Attilio Mangano nel mio diario (1- 5)

Mangano 2

di Ennio Abate

La sua anima si era avvicinata a quella regione dove abita l'immensa schiera dei morti. Era consapevole della loro esistenza aerea e incorporea, ma non poteva afferrarla. La sua stessa identità svaniva in un grigio mondo impalpabile: lo stesso solido mondo, in cui questi morti avevano operato e vissuto, si dissolveva e svaniva.

 (James Joyce, I morti, in Dubliners)

Nei giorni successivi alla morte di Attilio Mangano avvenuta il 9 aprile 2016, Maria Granati, una sua cara amica ha scritto: «… davvero Attilio ci manca. Io non riesco ancora a realizzare questo avvenimento dopo tanti anni e kilometri di mail e messaggi, confronti, apprezzamenti, testi da leggere, polemiche e discussioni, proposte e contributi, . .In pochissimi giorni, ci si è vuotata la pagina della posta in arrivo “Buona domenica con i miei due siti….” ». Non posso che dolermi io pure di questo vuoto. Come m’è accaduto per altre persone care ormai defunte, ho cominciato a scavare nella memoria; e più precisamente nel mio diario dove da decenni raccolgo, quando ci riesco, appunti su eventi, incontri, problemi che mi colpiscono. E qui in questi giorni ho cercato le tracce di Attilio: miei appunti su di lui, scambi di mail. A una prima lettura il materiale che ho archiviato mostra quanto poco lineare, complesso e carico di tensioni culturali e politiche sia stato il mio legame con Attilio. Come, del resto, credo sia qualsiasi rapporto non superficiale tra individui che tentano di conoscersi e di collaborare. E lo devono fare non in un’oasi tranquilla e appartata ma nel mentre  si orientano e  si muovono tra le pieghe quotidiane, contorte e oscure, di una storia, che implacabilmente li lavora, li trasforma; e che ora li avvicina, ora li distanzia, ora li contrappone. Questi ricordi non pretendono di giudicare  la visione che Attilio aveva delle cose e del mondo, ma danno conto di quello che è entrato nel mio diario dei discorsi che ci siamo scambiati in lunghi anni e delle *mie* impressioni e reazioni. E’  perciò una testimonianza limitata che metterei volentieri assieme a quelle di altri suoi amici che gli sono stati più vicini o hanno condiviso più di me i suoi orientamenti culturali e politici. Facendo una meditata cernita ed evitando ogni oleografia e apologia (sia del defunto che di chi lo ricorda), pubblicherò mano mano i pezzi del carteggio con quest’altro mio «oscuro fratello».  Oggi riporto sul sito i primi cinque pezzi già apparsi su “Poliscritture FB”. [E. A.]

(1)

1. aprile 1978

Dopo assemblea della Costituente di Democrazia Proletaria con Attilio Mangano a Villa Casati (Cologno Monzese)

Curiosità, una certa voglia di ritrovarsi fra compagni. Ma i discorsi di Sacristani, Stefano Facchi e anche di Mangano sono nel vecchio stile pedante, comiziesco, d’appello all’emergenza. Aumentano i miei dubbi sull’opportunità di costruire oggi un altro partito, *proletario* dopo il fallimento della costruzione di quello *rivoluzionario*. Mangano ha affinità con i compagni del *manifesto*. Si potrebbe lavorare con lui. Ma con gli altri? Se l’ipotesi di un *collettivo di Democrazia Proletaria* avesse avuto qualche base, perché non è stata tentata prima della rottura fra *Avanguardia operaia* e *Pdup*[1]. Le spinte burocratiche e settarie prevalsero allora e sono sempre all’opera anche oggi.
Bisogna porsi seriamente il problema di andare oltre il PCI; e per farlo non basta andarci contro. Come dice Eugenio Grandinetti[2], la *nuova sinistra* non sa costruire un suo progetto e continua a muoversi in funzione del PCI.
Può sembrare una pretesa eccessiva, ma penso che dobbiamo andare oltre anche quel che hanno fatto *Lotta Continua*, *Avanguardia Operaia* e *Pdup*[3]. È vano lavare e stiracchiare ancora i panni smessi di queste ex organizzazioni. Troppe sono le macchie burocratiche. La vicenda di Silverio Corvisieri[4] fa riflettere. Come mai un frutto cresciuto sul nostro stesso albero è diventato così “marcio”?
Corvisieri scopre ora la bontà della *via pacifica al socialismo* proprio quando essa degenera nel *compromesso storico*. Come degenera purtroppo la *via rivoluzionaria* nel militarismo delle *Brigate Rosse*[5]; e proprio quando lo Stato democristiano svela la sua putrefazione.
È impossibile attestarsi sulle “modeste certezze” (il PCI che s’aggrappa allo *Stato nato dalla Resistenza*, Democrazia Proletaria che s’aggrappa alla *costruzione del partito*). Non hanno funzionato. Neppure negli ultimi trent’anni.

[1] Partito di unità proletaria.
[2] Allora insegnante, mio collega all’ITIS di Sesto S. Giovanni.
[3] Negli anni Settanta le tre più seguite organizzazioni della cosiddetta sinistra extraparlamentare o rivoluzionaria o nuova.
[4] Uno dei dirigenti fondatori di Avanguardia Operaia passato in quei mesi al PCI.
[5] Organizzazione comunista clandestina che praticò in quegli anni la lotta armata.

(2)

10 giugno 1981

Attilio fa l’entrismo. Ma con una rivista [1] si può vincere al congresso di DP? E l’entrismo lo vai a fare in un partitino? Il suo *tertium datur* non mi convince. Meglio una marginalità cosciente. La cosiddetta ”anima” dell’ex ’68 non si quieta. Fino a che punto però seguire questi ex compagni? Tentano di mettersi ancora assieme: ora in quello che io chiamo il “gruppo Mangano” che si riunisce in casa di G. ; ora in questo «Circolo vizioso», dove ho intravisto alcuni dell’ex Pdup; ora nel gruppo ex m-l di Luigi S. Rimangono/rimaniamo però appendici di una vecchia storia. Gironzolare attorno a DP mi pare un arretramento. Non mi convince neppure l’ex Autonomia.

[1] Unità proletaria

29 marzo 1984

Sento impacciati e discordanti i miei tentativi di uscire dall’isolamento in cui mi sono ritrovato da quando, nel 1976, mi sono allontanato da una AO [2] ormai avviata alla scissione. In questi anni tante letture, l’avvicinamento a Fortini, la corrispondenza epistolare con PDG in carcere, il contatto prima con Attilio Mangano e poi con il “gruppo Mangano”. Decido ora di partecipare alla redazione milanese di «Primo maggio». Con molte riserve. Non vorrei finire per autocensurarmi, com’è accaduto in parte con AO. E voglio continuare a occuparmi di Marx e dei vari marxismi. Anzi della «crisi del marxismo». Del lavoro dell’attuale «Primo maggio» m’interessa l’indagine sulle trasformazioni in corso. Mi pare però che questi compagni si muovano nell’ambito di un sindacalismo che – dicono – si starebbe trasformando. Anche per loro l’«ipotesi rivoluzionaria» è chiusa. La differenza con la “nuova sinistra” sta nel fatto di aver sempre rigettato l’ «ipoteca partitica». Attilio invece mi pare attirato dalla funzione più classica, quella dell’ intellettuale “consigliere del Principe”.

Sto vivendo questi anni senza sentire di possederli. Come fossi ridotto a un’ombra. A volte mi riscuoto e riesco a riallacciarmi almeno idealmente all’esperienza attiva e collettiva del passato decennio. Ho fatto della lettura di certi testi politici legati a quel periodo di militanza quasi una ragione d’esistenza. E perciò ho seguito con ansia gli strascichi giudiziari di quelle vicende e mi sono posto nell’ottica mentale dello storico, anche senza esserlo. È un modo di conservare la memoria di allora. Ma, smessa la pratica di una militanza in un gruppo politico e ridottomi ad “assaggiatore” dei tentativi altrui di continuare o ricominciare da qualche altra parte, resta l’insoddisfazione.

[2] Avanguardia operaia

4 dicembre 1984

Convegno sulla chimica al Molinari

In aula magna, addobbata con mazzi di fiori e riscaldatissima,e per i corridoi del primo piano girano insegnanti di chimica e presidi di vari istituti, ispettori ministeriali, funzionari di industrie chimiche. Grandi preparativi perché deve arrivare il sindaco Tognoli. Incrocio la preside Morandi, elegantissima e emozionata. Le sta accanto Attilio Mangano, che fa il vicepreside al serale, elegantissimo anche lui e con una vistosa cravatta a farfalla rossa, tutto serio e sorridente. Sto curioso e diffidente in mezzo a questa folla eccitata. E penso: è impossibile che questi siano i fautori di una “science for people”. Columbo, il mio collega di chimica, anche lui in tenuta di gala, va in giro facendo il fotografo ufficiale del “grande evento”. Non mi resta che simpatizzare con i pochi studenti che hanno preparato dei cartelli di contestazione. Spagnuolo, il vicepreside del Molinari diurno, si lagna: – È orchestrata, non nasce dalle loro menti! Ho lezione e non posso restare in aula magna. Vengo poi a sapere che nel suo intervento il sindaco Tognoli è stato sarcastico contro gli studenti: «ultimi fermenti del ‘68». E Santoro, il sindacalista della CGIL, che ha seguito la cerimonia, mi ha riassunto il succo del discorso di un certo dott. Armento, primo dirigente del Ministero della P.I. Si è vantato anche lui di aver «fermato i barbari del ‘68».

14 gennaio 1985

Mangano, Melucci.

Non diffidare di loro perché li senti avversari o amici “distanti”. Ascoltarli. Studiare le loro posizioni. La critica punk al “vivisezioniamo sociologico” va bene per i punk, non per te. E neppure possiamo criticare richiamandoci ai tempi della militanza. Nessuno intende più certe cose. Bisogna ricostruirsela sull’oggi la critica che ci serve. E senza più scandalizzarsi perché un sociologo accademico come Alberto Melucci, anche se proviene dai *Quaderni piacentini*, non nomina neppure più Danilo Montaldi.

(3)

16 gennaio 1986

Un promemoria  per Attilio su un suo scritto intitolato “A proposito di elfi, baccanti, ecc…”  *

Caro Attilio,
condivido l’intento principale della tua ricerca (non dare per irrecuperabii o “superate” parti delle esperienze premoderne che sono state sconfitte e dimenticate), ma ho queste riserve su alcuni punti del tuo dattiloscritto. Eccole telegraficamente:

1. Diffido delle visioni “plurimillenarie” e dei viaggi frettolosi in tempi tra loro tanto diversi. Temo che idee e fatti finiscano per essere appiattiti in una confezione storicamente troppo disinvolta e tipicamente post-moderna.

2. Trovo eccessivo il numero delle citazioni di brani altrui che “invadono” il tuo testo e riducono il tuo commento alle medesime.

3. Apprezzo la cautela con cui ti muovi fra le contrapposizioni schematiche(paganesimo/ giudeo-cristianesimo; tradizione autoritario-sapienziale/tradizione democratico-razionalistica; ecc.); e anche di fronte alla “tentazione” di interpretare il materiale esaminato (su dionisismo, gnosi, stregoneria, ecc.) come se si trattasse di una odierna corrente di “trasgressivi desideranti” da contrapporre ai “razionalisti”); ma non mi pare che, dopo esserti distinto da quella sinistra che “ha il terrore di essere posseduta dalle ombre”, strappi davvero all’ambiguità dei vari immaginari un’indicazione capace di resistere alla “luce” del nostro presente.

4. È proprio questo presente che non fa da filtro nel tuo viaggio attraverso gli immaginari del passato. Vedo perciò tre rischi: 1) una svalutazione della polemica contro il post-moderno.(Ad es. Habermas viene liquidato in poche righe; e trovo troppo incensanti e ossequiose le citazioni dei vari Formenti, Maffessoli, ecc.); 2) un recupero quasi accademico di questi tipi d’immaginario, che a me sembrano fuori stagione e non più collegabili a movimenti attuali che abbiano con loro una qualche affinità (come poteva essere, ad es., per il movimento del ’77 o parte di esso); e poi il tuo recupero non avviene più in un conteste culturale dominato da una sinistra “lukacciana” che pontificava contro l’”irrazionale” ma in una situazione spappolata e percorsa da forti ventate “di destra”(virgoletto per brevità, perché il discorso sarebbe complicato e lungo); 3) non tener conto a sufficienza nella tua critica all’idea di progresso e contro la censura dei “saperi bassi” delle posizioni di marxisti critici italiani, come Fortini o dello stesso Ernst Bloch (a cui riservi una striminzita citazione) finendo per civettare con gli “alfabetiani”.[1]
Sperando in un approfondimento della tua ricerca che tenga conto anche del mio “sapere basso” ti auguro buon lavoro
Ennio

[1] Mi riferivo alla rivista “alfabeta” (1979- 1988)

 

 

(4)

8 maggio 1988

Io, Mangano e la “Balena bianca”*

Sul tema dell’immaginario non ho una conoscenza teorica come quella di Attilio. La mia deriva solo dalla pratica poetica e artistica che da un po’ di tempo ho ripreso. Potrei comunque sentire la sua ricerca affine alla mia e, come in un mosaico fatto a più mani, aggiungere qualche mio frammento. Perché tendo a tenermi in disparte? Perché sento che la sua ricerca antropologica contrasta con quel tanto di marxismo che ho appreso negli anni della nostra comune militanza politica in Avanguardia Operaia; e che io ho continuato a studiare anche da isolato. Non posso però ridurmi a rimproverare Attilio e i suoi amici per aver abbandonato la vecchia problematica più direttamente marxista e politica. In fondo, se parlo genericamente di marxismi, ecologismi e psicanalismi come saperi a cui ho avuto accesso solo grazie alla loro “volgarizzazione” di massa, sto su un terreno abbastanza prossimo al suo e a quello dei suoi collaboratori. Del resto non me la sento di assumere posizioni di rifiuto rigido nei suoi confronti, come fanno alcuni, che non hanno mai accettato quella sua dichiarazione politica con Stefano Merli a favore di Craxi.

2 settembre 1988

“Balena Bianca”

Fino a che punto mi prende il tema dell’immaginario com’è impostato da Attilio e dai suoi amici? Le mie riserve che comportano? Il rifiuto di collaborare? Una critica troppo pungente? Una critica più blanda e solo correttiva? Mi vorrei muovere in uno spazio intermedio, che sta fra la riflessione-saggio e la riflessione teorica fondata su approfondite letture. E la sua rivista è la forma dove potrebbe confluire la mia ricerca. Eppure la mia iniziale speranza di lavorare nel gruppo redazionale della Balena Bianca è caduta. Fondamentalmente per una differenza: gli altri mi sembrano simpatizzare o difendere con estrema convinzione un’esplorazione “aperta” dell’immaginario ormai del tutto sganciata dagli elementi di critica “ancora” marxista che io tendo a introdurre.

APPENDICE

Attilio Mangano, Ricordando la rivista LA BALENA BIANCA

Nel luglio 1993 usciva il settimo e ultimo numero della rivista LA BALENA BIANCA (Antonio Pellicani editore) da me fondata e diretta. Sette numeri ma in realtà sei perché il secondo fu un numero doppio. Sono passati dunque 18 anni e l’evento simbolico della data può essere un valido pretesto per tornare a parlarne con un bilancio critico.
Sottotitolo della rivista era infatti ” I fantasmi della società contemporanea”. Anche questo può aiutare a capire meglio come la Balena Bianca di cui si parlava NON FOSSE LA DC ma la famosa balena melvilliana di MOBY DICK. La storia di questa rivista in altri termini delinea una scelta di messa a fuoco di ciò che personalmente continuo a definire come il campo del cosiddetto IMMAGINARIO SOCIALE. Il primo numero della rivista esce d’altra parte nel settembre 1990, a poca distanza dalla pubblicazione del mio volume IL SENSO DELLA POSSIBILITA’ ( LA SINISTRA E L’ IMMAGINARIO) sempre con le edizioni di Antonio Pellicani, un vero editore controcorrente ( lo conobbi grazie ai buoni auspici di PINO A. QUARTANA ed egli accettò di inaugurare una nuova collana della casa editrice a partire dal mio libro, con prefazione di GIORGIO GALLI, cui presto seguirono ristampe e nuove pubblicazioni di libri del filosofo della storia LUCIANO PARINETTO, un eterodosso studioso libertario che si occupava da sempre di temi come la magia e il pensiero esoterico.
(Ci fu allora chi accomunò i tre nomi, il mio, Galli e Parinetto, come espressione di una corrente di neomarxismo magico ed esoterico…). Ricordare cronologicamente questa catena di eventi e pubblicazioni può ancora oggi aiutare a inquadrare in un certo modo una linea di ricerca che riguarda più che altro il sottoscritto, ma dentro quella scelta di occuparsi dei FANTASMI DELLA SOCIETA’ entrava in campo una area più vasta di collaboratori e studiosi, in parte affini alle ricerche sull’immaginario, in parte disponibili comunque ad avventurarsi nell’impresa per il gusto di scavare nuovi terreni. Del resto la composizione iniziale della redazione della rivista subì nel giro di un solo numero o due un rimescolamento ulteriore con alcuni allontanamenti (Giuseppe Magni, Carlo Carotti) e nuovi contributi ( Luciano Parinetto stesso in primis, ma anche Pino Tripodi,Domenico Potenzoni, con apporti di Tiziana Villani, Adelino Zanini, Adriana Perrotta, Gioacchino Lavanco, Primo Moroni, Annamaria Rivera, Marco Gervasoni). Il gruppo di lavoro stabile e significativo poteva contare su un progetto grafico e la sua realizzazione ( Carlo Amore, Francesco Garbelli) e sull’apporto continuo di una serie di collaboratori : Alberto Battaglia,Nicola Fanizza,Aldo Marchetti, Bruno Milone, Paolo Rabissi, Franco Toscani , promuovendo due seminari pubblici. Come si vede gran parte di questi nomi si ritrovano ancora oggi fra i collaboratori del sito INTELLETTUALI STORIA ( da aggiungere anche Federico La Sala, che prese parte a uno dei seminari, e Nicoletta Poidimani), anche esso ormai chiuso ( e rimpiazzato da un omonimo blog).
• Quanto rimane oggi valido e stimolante di quei contributi e di quella stagione di ricerca? Erano gli anni 1990-93, della caduta del muro di Berlino e del nuovo interrogarsi della sinistra sulla crisi delle ideologie e sul rapporto con la modernità, gli anni di un rimescolamento tormentato e di nuove scoperte (ad esempio si deve proprio alla prima intervista di ALDO MARCHETTI ad ALAIN CAILLE’ la segnalazione dell’importanza di una sociologia e antropologia che si sottraessero al paradigma economicista), gli anni della discussione sulla biopolitica e Foucault, sul pensiero nomade, sul rapporto stesso fra politica e antropologia, sullo studio della simbolizzazione politica, gli anni della pubblicazione del ” Collegio di Sociologia” di Georges Bataille e di una prima visitazione di una possibile ” sociologia del sacro”. Di tutto questo LA BALENA BIANCA fu testimone e protagonista. Chi sfogliasse oggi i suoi sei numeri e volesse ad esempio curarne una antologia degli scritti più significativi credo si troverebbe davanti a molti testi che ancora oggi vanno riletti o riscoperti. L’ approssimarsi del ventennale potrebbe in questo senso consentire non tanto e non solo quel mix di riscoperte e valorizzazioni che pure appartengono a una stagion ma non per questo non possono suggerire riprese interpretative e bilanci. Certo i venti anni che sono quasi passati da allora hanno costituito una tale SVOLTA di fondo nella storia del nostro paese che ancora ci si interroga quasi con stupore sui meccanismi di discontinuità e sulla crisi complessiva di quella ” cultura della sinistra”. Non si tratta in questo senso di dar luogo a una nuova e vecchia operazione-nostalgia, sappiamo tutti come spesso la nostalgia assuma un sapore per certi versi reazionario proprio per un confronto fra passato e presente che non sa occuparsi più del futuro possibile. Si tratta pur sempre di periodizzare, distinguere, criticare, riconoscere i limiti di quelle stesse battaglie, ma non di gettare a mare. Per questo, nella consapevolezza che i tempi sono altri e che richiedono soluzioni e problemi diversi, mi chiedo se comunque non sia pur sempre una occasione speciale di ripensamento e di bilancio critico.
E’ davvero così o è più una ambizione della memoria, una ripresa autobiografica , un tentativo di autolegittimazione? Sono domande e obiezioni lecite, che io stesso evidenzio. Mi piacerebbe tornare a parlarne per discutere OGGI dei fantasmi della società contemporanea.

(DA http://ciaomondoyeswecan.myblog.it/2011/08/18/attilio-mangano-ricordando-la-rivista-la-balena-bianca/)

(5)

27 aprile 1992

Comunismo e/o Immaginario? In margine a una lettera collettiva di Attilio del 14 aprile 1992

L’astratta categoria di *intellettuali di massa* che ho creduto ci accomunasse negli ultimi anni non funziona. Trame ed Attilio non c’è vera sintonia, al di là dell’abitudine a scambiare quattro chiacchiere ogni tanto perché ci ritroviamo nei corridoi dello stesso luogo di lavoro (il Molinari). Non c’e’ nessun motivo di inimicizia. Ma non ho più la speranza di trovare prima o poi punti di collaborazione reali con lui. L’avevo pensato in passato, quando fui io a cercarlo e a frequentare con lui e gli altri (B., G., C.), quello che per me, quando ci riunivamo a casa di G., era “il gruppo Mangano”. Poi mi sono distanziato e alla loro ultima iniziativa – il seminario con Giorgio Galli – non ci sono neppure andato. Cosa resta in comune tra me ed Attilio del vecchio periodo della militanza in AO? Forse soltanto una generica tensione alla ricerca: per me ancora nell’ambito dell’esperienza fallita del comunismo; per lui nel campo dell’immaginario, che è adnato riscoprendo negli ultimi anni. E anche l’esigenza di non lavorare soltanto da solo ma almeno in un piccolo gruppo o in una rivista. Resiste pure lo scambio privato a due, anche se problematico. Sul piano culturale pubblico, invece, i nostri orientamenti sono diversi e a volte contrapposti. Lo stesso tema dell’immaginario non mi è estraneo. Ma non mi convincono i riferimenti da lui prescelti (Castoriadis, Parinetto). E ritrovo una certa ingenuità ambivalente, quella che oggi riconosce di aver dimostrato orientandosi con Stefano Merli verso il craxismo agli inizi degli anni ‘80, anche nel suo orientamento attuale. Che non saprei come definire: da marxista magico? da sinistra esoterica? Il suo invito a «riconoscere le radici e non aver paura delle ombre» lo posso anche accogliere. Perché vi trovo un sapore di psicoanalisi. Però so che ci muoviamo più nello “psicanalismo” che nella psicanalisi. E non credo che dobbiamo accontentarci delle volgarizzazioni, degli orecchiamenti o delle letture disordinate di testi antropologici e psicanalitici. Per me conta di più l’esperienza diretta che uno fa di un campo del sapere, del tempo reale che riesce a dedicarvi; e contano i “compagni di strada” che s’incontrano o si scelgono. E, ancora, la capacità di distinguere i pulpiti da cui arrivano certe prediche e magari certe lodi. Mi pare di capire che le culture anti-occidentaliste e anti-egualitarie della nuova destra si mostrino più interessate di gran parte della sinistra ufficiale all’immaginario, al simbolico o al mito. Ciò dimostra una lungimiranza della cultura di Destra. E una sua crescente capacità di cooptazione di fronte alla paralisi culturale della sinistra. Attilio non mi pare abbia queste mie preoccupazioni. A lui interessa inoltrarsi nel campo “nuovo” o prima “tabu'” dell’immaginario. E io dico: inoltriamoci pure, ma perché soltanto in quello dell’ immaginario? Perché abbandonare del tutto quello dell’economia? Non era ed è per noi altrettanto tabù? E poi diffido da chi ai nuovi campi del sapere si accosta silenziando la propria storia. A meno che per Attilio questa discontinuità che io pavento non ci sia. E che per lui sia il ’68 e sia quel che ne è seguito siano facilmente iscrivibili nel filone “libertario”. Per cui la sua militanza nell’ex Organizzazione comunista Avanguardia Operaia finisce per diventare quasi una macchia, facilmente lavabile con una qualsiasi “nuova” saponetta. A me preme ancora interrogarmi sul problema del “comunismo”. E vorrei farlo non per un attaccamento rigido o nostalgico ad un passato di militanza (del resto breve e contraddittorio). Anzi sono disposto ad esplorare anche lo scantinato della mia psiche per vedere sotto altra luce la mia adesione a quella prospettiva negli anni che vanno dal ’68 al ‘76; e, magari, valutare se e quanto essa sia stata “rigida” e perché.

4 pensieri su “Attilio Mangano nel mio diario (1- 5)

  1. …”svicolare” nell’immaginario, come entrare in una strada che si perde nel bosco o penetra in regioni sotterranee o si proietta nelle vie del cielo…fantasmi della notte da ascoltare e magari alimentare o lasciarli disperdere nella luce del giorno e della ragione? Non penso che siano due strade in assoluta contrapposizione e semplicemente a volte ciascuna reclama il suo tempo…per poi inaspettatamente ritrovarsi faccia a faccia. A volte perdersi non è la premessa per ritrovarsi? Se l’immaginario ci aiuta per un riordino più profondo delle esperienze, affrontiamo la balena bianca, che è terrificante ma anche bella, sopravvivendo più forti, se ci lasciamo inghiottire, dimentichiamo storia e passato. D’altra parte non si avanza senza rischi…

  2. ringrazio Ennio per aver ricordato Attilio. Era tanto tempo che non lo sentivo, ma non certo per rottura d’amicizia. Semplicemente, come con altre persone che ricordo con affetto, si erano persi i contatti; l’ho però sempre pensato quale amico. Non ero molto d’accordo con lui politicamente, abbiamo avuto comunque un periodo di collaborazione da questo punto di vista, ma non molta. Facevamo parte del Centro Studi di Materialismo Storico (a Milano negli anni ’80 e metà ’90); tuttavia, non era questo il motivo di un’amicizia. Non l’analisi “scientifica”, non il “credo” politico, me lo facevano sentire amico. Vi era “qualcosa” che non tenterò nemmeno di definire, non ve n’è bisogno. Desideravo solo ricordarlo qui insieme ad Ennio, che ancora ringrazio di questo “diario”

  3. …sì, si metteva molto in gioco, senza barriere…per quel poco che posso dire di Attilio Mangano. Al mio discorso precedente volevo aggiungere, anche se parrà ovvio, che l’immaginario collettivo oggi è molto manipolato e manovrato dall’intero sistema capitalistico-consumistico e la ragione dovrebbe anche svelare e sventare tali fantasmi, tra i più temibili proprio perchè aspirano a risucchiare la stessa ragione.

  4. Annamaria Locatelli scrive: «l’immaginario collettivo oggi è molto manipolato e manovrato dall’intero sistema capitalistico-consumistico». Concordo e su ciò non ci piove. Ma è pure vero che «l’immaginario collettivo» è un campo di battaglia e che è sempre, e per forza, «manipolato e manovrato» da qualunque sistema, e da qualunque opposizione al sistema, dall’antichità a oggi e sicuramente anche domani. Anche le grandi opere letterarie (quelle di Omero, di Virgilio, di Dante, di Shakespeare ecc.) intervengono in questa battaglia e cercano di orientare/manipolare l’immaginario collettivo.
    Più difficile e più interessante è analizzare in modo credibile e utile le forme di queste manipolazioni, manovre, tattiche e strategie di orientamento, e le concordanze e le discordanze che nella «battaglia delle idee» (che però non è solo di idee) si incontrano fra chi vi partecipa.
    Ennio Abate delinea in modo abbastanza chiaro le sue distinzioni, ora come testimonianza ora come dibattito critico, ma ci vorrà ancora tempo, e molti altri interventi, per comprendere bene il pensiero e l’attività di Attilio Mangano, in più circostanze (apparentemente o realmente) contraddittoria, ma sempre sofferta. E le idee e gli umori che ha preferito affidare alla poesie, attività probabilmente per lui secondaria, piuttosto che alla saggistica.

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