Coazione a ripetere

tonto 3

Dialogando con il Tonto (1)

di Giulio Toffoli

Dopo una full immersion di quasi 20 ore sono tornato a casa avendo svolto con coscienza civica la mia funzione di presidente di seggio. Referendum sulle Trivelle, forse la più triste denominazione da quando è stato introdotto in Italia questo istituto. 20 ore di presenza per 130 €. Insomma 6,5 € l’ora, gli scrutatori hanno preso anche meno.
Dopo un sonno agitato decido di fare due passi. La mia città è dominata da un grande castello, forse il più imponente di tutto il nord. Parto e mi avvio lungo quella che è chiamata la Salita del Soccorso. E’ una bella passeggiata corroborante anche se a suo modo memoria di una serie di sfighe davvero notevoli. Nei primi anni del ‘500 la città era assediata dai francesi di Gaston de Fois che non riuscivano a conquistarla. Una notte si accorsero che quella pusterla era incredibilmente stata lasciata sguarnita e entrarono. Del resto meglio non dire. Tre secoli dopo gli Austriaci del generale Haynau stavano assediando la città, erano le giornate fatidiche del 1849, e tutti erano in armi ma il solito buon tempone che avrebbe dovuto difendere la Porta del Soccorso se l’era dimenticata aperta. Sul resto mettiamo un velo di silenzio.
Salgo e penso al risultato elettore, alla infinita coazione a ripetere e a perdere. Dopo pochi passi mi si affianca l’amico Tony il Tonto, non chiedetemi perché lo chiamiamo così … è una tradizione e lui ci si è adattato. Gli dico: “Tonto un’altra volta ci siamo fatti del male …”.
“Perché – mi risponde – cosa ti aspettavi …”
“Beh, una reazione d’orgoglio”.
“Orgoglio, che cosa è si mangia. Sei diventato un vecchio moralista …”.
“La coscienza civica …”
“Che è? Roba vecchia … il tuo linguaggio è quello di un’altra epoca. Perché dovrebbero andare a votare? Ci hanno disabituati, è evidente che decidono tutto lor signori, è così dal porcellum e diciamocelo anche da prima …”
“Insomma il richiamo a una responsabilità comune …”
“Comune con chi se fanno fatica a condividere qualche cosa con la moglie e i figli. Ognuno per sé. Se li inviti ad andare da Auchan ci vanno di corsa, se possono andare alla multisala per vedere l’ultimo film corrono, ma a votare … Siete proprio degli illusi”.
“Ma i film in programmazione sono tutti delle schifezze …”
“Nella schifezza ci si immerge meglio. Chi può esimersi dall’andare a vedere «Superman vs Batman». Essere masochisti è una moda che si deve vivere fino in fondo”.
Sono alle strette e allora cerco di rilanciare: “La coscienza ecologica …”
“Sta coscienza … ma tu con la coscienza ci vai anche a letto?”
“Forse sì – mi permetto di dire un poco titubante – perché è un delitto?”
“Proprio non vuoi capire … Il referendum sulle Trivelle. Ma dimmi la gente che ha la macchina sotto casa con cosa la fa andare. Quando la mattina accende il motore mette in moto la coscienza ecologica o la benzina?”
Intanto siamo arrivati un poco ansimanti sul grande spiazzo che domina la città. Il panorama è sempre bello anche se fra termoutilizzatore e centrale termoelettrica siamo al centro di una zona potenzialmente fra le più inquinate della pianura padana.
“Però è in discussione il futuro delle giovani generazioni. Non è possibile che non ci si renda conto della posta in gioco”.
“Anche qui sembra che tu viva su un altro pianeta. Parli con la gente o passi tutta la tua giornata leggere libri? Esci vai in strada e guardati intorno. Quanti pensi che ragionino realmente sul futuro. Il loro futuro è domani o dopodomani. Ci hanno resi flessibili, oggi qui domani là … Se non c’è la certezza di un lavoro stabile perché ormai “precario è bello” chi può davvero ragionare su un domani che non sia quello proprio prossimo venturo?”
Stiamo ormai scendendo verso il centro, è una lunga scalinata, centinaia di grandini che è chiamata Via della Barricata, memoria della rivolta dei cittadini di questa città, che per un incredibile senso civico si unirono contro un potere che sentivano come intollerabile e resistettero per giorni sapendo di poter rischiare la morte, come in effetti a molti capitò, di ogni ceto e professione dal lavorante a giornata al prete alla donna di casa al professionista. Altri tempi, mi viene quasi il magone, ma dire queste cose al Tonto sarebbe inutile e probabilmente stolto.
Mi guarda con il suo sorriso disarmante e aggiunge: “Sono quasi arrivato, ci vediamo presto almeno lo spero … In ogni caso non aspettarti gran cosa dal prossimo referendum. Anche la Costituzione è un carta vecchia e la gente è stata convinta che tutto è da rinnovare … almeno alle apparenze. Ma sono quelle che oggi contano …”
“Sai ormai siamo abituati a perdere … Se finisse diversamente sarebbe solo un buon segnale e in ogni caso fino a ottobre ci vogliono ancora molti mesi. Vedremo allora. Ciao Tonto alla prossima”.
Lo vedo andare con il suo passo lento e un attimo claudicante e penso alla mia coscienza ferita.
L’unica soluzione è andare a prendere un buon gelato al limone.
Non mi curerà l’anima ma mi siederò su una panchina e li godrò i raggi del sole.
Le trivelle hanno vinto d’altronde non solo qui, in tutto il mondo domina incontrastata l’internazionale delle trivelle.

15 pensieri su “Coazione a ripetere

  1. Posso capire il non voto per ignoranza e insensibilità verso i temi dell’ecologia ma votare no era proprio una scelta da fessi. Indeciso se commentare o disperarmi mi prenderò anch’io un buon gelato al limone. Anche se mi ripugna, al prossimo referendum passerò decisamente al malox.

  2. … trivellano l’anima? la storia? senz’altro il portafoglio. Quello mio e tuo, però, non di tutti.

  3. DA “POLISCRITTURE FB” > “POLISCRITTURE SITO”

    DOPO REFERENDUM. COMMENTI IN GIRO

    1.
    Dalla bacheca di Giovanni Nuscis su FB

    Tra concittadini che non hanno votato ci sono stati sicuramente anziani e disabili impossibilati a votare, giovani ancora non maturi e inconsapevoli delle implicazioni del non voto, persone che per una qualche ragione non hanno potuto votare come avrebbero voluto.
    E tutti gli altri? Tutti gli altri sono quella massa amorfa che consapevolmente o inconsapevolmente permettono purtroppo da sempre ai governi e ai regimi ogni nefandezza.
    Questo referendum, come ho gia’ scritto, andava al di la del contenuto della consultazione. Era una prova generale di democrazia diretta, oltre che un’occasione per esprimere dissenso sulla condotta del Governo: sulla politica energetica e sulla tutela dell’ambiente e della salute, sulle riforme e controriforme che incideranno pesantemente sui nostri diritti e sulla nostra democrazia. Era percio’ lecito e comprensibile un NO sulla scheda elettorale, per onesto e libero convincimento, ma non l’assenza dalle urne, che oltre a rendere vano l’impegno e le attese di milioni di italiani, ha confermato e confermera’ il delirio di onnipotenza del premier e le sue scelte nefaste.
    Percio’, concittadini che avete eluso il vostro dovere civico, io non vi stimo, pensando alle molte persone morte o ammalate per l’avvelenamento prodotto dalle energie fossili, ai milioni di poveri e disoccupati che tali resteranno per effetto delle politiche neo liberiste di questo e dei governi precedenti che destinano decine e
    se non centinaia di miliardi alle lobby finanziarie e industriali e delle grandi opere, piuttosto che per alleviare l’indigenza e la disoccupazione dilaganti. Ragiono da comunista? Ebbene si’. E voi invece come ragionate, permettendo siffatte ingiustizie? Non avremmo di certo grazie a persone come voi, in altri tempi, sconfitto il fascismo, liberato l’Italia dai tedeschi, dato vita alla Repubblica e alla Carta costituzionale. La vostra ignavia permette infatti la vittoria di qualunque dittatura, e quella delle potenti oligarchie economiche che condizionano governi nazionali e istituzioni internazionali.
    E’ difficile dunque non considerarvi nemici di quel cambiamento che in tanti da tempo auspichiamo, a vantaggio ovviamente di tutti, e non di pochi soltanto.
    Se a nulla sono servite le molte riflessioni personali fatte su questo spazio, i molti articoli condivisi, qual e’ allora il senso di questa amicizia virtuale? Se volevate svago e barzellette avete sbagliato amicizia, e siete percio’ liberi di togliermi dai vostri amici. Non ne faro’ una malattia.

    2.
    Salvatore Massimino

    Una cosa che non poteva rientrare in un documento politico è la considerazione sulla tempista del referendum.
    Non si può fare un referendum senza raccolte firme cioè senza che ci sia il tempo per parlare con le persone.

    3.
    Dalla bacheca di Lanfranco Caminiti su FB

    sono strani i risultati territoriali di questo referendum. l’unica regione dove il quorum è superato è la basilicata (50,16 per i SI, con una punta di 52,34 a matera e 49,02 a potenza). in basilicata (dove c’è il più importante giacimento europeo) non si trivella in mare. però ci sono stati recenti incidenti al centro olii – anche se le autorità hanno detto che non fossero allarmanti – e magari questo ha creato più sensibilità. forse anche gli scandali attorno tempa rossa che hanno coinvolto la guidi hanno creato fastidio. è vero che le royalties del petrolio entrano nelle casse della regione, e questo conquibus materiale dovrebbe spingere a sostenere i petrolieri, ma non si avverte nella vita quotidiana, nelle proprie tasche insomma, impegnate come sono, le royalities, a risanare il bilancio disastroso della regione, in particolare per la sanità. inoltre, nella val d’agri, dove si è creato lavoro, non è che ci sia coinvolta molta manodopera – non è come melfi, per capirci, e la fiat, che divenne un simbolo anche – e pure lì alcuni scandali hanno lasciato intendere che la gestione dell’occupazione fosse in mano alle cricche. magari proveranno a dare un bonus-benzina a tutti i lucani, per ingraziarseli, chesso, però intanto è l’unico luogo d’italia dove il SI ha vinto. forse ha pesato anche un po’ lo spendersi di roberto speranza, nel muovere pedine di partito, in funzione antirenziana o nonrenziana, chissà. anche sulle coste soggette a trivellazioni non è andata granché bene, a cominciare dalla sicilia, dove si buca forte. in sicilia, la percentuale più alta per il SI è a trapani, dove non si spertusa, né a mare né a terra. e dove si spertusa, le percentuali sono basse. in calabria, nelle zone più sottoposte a esplorazioni (le province joniche, reggio, crotone) si è sotto la media nazionale. è anche vero che qui, in calabria, l’informazione è stata quasi nulla, per non dire nulla, benché il governatore (un miracolato piddino, di vecchio apparato) si fosse subito schierato per la promozione del referendum. c’è la puglia, dove i risultati sono discreti per il SI, e dove, a parte una sensibilità sociale per la questione – che si era già proposta drammaticamente per l’ILVA e taranto: salute o lavoro, e gli operai, da sempre, vanno in miniera a morire, perché devono far vivere le loro famiglia – credo abbia funzionato questa sorta di arrembaggio alla visibilità nazionale tentata da emiliano che si è speso molto (tra parentesi, ha detto una cosa buffa, per smontare chi lo accusato di vanità politica: «io ero abituato a lavori molto più complessi, non mi si può accusare di vanità», penso si riferisca al fatto che facesse il magistrato, che poi è quello che gli ha permesso di diventare un politico: fare il magistrato è una cosa più complessa che avere la responsabilità politica di una regione? in che senso, dottor emiliano, scusi?) risalendo l’adriatico i risultati sono più o meno quelli della puglia, comunque leggermente sopra la media nazionale, ma niente di eclatante, benché anche lì si trivelli, e come. abruzzo e molise, scarsotti (con una punta: chieti, 40,56), emilia, scarsina (con una punta, modena, 37,21, che però credo abbia poca attinenza con il mare) e veneto, con la punta di padova al 41,39 che faccio fatica a spiegarmi. del trentino c’era da aspettarsi un po’ di indifferenza, ma il 17,61 di bolzano è il peggior risultato (che pure dovrebbero essere attenti alla natura, all’ambiente, no?), anche se riscattato dal 32,39 di trento che è poco ma è sopra la media nazionale (qualcuno sa spiegarmi questa differenza tra province? perché trento è più vicina a matera di quanto lo sia bolzano?) e poi, non c’entra niente che loro il mare non lo vedono neppure con il binocolo, perché in val d’aosta invece si è raggiunto il 34,02 per cento. insomma, a partire dal quesito vero e proprio si fa una qualche fatica a capire la distribuzione del voto. e non solo perché fosse “travisato” (anche quello per l’acqua era “travisato”, non è che davvero la questione fosse acqua pubblica o privata, però s’era semplificato così, e l’acqua arriva nelle case, e sulle bollette, nelle tasche). e sul piano politico – considerando che per il Si, oltre che i promotori del referendum, non erano contrari, anzi, un pezzo di forza italia, la lega, il movimento 5stelle, quelli della sinistra dem, in un tentativo di condizionamento di renzi, non troppo scoperto, non troppo esplicito – si entra in una serie di variabili territoriali davvero complicata. i dati sono questi qua. strani. non dico sul piano politico. dico su quello sociale, che forse è quello che più dovrebbe interessarci

    4.
    Dalla Bacheca di Gianfranco la Grassa

    La minoranza dem. (ad es. Emiliano governatore pugliese) è felice perché la percentuale dei votanti è secondo lui alta. In realtà, non è affatto fra i referendum che in Italia hanno avuto la maggiore partecipazione. Il centrodestra, lo ricordo bene, sosteneva un paio di settimane fa che, se fosse andato a votare il 35 o più % degli aventi diritto, Renzi avrebbe avuto problemi. Già era ridicola simile affermazione. Comunque ha votato il 31,2%. Il Giornale scrive che ha votato un terzo degli elettori, ma un terzo è il 33,3. Comunque la si giri abbiamo degli oppositori che sono ignoranti oltre che cretini. L’asineria aumenta se si considera che il Giornale ha appunto scritto: un terzo degli italiani contro Renzi. Il massimo della disonestà. Quasi il 15% ha votato no; quindi i “pietosi”, pronti a salvare l’ambiente, sono al 26%, cioè un quarto e non un terzo della popolazione. Già tanti come imbecilli, non vi è dubbio. Io sono però certo che nel popolo italiano i fessi siano molti di più, senz’altro ben oltre la metà di coloro che hanno più di 18 anni (e non è che sotto questa età si brilli di intelligenza, sia chiaro). Comunque la si giri, Renzi può dormire sonni tranquilli; con simili oppositori non deve temere altro che se stesso e la sua propria scarsa intelligenza e capacità di governare, ma non le trivelle, ben altri problemi di questo paese in sfacelo. Gli ambientalisti – che sono poi quelli che spendono il doppio per i prodotti biologici (uno degli imbrogli maggiori dei capitalisti “cattivi” che turbano i sonni di questi indefessi rompicoglioni), che vanno a mangiare (sempre per il doppio) nei ristoranti macrobiotici, a fare la spesa a km. zero e altre cazzate consimili – contribuiscono per il 99% al rumore fastidioso prodotto da lingue non controllate dal cervello, pur essendo solo il 26% della popolazione. Adesso lo sappiamo e, quando cianceranno ancora, faremo loro un bel pernacchio come quello di Eduardo ne “L’oro di Napoli”

    5.
    Dalla bacheca di Claudio Vercelli

    Si è concluso come era prevedibile che avvenisse, ossia senza il raggiungimento del quorum. Lo scambio di contumelie vedo che, peraltro, invece continua, su questo social network come in altre sedi. Tempo pochi giorni e anche il ricordo di questa verifica referendaria verrà archiviato nella lunga sequela di iniziative che sono destinate a lasciare scarso o nessun segno se non quello dell’astio. L’avere caricato un quesito complesso, di natura tecnica (ancorché di innegabili ricadute pubbliche e civili, ma in uno spazio di tempo e secondo logiche non riconducibili all’immediato, ossia al “qui ed ora”) di significati politici, a partire da una sorta di plebiscito in sedicesimo nei confronti del governo, tra “renziani” ed “antirenziani”, ha concorso non solo a snaturarne il valore ma anche la sua plausibilità dinanzi ad una parte dell’elettorato. Va poi detto che l’obbligatorietà del ricorso alle urne derivava non da un aperto ed articolato conflitto tra “ambientalisti” e “industrialisti” (due parole che mi convincono sempre di meno, rimandando perlopiù a dei simulacri ideologici di politica che non ad articolate posizioni sulle grandi questioni della nostra società; tra i banner politici in rete ho pure visto un cavalluccio marino al quale mi pare gli venisse fatto dire. “salvami!”) bensì da un conflitto istituzionale ed amministrativo tra una parte delle Regioni e lo Stato, non “sanato” a tempo debito dall’esecutivo con provvedimenti ad hoc. A queste dinamiche, di per sé del tutto legittime poiché parte del conflitto tra apparati e interessi pubblici, parte quindi della fisiologia democratica, sono stati tuttavia sovrapposti significati e quindi valenze da bassa cucina politica. Un errore capitale, commesso peraltro dagli stessi attori politici più in vista, a partire da Renzi come da esponenti delle Massima Magistratura. Il referendum, già si è avuto modo di osservarlo, è per sua natura dicotomico: sì o no su questioni di immediato rilievo pubblico, ovvero delle quali si colga da subito l’impatto nella vita quotidiana (abrogare o mantenere una norma come quella sull’aborto, sul divorzio, sul ricorso al nucleare, sulla natura di proprietà e bene collettivo delle acque e così via). Altrimenti si “fazionalizza” in malo modo. Ciò che io colgo, in sé inespressa o mal incanalata, è semmai una domanda di rappresentanza sempre più “atomizzata”, molecolarizzata e, quindi, scomposta, incapace di trovare altri canali che non siano quelli della contrapposizione secca e, quindi, sostanzialmente impotente poiché vissuta come rivalsa. E’ un po’ come scavarsi la fossa con le proprie mani. Ancora una volta, non mi sento in diritto di mettere in discussione la buona fede di un certo comune sentire. Ma vorrei fare presente che l’intenzione di per sé, tanto più in un contesto di confusione, di mancanza di strumenti di rappresentanza e mediazione, quindi ibridata nel sogno illusorio dell’autorappresentanza, non costituisce il viatico verso l’emancipazione alla quale aspiriamo. Le battaglie si fanno in coalizione (sociale) e non contro i mulini a vento. Altrimenti, ci si becca la sberla delle pale in movimento. Intanto, per coloro che speravano che il referendum costituisse una sorta di implicito giudizio su Renzi, l’invito è a meditare sul fatto che il risultato di ieri costituisce per lui un assegno che incassa senza neanche troppo sforzo. Della serie: l’eterogenesi (prevedibile) dei risultati.

  4. Sì sì, come al solito le analisi sul dopo le sanno fare bene tutti. E allora, che si sarebbe dovuto e potuto fare? A forza di sminuire tutto (il referendum stesso: per carità, so anch’io che è una fessura di ragionamento, ma non dimentichiamo divorzio e aborto – che se aspettavamo l’azione dei teorici dei massimi sistemi saremmo ancora alla sacra rota ), si finisce col fare nulla. Cioè no: tante chiacchiere. Addirittura leggo che La Grassa se la prende coi macrobiotici: ma c’è mai stato? per me no, altrimenti saprebbe che costano molto meno di tanti ristoranti oggi in auge. Andarci è un’occasione per riflettere, e per informarsi. Ma già, queste cose non contano e così via. Ma così finisce che chi è pro e chi contro praticano l’immobilismo, solo con linguaggi diversi.

  5. …andiamo avanti così, continuiamo a non andare a votare, poi ci sarà qualcuno che ci dirà cosa è giusto fare e noi saremo tutti contenti , anche quando ci diranno che stiamo soffocando nella fogna. Ma saremo felici perché saremo tutti insieme!

  6. RIFLESSIONI DI UN REDATTORE SUL REFERENDUM DEL 17 APRILE 2016

    1.
    Sono andato a votare per il Referendum del 17 aprile 2016 ed ho votato SI’.
    Quali le ragioni di queste due scelte? Mi interrogo ad alta voce e davanti allo scarno pubblico degli altri redattori [e dei frequentatori di questi sito].

    2.
    Perchè sono andato a votare? Mi ha spinto – oltre all’ovvia considerazione che non votando non avrei espresso alcuna opinione sul merito (opinione che pure avevo) – anche una sorta di desiderio di essere fedele all’ex “uomo pubblico“ che sono stato. Per oltre metà della mia vita ho esercitato le funzioni di giudice, che è un’istituzione pubblica. E, a parte la qualità di cittadino, ho creduto doppiamente naturale proseguire in tale direzione e conservare un senso alla mia vita pubblica passata.

    3.
    Perché ho votato Sì? Le ragioni di tale scelta sono un po’ più articolate, non complesse. L’esito della votazione non mi ha fatto sentire sconfitto per la semplice ragione che ho cercato di votare “non contro qualcuno “ ma per “ qualche cosa“.
    Sul genere di “questa cosa“ occorre che io faccia delle precisazioni. Essa si presentava – in termini oggettivi – come una “questione ecologica“ legata al rispetto e alla conservazione dell’ambiente marino.
    Non sono insensibile a tale valore ma ne ho sempre rilevato la particolare qualità di creare conflitti e difficoltà con altri valori. Debbo necessariamente presupporre che si sia anche solo genericamente d’accordo sul concetto di valore e sull’esistenza di alcune esigenze cui diamo questo nome.
    A parte il problema enorme dell’ “ecologia planetaria“ e limitandomi a considerare l’ecologia come riferita ad un singolo aggregato sociale (nella specie l’Italia), rilevo come essa sia molto spesso legata a elementi che la rendono “urgente e marginale“. Tali elementi possono essere di tipo localistico (il “mio territorio“) ovvero socio-economici (la struttura produttiva di un certo territorio). Uno dei casi più emblematici è Taranto, dove si è aperto un conflitto virtuale e reale tra salute e lavoro; nel Referendum di ieri le Regioni più rispondenti al voto sono state quelle più contigue alle trivellazioni (salvo l’Emilia–Romagna meno rispondente ma per ragioni opposte, basate su un’altra scala di valori).
    Volendo dare un senso all’affermazione – altrimenti incredibilmente rozza di Scalfari – che Piemonte e Lombardia non erano interessate al Referendum in quanto….non hanno un proprio mare, si può sottolineare con cautela proprio il carattere specifico di certi referendum legati a fattori “locali“. Ma tale rilievo serve solo ad imporre – in tali casi – una più approfondita analisi del rapporto tra sacrifici e utilità e non certo a far assurgere la specificità “locale“ a condizione necessaria di un referendum.
    Non sono rimasto colpito – a favore del Sì che ho scelto – dall’osservazione che il prodotto delle trivellazioni non resti in Italia o resti solo parzialmente. In un sistema di economie integrate e interagenti, l’argomento mi è parso debole e quasi richiamante circuiti da economia curtense.
    Mi ha colpito il rilievo della carenza di un termine di durata delle concessioni, posto che l’elemento “tempo“ ha nelle vicende umane un’importanza fondamentale nel giudizio sulla qualità stessa di una certa azione.
    Mi ha colpito anche – con le riserve che farò – il rilievo che il problema trivellazione sia o possa essere stato inserito in un gioco di lobbies.
    Se tale gioco è illegittimo ed è doveroso l’intervento dei giudici, esso presenta scarsa efficacia: è di solito lento e consente l’ingresso – entro la durata dei processi – di fattori variamente distorsivi; non può prescindere dall’esito finale della legittimità; l’errore circa tale legittimità non coinvolge politicamente i giudici. I limiti di efficacia dell’intervento giudiziario sono segnati dalla sua stessa posizione che è nello steso tempo garantista e sanzionatoria.

    4.
    Mi ha convinto per il Sì il rilievo che il Referendum è stato un atto politico. Rispetto a tale configurazione non vi sono obbiezioni di sorta.
    Ma comincio dalla sua configurazione. Se all’origine (confesso che lo specifico iter dell’ideazione di esso mi è sfuggito ed ha comunque scarsa importanza) esso ha avuto o potuto avere un carattere schiettamente ecologico, il suo aspetto schiettamente politico (cioè il suo essere stato assunto come oggetto di un’opzione politica) si è rivelato nella dichiarazione del Presidente del Consiglio diretta a farlo fallire. Dunque con tale dichiarazione Renzi ha assunto come decisione politica quella di mantenere in vita le trivelle.
    E allora? Se Renzi fa tale scelta (contro cui non ci sono obbiezioni se non politico-istituzionali e di merito), l’osservazione che “l’ecologia“ è un pretesto non ha alcun fondamento. E’ lo stesso Presidente del Consiglio ad assumersi la responsabilità della scelta come scelta di politica ecologico o economica che dir si voglia. Cosa si deve fare contro una scelta che si ha tutto il diritto di credere sbagliata? Si reagisce secondo i modi previsti dall’ordinamento e tra questi vi è anche il referendum. All’estremo vi è la contestazione violenta. Tertium non datur.
    E’ possibile che con il referendum si sia voluto arrivare – tra la minoranza del PD e la sua maggioranza – ad una “resa dei conti“. Ma cosa significa – fuori dal vocabolario giornalistico – questa resa dei conti se non l’insoddisfazione di una parte del PD per la politica o le politiche della sua maggioranza interna? In questa dialettica insita nel sistema che la garantisce non c’è spazio per qualificare una azione legittima come pretesto. Tale qualificazione non ha pregio neppure se riferita alle altre parti politiche, le quali – sulla stessa base di insofferenza manifestata dalla minoranza PD – manifestano la loro insofferenza verso chi “a fortiori“ è loro avversario.
    Su tale quadro si innestano – a mio giudizio – una serie di valutazioni politiche sul cosa fare, come fare quel che si deve fare e su quello che non si deve fare.

    Giorgio Mannacio, 18 aprile 2016.

  7. Secondo me l’istituto referendario quale strumento di lotta politica mostra ormai profondi segni di stanchezza. Anche in passato per chi sapeva leggere la situazione degli equilibri politici il risultato appariva scontato in un senso o nell’altro. Infatti le persone politicizzate hanno sempre obbedito ai loro partiti di riferimento mentre la grande massa degli “indifferenti” non è mai andata a votare per nessuna ragione. L’unico modo di incidere sulla situazione politica è di organizzarsi sul territorio, anche con l’utilizzo delle nuove tecnologie, e di farla la politica, ovvero di elaborare proposte innovative che vadano incontro alle esigenze di quella grande massa di “indifferenti” che non ha ancora trovato una sua rappresentanza. Perciò la prima domanda è: cosa vogliono tutti costoro? Sicuramente la più importante tra le risposte è il lavoro. Solo attraverso di esso potranno avere un futuro e chi sarà in grado di garantirglielo potrà convincerli a partecipare all’agone politico e quindi a prendere il potere.

      1. @ Mayoor
        “@ Ricotta: Finalmente uno che la pensa come Renzi, non credevo ne esistessero veramente.”
        Davvero? Veramente conturbante! Allora devo riconsiderare il mio giudizio sul personaggio, io che credevo di essere agli antipodi! Ma hai capito bene quello che ho scritto?
        Approfitto per aggiungere che quelli che comunque cantano vittoria per i 16 milioni che sono andati a votare credendo di poterli usare strumentalmente per le loro battaglie politiche, avranno altre amare disillusioni. Essendo una compagine estremamente eterogenea alla prossima battaglia politica si sfilacceranno in tanti gruppetti ciascuno con il suo pastore.
        Al referendum io e altri due amici, gli unici che sono riuscito a convincere, abbiamo votato SI, pensa tu!

        1. Non ha senso avventurarsi in previsioni di questo genere. Resta il fatto che gli italiani disposti a dire quel che pensano sono una minoranza, se pur cospicua. E’ un problema sociale non indifferente, che si riflette sulla cultura e significa, secondo me, che tra i non votanti c’è molto scetticismo. Ma questo non lo sapremo mai a meno che, per improbabili accadimenti – ma quali? siamo entrati nell’Euro e ora i migranti, per citare due fatti rilevanti, senza che la gente abbia perso il sonno e l’appetito – tali da smuovere un po’ d’entusiasmo e partecipazione. E’ facile incolpare la melassa dei media, ma è vero: accade come ai tempi del fascismo che la gente parlava di politica sottovoce, perfino in famiglia; per come la vedo io, tra i campi di concentramento i migliori sono a Cortina d’Ampezzo. Ma ci si contenta anche delle trasmissioni di mediaset. Il mondo è pieno di giocattoli. Ma non è che ai tempi degli antichi romani le cose andassero diversamente. Chi riesce a influenzare la collettività – stavo per scrivere soggiogare – ha in mano il potere. Auspicherei l’indifferenza attiva, un ossimoro che sarebbe piaciuto a Timothy Leary.

  8. La mancanza di sensibilità nella maggioranza degli italiani verso i problemi reali del Paese (o del territorio, a cominciare dai propri Comuni) non dovrebbe stupire nessuno; a prescindere dalle idee politiche a cui si rifanno. Qui in Polesine dovremmo sapere bene cos’è la subsidenza provocata dal pompaggio di idrocarburi e simili (nella fattispecie metano), ma i risultati sono stati in linea col resto d’Italia.

    Aldilà della semplice disaffezione al voto per i più vari motivi (ma io credo che queste siano “prove tecniche di trasmissione”, di chi vorrebbe avere una scusa per abolirlo, servita su un piatto d’argento), bisognerebbe semplicemente togliere il quorum: col risultato che andrebbe a votare in primis quella che chiamo “minoranza sana”, che ha a cuore questi problemi e abbastanza sensibilità per affrontarli. Più elitario che democratico alla fine; ma darebbe più garanzie di funzionare.

    Purtroppo dubito che una decisione simile possa venire presa, da chi oggi siede in Parlamento; il che è per me la conferma – anche se so già essere poco condivisa e non solo da queste parti – che occorre organizzarci alla scala alla quale si riesce ad arrivare, fuori da questo sistema: che non si può ormai cambiare dall’interno, ma solo “aggiustarlo” per qualche inezia.

  9. …mi incuriosiscono le reazioni e le risposte del “tonto” durante il colloquio con Giulio Toffoli…in un primo momento mi sono sembrate sarcastiche nei confronti dell’interlocutore, ma poi rileggendole ho ravvisato un fondo di consapevolezza, se vuoi cinica, unita ad una mascherata disperazione: come dire, prendiamo atto che siamo su una china senza ritorno, meglio precipitare verso l’abisso, rosicchiando le briciole avariate della torta, che resistere inutilmente. Ormai siamo tutti compromessi, un patto con il diavolo l’abbiamo stretto tutti…” Lo vedo andare con il suo passo calmo e un attimo claudicante…”. Certo consigli diabolici che trivellano ogni coscienza, ogni speranza, tuttavia rendono bene l’dea e la misura di come siamo stati astutamente contaminati e resi impotenti…Le molte lotte del passato forse si confrontavano con nemici più visibili, dalle armi meno micidiali. Resistenza e coinvolgimento oggi sono tutte da studiare…basta vedere com’è finito questo referendum

  10. 18/4. Mattinata da bar. Che è stata poi una fermata del filobus. Gente anziana, un coro di “devono smetterla di usare i nostri soldi per queste cose” (N.d.T.: i referendum). Uno: “ma hanno poi raggiunto il quorum”? Un altro, più informato (si fa per dire): “Mah, Mentana alle 21 ha detto che erano al 23%”. Dopo, si vede che costui ha preferito sintonizzarsi sulla De Filippi del momento.
    Pomeriggio in uno studio medico. Due anziane signore, nell’attesa, conversano fra di loro. Una, rispondendo alla domanda dell’altra: “Tu sei andata a votare?”: “Ma cosa vuoi votare. Io non sono un tecnico, non capisco queste cose, e se poi mi sbaglio a dare il voto?”
    Insomma, c’è di che essere seguaci di Swift. O almeno, “modesta proposta” riveduta e corretta, se una persona si ostina a rifiutarsi, referendum dopo referendum, di andare a votare, il diritto al voto glielo si toglie. E cche cce vo’?

    Comunque, trivelle o non trivelle, i nodi politico-economici della questione mi parevano (e mi paiono) essere tre:
    1) le royalties: troppo basse
    2) la franchigia: troppo alta
    3) la benzina estratta da quel petrolio l’Italia l’importa comunque

    1. A voler essere pedanti, c’era un altro nodo, di carattere ambientale: il rischio di subsidenza indotta dallo svuotamento delle sacche di idrocarburi o gas. Rischio non quantificabile, ma che portò – fra gli Anni ’40 e ’50 – un abbassamento fino a oltre 4 metri sotto il livello del mare nel Delta del Po.

  11. Dal 15 al 17 aprile si è svolto nella Capitale il “Rome plenary meeting 2016” della Trilateral Commission, “associazione privata fondata nel 1973 da un gruppo di cittadini nord americani, europei e giapponesi con la finalità di offrire ai soci un forum permanente di dibattito per approfondire i grandi temi comuni alle tre aree interessate, diffondere l’abitudine a lavorare insieme per migliorarne la comprensione e fornire contributi intellettuali utili alla soluzione dei problemi affrontati”.
    La lista degli invitati all’Hotel Cavalieri è delle grandi occasioni con pesi massimi del renzismo come Andrea Guerra (ex ad di Luxottica e per un anno consigliere a palazzo Chigi) e Yoram Gutgeld, deputato Pd e commissario di governo per la spending review. Poi Lapo Pistelli (ex viceministro degli Esteri, oggi vicepresidente di Eni), alcuni esponenti del Pd, come Lia Quartapelle e Vincenzo Amendola. Ma tra i componenti italiani ci sono anche: l’ex rettore della Bocconi Carlo Secchi, in qualità di presidente del gruppo italiano, Giuseppe Bono (ad di Fincantieri), Enrico Cucchiani (ex ad di Banca Intesa), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (già ministro della Difesa del governo Monti), la direttrice di Aspenia Marta Dassù, John Elkann , Enrico Letta e Marco Tronchetti Provera.

    Perché questa mia lunga premessa, al di là di dare nome e cognome a figure che hanno (o dovrebbero avere) il polso della situazione nazionale e internazionale e che forse non sono note a tutti?
    Perché in quella occasione, nel mentre una parte di cittadini si preparava e si avviava a fare il suo dovere civico (parte presa poi in giro, ad urne ancora aperte, con l’epiteto di “Ciaone” da parte di Carbone – PD – rivolto a quei fessi di elettori che andavano a votare per il referendum), il Ministro dei rapporti col Parlamento, Maria Elena Boschi, rassicurava così la platea della Trilaterale: ”Non penso che il referendum” di domenica sulle trivellazioni “avrà un esito positivo” e in ogni caso “il referendum non cambierà nulla per la politica energetica italiana, che andrà avanti indipendentemente dal risultato”.
    Poi, quando il politico ed economista indiano Nand Kishore Singh chiede al ministro Boschi della riforma della Costituzione e del prossimo referendum. “Ecco – risponde lei – quel referendum avrà un impatto più profondo sulla nostra politica energetica, perché ora dobbiamo dividere le decisioni con venti regioni, con venti legislazioni, ma dopo la riforma avremo solo una strategia e una legislazione per tutta l’Italia. Così, sono certa, avremo anche più peso in Europa”.

    Bene.
    A fronte di questa protervia noi che cosa possiamo pensare?
    Che lo scollamento tra il cittadino e un potere politico che non ha seguito le classiche vie elettive dal basso sta mostrando tutta la sua anomalia? O la sua pericolosità?.
    Che cosa è? Una dittatura?
    E a questo che cosa possiamo opporre?
    Il nostro orgoglio e mostrare nudo il petto davanti al nemico?
    G. Toffoli: *Penso al risultato elettorale, alla infinita coazione a ripetere e a perdere [e dico] all’amico Tony il Tonto […]: “Tonto un’altra volta ci siamo fatti del male…”.
    “Perché – mi risponde – cosa ti aspettavi…”
    “Beh, una reazione d’orgoglio”.
    Ci hanno disabituati, è evidente che decidono tutto lor signori, è così dal porcellum e diciamocelo anche da prima …”
    “Insomma il richiamo a una responsabilità comune …”
    “Comune con chi se fanno fatica a condividere qualche cosa con la moglie e i figli. Ognuno per sé.”*

    Ma, al di là dell’ovvia saggezza di Tonto, citare la locuzione ‘coazione a ripetere’ significa anche riprendere ciò che sta a monte di questo concetto, vale a dire la formulazione teorica di Freud nel suo articolo del 1914, “Ricordare, ripetere, rielaborare”. Dove si dice che non basta ricordare, è necessario rielaborare altrimenti la nostra storia diventa una serie continua di ripetizioni e di disastri.
    Non è sufficiente ricordare e richiamare coloro che * per un incredibile senso civico si unirono contro un potere che sentivano come intollerabile* (G. Toffoli).

    E’ da inchinarsi, ma non è sufficiente, prendere a modello la scelta di G. Mannacio che esplicita il suo andare a votare come *una sorta di desiderio di essere fedele all’ex “uomo pubblico“ che sono stato. Per oltre metà della mia vita ho esercitato le funzioni di giudice, che è un’istituzione pubblica. E, a parte la qualità di cittadino, ho creduto doppiamente naturale proseguire in tale direzione e conservare un senso alla mia vita pubblica passata*.

    Ma, ad un certo punto del suo intervento, Mannacio fa una virata interessante.
    Non si tratta più di parlare di una scelta soggettiva, di una risposta consequenziale al patto istituito tra lui e l’istituzione.
    Mannacio parla di due cose.
    La prima ha un valore ‘politico’.
    La seconda un valore ‘funzionale’.
    Ambedue implicano una domanda ‘allora che fare?’, affinchè non rimangano fine a se stesse.
    a) Mannacio scrive: *E’ possibile che con il referendum si sia voluto arrivare – tra la minoranza del PD e la sua maggioranza – ad una “resa dei conti“. Ma cosa significa – fuori dal vocabolario giornalistico – questa resa dei conti se non l’insoddisfazione di una parte del PD per la politica o le politiche della sua maggioranza interna?*
    E poi, altra riflessione: * Cosa si deve fare contro una scelta [quella delle politiche ecologiche] che si ha tutto il diritto di credere sbagliata? Si reagisce secondo i modi previsti dall’ordinamento e tra questi vi è anche il referendum. All’estremo vi è la contestazione violenta. Tertium non datur.*
    Però, a questo punto, si rivela chiaro l’inganno: non era di trivelle che si trattava ma, sotto quella falsa specie, di arrivare ad altro risultato.
    b) Infatti, quanti tra coloro che hanno partecipato al voto erano consapevoli nel merito dei destini dei prodotti delle trivellazioni, o, come scrive R. Bugliani (19.04, h. 15.32): *Comunque, trivelle o non trivelle, i nodi politico-economici della questione mi parevano (e mi paiono) essere tre:
    1) le royalties: troppo basse
    2) la franchigia: troppo alta
    3) la benzina estratta da quel petrolio l’Italia l’importa comunque*.
    Di quale competenza devono essere provvisti coloro che sono chiamati al voto referendario perché questo assolva alla sua funzione?
    I cittadini possono/devono essere dei tecnici a questo proposito per poter votare consapevolmente?
    Che cosa stanno esprimendo, di fatto, con il loro voto?
    L’interrogativo non è da poco.

    Ma quando, anziché di trivelle, si parla di Costituzione e, come G. Toffoli fa dire a Tonto: *Anche la Costituzione è un carta vecchia e la gente è stata convinta che tutto è da rinnovare … almeno alle apparenze*, come la mettiamo?
    Se il ministro Boschi – sempre rispondendo alla Trilateral – dice *“Non penso che il numero di senatori possa avere un impatto sui pesi e contrappesi della Costituzione. Penso che pesi e contrappesi sono garantiti dalla separazione dei poteri, dall’indipendenza della magistratura e dalle regole della Corte costituzionale*, a che titolo sta parlando e per conto di chi? Il suo ‘pensiero’ corrisponde ad una decisione già presa? Non certo dai cittadini.
    Allora a noi che cosa rimane? Lo ‘zuccarino’ di aver partecipato ad una scelta che è stata decisa altrove?
    Non sarà complesso come il discorso delle trivelle, ma che cosa significa ‘veramente’ la separazione dei poteri? Non la voleva anche Berlusconi, se non erro? Il cittadino che, coscienziosamente, va a votare cerca, è ovvio, di informarsi. Ma chi trova sul suo cammino? Dovrà destreggiarsi – come vedevamo nel post “La società della comunicazione” di D. Salzarulo – tra ideologia e propaganda.

    Per questo, tornando all’esigenza di non solo ricordare ma anche di elaborare, perché non possiamo avere anche fra noi la nostra Trilateral, i nostri ‘saggi’, i nostri ‘tecnici’ a patto che non si accapiglino tra di loro? Perché non cercare di uscire, per quanto è possibile, da quegli stereotipi che, nel mentre ci imbottivano la mente di false idealità (troppo lungo qui dire quali), hanno relegato noi al palo e altri sono avanzati senza trovare valide opposizioni?
    Non intendo sostenere che abbiamo toppato consapevolmente: solo al calar delle tenebre esce la nottola di Minerva. Ma rifletterci un poco sopra, sì.
    Altrimenti non ci resta che ritrovarci al bar, come dalla descrizione di R. Bugliani, con la nostra co(l)azione a ripetere.

    R.S.

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