Fantascienze e medioevi. Su un articolo di Daniele Marini

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DIALOGANDO CON IL TONTO (6)

 di Giulio Toffoli

Su “Poliscritture FB” l’articolo di Daniele Marini proposto da Claudio Cereda ha suscitato alcune  vivaci reazioni. E ora altre più approfondite ce ne sono in questo dialogo con il Tonto di Giulio Toffoli. Che, sperando si apra una discussione, mi pare giusto pubblicare subito, anche contravvenendo la regola di dilazionare nel tempo gli articoli di un medesimo autore. Preciso, a scanso di equivoci, che titoli e sottotitoli sono miei. [E. A.]

Big data? Ma si tratta poi davvero di Big Science …

 “Hai letto l’articolo che ti ho inviato di Daniele Marini, Big Scienza, Big Data: fantascienza e Medioevo convivono (qui) qualche giorno fa? Mi era parso degno di un momento di attenzione e perciò l’ho sottoposto alla tua considerazione”.

Quando il Tonto mi invia qualche cosa vuol dire che ben presto mi sottoporrà ad una specie di esame, per cui leggo e mi preparo senza perdere tempo, visto che è un critico esigente e stimolante.

“Sì, l’ho letto e ti devo dire che ci sono aspetti che mi interessano e meritano di essere discussi, anche se mi è parso di notare uno spirito di fondo di tipo scientista positivista rivisto in salsa XXI secolo, e poi una serie di passaggi fra le diverse realtà dell’universo del sociale e del sapere che non mi sono parse sempre adeguatamente messe a fuoco nei loro nessi dialettici. In ogni caso da dove vuoi che partiamo …visto che certamente hai già una pista pronta da propormi?”.

“Mi sembra – inizia a dire il Tonto – che già la prima affermazione è degna di una sottolineatura da un duplice punto di vista. In primis l’idea di una crisi di quella crescita accelerata delle tecnologie che forse non ci voleva Nostradamus per prevederla, visto che perfino un profano andando in un negozio di informatica si rende conto che l’euforia di qualche anno fa risulta di molto sfumata. Nonostante cotillon e paillettes c’è ben poco di nuovo in giro.

Dall’altro l’affermazione che si sarebbe stabilita una distanza abissale fra una specie di casta di puri spiriti del sapere e l’universo mondo che li circonda”.

“Avevo notato – gli dico – che questa impostazione così imperativa poteva far sorgere qualche dubbio, anche se molto viene spiegato, o per lo meno si cerca di spiegarlo nelle righe successive …”.
“Sarà anche, ma mi stride quella scelta di distinguere fra un universo della Fantascienza e uno del Medioevo così segnati come alterità. Infatti, come cercherò di farti notare, mi sembra che proprio l’uso di queste immagini così connotate storicamente corre il rischio di indurci a commettere errori ben più gravi di quelli che l’uso di una terminologia più ponderata forse ci porterebbe a fare”.

“Va bene e allora andiamo al sodo …”

“La prima affermazione che davvero mi ha colpito è quella che distingue fra una presunta scienza di base “con il solo scopo la crescita della conoscenza” e la successiva affermazione che per realizzare tali voli pindarici sono necessarie “quantità di tecnologie … e strumenti che hanno un enorme valore commerciale … producendo la nascita continua di nuove imprese estremamente avanzate”. Sarà che sono ingenuo, ma dove gira il capitale parlare di ricerca pura mi sembra sempre improprio. Ce lo insegna l’intera storia dello sviluppo delle scienze nel XX secolo e delle relative tecnologie. Se si escludono pochissimi casi di scienziati degni eredi dei grandi spiriti del rinascimento, tutti gli altri hanno sempre pensato alla tasca. Mi pare di intravvedere in questa affermazione uno spirito idealistico che ben poco si rapporta con la realtà dei fatti, con una scienza che è indirizzata verso ciò che è utile e può generare profitto. L’idea che ci sta dietro è quella della neutralità della scienza, del suo essere super partes, che nel caso della nuova scienza mi pare sia negata fin dalle sue origini. Il peccato originale della scienza baconiano galileiana, ed anche nel contempo, bisogna pur riconoscerlo, la sua forza euristica, è di trovare una sua ragione d’essere nella visione di una universale fruibilità della natura sottoposta alla logica allora dello sfruttamento per realizzare un miglioramento delle condizioni di vita umane; e oggi, molto più mestamente, per accrescere a dismisura il profitto da parte di coloro che giocano la grande partita del finanziamento delle ricerche, privati o stati che siano”.

Speculazione scientifica pura e nell’ombra i vari dottor Stranamore

“Convengo con te Tonto – mi sento costretto a dirgli – ma mi pare che si debba pur riconoscere che anche in questo quadro possono benissimo esistere dei settori che per alcune loro caratteristiche non si adeguano in modo palmare a una semplice logica del mercato e del profitto. Forse alcuni settori del sapere umanistico che sopravvivono ai margini dell’ideologico quotidiano dominante ed anche qualche settore della speculazione scientifica pura, come quella astrofisica che proprio per la peculiarità dei suoi terreni di indagine si astrae da una fruibilità pratica immediata”.

“Ti darei volentieri ragione se non fosse che proprio la storia della scienza del XX secolo in ogni suo momento corre il rischio di mettere in mora la tua affermazione. Dall’inizio del secolo in poi è andata in scena una spasmodica ricerca delle modalità per inviare nel cielo proiettili sempre più grandi e poi missili sempre più sofisticati, per giungere con il 1944-45 ad una vera e propria tormentosa gara fra statunitensi e sovietici per accaparrarsi gli scienziati tedeschi che in questo settore erano particolarmente avanti. La seconda metà del secolo è stata caratterizzata da una gara per la conquista del cielo, ma è sul finire del secolo che si è avanzato un nuovo spettro, quello delle Star Wars. Lascia stare i film, ma nelle secrete stanze chi ci garantisce che teste matte alla dottor Stranamore non continuino a coltivare i loro pallini. E non dimentichiamo come si è conclusa la seconda guerra mondiale, con la sperimentazione in corpore vili della bomba atomica quando non era proprio necessaria. Oggi è ampiamente riconosciuto che l’atomica fu usata all’interno della nuova strategia della “guerra fredda”, che veniva implementata ancora prima che Hitler fosse sconfitto. Ecco perché questo idealismo scientifico non mi può convincere”.

“Marini porta un esempio della evoluzione del sapere scientifico in questa particolare situazione, oggi affermando che si va verso una forte discontinuità nella crescita … Anche questo non ti convince?”

Progresso tecnologico rettilineo e Medioevo

“I tre esempi che porta sono abbastanza chiari. Forse le conclusioni che tira non sono del tutto convincenti. Vediamo perché …

Come si diceva all’inizio, l’idea di una crescita rettilinea esponenziale senza soluzione di continuità delle tecnologie dell’informatica era un classico esempio dell’ottimismo scientista positivistico borghese. Non credo ci volesse la legge di Moore, bastava un poco di buon senso per capire che processi di miniaturizzazione sono destinati prima o poi a scontrarsi con qualche muro o, ma qui si entra nel paradosso, giungere a un tale livello da scomparire nel nulla o alle sue porte. Certo ci potranno essere nuove scoperte, ma oggi si tratta nella maggior parte di casi di applicazioni di ciò che già si conosce.

Piuttosto, ben più significativo appare il discorso della velocità di crescita dei dati archiviati. Tera-Byte (TB), Peta-Byte (PB), milioni e miliardi di dati che vengono giorno dopo giorno raccolti e archiviati. Insomma, quantità che superano ogni umana capacità di comprensione. Attenzione, è qui però che la contrapposizione fra Fantascienza e Medioevo proposta dall’autore inizia a far acqua. Infatti, nel bene come nel male, oggi siamo tutti partecipi di una realtà che ci schiaccia, che ci trasforma in dati, ci amministra all’interno di logiche che ben poco spazio lasciano alla libertà dell’individuo. Che si tratti di Google, di Amazon, Facebook e altre infinite diavolerie del genere o di un programma come Digital Sky Survey, siamo tutti partecipi di una realtà moderna che ci analizza, ci usa, ci trasforma.

Non esiste più il Medioevo in nessuna parte del mondo. Si tratta di una concezione passatista e forse perfino un poco reazionaria. E non siamo neppure nella fantascienza. Più semplicemente, siamo tutti parte del mondo delle merci che ci avvolgono e ci condizionano, quale che sia la nostra realtà nella gerarchia sociale, castale o nella collocazione spaziale. Insomma, oggi siamo tutti coinvolti, certo ciascuno con le proprie caratteristiche intellettuali, sociali e umane, in un gioco complesso dove non è più possibile nascondersi dietro l’alibi di Einstein che, dopo aver caldeggiato l’uso della bomba atomica, si accorse di essersi reso corresponsabile dell’intero genocidio delle popolazioni di due inermi città … avendo fornito un bell’alibi a un mediocre presidente statunitense che così affermava la sua volontà di potenza”.

 Convegni scientifici spettacolari e miliardi di dollari investiti in pura ricerca?

  “Certo – lo incalzo – mi ha colpito, dal mio punto di vista di profano, la descrizione di un convegno scientifico con quasi 3000 individui impegnati in un tour de force di quasi una settimana. Una tale forza umana mi fa pensare più a una tifoseria di una qualche gara sportiva internazionale o a una qualche fiera piuttosto che a un compito simposio scientifico. Pensa che babele di gente. Mi sono venute in mente alcune immagini un poco tristi come quella dei congressi dei partiti storici, dove un a platea di bonzi stava ad ascoltare semi appisolata e tutto era gestito dietro le quinte; o, ma poi a pensarci bene è quasi la stessa cosa, a un concerto di quelli che piacciono ai giovani, dove si attende pazientemente che suonino le band di contorno in attesa della star. Ma forse fra scienziati non dovrebbe essere così …  O anche lì gadget, selfie e roba del genere?”

“In ogni caso – una volta tanto il Tonto mi appare più indulgente – sembra che siano stati trattati anche temi interessanti. Ma nota che anche qui Marini sembra essere affascinato più dagli aspetti esteriori dell’attività di ricerca e ci indica come segno del successo le dimensioni sempre più monumentali dei nuovi centri di ricerca che verranno implementati, vere proprie cattedrali della società borghese, e i miliardi di dollari impegnati nei diversi investimenti.

Si ricade così nella contraddizione che avevamo già notato. Quei miliardi vengono dal cielo? Ci viene assicurato che tutto è aperto, che tutto è libero. Una specie di ode a Karl Popper e alla sua società aperta. Ma chi ci garantisce che le cose siano così e che non ci sia chi fa delle scelte, stabilisce dei contratti d’uso, mette le mani avanti … Non so, ma l’idea di miliardi che finiscono come noccioline nelle mani della pura ricerca mi puzza di bruciato.

Però sai che sono diffidente … fra gli apostoli ce n’è uno solo che mi è sempre stato simpatico, quel povero Tommaso che voleva mettere il dito nel costato del Cristo e come volevasi dimostrare non c’è riuscito. Uno scettico, paleo-empirista destinato a fallire …

Ma proviamo ad accettare per un momento che, vista la peculiarità del settore, ci sia una tale forma di cieca filantropia da mantenere migliaia di fisici, astronomi e altre figure finitime per una settimana a congresso e poi per anni a disquisire sulle caratteristiche delle emissioni di radiazioni elettromagnetiche….  è quello che vien detto dopo che davvero mi ha fatto sobbalzare …”.

Mente umana e Intelligenza artificiale

“Cosa ci sarebbe di tanto esplosivo … Fammi guardare. L’autore sta parlando della raccolta dei dati, la mostruosa quantità di dati che si vanno ammassando, e aggiunge:

Per esaminare queste immagini e trovare informazioni utili si stanno studiando nuovi algoritmi, basati sulla intelligenza artificiale. – e poi ancora – Siamo vicini al … momento in cui la crescita del volume di dati esploderà. E la mente umana non è pronta e non lo sarà mai. Solo potenti metodi di calcolo potranno analizzare e interpretare questi dati”.

“Pensaci un attimo – mi ferma con voce acuta – questa è una esplicita dichiarazione di impotenza della mente umana che demanda le sue funzioni ad una “intelligenza artificiale”. Insomma, non siamo e non saremo mai, notalo, in grado di analizzare quei dati che andiamo raccogliendo ma saremmo, si presume, in grado di creare strutture cognitive che faranno ciò che noi non abbiamo la capacità di fare. Ti rendi conto del paradosso? Demandiamo alla macchina quella funzione creativa che non ci è più data, schiacciati come siamo da fiumi di dati. Si presuppone insomma che la mente umana abbia la capacità di generare una intelligenza superiore alla nostra che ci supplisca e ci sostituisca in uno sforzo di onniscienza che non ci è dato”.

“Però – interloquisco cercando di smorzare la sua enfasi – non mi negherai che le domande che vengono poste sono degne di attenzione: la natura della materia, la storia del cosmo, il problema della possibile esistenza di altre forme di vita in giro per quella strana cosa che è l’universo”.

Lo vedo che mi guarda di sottecchi, per niente soddisfatto della mia risposta; allora decido di prenderlo in contropiede:

“Una Fanta on the rock …”

Futurismi e deliri d’onnipotenza

 “Vada per la Fanta – mi dice con una nota lievemente disgustata nella voce – Ma non venirmi a dire che sono cose nuove. Mi capitò qualche anno fa di leggere Il nostro ambiente cosmico, dell’astronomo di Sua Maestà Britannica Martin Rees; lo iniziai con grande speranze; poi, quando mi accorsi che sembrava prendere sul serio 2001 Odissea nello spazio e ipotizzava basi umane sulla Luna, su Marte, nello spazio che, affermava, non potranno essere spazzate via da disastri planetari, ho preso il volume e l’ho gettato nel sacco riciclo carta. Non aveva avuto neppure abbastanza fantasia da valorizzare il risvolto metafisico della conclusione del film di Kubrik.

No, quelli che mi parlano di miliardi di anni, di milioni di anni luce che separano le infinite galassie dell’universo mi divertono, possono fin affascinarmi, ma nulla più. Non si tratta come vorrebbe Marini di una narrazione di futuro grandiosa, ma piuttosto di un delirio di onnipotenza destinato con grande probabilità a concludersi con una matura presa d’atto che le nostre potenzialità conoscitive e biologiche sono certo grandi, molto grandi, ma non infinite. L’onniscienza non è un attributo divino, ma neppure umano. La falsità dell’assunto dell’autore sta proprio nel parallelo che propone. Al di là della scelta che sa di macabro, di olocausto … quella di Colombo non fu per nulla una spinta esplorativa determinata da un desiderio di sondare qualche cosa di sconosciuto ma un calcolo basato su un interesse materiale ben concreto: giungere al mitico Cataio e appropriarsi delle sue ricchezze facendola in barba a portoghesi e a chiunque altro. Colombo era un individualista, un greve materialista, un avventuriero, un cinico spietato come tutti quelli che lo avevano preceduto e soprattutto quelli che lo seguirono. Nulla a che fare con lo scienziato puro, cosmopolita perduto nel sogno di grandeur cosmica e che poi deve fare i conti, pure lui, con coloro che detengono i cordoni della borsa … Sarei fin portato a credere che perfino questo scienziato-scienziato deve poi confrontarsi con la prosaica realtà del prezzo del latte”.

“Insomma Tonto, come al solito sei ipercritico – mi permetto di fargli notare – Neppure la Fanta ha fermato i tuoi spiriti bollenti”.

“Beh, la Fanta è finita da un pezzo ed è proprio il finale che più mi stupisce per questa contrapposizione meccanica fra una specie di mondo di beoti assillati da paure e dalla quotidiana necessità imposta dai bisogni materiali e questa specie di fiaba disneyana della corsa verso il sogno scientifico … Ma poi – diciamocelo tra noi – il sogno di che? Anche avendo compreso il senso del tutto, è pensabile che quando questa galassia si disintegrerà fra 5 miliardi di anni possa restare qualche cosa del progetto umano? Non è che, troppo orgogliosi dei successi ottenuti, siamo ottenebrati da una hybris devastante?”

“Seguendo questa tua linea – aggiungo – mi sembra davvero almeno ingenuo parlare di “perdita di senso del mondo occidentale” o disperarsi per “i giovani che non partecipano degli ideali di scoperta, che cercano di definire la propria identità confrontandosi con altri giovani e cercando principi da condividere, non hanno trovato risposte nel modello di vita dell’occidente sviluppato, ormai preda, non solo di ideologie, ma di pratiche concrete iperliberiste e ipermercantiliste”. In fondo non c’è da strapparsi le vesti, quello che Marini depreca è proprio il prodotto più vero del sapere dell’Occidente: l’uso del sapere al fine di esaltare l’individualismo, l’egoismo, il narcisismo, la meritocrazia, il successo sempre e ad ogni costo. E non ci si dica che il mondo della scienza è esente da queste tare; la storia della scoperta del DNA con i suoi veleni è lì a monito imperituro….[1]  Ancor di più e ben peggio ha combinato la scienza trasformata in ideologia, quando è stata il puntello per le peggiori violenze del XX secolo, come per esempio per l’affermazione delle basi biologiche della teoria della razza. E sul resto val tacere …”.

“Sì, per concludere, almeno su una cosa possiamo convenire senza difficoltà con Marini: che l’ignoranza non è mai servita a nulla. Ma una conoscenza che non si confronti con la realtà, che viva appartata nelle sue torri d’avorio serve a qualche cosa? O abdica alla sua funzione principale che dovrebbe essere non solo di scrutare la volta del cielo, ma anche le viscere della società, perché è lì che oggi è imprescindibile volgere il nostro sguardo. Nessuno può distogliere la vista da quella realtà, pena la negazione della sua primaria condizione di essere umano. Non abbiamo bisogno di gnomi sapienti, ma di soggetti capaci di guardare con altrettanta perspicacia in ogni ambito del sapere.

Pensandoci bene, se ha ragione Pietro Redondi ciò che fece dannare Galileo e su cui lui giocò la sua partita non era tanto la posizione della terra nel cosmo, ma il problema della struttura della materia, dell’atomismo che metteva in discussione uno dei pilastri del potere ideologico e religioso della chiesa: il mistero della transustanziazione. Che sia più o meno esatta la ricostruzione proposta è questione secondaria, ma che in gioco ci fosse non tanto un problema concettuale che interessava poche teste pensanti quanto piuttosto una delle superstizioni più profonde che governavano la vita dell’umanità è invece cosa di grande momento. Galileo nella sua meditazione di “Filosofo, astronomo e matematico di corte”, non ha mai perso di vista la dialettica fra i due Libri, quello della natura e quello della vita umana, e qui sta probabilmente la causa profonda della sua sconfitta, ma anche il motivo della sua grandezza”.

[1] Il caso di Rosalind Franklin è ormai universalmente noto.

9 pensieri su “Fantascienze e medioevi. Su un articolo di Daniele Marini

  1. Non so se faccio bene a postare questa mia risposta anche qui avendola già pubblicata sul blog di Cereda, ma se l’ha fatto Toffoli…
    Condivido diverse cose di quello che lei scrive ma non il suo pessimismo nei riguardi della scienza e della tecnologia.
    1. Big data? Ma si tratta poi davvero di Big Science …
    2. Speculazione scientifica pura e nell’ombra i vari dottor Stranamore
    “scientista positivista rivisto in salsa XXI secolo”? Questa affermazione più che caratterizzare Marini caratterizza invece il suo rapporto con la scienza. Scientista e positivista sono termini spregiativi che in genere utilizzano i religiosi, o i credenti in qualche filosofia irrazionalistica, contro la scienza che secondo essi è colpevole d’impicciarsi troppo di affari che riguardano solo le loro divinità. Per me queste definizioni non hanno alcun senso.
    Non tutta la “scienza di base” ha bisogno di enormi tecnologie. Ci sono moltissimi settori oltre la fisica delle particelle e l’astrofisica (ma per alcuni aspetti anche in questi) in cui tale tipo di ricerca ha bisogno essenzialmente di carta e penna e di una biblioteca.
    Comunque non ci trovo nulla di male nel fatto che la scienza di base, per definizione una scienza che non ha finalità immediatamente applicative, promuova lo sviluppo di tecnologie e di imprese. Non vedo perché in tal modo essa diventi impura. C’è una differenza oggettiva, che tutti gli addetti alla ricerca conoscono, fra scienza di base e applicata, tant’è vero che quando si stilano i progetti per la richiesta di fondi occorre specificare le finalità della ricerca e se scrivi che la tua ricerca intende “chiarire i meccanismi della turbolenza” invece che “si tratta di costruire una nuova potente arma” i finanziatori capiscono bene che la prima è di base e la seconda è applicata e in genere scelgono la seconda. Per fortuna le università e gli istituti di ricerca sono pieni di ricercatori molto curiosi che magari rinunciano ad un finanziamento più lucroso pur di perseguire le proprie aspirazioni conoscitive. Siccome un certo numero di costoro ha anche preso il premio Nobel la ricerca di base ha ancora un futuro. Che poi la scienza di base abbia prodotto a distanza ricadute pratiche ciò non inficia il principio. Quando Einstein dedusse la relazione massa-energia non pensava certo alla bomba nucleare, ma stava rifondando la meccanica galileiana sulla base delle sue contraddizioni con la teoria elettromagnetica.
    3. Progresso tecnologico rettilineo e Medioevo
    Tutta la storia dei big data mi sembra molto montata, anche da Marini, come ho scritto nel mio intervento precedente. Non c’è niente di strano in tutta questa faccenda. La tecnologia oggi permette la creazione, archiviazione e manipolazione di quantità molto più grandi di dati rispetto al passato. E allora? Le limitate capacità della mente umana non c’entrano nulla. Già all’epoca di Aristotele nessun singolo poteva padroneggiare la quantità di dati in circolazione, perciò esistevano le specializzazioni e le biblioteche. Google, Amazon, Facebook ci usano? Per me no. Anzi sono delle grandi opportunità date a persone che ora possono proiettarsi sulla scena mondiale mentre in passato ciò era riservato solo a delle élite.
    4. Convegni scientifici spettacolari e miliardi di dollari investiti in pura ricerca?
    Gli investimenti per la scienza sono piccole percentuali dei PIL. Non c’è nessun fine recondito in questi finanziamenti. Qualunque governante del mondo capisce che la scienza è un’attività che dà prestigio alla nazione e le sue ricadute sulla cultura e le applicazioni sono sempre positive.
    5. Mente umana e Intelligenza artificiale
    Ho già detto qualcosa al punto 3. Ma che c’è di strano nell’intelligenza artificiale? Negli anni ’50 già la si sperimentava al M.I.T. soprattutto nella forma hardware (cito solo Marvin Minsky). Poi si è passati al software. Già da molti anni esistono algoritmi basati sul cosiddetto concetto di “intelligenza artificiale”. Versioni più o meno raffinate di essa sono utilizzate addirittura nella maggior parte dei giochi, ad esempio The Witcher, tanto per citarne uno. Programmini didattici come Derive sono in grado di eseguire calcoli simbolici che sono al di là della portata di un laureato in Matematica, e comunque molto più velocemente. Già da un bel pezzo la mente umana non è in grado di competere con certi programmi su specifici compiti, ma tutto questo non riguarda la creatività. La confusione sta qui. L’uomo ha sempre costruito strumenti che amplificassero certe sue capacità. Nell’epoca preistorica scoprì la clava per picchiare più forte, la ruota per andare più veloce, molto più in là il trattore per scavare più efficientemente. Quindi è passato ai calcolatori per i calcoli numerici e infine al calcolo simbolico e a programmi che cercano di simulare il funzionamento della mente umana (AI, fuzzy logic). Ma tutte queste macchine non sono creative, non sono intelligenti nel senso in cui lo è la mente umana. Lo diventeranno? Io non lo so. Per ora non sono le macchine a riflettere sui misteri dell’universo ma persone che si servono di esse.
    6. Futurismi e deliri d’onnipotenza
    Ha fatto male a cestinare il libro di Martin Rees perché dice cose sensate e che sono già allo studio. Invece è proprio la metafisica di Kubrik che non ha molto significato nonostante il grande impatto emotivo del film.
    “miliardi di anni, di milioni di anni luce” sono invece concetti molto importanti. Un tempo, sulla base della cronologia biblica, si stimava l’età della terra in 4000 anni. La scienza ha dimostrato che invece è di 4,5 miliardi di anni e che quella dell’universo è di circa 13,8 miliardi di anni e che c’è una connessione fra queste date: il big bang, l’evoluzione stellare, le leggi della fisica. Le sembra poco? E le sembra che ci sia in questo un basso fine di lucro?
    Sul DNA ho letto il bellissimo e onesto resoconto di Watson “La doppia elica trent’anni dopo”. Anche qui che c’è di strano? La scienza è un’attività umana intrisa di emozionalità e di “difetti” tipici della natura umana. Paradossalmente però le emozioni e i “difetti” (desiderio di far carriera, di conquistare una bella ragazza, di arrivare primo) forniscono ulteriori motivazioni ad ottenere grandi risultati. Ma la scoperta in sé del DNA è un meraviglioso risultato di una scienza pura perseguita ai fini di capire in che consiste la vita (What is life-Erwin Schrödinger-1944).
    Sulle basi biologiche del concetto di razza è sicuro che non esistono? Solo perché lo dice Cavalli-Sforza? E se le dicessi che il metodo da egli utilizzato può essere fallace come alcuni sostengono? Ci sono differenze razziali evidenti ma non ci sono spiegazioni alternative convincenti di questo fatto se si sta alla teoria di Cavalli-Sforza per cui i genomi da egli utilizzati non hanno rivelato alcuna differenza. E se non avesse usato quelli giusti? E se la sua metodologia non fosse sufficientemente sensibile? La scienza è anche questo. Ha l’obbligo di porsi domande scomode senza soggiacere a ideologie di nessun tipo e senza tema di essere accusata di pensieri proibiti. La scienza deve essere totalmente libera di indagare qualsiasi cosa.
    Ho già detto nel mio precedente intervento che gli scienziati partecipano alla vita delle comunità in cui vivono come tutti gli altri, non sono esseri speciali né si sentono speciali.
    Sulle idee di Pietro Redondi su Galileo non posso dire nulla visto che non l’ho letto. Per quel che ne so però la condanna fu inflitta per la sua aderenza al sistema Copernicano.
    Gli scienziati attuali sono figli di Galileo e le assicuro che condividono con lui l’interesse per “la dialettica fra i due Libri”.

    [1] Di storie come quella della Franklin ne avvengono continuamente nel mondo della ricerca. In piccolo è accaduto anche a me per una questione sull’undersampling http://angeloricotta.altervista.org/File/The%20true%20story%20of%20the%20undersampling%20formulae.pdf
    Che c’è da scandalizzarsi? Tutte le attività umane sono affette da questi problemi, la scienza non può fare eccezione. Si pensi, ad esempio, alla polemica Newton-Leibniz sul calcolo infinitesimale o sul furto di Cardano nei riguardi di Tartaglia. I casi sono innumerevoli.

  2. Sì, per la scienza anche le persone sono numeri. E’ come nel capitalismo.
    I numeri non possono avere alcuna esigenza. Nemmeno quella di voler conoscere. Altrimenti oggi avremmo dei computer pensanti, in grado di decidere loro quando accendersi; se ancora stai dormendo si intratterranno con scacchi e donnine. Sì perché oggi la scienza è rivolta alle macchine; se all’uomo è perché serve denaro. Anche Pitagora aveva in mente solo numeri, ma servivano per dimostrare all’uomo alcune verità. Pitagora pensava all’uomo, non alle macchine. Pensare all’uomo è preoccuparsi prima delle sue necessità? Sì, sarebbe meglio. Lo penso ogni volta che sto per iniziare a scrivere poesia – caro Pitagora. La domanda potrebbe essere questa: come fare per arrivare alle stelle più lontane? Semplice, direbbero gli scienziati, prima bisogna conoscere l’universo: il tempo e lo spazio. Come si comporti il tempo un po’ l’abbiamo compreso: è una ragnatela semovente, appesa in zone di spazio. Stringhe e quantistica, dicono. Ma anche un bambino può osservare che lo spazio è più grande del tempo; basterebbe chiedergli: quanto impieghi ad andare da Milano a Roma? Tre ore? Orbene, il tempo che impieghi è contenuto nel tragitto. Contenuto, capisci? Lo spazio contiene tempo, quindi gli è più grande. Cominciamo per intanto a occuparci del tempo. Pensiamolo un vento, un’apparizione semovente. Il tempo sei tu che viaggi da Milano a Roma. Sei tu che vivi nello spazio, in perfetto libero arbitrio. Il tempo è vivere. Ma, in numeri, vivere è muoversi in media per settant’anni. Se la media non è qualcuno in particolare, vuol dire che è media di nessuno. Questo fanno i numeri, aveva ragione Aristotele.

  3. …secondo me, la conoscenza dovrebbe essere al servizio del benessere psicofisico dell natura, della società e della persona..Cosa che non traspare dalla descrizione che Daniele Marini fa di una umanità a due velocità: una accelleratissima e l’altra rallentatissima e puntando tutto sulla prima, mentre entrambe denotano la presenza di uno squilibrio affatto innocente fra le parti…Chi tira di più? Scienza e tecnologia oggi sono così neutrali? Mi pare che anche il Tonto esprima dei dubbi…

    1. Per Annamaria Locatelli
      Ma la scienza è anche al servizio della natura, della società e della persona ma non è onnipotente. Forse non tutti sanno che Clair Patterson, il geochimico che misurò la vera età della terra, con i metodi che aveva sviluppato a questo scopo (1953) scoprì che l’elevato contenuto di velenosissimo piombo in atmosfera era dovuto ai gas scaricati dalle automobili a causa del piombo tetraetile usato nel carburante come antidetonante. Ingaggiò così una decennale battaglia contro le industrie petrolifere che gli costò il taglio dei fondi per le sue ricerche. Alla fine però ebbe la soddisfazione di vedere che nel 1970 la Corte Suprema votò il Clean Air Act contro l’uso di queste sostanze. Per questo gli furono tributati pubblicamente diverse onorificenze. Questa è la norma fra gli scienziati, le mele marce sono una minoranza contrariamente che tra i politici, ad esempio.

  4. Per Mayoor.
    Non vedo ragioni fondate per tutto questo pessimismo/scetticismo nei confronti della scienza. La scienza moderna altro non è che l’evoluzione delle antiche riflessioni filosofiche. Sono stati elaborati nuovi concetti, nuove metodologie, strumenti più potenti, ma lo scopo è rimasto sempre quello: la comprensione del mondo, e noi siamo parte del mondo. Non sono i numeri gli oggetti della scienza, essi sono solo degli strumenti.
    “Un giorno avremo più tempo per vivere, solo che ce lo venderanno.”
    Sicuramente la scienza un giorno sarà in grado di prolungare di molto la vita. Non so se sia un bene, è tutto da vedere. Ce lo venderanno? Questo non dipende dalla scienza ma dalle scelte politiche. Forse, entro certi limiti, ce lo passerà il servizio sanitario nazionale, magari pagando il solo ticket. Poi se uno ne vuole di più suppongo dovrà rivolgersi al privato…
    “Tre mesi alle Seychelles invece di stare in giro a fare un cazzo.”
    Non c’è scienziato che non sia d’accordo.

    1. La distanza economica, tra ricchi e poveri, è anche distanza del sapere e distanza dai luoghi dove si decide dove volgere ogni ricerca. Lo sanno da sempre gli artisti che operano in modo indipendente rispetto alle tendenze in voga nella loro epoca. Ma dagli artisti ci si aspetta la loro trasgressione, è meno complicato. Un medico che volesse curare diversamente un tumore dovrà fare i conti con interessi di portata ben più grande di quelli inerenti all’arte. Dovremmo però distinguere tra sapere e conoscenza: il sapere è specialistico, mentre la conoscenza è trasmissibile e potenzialmente alla portata di tutti. Se sommate dovrebbero portare esperienza, che è crescita evolutiva. Ma di fatto le cose non vanno in questa maniera. C’è chi decide e chi può solo scegliere cosa comprare tra le marche. Anche per questo, dopo la ruota, solo occhiali e ombrello sono da annoverare tra le invenzioni le più utili.

  5. Da “Poliscritture FB” a “Poliscritture sito”

    Cristiana Fischer

    Credo che l’articolo di Marini tratti anche di un problema di *quantità*: quantità di dati da elaborare e quantità di popolazione al mondo con i conseguenti problemi di governance. (Anche Fagan con il tema-complessità vi si riferisce.) Marini considera il rischio di scacco nell’elaborazione dei dati: “Siamo vicini al ginocchio della curva, il momento in cui la crescita del volume di dati esploderà. E la mente umana non è pronta e non lo sarà mai. Solo potenti metodi di calcolo potranno analizzare e interpretare questi dati.” Contemporaneamente incoraggia i giovani a fare parte dell’élite scientifica, che sarà anche collegata all’amministrazione economico/politica del mondo.
    I nuovi intellettuali infatti saranno scienziati, non i letterati e i filosofi del ‘900. D’altra parte è giusto che questi ultimi, che hanno riconosciuto il legame tra potere e sapere a proposito di loro stessi, avvertano i nuovi scienziati che il sapere non è mai neutro, dati gli interessi economici e politici coinvolti.
    Marini, se non sbaglio, è un professore, così possiamo capire quali obiettivi e traguardi si propongano agli studenti nelle facoltà scientifiche.

    Due punti mi interessa notare nel testo di Toffoli su quello di Marini. Il primo riguarda il delirio di onnipotenza: “Non si tratta come vorrebbe Marini di una narrazione di futuro grandiosa, ma piuttosto di un delirio di onnipotenza destinato con grande probabilità a concludersi con una matura presa d’atto che le nostre potenzialità conoscitive e biologiche sono certo grandi, molto grandi, ma non infinite. L’onniscienza non è un attributo divino, ma neppure umano.”
    Io mi chiedo, invece, se non si pone qui il problema del *senso* della conoscenza, anche di quella scientifica. Infatti Marini fa balenare alla lontana, in modo leggero ma suggestivo, anche un piano metafisico degli studi scientifici: “Le ricerche in corso al CERN cercano di spiegare la natura della materia, le ricerche degli astrofisici cercano di spiegare la natura e la storia del cosmo, le ricerche sugli esopianeti cercano di scoprire se altre vite possono esistere nel cosmo o se ci siano pianeti simili alla terra e abitabili. I due filoni di ricerca, materia e cosmo, si intrecciano fornendo risultati ed ipotesi le une alle altre.”
    Forse si può pensare che non sia solo una suggestione, ma il riconoscimento che alcuni o molti studenti e studiosi possono già avere una appartenenza religiosa.
    Un secondo punto che mi interessa notare del testo di Toffoli, riguarda il rapporto tra la conoscenza scientifica e quella sociale e politica. Il Tonto, verso la fine, dichiara che la conoscenza non può abdicare “alla sua funzione principale che dovrebbe essere non solo di scrutare la volta del cielo, ma anche le viscere della società, perché è lì che oggi è imprescindibile volgere il nostro sguardo. Nessuno può distogliere la vista da quella realtà, pena la negazione della sua primaria condizione di essere umano”. E continua poi centrando il conflitto tra Galilei e la chiesa sul mistero della transustanziazione, come se, anche per allora, il legame tra visibile e invisibile fosse da intendere solo in termini materiali.
    Credo che, rispetto all’ampio quadro conoscitivo (e persino metafisico) proposto da Marini ai giovani intellettuali scienziati, il richiamo -per altro molto importante- alla collocazione sociale in cui si svolge il lavoro scientifico (“siamo tutti parte del mondo delle merci che ci avvolgono e ci condizionano, quale che sia la nostra realtà nella gerarchia sociale, castale o nella collocazione spaziale”) non possa costituire una diversa piattaforma contrapposta.

    Più interessante invece il paradosso conoscitivo centrato da Toffoli: “non siamo e non saremo mai” dice il Tonto “in grado di analizzare quei dati che andiamo raccogliendo ma saremmo, si presume, in grado di creare strutture cognitive che faranno ciò che noi non abbiamo la capacità di fare. Ti rendi conto del paradosso? Demandiamo alla macchina quella funzione creativa che non ci è più data, schiacciati come siamo da fiumi di dati. Si presuppone insomma che la mente umana abbia la capacità di generare una intelligenza superiore alla nostra che ci supplisca e ci sostituisca in uno sforzo di onniscienza che non ci è dato”.
    Qui direi che il Tonto (ma non c’è netta differenza di posizioni nel dialogo) tonto non lo sia affatto.

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