Antonio Machado. All’etica attraverso l’estetica

machado

di Alessandro Scuro

A FIOR DI TEMPO (2)

Orfana delle ultime colonie, dopo il desastre del 1898, erede dei sanguinosi conflitti del secolo precedente e dell’ipocrita politica del turnismo (la successione alternata delle forze contendenti) introdotta da Canovas del Castillo [1], la Spagna si presentava decisamente disorientata al principio del XX secolo. L’instabilità politica e il disordine sociale continuavano a caratterizzare la vita del paese; la monarchia, rappresentata ora da Alfonso XIII, sedava le rivolte facendo affidamento alle forze che le prestavano appoggio, mentre intraprendeva l’ostinata e massacrante guerra del Reef per mantenere, con il protettorato marocchino, le ultime parvenze di potenza imperiale.

La guerra marocchina, che ebbe sviluppi lungo i primi decenni del secolo, fu il banco di prova di numerosi ufficiali che si sarebbero distinti negli anni successivi, come i generali Francisco Franco e José Millán-Astray [2], a capo dei legionari spagnoli, i sedicenti novios de la muerte (i fidanzati della morte). Inoltre la clamorosa disfatta di Annual, che comportò un vero e proprio terremoto politico nel 1921, offrì un utile pretesto al colpo di stato organizzato dal generale Miguel Primo de Rivera [3], nel 1923, favorito dall’accondiscendenza della corona.

L’agitazione di quel secolo interminabile, secondo le profezie di Mairena, e le sue ripercussioni sul secolo successivo, furono senz’altro alla radice della guerra civile del 1936, che il maestro, nelle sue premonizioni, interpretò come la resa dei conti di tutte le questioni sospese, dai bisticci privati agli scontri pubblici, il momento nel quale ognuno avrebbe potuto dedicarsi, «con un certa allegria», alla distruzione della casa del vicino. Lo stato di tensione e di continua emergenza, gli eventi eccezionali all’ordine del giorno, non furono però soltanto, nei primi decenni del secolo, pretesto di violenza; il periodo che va dal desastre cubano del 1898 fino al sollevamento dei generali, nel luglio 1936, coincide con un notevole fermento della vita artistica ed intellettuale. Il periodo, non a caso, viene ricordato ancora oggi come l’età d’argento delle arti e delle scienze spagnole, a sottolineare la caratura del dibattito e dall’impronta che molti dei suoi protagonisti hanno lasciato anche al di fuori dei confini del regno.

Tenendo conto del motto maireniano, secondo il quale si va all’etica attraverso l’estetica, si può riassumere l’epoca in questione per mezzo della polemica nata intorno alla tesi de La deshumanización del arte (1925) di José Ortega y Gasset [4]. Prendendo spunto dalla nuova poesia che andava imponendosi in quegli anni nel paese, in linea con le tendenze internazionali,  l’autore evidenziava i tratti già manifesti dell’arte nascente. Quello di Ortega era un ideale di purezza, l’arte per l’arte, fatta da professionisti per un pubblico selezionato di intenditori; il carattere più evidente era, a suo dire, l’esclusione di ogni contenuto umano, l’allontanamento radicale dalle tematiche sociali e dalle preoccupazioni per la rigenerazione del paese fondamentali nell’opera della generazione precedente. Un’arte impopolare in rivolta contro le masse mero ingrediente della struttura sociale, «inerte materia del processo storico, fattore secondario dell’universo spirituale».

Un’arte immaginifica, un’evasione totale dalla realtà e dal quotidiano nel quale era tata immersa, una prestazione di agonismo sportivo; così, grosso modo, appariva agli occhi della generazione precedente l’arte di quei giovani poeti, come Lorca, Alberti (due su tutti per comprendere l’eterogeneità della cosiddetta generación del 27) e gli altri immortalati insieme, in una famosa fotografia, all’università di Siviglia in occasione del tricentenari della morte di Góngora. Particolarmente interessante in merito era la posizione di Antonio Machado [5] (generalmente accostato, così come Ortega e Unamuno, alla precedente generación del 98) poeta di fama riconosciuta all’epoca (già esistevano edizioni della sua opera completa e di lì a poco sarebbe stato nominato membro della Real Academia Española, pur se non occupò mai la sua poltrona) e successivamente intellettuale di spicco e particolarmente attivo della repubblica, proclamata a furor di popolo dopo le elezioni amministrative del 1931, indette in seguito alla crisi finanziaria del 1929 che aveva posto fine al regime di Rivera e che costarono una sonora sconfitta al fronte monarchico. Machado, che come molti della generazione successiva aveva frequentato a Madrid la Residencia de estudiantes e si era formato nella Institución libre de enseñanza, non poteva considerare l’arte disgiunta dalla sua funzione pedagogica. A suo modo di vedere, pertanto, altro era il destino di quei giovani poeti:

«Talvolta camminano, senza accorgersene troppo, verso un’arte per moltitudini, essenzialmente democratica. Non ignoro che l’apparenza sia precisamente quella contraria […]. Però questo è il grande paradosso della democrazia: aspira sempre alla distinzione, poiché, in fondo, non è altro che una progressiva aristocraticizzazione della massa […]. Contro il soggettivismo smisurato dell’arte borghese nei suoi ultimi istanti, militano il fascio e il soviet della gioventù, disposti a eliminare allegramente con la loro mera prestazione sportiva, i quatto quinti del tesoro sentimentale delle generazioni precedenti. Però questa gioventù è – con più o meno coscienza di questo – nella grande corrente dell’arte moderna in direzione di un’arte futura – chi scrive questo conta di morire prima di vederla – povera di intimità, ma ricca di accenti espressivi del comune e del generico, un’arte per moltitudini urbane, da agorà, da stadio, da cinema monumentale, da arena.

Machado che non riuscì mai, nelle sue speculazioni metafisiche, a trovare ragioni sufficienti a sostenere la fatalità del passato, non poteva di certo accettare l’imperativo imposto dall’epoca né tanto meno credere, secondo la definizione di Ortega, che «nell’arte, come nella morale, il dovere non dipende dal nostro arbitrio». Proprio a partire da quegli anni l’autore di Campos de Castilla, si era servito sempre più spesso di una prosa originale per manifestare le riflessioni già latenti nella sua poesia, in particolar modo quella aforistica dei «Proverbios y cantares», inclusi come appendice di alcune sue raccolte. Machado esercitava l’arte del dubbio alla ricerca di una tradizione apocrifa, sotterrata dalle verità della Storia, e non è un caso che le sue idee e l’apparente ambiguità dei suoi ragionamenti, evochino in modo lampante le parole di Juan de Mairena. Infatti, fu proprio Machado a pubblicare, con l’editore Espasa-Calpe, Juan de Mairena (sentencias, donaires, apuntes y recuerdos de un profesor apócrifo). Mairena e il suo maestro Abel Martín erano infatti gli eteronimi (gli apocrifi, meglio, come preferiva definirli) di Antonio Machado, che si servì di loro con frequenza, negli anni della guerra civile e in quelli precedenti, per dar voce a mezzo stampa alle ragioni della causa repubblicana. Il libro venne pubblicato nell’estate del 1936 poche settimane dopo il sollevamento dei generali.

Note

[1]               Nelle file del partito conservatore, Antonio Canovás del Castillo (1828-1897) fu protagonista della politica spagnola nel periodo della restaurazione borbonica, dopo che l’ultima guerra carlista aveva messo fine alla breve esperienza della prima repubblica. Il suo sistema politico consisteva nell’alternanza concorde dei diversi partiti al potere, conosciuta con il nome di turnismo. Canovás venne assassinato l’otto agosto del 1897 da Michele Angiolillo, anarchico italiano condannato a morte qualche giorno più tardi, per vendicare la dura repressione del governo e le torture dei prigionieri nella fortezza del Montjuic, in seguito ad un’attentato durante la processione del Corpus domini l’estate precedente.

[2]              José Millán-Astray (1879-1954) fu il creatore, nel 1920, della legione straniera spagnola, il cui motto, coniato dallo stesso generale era «Viva la muerte!». Distintosi nel conflitto marocchino fu uno degli uomini più fidati di franco durante la guerra civile e la prima parte della dittatura. Testimonianza del suo ardore e il suo attaccamento alla causa franchista sono le numerose ferite di guerra collezionate dal generale, monco di un braccio e guercio.

[3]             Appoggiato dal re Alfonso XIII e dalle forze conservatrici generale Miguel Primo di Rivera (1870-1930) prese il potere nell’autunno del 1923, in reazione al malcontento generato dalla disastrosa campagna africana, dall’instabilità economica e sociale dalla crescente attività degli anarchici, in particolar modo in Catalogna. In seguito alle conseguenze della crisi del 1929 e alla perdita di appoggio da parte delle stesse forze che lo avevano portato al Primo de Rivera abbandonò l’incarico affidatogli dal re e mori poco più tardi nell’esilio parigino. Suo figlio José Antonio fu il fondatore della Falange, il partito fascista spagnolo. Durante i primi mesi della guerra venne fatto prigioniero e fucilato di repubblicani.

[4]            Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883-1955) fu autore di numerosi saggi tra i quali España invertebrada, Meditaciones del Quijote, La rebelión de las masas. Fu direttore del Imparcial e di Revista de Occidente e deputato durante la repubblica.

[5]             Antonio Machado (1875-1936) fu, insieme al fratello Manuel (insieme al quale scrisse diverse opere teatrali) il poeta più rappresentativo della cosiddetta Generación del 98. Allievo di Giner, formatosi a Madrid nella Institución Libre de Enseñanza, Machado fu una delle voci più autorevoli e rappresentative della Spagna repubblicana. Morì in esilio poche settimane dopo la vittoria definitiva dei franchisti.

5 pensieri su “Antonio Machado. All’etica attraverso l’estetica

  1. La brillante lezione di Alessandro Scuro tra le altre cose mi ha fatto vagheggiare un po’ troppo. E chiedo scusa per questa divagazione.
    Mi è venuto da pensare su come l’allora 22enne Antonio Machado, già alla ricerca della autenticità, modesto, ingenuo, disinteressato, giovane di sinistra perché amava la gente semplice, poteva aver preso la notizia dell’assassinio del potente Antonio Canovás del Castillo, uomo di governo che aveva guidato la repressione, le torture dei prigionieri nella fortezza del Montjuic, lui Canovás caparbio oppositore nei confronti del suffragio universale che, concedendo il voto alla moltitudine “miserabile e mendicante, può assicurare solo il trionfo del comunismo e la rovina del principio di proprietà”.
    Posso pensare che Machado, colui che diventerà una delle voci più autorevoli e rappresentative della Spagna repubblicana e poeta altamente rappresentativo, non abbia condiviso il gesto cruento dell’anarchico pugliese Michele Angiolillo, garrotato appena 26enne per tale gesto.
    «Gli anarchici hanno ragione in tutto, solo non nella violenza» scriveva Tolstoj nel proprio diario nel gennaio 1889, ma la via di uscita che lo scrittore russo indicava era quella delle riforme, l’accordo con il governo senza reagire, concedendo qualcosa nella speranza di districare pian piano la rete che imbriglia il popolo.
    Con certa gente questa è una via praticabile?
    Non è stata presa a modello dai franchisti, e se ne accorgerà a proprie spese Antonio Machado che morì povero in esilio poche settimane dopo la vittoria definitiva dei franchisti.
    Quei nacionales autori del colpo di stato ai danni della seconda repubblica spagnola non avevano la mitezza del giovane Machado e se ne infischiavano altamente dell’idee riformiste del Tolstoj.
    Ubaldo de Robertis

  2. Nulla di nuovo.

    A prescindere dai mezzi applicati, pensare che si possa cambiare il sistema dall’interno, quando questo è guasto (cioè non è al servizio dell’interesse del Paese reale), è quanto meno da illusi.

    I metodi per realizzarne uno alternativo dipendono dalla situazione nella quale ci si trova; paradossalmente, più ci si trova in una situazione di guerra guerreggiata, più la soluzione è semplice, nel senso che si parte dalla logica della legittima difesa.

    Vero che tutti i tentativi “violenti” messi in atto almeno nel secolo scorso (da quelli degli Anarchici spagnoli al tentativo di creare uno Stato partendo dai valori della Resistenza) sono falliti; e quando sono riusciti, bene presto sono stati vanificati “dall’interno”. Però, anche nel caso che il Sistema offra spazi di manovra in un’ottica non violenta, solo ragionando nell’ottica della proposta di un modello alternativo, si potrà sperare di realizzare qualcosa di duraturo.

    Chiaro che si deve essere capaci di ragionare anche a scala limitata (a volte molto limitata): e questo è forse l’ostacolo più grosso da superare, per chi ha deciso che è il caso di cambiare le cose.

  3. Tornando al lavoro di Alessandro Scuro e al Machado poeta bisogna dire che quasi tutti i grandi autori italiani hanno studiato e tradotto il poeta sivigliano e si sono riconosciuti in lui. Tradotto anche dal Fortini. Grazie a costoro la poesia machadiana è ancora viva ai nostri giorni. Poesia in cui confluisce sia la vena classica che quella popolare, l’assillo metafisico e la denuncia sociale. Pasolini lo definì “il maggiore rappresentante della poesia europea di questo secolo”.
    E la più alta testimonianza etica e civile di Machado è rappresentata proprio dalla raccolta di sentenze: Juan de Mairena.
    Qui il buon Machado, schermato dall’eteronomo, si permette di scaricare un po’ di violenza, quando chiama stolti coloro che avversavano le sue tesi.
    Ubaldo de Robertis

  4. …anch’io ringrazio Alessandro Scuro per le sue lezioni sulla storia, l’arte e la letteratura tra loro intrecciati del popolo spagnolo, che mi interessa, ma sono piuttosto ignorante…A colpirmi sono i chiaroscuri così fortemente rimarcati in tale storia attraverso i secoli, a cominciare dall’espansione colonialistica e dalle dominazioni, con caratteri di ferocia, ma anche di una debolezza malata, sino al novecento con lo scontro violento tra le forze di matrice opposta, l’apice delle due anime, che culminò nella guerra civile…l’oscurità della volontà di dominio e di spietata repressione e gli ori di un animo, quello spagnolo, indomito nel trovare vie creative e coraggiose di opposizione sia attraverso la cultura che attraverso l’impegno politico…sicuramente Antonio Machado ne è un esponente validissimo. Capace di moltiplicarsi nei suoi eteronimi pur di cercare di raggiungere e di esprimere il cuore del suo popolo, come Juan De Mairena e Abel Martin…passando “all’etica attraverso l’estetica”…

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