Caio va in montagna

caio va in montagna

di Franco Nova

Il povero Caio proveniva da un paese marino, dove da piccolo era rimasto seppellito sotto una montagnola di sale. Ne aveva ingerito tanto che, se il sale fosse montato alla zucca, sarebbe diventato un inventore o un grande pensatore o chissà che cosa. Invece quel minerale aveva preso la via dell’aorta e si era accumulato, pur ivi sciogliendosi, nel ventricolo sinistro del cuore. E questa insana sostanza si trovò così bene in quel luogo che vi si depositò, mai accettando di emigrare facendosi trasportare dalle pulsazioni del ventricolo. Anzi, la notizia che costaggiù (o costassù a seconda della posizione delle altre frattaglie) vi era un solido nucleo salino fece il giro del corpo e attirò in pratica tutte le altre sostanze similari. Il cervello rimase quindi dissalato del tutto e il povero Caio non riusciva mai a pensare; agiva perché i muscoli, compreso quello cerebrale, si muovevano senza difficoltà.
Così egli crebbe mai pensando a quello che faceva o era in procinto di fare. Nemmeno però si esercitò in ciò che almeno avrebbe favorito lo sviluppo dei muscoli principali; quelli, ad esempio, che servono negli sport o per avere un gran bel fisico, di quelli ammirati dalle donne (beh, da certe donne). Insomma divenne adulto restando gracile, con il fisico simile a quello di un intellettuale; di quest’ultimo gli mancava però appunto l’intelletto, quello raffinato di chi è sempre molto pensieroso, avvezzo a grandi escursioni nel mondo e oltre il mondo, per le quali occorrono considerevoli quantità di sale immagazzinato nel cervello. D’altra parte, avendolo invece depositato nel cuore, nemmeno gli riusciva di amare senza cospargere di quella infida sostanza l’oggetto amato, che quindi rispondeva spesso con salate espressioni. Continuò così a lungo; finché un giorno, tanto per cambiare, mise i pantaloni alla zuava, un bel maglione e si fece portare in mezzo ai boschi di monti lontani, nella speranza che l’aria leggera e frizzante di quei luoghi potesse liberarlo della cupa tristezza salina che ormai il cuore, così conciato, gli procurava.
Si addentrò nel bosco, ma il sale gli aveva annebbiato pure la vista e l’assenza della diretta luce del Sole gli procurava grande difficoltà nell’orientarsi. Vedeva tutto in tonalità assai scura e non distingueva bene il fogliame; vedeva i tronchi, evitava di sbatterci addosso, individuava anche qualche naturale sentiero un po’ meno ingombro di arbusti vari e si aggirava così a caso, perdendosi quindi in mezzo a quella boscaglia che cominciava a sentire poco ospitale. Vide un flusso di qualcosa di nero, piuttosto ondulato e che sembrava morbido. Chissà perché avvertì che sarebbe stato piacevole scorrervi sopra la mano e così fece. Un terremoto! Si alzò un urlo; e, dietro l’urlo, una ragazza si erse davanti a lui: “Ciò mona, cossa te salta in quea testa sensa servel!”. Caio fu costernato, voleva quasi sprofondare, balbettò che aveva visto questo qualcosa, secondo la sua impressione appartenente alla sterpaglia del sottobosco. Era stato attratto dalla intuita morbidezza di quel fluire a onde. “I g’era i me cavei, indormensà dall’ostia”, sbraitò la ruvida ragazza, rivelando che doveva essere originaria di quei luoghi molto isolati.
Il “nostro”, tutto compunto e ancora confuso, la guardava attentamente: era decisamente adirata, la faccia buia. La mancanza di sale nel posto giusto indubbiamente non lo aiutava, eppure quella faccia gli suggeriva un “qualcosa” che gli “molceva” il cuore. Fu sorpreso di aver pensato questa parola, non ne conosceva nemmeno il significato, l’aveva colpito tempo fa leggendo un giornale o forse una rivista dal barbiere; in realtà ricordava solo che quel termine ignoto aveva attratto la sua attenzione e si convinse comunque che fosse adatto alla situazione venutasi a creare. Si fece coraggio e, sempre balbettando e con timidezza, fece presente che non conosceva bene il dialetto giacché fin da bambino lo avevano abituato a parlare solo italiano. La ragazza questa volta sorrise, pur se con evidente ironia: “Beh, lo dico allora in italiano: va in mona de to mare e che to pare se riciapasse indrio el brodin che t’ha fatto nasser”. Poi, vedendo l’espressione ancora più inebetita e perfino costernata del malcapitato aggiunse: “Ormai non posso più riposare nel bosco e quindi torniamo a casetta mia. Vieni con me e chissà che non riesca a svegliarti perché quella tua faccia fa venir voglia di sterminare l’umanità intera”.

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S’incamminò decisa, facendo al sempre più confuso sopraggiunto l’imperioso cenno di seguirla. Quasi subito la boscaglia diradò e s’aprì un ampio spazio di verdissimo prato a ridosso di una punta rocciosa. Alcune mucche pascolavano. Furono del tutto indifferenti salvo una che si rivolse alla vicina con un muggito: “Chissà cosa si sta trascinando dietro la rompiballe che ci strucca continuamente le tette per fregarci il nostro latte”. A parte questo, nulla si udì durante il tragitto dei due che giunsero ad una casupola in legno, in pratica appoggiata alla montagnola in fondo al prato. La ragazza girò la maniglia di una porta piuttosto sgangherata e poi, dato che non riusciva ad aprirla, le diede un gran calcio con il piede nudo e la spalancò. Entrò e gli fece segno di entrare. Caio eseguì. Non poté però non fissare attentamente lo “strumento” usato per aprire la porta e pensò: “Meglio stia attento a quel piede, mi sembra più che altro un’arma”.
“Ho tanto da fare, non posso perdere troppo tempo con te; comunque vuoi mangiare qualcosa?”, sbottò la montanara. Egli, in effetti, aveva un languore che premeva sullo stomaco e quindi annuì. Lei s’innervosì nuovamente: “Sei almeno capace di pronunciare due parole? Qui c’è solo formaggio e pane; e latte a volontà, bello fresco e ancora grasso, non l’ho scremato perché ho molto burro nella dispensa”. L’indeciso decise: “Formaggio e pane saranno diversi che dalle nostre parti, tuttavia laggiù ci sono. Il latte vero, quello non l’ho mai bevuto; dammene allora un po”. Gli fu porto qualcosa che assomigliava ad una larga scodella. La ragazza scoperchiò una sorta di pentolone dove Caio scorse una gran quantità di latte giallastro per lo spesso strato di grasso che lo ricopriva. L’appetito si ringalluzzì viepiù. Con un mestolo assai rudimentale gli fu riempita la scodella che teneva tra le mani; ed egli rimase lì interdetto come aspettando. “Che vuoi?” chiese lei. “Hai un cucchiaio o comunque qualcosa per prenderlo su?” ribatté lui. La risata che gli rispose fu fragorosa: “ma guarda un po’ cosa arriva dalla pianura; siete tutti così coglioni? Afferrala ai due lati con le tue manine sante e portala alla bocca; anche se ti sbrodoli un poco, è il minimo che ti meriti con quel tuo atteggiamento da ‘incantato del presepio’”.
Caio eseguì sempre obbediente e avvertì un fresco fluire nella sua gola e poi più sotto. Data la sua goffaggine, sentì anche inumidirsi la camicia e i pantaloni, ma non gli “calse” nulla di tale inconveniente (ancora un termine di cui non sapeva minimamente il significato eppure sentiva adattarsi al caso). Ascoltò il gorgoglio del latte nello stomaco, poi si sentì sazio e guardò la fanciulla che a sua volta l’osservava con evidente commiserazione. Notò che era come intagliata in una roccia e con due occhi il cui sguardo lo intimorì; restò quindi in guardia. Avrebbe voluto continuare a fissarla per seguire i suoi movimenti e saper in ogni momento dove si trovasse, ma si rendeva conto che non stava bene il farlo. Si concentrò allora sul gusto del latte, bello grasso, e gli sembrò di vedere il bianco liquido risalire verso il cuore, invaderlo, ingaggiando una fiera lotta contro il sale che per tutta la vita l’aveva fatta da padrone. Parteggiò subito per il latte, e la felicità lo penetrò tutto quando si accorse che era infine approdato alla vittoria. Ebbe allora il coraggio di guardare di nuovo la ragazza con minor timore e gli sembrò di leggere il suo pensiero. In realtà, nulla del genere stava accadendo; era semplicemente il suo cervello, che inviava segnali precisi di un meno lento pensare e della capacità di afferrare quanto lo circondava.

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Si domandò se il latte appena munto non contenesse per caso alcol, che poi gli viene tolto con la pastorizzazione; non aveva però mai letto nulla di simile. Eppure, la sensazione era ben strana; in tutta la sua vita in pianura non si era mai accorto che il latte facesse questo effetto. Come mai in montagna era diverso? Non lo capiva. La ragazza si era lanciata nei suoi mestieri e lui l’osservava senza capire bene che cosa stesse in realtà facendo. Era però ben precisa nei movimenti e veloce in ogni operazione; senz’altro molto istruttivo vederla trafficare. Intanto, avvertì che il latte stava ancora circolando nelle sue frattaglie. Si chiese come mai non percepisse nemmeno l’inizio di una digestione. Niente; una parte del latte, dopo aver dissolto del tutto il sale, se lo era incamerato e lo stava portando verso l’alto. Lo sentì salire lungo la giugulare, arrivare alla temporale e poi….. cos’era lo stordimento che l’aveva colto? Passarono alcuni minuti e infine afferrò la natura dell’Evento. Il latte aveva trasportato il sale nel cervello e ve lo stava depositando. Tutto entrò in eruzione: ogni suo più radicato convincimento, ogni sua passata (non) idea veniva rivoluzionata. Si rese adesso ben conto che stava pensando.
Guardò l’indaffarata; non si era accorta di nulla, ogni tanto si voltava e comunque almeno sorrideva, ma il più del tempo non badava alla sua presenza. Non importava: stava facendo funzionare il cervello e adesso afferrava il motivo per cui aveva avuto l’impressione di leggere nel pensiero della ragazza. Intanto respirava a pieni polmoni l’aria rarefatta e pura della montagna, che rendeva ogni cosa più trasparente e più vicina. Nello stesso tempo, intuiva che quell’aria ogni tanto muove a tempesta, urla tra le gole, gratta la roccia e ne trae il pulviscolo ferroso che investe tutti gli “oggetti” (morti e viventi) avvolti dal vento. Certo, anche un po’ di tristezza l’invase al pensiero di quanto tempo avesse indugiato prima di venire in montagna. Aveva sempre pensato che non ne valesse la pena; era stata la sua pigrizia mentale a farglielo credere. E d’altra parte non era proprio colpa sua se il cervello era rimasto senza sale; e se questo aveva invece invaso il cuore inaridendolo. Solo quel latte bevuto appena munto direttamente dalle mucche sui monti poteva ridargli cuore e cervello; in pianura non c’era nulla di tutto questo. E senza cuore e cervello nemmeno aveva desiderato la montagna. Quanto tempo perso!
Si rivolse alla ragazza sempre in mestieri: “Non so nemmeno il tuo nome”. “Non importa, chiamami come vuoi, tanto resto sempre io”. “Posso chiamarti Sorte o Destino?”. Fece una smorfia: “Non è il meglio, ma puoi chiamarmi così”. “In questo momento, non so perché, mi è balzato in mente il nome di Tizia”. “Beh, questo è già più divertente, chiamami senz’altro con questo nome; adesso però devo finire i lavori prima di sera e tu m’ingombri un poco”. “Va bene, mi sento ristorato e torno a casa mia nella triste pianura. E’ però sicuro che rifarò un’altra capatina da queste parti, così esaltanti”. La ragazza lo guardò incuriosita, non rendendosi conto della sua nuova vivacità: “Non so se mi troverai; spesso salgo ancora più in alto perché ho un’altra casupola, altre mucche, altro latte da mungere e trasformare”. “Tenterò e ritenterò, chissà che qualche volta possa incontrarti e bere ancora questo meraviglioso latte”. Salutò, indugiò nel saluto e lei disse: “Nemmeno io so il tuo nome”. “Già, hai ragione: mi chiamo Caio”. “Mi sembra in carattere con quello che mi hai affibbiato”.
Egli sorrise con il suo vecchio sorriso da scemo e si avviò sulla strada del ritorno con un po’ di rimpianto. Dietro di sé udì ancora, con tono divertito: “se te torna, fa meno el cojon e porta drio el servel; e se te me strapassa ancora i cavei, te cavo i oci”. Caio sorrise di nuovo e si disse tra sé e sé: “Molto bene; se torno e la trovo, faremo una bella litigata: non ne ho mai fatta veramente una nella mia vita d’un tempo”. Ormai era sicuro che tutto sarebbe stato diverso: “Che noia adesso la vita in pianura, riuscirò a resistere? Dovrò rifarmi nuove amicizie, quelle che ho sono tutte adatte a chi non ha sale in zucca”. Una complicazione, giunto alla sua età adulta, lo capiva bene; tuttavia, era sicuro di saper affrontare la nuova situazione. E poi si sentiva proprio bene nell’essere divenuto intelligente: “Che vadano al diavolo i vecchi amici sciocchi!”. E fischiettò tutto contento, accelerando il passo.

Questa storia mi è stata raccontata dal diretto interessato. Era un po’ sbronzo e l’ho incontrato in un’osteria del nostro paese proprio quando lui era appena tornato dalla gita in montagna. Adesso è passato un bel po’ di tempo e non so dove Caio sia finito; e quindi non conosco cosa sia poi accaduto.

9 pensieri su “Caio va in montagna

  1. Lo so io: tornò in paese e decise di trovarsi un lavoro. Venne a sapere che serviva un postino, qualcuno che anche senza saper leggere almeno potesse consegnare le lettere. Fu assunto e tempo una settimana fece il secondo incontro fondamentale per la sua vita: incontrò un tizio, identico a lui ma che stranamente riceveva lettere da tutto il mondo: lettere di donne! Caio era incredulo, non si spiegava il fatto che al mondo potessero esistere tante Tizie istruite capaci di scrivere oltre che di mungere. Volle saperne di più, per questo cercò il modo per incontrarsi spesso con il forestiero. Fece molti chilometri in bicicletta, a volte inutilmente perché Tizio non sempre si faceva trovare; a volte gli diceva di lasciare la posta davanti alla porta. Ma Caio non si perdeva d’animo, certe volte pedalava solo per arrivare a dirgli che non c’era posta quella mattina. Finché Tizio lo prese in simpatia e divennero amici.
    Avere incontrato Pablo – dunque era questo il nome del forestiero – fu l’inizio della sua rovina!

  2. …oh, quel nostro corpo così dipendente da sostanze e reazioni chimiche che influenzano persino le “scelte”, chiamate sorte o destino, in un equilibrio sempre precario…Per Caio troppo mare, vedi troppo sale nel cuore, significa ruvidezza d’animo, troppa montagna, con la sua montanara Le(Tizia) tutta zuccheri e grassi, richiama vocaboli da “dolce stil novo”…Come naufragano così le storie d’amore!..La speranza forse sta nel proposito di Caio di ritornare da lei per litigarci: una rimescolanza di elementi potrebbe giovare ad entrambi? Sembra tuttavia che la montanara non abbia bisogno dell’uomo di pianura, luogo dove la natura si è stravolta, e viva tranquilla nei suoi alpeggi anche ignorando la cultura…Si incotreranno mai in armonia natura e cultura? A Franco Nova la parola…

  3. Per andare in montagna si sale, si risale.
    I bambini, per il latte di mamma, non accumulano sale nel cuore e non vuotano il cervello.
    Al povero Caio, già svezzato, capitò di cadere in una salina (vicina a Sparta, lui era un ilota).
    Per fortuna trovò in seguito, sulle alte, una brusca madre che provvide a risistemargli il metabolismo.
    Dopo non c’è storia, ma questo atto di autocoscienza potrebbe essere un inizio.
    Dice bene Annamaria: “La speranza forse sta nel proposito di Caio di ritornare da lei per litigarci: una rimescolanza di elementi potrebbe giovare ad entrambi?” Anche se Tizia ha già il suo daffare.
    In realtà la storia si perde “non conosco cosa sia poi accaduto). Ammesso che sia accaduto qualcosa.

  4. In realtà, proprio l’altro ieri ho trovato uno degli amici scemi di Caio, però tanto buono e premuroso. Così ho potuto sapere perché non lo vedevo da tempo. In seguito a quella gita – forse, chissà, ha preso freddo – gli è scoppiata una brutta polmonite. Sembra, tuttavia, di quelle virali e quindi il freddo non spiega il fatto; che sia stato il latte o quel veloce passaggio del sale al cervello? Da più di due mesi è in Ospedale ed è un po’ depresso perché sperava di tornare presto in montagna. E’ che adesso sono anch’io un po’ preso da mille cose; appena possibile andrò a trovarlo. Non riferirò nulla della mia visita perché sarà una puntatina veloce, di cortesia e solidarietà verso un malato. Non sono così in confidenza con lui da potergli essere di vero aiuto, magari andando in montagna per conto suo a trovare la montanara. Mi incuriosirebbe, invero, ma non ho tempo né un grandissimo interesse alla vicenda.

  5. …e se, per una volta, fosse la montagna ad andare da maometto? …scherzavo. Invece mi colpisce come, quando il cervello incomincia a ragionare, sia il resto del corpo ad ammalarsi… che ci sia una spaccatura insanabile dentro di noi?

  6. Bravo Franco Nova!
    Caio è tornato sicuramente in montagna, ha fatto l’amore con Tizia , le ha fatto frequentare i corsi di scuola media serale, si è diplomata ed ora frequenta l’università-
    Ora Tizia fa le corna a Caio , con un di lui amico che parla solo di calcio e beve birra giocando a carte.
    Il sale fa strani giri…

    Ciao mandacene altri !!

  7. è ovviamente difficile venire a conoscenza di certe notizie. Mi si dice però che Caio è di una timidezza patologica e tutti pensano che non sia mai andato con una donna. Inoltre, è proprio bruttino e non è pensabile che la fanciulla abbia preso lei l’iniziativa. Se tuttavia fosse accaduto qualcosa, mi si assicura che non tollererebbe tradimenti, nemmeno se fosse cotto marcio. E perfino quando ancora era senza sale al cervello, sembra avesse una capacità incredibile di fiutare il tradimento fin dal primo pensiero dello stesso venuto in testa ad una persona qualsiasi. Comunque, appena lo vedrò, cercherò con discrezione di informarmi di eventuali amori.

  8. …il dubbio può essere considerato una forma sfumata di tradimento? E se la montanara, nel dubbio, venisse scambiata per un temibile ciclope polifemo nel suo antro tra latte e formaggi, oppure per maga circe, più difficile, per una sirena? Allora l’uomo di pianura (pianurano?) si dovrebbe guardare dentro con la stessa intensità che riserva al tradimento? Scusate le domande perditempo…

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