    Per la verità essa era serpeggiata furtivamente già nel decennio che è alle nostre spalle, ma si è conclamata nel 2015 con gli attentati terroristici di Parigi e l’ondata di profughi ed immigrati. L’attuale xenofobia (presente da anni, ma ora esplosa a livello di massa) ripropone tutti i clichet della più classica paranoia: i musulmani sono tutti terroristi, si preparano a sottometterci, non sono integrabili, anzi, forse, ci invadono approfittando dello stato di narcosi delle nostre società che non stanno riconoscendo il pericolo. Sono i nuovi alieni, forse non sono neppure fatti di chimica del carbonio e sbarcano da chissà quale pianeta. Si producono gli stessi stereotipi della de-specificazione tipici delle grandi ondate razziste: la tranquilla, pacifica Danimarca sequestra i beni dei rifugiati e segna all’esterno con un simbolo le case in cui essi abitano (vi ricorda niente?), l’Ungheria si barrica dietro siepi di filo spinato, forze politiche di notevole consistenza (il Fn, la Lega, i Veri Finlandesi ecc) chiedono l’espulsione di gran parte degli attuali immigrati e il blocco di nuovi arrivi, la Francia socialista pensa a nuovi campi di concentramento modello Guantanamo, tornano le frontiere blindate dentro l’Europa.

    Siamo di fronte alla seconda età della paranoia, ma il trentennio narcisista non è passato invano ed oggi forse riusciamo ad apprezzare meglio il pericolo di questa patologia misconosciuta: essa ha abolito il senso tragico della vita e, con ciò stesso ha reso più fragili individui e società. La rimozione del dramma e della stessa idea di morte, ha neutralizzato il principale elaboratore di lutto dell’uomo: la coscienza che il dramma è una parte costitutiva ed ineliminabile della vita. Il narcisismo ha segnato una regressione infantile dell’intera società: l’uomo della prima globalizzazione si immagina in un regno anomico della libertà intesa come assenza del limite, in cui non esiste la necessità del lavoro (quanti danni hanno fatto gli ideologi dell’Autonomia!!!). In questa regressione, è abolita l’idea stessa di tempo: si vive in un eterno presente uguale a sé stesso, che non ha passato e non ha futuro e, perciò stesso, non ha senso di responsabilità verso le generazioni future e non è in grado di accettare l’idea di una crisi di sistema che metta in causa la persistenza dell’esistente.

    (http://www.aldogiannuli.it/paranoia-e-narcisismo-nel-presente/)

  11. …sì, mi scuso, l’articolo di Aldo Giannuli dice tutt’altro…mi riferivo a Gherardo Maffei. Sono assolutamente d’accordo su paranoia e narcisismo dei nostri tempi

  12. @ tutti/e: grazie per i commenti. Me la cavo così, frettolosamente, perché negli ultimi due giorni sono stato distratto dal blog da diversi impegni (accidentaccio! la vita incombe!). Ho solo adesso dato un’occhiata alle ormai celebri 10 tesi di Buffagni (una persona che stimo). A differenza di Ennio, mi hanno messo tanta confusione in testa. Ma una cosa è certa: non saranno argomento d’un mio Quaderno.

  13. Mi permetto di intervenire, affermando innanzitutto che sull’argomento proposto e sugli spunti che emergono dai commenti si potrebbe discutere all’infinito. Ma intendo soffermarmi su un’espressione, che è anche convinzione di tanti: “La terza guerra mondiale è già cominciata”.
    Sarò pure rincoglionito, ma se vogliamo usare le parole nel senso loro proprio, senza dunque enfatizzare, la terza guerra mondiale non è cominciata affatto. Il che non esclude indizi e, magari, inizi futuri. Intanto, nell’espressione che ho riportato virgolettata, personalmente leggo preoccupazione, premonizione, anche paura per quelle che potrebbero essere avvisaglie di guerra. L’uomo d’oggi è spiazzato dalla piega che stanno prendendo gli eventi; e anche (nella sua parte migliore) avvilito per la propria impotenza.
    La realtà mondiale attuale è paragonabile a quella di un gran corpo, con un gran ventre, dove sono state incautamente introdotte, sicché confliggono tra loro, le sostanze nutritive più diverse, fino a quando ognuna di esse non trova la sua strada e la sua destinazione. E mentre per questo fenomeno in un corpo umano si generano sommovimenti e, al più, turbolenze gastrointestinali, nella realtà del mondo odierno talune diversità, ingiustizie, sofferenze, bisogni, violenze e soprattutto interessi (economici o di potere in generale) si traducono in focolai di guerra, sparsi un po’ in tutto il pianeta (guerra “asimmetrica e diffusa”, e chi non la vede?). Ma non per questo si può parlare di guerra mondiale. Né peraltro si può, propriamente, indicare con questa espressione il contrasto, anche feroce, che vede spesso opposti, talvolta su vasta scala e pure trasversalmente, potentati economici, lobbies, formazioni religiose, multinazionali, gruppi di potere all’interno di un Paese e addirittura il confronto armato tra singoli Stati e Nazioni. Qui si tratta di scontri e guerre locali, magari con riflessi e ripercussioni internazionali come nel caso di attentati terroristici. Ma questa è la vita, solamente la vita, che è confronto, scontro e dunque lotta. Da sempre e, credo, per sempre. Ma una vera guerra mondiale è tutt’altra cosa. Per il momento, dunque, mi pare eccessiva l’affermazione che già siamo nella terza guerra mondiale. Anche se certe avvisaglie non promettono nulla di buono.
    Pasquale Balestriere

    1. “…nella realtà del mondo odierno talune diversità, ingiustizie, sofferenze, bisogni, violenze e soprattutto interessi (economici o di potere in generale) si traducono in focolai di guerra, sparsi un po’ in tutto il pianeta (guerra “asimmetrica e diffusa”, e chi non la vede?). Ma non per questo si può parlare di guerra mondiale.”

      Sig. Balestriere, a farsi un po’ di Storia dell’umanità, si scopre che in tutti i secoli “focolai di guerra” ci sono stati ovunque, contemporaneamente sul Pianeta. Il punto è che quelli erano generati da cause differenti e scollegate fra di loro, mentre la stragrande maggioranza di quelli odierni nasce da un’unica causa. Questo rende il loro insieme una “guerra mondiale”, anche se è differente dalle due precedenti. E anche se la grande maggioranza di noi non se n’è ancora accorta.

      Per tornare a quello che dovrebbe essere l’argomento dei nostri commenti (è chiaro, che uno scritto di argomenti ne apre anche parecchi in una volta sola; ma sono d’accordo con Ennio Abate, che stiamo divagando un po’ troppo), rimane il fatto che un pezzo come quello di Lo Vecchio, non porta da nessuna parte: credo che la creatività dovrebbe offrire se non soluzioni (sempre opinabili, se si vuole), almeno spunti di riflessione, perché chi legge / vede / ascolta, trovi una propria strada.

      E in questi suoi pezzi ci trovo solo il compiacimento di una bella scrittura.

  14. Scrive A. Rizzi (9.2.16 ore 22.54) *La Terza Guerra Mondiale è già iniziata da parecchi anni; solo che, essendo “asimmetrica e diffusa” (ed essendo la maggioranza della gente rincoglionita da questo sistema economico e sociale) in pochi se ne sono accorti*.
    P. Balestriere (10.02.16 ore 18.53) gli contrappunta un *Per il momento, dunque, mi pare eccessiva l’affermazione che già siamo nella terza guerra mondiale *, partendo lui dall’ipotesi che, alla fin fine, anche i più feroci contrasti (*scontri e guerre locali, magari con riflessi e ripercussioni internazionali come nel caso di attentati terroristici*) non possono essere ascritti ad un registro di *guerra mondiale* perché *questa è la vita, solamente la vita, che è confronto, scontro e dunque lotta*.
    Nulla da eccepire sul fatto che la vita è confronto e conflitto ma mi sembra importante capire quali sono gli agenti chiamati in causa.
    Una Guerra Mondiale c’è (che si chiami ‘Terza’ oppure no, non è la nominazione che ci interessa) anche se attualmente non ne vediamo l’esplosione nel conflitto vero e proprio ma ne possiamo cogliere i prodromi nel loro lento, incostante e imprevedibile costituirsi in ossatura, prima della manifestazione fenomenica. Alcuni embrioni atti a favorire questo distruttivo (processo già nascevano nel seno avvelenato della Seconda Guerra Mondiale.
    a) Aspetto geopolitico.
    Il segnale di supremazia dato dagli USA al mondo intero (e non soltanto ai giapponesi, ormai già sconfitti) attraverso lo sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki ne fu il primo indice. Ma un monito particolare andava verso l’Unione Sovietica i cui movimenti espansionistici venivano percepiti come un serio pericolo nella gestione della superpotenza americana. Infatti alcuni storici hanno interpretato il bombardamento di Nagasaki del 9 agosto 1945 (apparentemente non necessario dopo il disastro di tre giorni prima compiuto da “Little Boy” ad Hiroshima) non più inerente al conflitto mondiale in via di conclusione, bensì un atto di forza funzionale a dimostrare la potenza statunitense per arginare l’espansione russa che l’8 agosto aveva invaso la Manciuria: questo significava il primo atto della guerra fredda tra i due paesi, conflitto che tutt’ora continua con altre modalità, essendo venuto a cadere anche il bipolarismo che lo contraddistingueva.
    b) Interazione tra tecnologia e cultura.
    L’introduzione di una sempre maggiore distanza ‘emotivo/razionale’ tra l’azione devastante degli strumenti di offesa (bellici, in primis: i bombardamenti aerei, ad esempio) e la presa di contatto ‘reale’ dei suoi effetti ha portato ad un progressivo disinvestimento del concetto di ‘dopo’, di futuro e di responsabilità. A regolare tutto ciò (perché il disordine serve fino ad un certo punto) si sono costruiti gli idoli della ‘democrazia’ e della ‘libertà’ in nome dei quali anche la distruzione è accettata.
    c) Effetti sulle dinamiche sociali con riflessi anche nelle situazioni di pace (narcisismo => la classe eletta; paranoia => il nemico è sempre l’altro).
    Appare nell’ultimo conflitto, in particolare modo verso la fine, un elemento di novità: l’uso della popolazione civile come arma per destabilizzare dall’interno il potere del nemico, che non avviene attraverso la presa di consapevolezza delle dinamiche politiche esistenti ma sotto la pressione e le minacce di distruzione collettiva. Non che prima non si ricorresse a certi ricatti, ma ciò era considerata comunque una soluzione esecrabile (o ‘disonorevole’) e pertanto praticata senza fare grancassa. Ed in parte si cercava di renderla meno cruenta nel senso di non colpire indiscriminatamente tutti ma, tendenzialmente, di salvaguardare e proteggere i propri ‘partigiani’. La ‘istituzionalizzazione’ di questa modalità, anziché la sua stigmatizzazione, l’abbiamo vista all’opera nei recenti conflitti nei paesi medio orientali.
    Nell’esperienza della II Guerra Mondiale, tra l’agosto e dicembre 1942, dal Veneto al Sud, venivano lanciati dagli aerei alleati dei volantini che minacciavano “La vera guerra si avvicina perché vi bombardiamo…”. Oppure, dopo un bombardamento: “Questa notte abbiamo bombardato Napoli. Noi inglesi non volevamo bombardare voi cittadini napoletani perché non siamo in lite con voi. Noi vogliamo solo la pace con voi. Ma siamo stati costretti a bombardare la vostra città perché voi permettete ai tedeschi di servirsi del vostro porto”.
    Questa novità di inserire un messaggio ‘amichevole’ (ma in realtà devastante)suggerendo che chi è causa del suo mal pianga se stesso, e che soltanto alleandosi ai liberatori la popolazione avrebbe potuto ‘liberarsi’ e ‘redimersi’ da un passato fascista fu caldeggiata dagli strateghi statunitensi. Il fine non era soltanto quello di poter averla vinta sul nemico utilizzando lo scudo della popolazione aizzandola a fare anche un lavoro sporco di tradimenti, di delazioni e favorendo in quel modo l’esplosione delle parti più regressive e paranoiche ma, soprattutto, effetto non secondario, di creare una situazione di frazionamento sociale interno al paese in questione. Creando un clima di sospetto fra le persone che, nella lotta fratricida, annientavano così le loro risorse e ciò a beneficio di chi aveva introdotto il ‘divide et impera’.
    Se poi pensiamo al contesto specifico, non erano allora ininfluenti le preoccupazioni dell’intelligence britannica nei confronti di una classe operaia del nord che si ribellava ai tedeschi non tanto nel nome degli anglo-americani ma del comunismo sovietico. E tutto ciò non poteva non minare anche l’unità della lotta partigiana!

    Qualcuno potrebbe obiettare che il mondo va avanti, che ci sono sempre dei cambiamenti, delle trasformazioni che dal passato portano al presente. Sì, sono d’accordo. Sono consapevole del fatto che per costruire è necessario anche distruggere ma mi riserbo la libertà della scelta. Così come vorrei che analoga libertà appartenesse anche ad altri e che non fosse condizionata dalle ideologie. [Mio pistolotto finale!!!]

    R.S.

    1. Analisi ineccepibile, Signora; mi complimento con lei per le sue capacità nel campo.

      Per completare quello che ha scritto, a beneficio di chi segue questi post e relativi commenti, faccio notare due cose:

      1) La guerra è sempre stata – comunque la si presenti – una faccenda economica: confrontando le cause delle Guerre Puniche con quelle che portarono a Pearl Harbor, si scopre che l’unica differenza sta nella scala dell’area coinvolta. E quando una delle due parti scopre che il rapporto spese-guadagni (non necessariamente di mero denaro, questi ultimi) inizia a presentare un saldo negativo, scoppia immediatamente in essa un’improvvisa, travolgente voglia di pace.

      2) La causa di quanto sta succedendo sulla nostra pelle in questi ultimi anni, è quindi anch’essa puramente economica: una lotta per la redistribuzione o il mantenimento delle posizioni economiche dei grandi gruppi di potere sovranazionali, con gli Stati usati oramai come pedine. Gli attori sono così – in parte – cambiati: ora ci sono la Cina e altri Stati economicamente emergenti contro gli Stati Uniti; anche se la Russia di Putin ha fatto significativi passi avanti, per rientrare nel gioco. Ma la sostanza non cambia.

      E tutti gli avvenimenti di grande impatto, politici e militari (dalle decisioni prese in Europa almeno nell’ultimo ventennio, compresa la defenestrazione di Berlusconi – filo Putiniano – fino alla creazione e all’uso che si sta facendo dell’ISIS) vanno letti in questo modo.

      1. “Sono consapevole del fatto che per costruire è necessario anche distruggere ma mi riserbo la libertà della scelta. Così come vorrei che analoga libertà appartenesse anche ad altri e che non fosse condizionata dalle ideologie. [Mio pistolotto finale!!!]”(Simonitto)

        Ma è questo il punto più arduo e sfuggente. Che si affaccia anche nell’intervento di Alberto (Rizzi) a cui ho replicato (qui: https://www.poliscritture.it/2016/02/10/martiri-delle-foibe-un-po-di-chiarezza/#comment-25019). E che, come te, vorrebbe sfuggire alle «ideologie» ( a tutte le ideologie e in fondo forse al *male* di cui esse sarebbero un simbolo?). Ma è mai possibile essere *già liberi *(riservarsi la libertà della scelta) mentre si sta dentro il dramma del dover scegliere cosa distruggere e cosa costruire? E lo si è quando si desidera o su vuole che “analoga libertà” appartenga anche “ad altri” ( a chi?)?
        La Weil “militante”, che ho evocato, quando si dibatteva (secondo me) tra le « varie esperienze di militanza sindacale e politica e l’adesione a posizioni sindacaliste rivoluzionarie, trotzskiste più che marxiste» era fuori dalle ideologie? O quella sua «fortissima tensione spirituale, uno slancio ed una ispirazione etico-religiosa, l’intenzione di una scelta esistenziale, quella di stare sempre dalla parte degli oppressi» era in qualche modo la *sua* ideologia/bussola che la guidava? Ed era “libera”? E lo era quando « Abbandon [ò] gradualmente l’interesse più propriamente politico e sospin[s]e sempre più la sua riflessione in direzione del senso dell’esistere, colto nei suoi risvolti religiosi e mistici, senza con ciò rinunciare al tentativo di tradurre il tutto in Pensiero, compito che non delegò mai ad alcuna istituzione politica né ecclesiastica»?
        E noi oggi quando ci dibattiamo tra *ripensare Marx*, *uscire da Marx* oppure quando diciamo di essere ( o voler essere) *fuori dalle ideologie*?

        1. Hmmmm… Belle domande, Ennio.

          Su Simone Weil posso risponderti con un “no” e con un “forse sì”: “no”, perché se mi parli di posizioni “…iste”, significa che nelle ideologie ci si è ancora dentro alla grande. “Forse sì”, perché se si parla di svolte verso ciò che è sovrasensibile, se si tira in ballo “il senso di esistere”: allora potrebbe essersene liberata. Potrebbe. Bisognerebbe capire cosa sia riuscita a tradurre in pratica, però; e come. E su questo non ho sufficienti conoscenze. Ma il tentativo sarebbe comunque lodevole.

          Sul fatto poi che sia possibile “…essere *già liberi *(riservarsi la libertà della scelta) mentre si sta dentro il dramma del dover scegliere cosa distruggere e cosa costruire? “, ah beh… la scommessa è quella di riuscire a mantenere un’obiettività di giudizio, pur essendo appunto dentro al dramma. Ma capisci che non è certo affare da poco. Sono però convinto, che correre questo rischio faccia parte delle regole del gioco.

        2. Ennio (11.02 ore 11.12) cita: *… E che, come te, vorrebbe sfuggire alle «ideologie» ( a tutte le ideologie e in fondo forse al *male* di cui esse sarebbero un simbolo?). Ma è mai possibile essere *già liberi *(riservarsi la libertà della scelta) mentre si sta dentro il dramma del dover scegliere cosa distruggere e cosa costruire? E lo si è quando si desidera o su vuole che “analoga libertà” appartenga anche “ad altri” ( a chi?)?*

          Premetto che le ideologie sono (sto ponderando bene le parole) necessarie al sistema che intendono difendere. E, come tu giustamente sostieni, noi stiamo dentro il sistema. Ma non sempre ci stiamo dentro del tutto, altrimenti non ne staremmo qui a parlare. La differenza sta in ciò che mi fa ritenere difendibile il sistema oppure no. E’ lì che esercito (o tento di esercitare) la mia libertà (che passa attraverso un atteggiamento critico, non di ripulsa, a priori). Perché l’ideologia è uno strumento con il quale devo fare i conti in quanto strumento
          La mia formazione, ad esempio, ha affondato le radici nel cattolicesimo e questo nutrimento mi è stato utile per rendermi consapevole di alcune cose:
          a) della presenza del mistero che sempre ci accompagna, e del bisogno dell’essere umano di mettersi comunque in contatto/relazione con l’inconoscibile (da qui la religione intesa come re-ligamen). Spinta che prenderà le due vie della ricerca scientifica e/o della ‘fede’ religiosa, tout court nel rapportarsi con il mondo interno/esterno.
          b) della necessaria presenza degli altri e delle relazioni che con essi si instaurano. Da qui il concetto di storia delle relazioni economico sociali e di tutto il processo conoscitivo che le ha accompagnate dal mito ad oggi.
          Il bisogno di ‘credere’, di affidarsi a qualcuno, rimane sempre molto forte: è questo che il cucciolo dell’uomo, a differenza dei cuccioli degli animali, ha appreso. Anche perché lo sviluppo della sua mente, che lo renderebbe ‘superiore’ ai suddetti, è di fragile composizione e non sempre affidabile. Invece, l’impianto ideologico, che ipostatizza determinate strutture, serve bene a questo scopo tranquillizzante. Lo abbiamo visto con tutte le Chiese e Istituzioni.
          Quanto alla S. Weil ho apprezzato alcune sue posizioni tenendo conto dei contesti in cui le ha manifestate, ma non condivido più la sua * «fortissima tensione spirituale, uno slancio ed una ispirazione etico-religiosa, l’intenzione di una scelta esistenziale, quella di stare sempre dalla parte degli oppressi» che era in qualche modo la *sua* ideologia/bussola che la guidava [?]*. (Ennio)
          Oltretutto, la ‘categoria’ degli oppressi come la definisco, o, per dire meglio, quali sono i criteri guida che mi possono aiutare a definirla? Solo le relazioni economico-sociali o contano anche quelle interiori? E in che rapporti stanno questi due registri?
          Potersi porre queste domande è già un gesto ‘libero’.

          R.S.

  15. Si può tranquillamente condividere quanto scrive Rita Simonitto (11 febbraio ’16, ore 0,40). Ad Alberto Rizzi obietto che anche ” a farsi un po’ di Storia dell’umanità” (ne ho fatta per una vita lavorativa), anzi proprio per questo, resto confermato nell’idea che oggi non è in atto alcuna guerra mondiale, da qualunque parte venga quest’affermazione. E ribadisco che, certo, in tanti elementi e dati di questa nostra realtà se ne intravedono i sintomi che, come in medicina, non è detto che esplodano in malattia conclamata, nel nostro caso in una guerra vera e propria.
    Quanto poi all’altra affermazione “Il punto è che quelli (cioè, i focolai di guerra del passato, ndr) erano generati da cause differenti e scollegate fra di loro, mentre la stragrande maggioranza di quelli odierni nasce da un’unica causa. Questo rende il loro insieme una “guerra mondiale”, anche se è differente dalle due precedenti. E anche se la grande maggioranza di noi non se n’è ancora accorta”, sono d’accordo sulla prima parte, perché anch’io credo che sostanzialmente la massima parte dei conflitti odierni nasca da un’unica causa. Ma questo è uno degli effetti della cosiddetta globalizzazione. Tuttavia, gentile Alberto Rizzi, una guerra mondiale, oltre a coinvolgere la stragrande maggioranza dei paesi del pianeta, dovrebbe avere le caratteristiche di una guerra che esprimesse ben altro che scontri locali e interessi economici più o meno globalizzati. Una guerra davvero mondiale investirebbe il pianeta intero e mieterebbe vittime a milioni.
    Ringrazio per l’ospitalità.
    Pasquale Balestriere

  16. SEGNALAZIONE: DA “POLISCRITTURE FB” > “POLISCRITTURE SITO”

    Dell’Egitto. E di noi
    di Ida Dominijanni, giornalista

    (http://www.internazionale.it/…/egitto-italia-giulio-regeni)

    STRALCIO:

    Siamo nel pieno di una guerra globale di cui non conosciamo nemmeno le pedine a noi più prossime.
    Scopriamo che cos’è il regime di Al Sisi solo in seguito a questo massacro, avendone ignorato tutti gli altri finora e avendo finora consentito al governo italiano di trattarlo senza contestazione alcuna come un alleato necessario e prezioso.
    Nella più completa insipienza della complessità dello scenario mediorientale, ci accontentiamo della logica secondo la quale “il nemico del mio nemico è mio amico”, una logica che in quella come in altre parti del mondo non ha mai prodotto nulla di buono, senza neanche chiederci se i nostri presunti amici siano, al fondo, assai simili ai nostri nemici.
    Ci si può fidare del terrorismo di stato di Al Sisi per combattere lo stato terrorista dell’Is?
    Si può continuare a pensare che le dittature possano fare da argine al fondamentalismo?
    Se in Italia esistesse un’opposizione, sarebbero buone domande da porre con una certa fermezza al governo.
    […]
    La disumanizzazione, si sa, è il costo di qualunque guerra, il prezzo della violenza illimitata che ogni guerra scatena. Ma questo non ci esime dall’analizzare le modalità specifiche in cui si produce in questa guerra, che sempre più assume i caratteri di una guerra civile globale. Dove tutte le vittime sono vittime civili casuali, e lo status di casualties si estende fino a diventare regolarità. E dunque non è affatto un caso che a rimetterci la vita siano giovani studiosi e attivisti come Giulio Regeni o, fatte le dovute differenze, Valeria Solesin.
    Ha ragione chi in queste ore giudica insopportabile la retorica dei “giovani italiani all’estero” da cui è avvolta la loro morte. Non solo perché sono precisamente i giovani lavoratori della conoscenza a cui l’Italia del precariato intellettuale perenne non dà alcuna prospettiva di lavoro e di vita.
    Ma anche perché sono giovani globali, che lavorano sulle e nelle contraddizioni del mondo globale e perciò stesso sono i più esposti alle loro esplosioni. Sono, in altri termini, gli anticorpi dell’ignoranza e del cinismo in cui nella provincia italiana restiamo pigramente avvolti, e immeritatamente autoassolti dalle tragedie di un presente che ci assedia senza svegliarci.
    Dobbiamo loro qualcosa di più di un lutto momentaneo: quantomeno, che questo lutto resti aperto fino a un sia pur parziale, sia pur vano risarcimento.

  17. Ottima questa segnalazione, Ennio.

    Serve a comprendere quanto sia articolata in mille modi, questa guerra nella quale ci hanno fatto piombare; e come ne faccia parte anche il gioco di specchi, che ci rende ciechi: facendoci credere che ci siano un “buono” e un “cattivo”. Mentre, alla fine, ci sono solo pedine che, conducono la partita più o meno alla stessa maniera, affinché la lobby economico-finanziaria dalla quale prendono ordini, prevalga.

    Comprendo del resto pienamente le obiezioni che continua a farmi il Sig. Balestriere (riuscirà la suddetta segnalazione, a fargli aprire gli occhi?); purtroppo il suo giudizio è viziato, a mio parere, dal considerare la condotta di una guerra ancora analoga a quella di cento o settanta anni fa: ma un bel po’ di generazioni non sono passate invano e il progresso non si è mai fermato… E, riguardo ai milioni di vittime un po’ in tutti i Paesi del globo, gli si potrebbe obiettare che ce ne sono già più che abbastanza: per fame e per migrazione forzata.

  18. “…La morte del giovane Giulio Regeni e di moltisimi come lui e le guerre imperialistiche sono il vero scandalo…”
    Annamaria Locatelli

    Nello scandalo vanno inclusi anche quegli accademici di Cambridge i quali da dietro le loro scrivanie sicure l’hanno mandato allo sbaraglio. E anche tutti coloro qui da noi e altrove che con l’illusione della globalizzazione, che sono cittadini del mondo, ché altrimenti sono mammoni, plagiano i giovani spingendoli verso situazioni ad altissimo rischio mentre essi se ne stanno tranquillamente a casa. Vergogna!

    1. Mi sembrano affermazioni un po’ semplicistiche.

      Da quel poco che se ne sa, Regeni sembra essere stato uno che sapeva il fatto suo: uno che esce a pieni voti da certe Università e lavora per organizzazioni ai vertici della ricerca d’informazioni in campo geo-strategico a livello planetario, non può essere uno sprovveduto. Che poi abbia fatto errori o sottovalutazioni della situazione nella quale si è venuto a trovare, è un altro paio di maniche.

      E cerchiamo di non generalizzare: se no, fra i giovani che vengono “plagiati e spinti verso situazioni ad altissimo rischio”, ci dobbiamo mettere anche tutti quei volontari, che si fanno un mazzo così – a loro rischio e pericolo, ma per loro scelta calcolata – salvando un po’ la faccia a questa società occidentale, sempre più in putrefazione. Un’accusa che – si ricorderà senz’altro – è stato usato non molto tempo fa dalla Destra più becera.

      1. E per non sembrare di Destra dobbiamo accettare che i nostri giovani vengano plagiati da cinici manipolatori dell’informazione e delle coscienze? No grazie, il plagio c’è eccome ma non mi metterò qui ad argomentare su fatti ed evidenze che lei è sicuramente in grado di controllare da solo. Poi se vuole negare l’evidenza faccia pure. E non accetto neanche “società occidentale, sempre più in putrefazione”. Questa sì che è una gratuita generalizzazione, uno stereotipo. Io non mi sento e non sono per niente “putrefatto” anzi sostengo che la società occidentale è comunque la più evoluta di tutto il pianeta.

      2. Regeni lavorava per una azienda privata di intelligence. Nel board, a fare da testimonials, ci sono John Negroponte (ex CIA, gran brutta persona) e John McColl (ex MI6). I suoi prof di Cambridge ci lavoravano anche loro, e utilizzavano i graduate students e i ricercatori come manovalanza a basso prezzo. Queste agenzie private di intelligence sono, tranne le più direttamente collegate con i servizi di informazione statali quali ad es. Stratfor, delle mezze truffe, che si fanno pagare a caro prezzo informazioni di secondo e terz’ordine abbagliando gli acquirenti con nomi di prestigiosi pensionati dell’intelligence. Siccome lavorano per soldi, mica si danno la pena di addestrare gli agenti sul campo. Regeni infatti, a quanto risulta dalla semplice lettura dei giornali, non era stato neanche minimamente addestrato: per esempio, risulta dai giornali che nei giorni precedenti il suo sequestro, agenti della sicurezza egiziana erano passati a casa sua per chiedere informazioni su di lui. Probabile che Regeni neanche lo sapesse, perchè non s’era creato una rete di sicurezza nella sua abitazione (basta pagare qualcuno dei vicini e il portinaio, non ci vuole James Bond); oppure l’ha saputo e l’ha sottovalutato. Ignoranza e sottovalutazione in un contesto come l’egiziano, dove il governo è sottoposto a tensioni politiche interne e internazionali enormi, e mentre sono in ballo poste economiche e politiche immense (è stato scoperto un enorme giacimento di petrolio nelle vicinanze e vanno firmati i contratti per l’estrazione, e in Egitto c’è il canale di Suez) sono l’equivalente di un tentato suicidio, come sedersi a prendere l’aperitivo in corsia di sorpasso in autostrada. E’ andata come è andata. Secondo me è anche possibile che sia accaduto questo: che gli inglesi (stavolta il SIS) l’abbiano bruciato apposta, d’accordo con una fazione dei servizi egiziani, per compromettere i rapporti tra governo egiziano e italiano (l’ENI è il pole position per l’estrazione nel giacimento di cui sopra). Me lo fa pensare il facile ritrovamento del cadavere: se doveva essere solo un avvertimento agli italiani, gli egiziani non lo avrebbero reso pubblico, avrebbero fatto sparire Regeni e avrebbero fatto arrivare ai servizi italiani la notizia indirettamente (“Smettetela di dare fastidio”).
        Il succo della cosa è che quei bastardi dei prof di Cambridge hanno abbindolato Regeni con la prospettiva di carriera accademica e soldi, e magari anche con la spolveratina ideologica desinistra di lavorare per “la democrazia” (v. la posizione pro primavere arabe, totalmente idiota, del manifesto). Regeni c’è cascato perchè era ingenuo, ambizioso, e non capiva una cippa di quel che stava facendo. In più, stava facendo un lavoro molto pericoloso senza avere un addestramente minimamente adeguato, come uno che pilota un 747 dopo aver fatto un corso per corrispondenza della scuola radioelettra. Fossi suo padre prenderei il primo aereo per Cambridge e manderei a raggiungerlo i bastardi ipocriti, avidi e senza onore che lo hanno buttato nella gabbia dei leoni.

        Nota di E.A.

        Lascio qui questo commento ma invito a continuare la discussione su *questo* tema esclusivamente nel post “Scrap-book dal Web. Il caso di Giulio Regeni”,

  19. Non riuscirà -la segnalazione di Ida Dominijanni, dico, e neppure i pareri pur autorevoli di eminenti personaggi, papa compreso – a farmi “aprire gli occhi”, gentile Sig. Rizzi, e per un motivo molto semplice. Non perché mi piaccia essere cieco, ma perché sono abituato a costruirmi le mie idee nel tempo, con letture, studio e riflessione; e, per questo, mi fido di loro; e non le abbandono per il fatto che una o più persone mi dicono che gli asini si sono messi a volare.
    Ai tempi dei fatti di Nassirya, una vulgata davvero imponente – che comprendeva l’allora Presidente della Repubblica e la quasi totalità delle autorità civili e religiose- andava predicando di “martiri” ed “eroi” per indicare i militari caduti nell’adempimento del proprio dovere. Nella piccola realtà dell’isola d’Ischia, un’amministrazione comunale, su sollecitazione del comandante della locale stazione dei carabinieri, si apprestava a cambiare il nome ad una strada con la dicitura “Via Martiri di Nassirya”. Mi opposi, da semplice cittadino e con la sola arma della scrittura a tale aberrazione enfatica. Tra un vespaio di polemiche, protestai che, se proprio volevano cambiare nome alla strada, sarebbe stato sufficiente “Via Caduti di Nassirya”. La strada non ha cambiato nome. Così come io non cambio idea sulla “guerra mondiale”, ritenendo d’aver giustificato la mia posizione nei miei precedenti commenti. Ai quali potrei aggiungere altri elementi di valutazione, perché il mio giudizio non è per niente legato a condotte di guerra di 60/70 anni fa, come Rizzi scrive, ma a valutazioni obiettive. Ma me ne astengo, ritenendo di essermi dilungato già troppo. Direi, caro Sig. Rizzi, che ognuno è libero di tenersi le sue opinioni. Io le mie, lei le sue. Ad occhi aperti.
    Pasquale Balestriere

  20. @ Buffagni e Fischer

    Anche se il post di Italo Vecchio è stato “invaso” da problematiche un po’ esterne ai suoi temi, non mi sento di interrompere il vostro dialogo. Tuttavia la soluzione più giusta resta per me di riprenderlo in altro post. Potremmo concordare via e mail la sua preparazione.
    Nel frattempo – in singolare coincidenza? – sto per pubblicare un articolo di Angelo Ricotta intitolato “Dio Etica Libertà”.

  21. ..cerco di rispondere a Roberto Buffagni, non per avere a tutti i costi ragione, ma per dei dubbi che mi rimangono, nonostante la sua ragionevole risposta. I dubbi mi nascono se penso alle statistiche che riportano un numero sempre crescente di violenze all’interno di gruppi familiari con alla base coppie uomo-donna secolarmente riconosciuti, nella nostra società, come patti naturali…Oggi viviamo in un periodo politico-economico di sconvolgimenti che mette in discussione, in crisi i rapporti tra le persone conviventi e non e il vecchio nucleo familiare va ripensato, in particolare il sentimento di genitorialità, che, naturale fino a un certo punto, ha finito per diventare un centro di potere…I figli, tra i litiganti, spesso ne fanno le spese..Per questa ragione penso necessario estendere maggiormente il concetto di genitorialità, ipotizzando l’esistenza di famiglie allargate, con ruoli interni meno rigidi, adozioni frequenti, dove se non fosse sempre possibile parlare di amore ( un sentimento che comunque nasconde le sue ambiguità), si possa parlare seriamente di rispetto reciproco…sembra facile! Una transizione lunga che chissà dove ci porterà ed è inutile evocare il demonio

    1. Cara Signora Locatelli,
      la famiglia – qualunque tipo di famiglia – proprio perchè unisce con legami tanto profondi e di diversa natura le persone che la compongono, non può che essere un ordigno pericoloso. Se uno legge le tragedie greche, se ne accorge subito. Ma se ne accorge subito anche se legge il giornale: dal quale risulta evidente che è molto più probabile che ad ammazzarci sia un nostro congiunto, che un terrorista dell’ISIS o il postino. Il che conferma l’antichissima massima, che il nerbo dell’amore e dell’odio, nell’anima umana, è unico. Per persuadersene non c’è bisogno di tirare in ballo Satana, ma c’è bisogno, però, di guardare come siamo fatti con un minimo di realismo. Il minimo di realismo ci dice che no, non siamo buoni e basta. Una dose un po’ superiore di realismo ci dice che la nostra bontà e la nostra cattiveria vengono entrambe dal nostro profondo desiderio di essere “sicut dii”, come ci spiega il racconto della Genesi (o anche il concetto di hybris).
      Io personalmente da queste considerazioni traggo una conclusione, e cioè che è fuorviante pensare che a tutti i problemi e le aporie poste dalla natura umana si possa e si debba mettere riparo modificando le strutture sociali. Non è obbligatorio giungere alle medesime conclusioni, ma suggerirei di tenerle in considerazione.
      Per quanto riguarda la questione “utero in affitto” et similia, uno dei suoi aspetti più chiaramente preoccupanti – sempre a parer mio – è che i suoi sostenitori sono persuasi che con gli esseri umani, quali agenti o oggetti, si possa fare tutto: basta che ci siano la volontà e la possibilità tecnica. Siamo sicuri? A me sembra una follia. Quando sentiamo dire queste cose a proposito, che ne so, di trivellazioni petrolifere, ci vengono i brividi lungo la schiena, se ricordiamo che qualche tempo fa, una azienda ne fece una nel Golfo del Messico a cinque chilometri di profondità, senza avere la minima idea di come tappare il buco in caso di incidenti (e l’incidente puntualmente si verificò). Le trivellazioni petrolifere sono più importanti e pericolose della maternità surrogata? Cambiare il modo in cui gli esseri umani si sono riprodotti sin dall’alba della storia senza sapere che cosa succede dopo è manifestazione di buonsenso, di saggezza, di lungimiranza? Non so.

  22. Gentile Signor Buffagni,
    la ringrazio per la risposta , che mi trova d’accordo su molti punti, inoltre trovo l’argomento così delicato sempre aperto e che ogni risposta non può dissipare tutti i dubbi…Sicuramente nell’uomo c’è una buona dose di bene e di male mescolati e per convergere nel bene prima di tutto bisognerebbe rispondere alla domanda “chi siamo?”o “Qual è la nostra natura?”, poi vedere, se non ci sentiamo proprio realizzati, di cambiare qualcosa dentro come fuori di noi, perchè resto convinta che la società, grazie ai giochetti dei potenti, scolpisce ruoli e funzioni a cui ci adattimo come fossero “naturali” . L’istituto famiglia non penso che faccia eccezione. Con questo, tuttavia, non ho sciolto i miei dubbi

  23. @ Roberto Buffagni, al suo post del 13/2 alle 10.58 (difficile seguire le due correnti: quella argomentativa e quella temporale, nel post – forse sarebbe meglio scegliere solo una delle due strade nel pubblicare)
    * io rimandavo la scelta tra le due confessioni, quella cattolica e quella protestante, all’ambito comunque del discorso (anche la dichiarazione dei sacramenti da parte della vita di Gesù, a cui la chiesa cattolica si appella, mi pare entrare nell’ambito di un *discorso* tràdito)
    * accettavo il Suo discorso sulla scelta, con il rischio di morte – non di meno!- entro una adesione a una chiesa tra le due, opponendo che anche nelle chiese protestanti con i teologi dopo Hitler (ma qui devo dire che non sono affatto esperta) la scelta di credere si configurava senza alcuna garanzia
    * infatti la scommessa di Pascal ha un’unica verificazione: la storia (cioè la sua interpretazione in termini di rivelazione salvifica)
    * la chiesa cattolica ha di suo default l’impegno a essere la raccolta storica della fede in dio e cristo
    * questa mission la raccoglie allo stesso modo il protestantesimo (tra le varie chiese in contraddizione tra loro, un po’ ho frequentato i valdesi)
    * se Lei assegna quella priorità alla scelta, che è così per sua natura cioè pratico-spirituale, non capisco come possa identificare con dei Valori poi delle parti, come in realtà Lei fa collegando i due imperi alle due religioni
    * leggendo I guardiani del potere di Fabio Mini, non trovo alcun rimando a scelte di Parte Religiosa possibile, solo una considerazione in termini di antropologia scabra e di morale
    * riassumendo la mia posizione: non capisco il nesso stringente tra le Sue considerazioni filosofiche e le scelte politiche verso il cattolicesimo: per carità, non le contraddico, solo non le trovo fondate

    1. Cara Signora Fischer,
      rispondo alla sua ultima obiezione, che le riassume tutte.
      L’intima adesione a una religione, e il grado e l’intensità e la sincerità di essa, si possono motivare, spiegare, giustificare, ma fino a un certo punto. E’ un po’ come spiegare perchè si ama una persona, le pare? Perchè proprio quella e non un ‘altra? E perchè, quando non la si ama più, non si riesce più a capire perchè la si era tanto amata? “Tanto dolore e tanta gioia per quella donna insulsa, fastidiosa…”?
      Tutt’altra cosa, invece, una posizione politica o una scelta culturale. Per esempio. Se la mia ipotesi di guerra di religione si verificasse nell’effettualità, per scegliere un campo o l’altro non ci sarebbe nessun bisogno di aderire intimamente alla Vecchia o alla Nuova Religione, con tutti i loro presupposti filosofici e metafisici. Basterebbero ed avanzerebbero le ragioni “antropologiche”, cioè a dire la proposta umana implicita in ciascuna delle due religioni, il modo di vedere l’uomo e il mondo che esse portano con sè, le conseguenze che prevedibilmente possono avere nella società e nella cultura (e il proprio tornaconto, materiale o no che sia).
      Esattamente come avvenne quando a contrapporsi erano il comunismo e la civiltà cristiano-liberale, la scelta di campo dipenderebbe da una miriade di fattori, nobili e ignobili, pertinenti o no. Nessuno o quasi è mai diventato comunista in seguito allo studio approfondito del marxismo, nessuno o quasi è mai diventato cristiano in seguito allo studio approfondito della teologia, dell’esegesi, etc.
      Il generale Mini, che è una persona intelligente e preparata, non tira in ballo la religione per tre motivi: uno, che non è credente lui; due, che vuole evitare di essere etichettato come crociato pazzo (mentre a me non interessa); tre, che quando ha scritto il libro da lei citato, i segni inequivocabili delle sponsorizzazioni imperiali contrapposte non c’erano ancora stati: sono recentissimi.
      Li ricordo. Impero marittimo: la Casa Bianca illuminata d’arcobaleno all’indomani della sentenza della Corte costituzionale sul matrimonio omosessuale. Impero terrestre: il Ministro della Difesa che passa in rassegna le truppe nel 70° della vittoria nella Grande Guerra Patriottica, e rende omaggio scoprendosi il capo e facendosi il segno della croce quando passa sotto l’icona di Gesù Salvatore.
      Sono due segni inequivocabili e decisivi: indicano con la massima chiarezza che i due imperi hanno deciso di ufficializzare una nuova teologia civile. Nuova in entrambi i casi: negli USA, la teologia civile precedente era il deismo illuminista e liberale; in Russia, dopo l’ateismo di Stato comunista e l’implosione dell’URSS, lo Stato non aveva teologia civile. Ora ce l’hanno entrambi, e sono due teologie civili incompatibili e nemiche, perchè pensano uomo e mondo in modi totalmente diversi.
      Questo è un fatto nuovo e molto, molto rilevante, che secondo me cambia tutto, perchè formalizza anche sul piano ideale, culturale, antropologico, la contrapposizione politica tra i due imperi. Ora che questa contrapposizione ha trovato una forma culturale precisa, si riverbererà in tutte le culture interessate dallo scontro politico, cioè a dire in tutto il mondo.

    1. Concordo, ma secondo me, la riflessione la faranno i fatti, temo anche i fatti di sangue.
      Segnalo un sintomo significativo. Quando i fanatici salafiti fanno il triage dei prigionieri (chi ammazziamo? chi ammazziamo per primi?) prima di ammazzare i cristiani gli propongono l’alternativa “conversione all’Islam”. Se tu invece alla domanda: “in cosa credi?” rispondi “mah, non ho religione”, ti fanno fuori subito senza se e senza ma.
      Cioè identificano l’occidentale medio con un senzadio, il quale senzadio = zombie, subumano da cancellare. (Devo specificare che non condivido e non giustifico? No, vero?)

      1. Per fortuna, allora, io “senzadio” non mi sono mai recato in quelle terre. Ricordo, però, vari anni fa, sarà stato il 2001, quando, in una cittadina del Mali, con due amici abbiamo voltato l’angolo d’una strada e ci siamo trovati davanti una moltitudine incredibile in preghiera, tutti proni sul loro tappetino. Cautamente ci siamo passati in mezzo. Se fosse stato oggi, dubito fortemente che ne saremmo usciti illesi

          1. Sono andato sul blog di Socci. Tra gli altri suoi interventi ho letto quello su Einstein e le onde gravitazionali: il solito cumulo di sciocchezze dovuto alle sue pregiudiziali religiose. Nessun scienziato dubitava dell’esistenza delle onde gravitazionali in quanto esse sono una conseguenza necessaria della teoria della Relatività Generale che è stata provata da tanti altri fenomeni. Pertanto la scoperta è solo una conferma non un’innovazione. Importante come tutte le conferme sperimentali ma nulla di rivoluzionario, non apre nessun nuovo scenario. Sulla fede di Einstein a me risulta che egli abbia più volte sostenuto di credere nel dio di Spinoza, ovvero in una forma di panteismo. Comunque nessuno è perfetto, neanche Einstein. Sulla presunta prova razionale dell’esistenza di Dio basata sul presunto “ordine” dell’Universo non andiamo oltre Tommaso D’Aquino, ossia la solita minestra riscaldata. Non c’è nulla di strano che l’Universo si inquadri dentro certi nostri schemi matematici. La nostra matematica è espressione del nostro sistema neurologico, ovvero il modo in cui comprendiamo la Realtà: è lo specchio di noi stessi. Altre specie viventi con altre strutture e capacità probabilmente vedrebbero l’Universo in modo completamente diverso. Cosa sia “davvero” la Realtà nessuno può dirlo.

          2. La frase “Cosa sia ‘davvero’ la Realtà nessuno può dirlo” cosa significa? “Nessuno” vuol dire proprio nessuno, davvero vuol dire davvero, “cosa” sia la realtà è una domanda assoluta, non si chiede se la realtà sia gialla o rotonda…
            Quella frase parla di inconoscibilità assoluta, quindi di estraneità alla conoscibilità. Le parole contano rispetto ai significati, lo sa?

  24. Può essere istruttiva anche questa mia esperienza. Un po’ di anni fa ero su una nave del CNR con la quale stavamo conducendo una ricerca sul Mar Rosso. Dovemmo attraccare a Gedda per fare dei rifornimenti. Il capitano della nave ci avvertì che avremmo subìto un’ispezione da parte delle autorità locali verso l’ora di pranzo e quindi ci raccomandò di mettere via tutti gli alcolici che avevamo, sia a tavola che nelle cabine. Il problema era che se ci avessero trovato degli alcolici in vista ci avrebbero appioppato un’esosa multa. Per quanto riguarda lo scendere a Gedda ci avvertì di rispettare scrupolosamente le usanze locali pena l’imprigionamento e pene ancora più estreme. Ci elencò tutte le regole. Alla fine quest’ultima cosa si risolse da sé perché non ci diedero il permesso di scendere. Rimanemmo sulla nave, vennero gli ispettori, si aggirarono dappertutto alla faccia della privacy, noi ci facemmo trovare a tavola a bere acqua e tutto finì lì. Noi invece copriamo le statue…

  25. @ Angelo Ricotta, ore 11.47
    “Non c’è nulla di strano che l’Universo si inquadri dentro certi nostri schemi matematici. La nostra matematica è espressione del nostro sistema neurologico, ovvero il modo in cui comprendiamo la Realtà: è lo specchio di noi stessi.
    Altre specie viventi con altre strutture e capacità probabilmente vedrebbero l’Universo in modo completamente diverso.
    Cosa sia “davvero” la Realtà nessuno può dirlo.”
    Ho spezzato la frase in tre parti. La prima parte è pacifica, non può che essere così. In un certo senso anche la seconda parte, la frase che inizia con “altre specie viventi…” è pacifica, non potrebbe essere che così.
    La terza frase è invece assurda: la Realtà e noi, o altre specie viventi, siamo nella stessa “cosa”, della stessa natura, o materia, o sostanza. Quindi possiamo di certo conoscerla. In parte, nel tempo, o per intuizione globale, si può per ora scegliere.
    Il noumeno kantiano risentiva dell’opposizione tra anima e corpo. Ma se siamo solo corpo (sostanza spinoziana) non esiste alcuna estraneità *assoluta* alla cosiddetta realtà, non più che a una nostra malattia, o piacere, o domanda.

    1. “non esiste alcuna estraneità *assoluta* alla cosiddetta realtà”
      Cristiana Fischer

      Non ho affermato niente di simile. Ho solo detto che la Realtà può essere molto diversa da come noi riusciamo a percepirla e concepirla. Anche un moscerino fa parte della Realtà, ma egli cosa e come la percepisce?
      Ad esempio si fanno ipotesi sulla possibilità che esistano molte altre dimensioni spaziali e forse anche temporali ma noi non siamo in grado di percepirle, men che mai di praticarle, le stiamo ipotizzando ma nulla sappiamo dire di preciso sulla loro effettiva struttura e portata (nella teoria delle stringhe si fa un limitatissimo tentativo in tal senso). Quante altre cose non sappiamo nemmeno immaginare? E chi ci assicura che potremo farlo in futuro? Ci potrebbero essere dei limiti insormontabili dovuti alla nostra struttura. Chi può dire che cosa davvero è questa “cosa”? Tra l’altro qui siamo ancora nel campo del “realismo forte” che assume l’esistenza oggettiva della “cosa”. Non oso avventurarmi oltre perché non saprei dire nulla di specifico se non fantasie in libertà.

  26. Purtroppo il mio commento delle 19.33 è finito dopo un commento di Ricotta delle 11.47, invece era destinato a quello delle 13.32. Credo che ci si possa orientare comunque…

  27. “Quella frase parla di inconoscibilità assoluta, quindi di estraneità alla conoscibilità. Le parole contano rispetto ai significati, lo sa?”
    Cristiana Fischer

    Francamente non capisco la sua obiezione e può darsi che usi male le parole. Ho però cercato di spiegare che intendo e non so come dirlo meglio. Ci riprovo sinteticamente. La Realtà dipende dall’osservatore. L’osservatore potrebbe non essere in grado di andare oltre certi limiti nella sua comprensione. In questo senso la Realtà potrebbe essere inconoscibile. Esempio del moscerino.

    1. D’accordo. “Potrebbe non essere in grado di” è una considerazione generica, che non impegna. Dichiarare “nessuno può dirlo” non ha la stessa portata, invece esclude. Poiché si tratta di conoscibilità, osservavo che l’essere il nostro corpo mente compresa omogeneo alla “realtà” la conoscibilità può essere possibile, ma non può essere esclusa.

  28. …Se sei trascendente?
    “Ti prego, ti prego!” Inutilmente…
    Sprofondano suppliche e perchè
    nel pozzo più profondo.
    La sola tua risposta un’eco rimbalzante
    dal tuo sguardo rivolto alle algide stelle

    Se sei immanente?
    Con te ci parlo e litigo
    continuamente,
    caro socio spalmato
    nel flusso reale
    minerale, vegetale, animale…
    Ma siamo in perdita ultimamente,
    tra odio, violenze e guerre,
    un povero dio imperfetto!

    E se ci soccorresse un tramite, un profeta
    a riabilitarci divinamente?
    Oh no! Quel povero Cristo
    quante volte lo vogliamo crocifiggere
    per sentirci anime belle?

    Navigando a vista:
    una coppa di luce riluce nella notte…
    E allora? …rimbocchiamoci le maniche!

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