Su “Poemetti e Racconti in versi” di A. Éderle

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di Cristiana Fischer

A una prima lettura “Poemetti e Racconti diversi” coinvolge nell’incalzare degli argomenti, per la viva colorazione affettiva, per gli incanti descrittivi e naturalistici. Oltre questa luminosa superficie il libro mostra la sua unità di fondo: la scrittura fluida e continua, il periodare ampio, il frequente interrogarsi e catturare l’attenzione di chi legge, perché l’autore gli parla, gli descrive quello che sta vedendo (“Tre e mezzo, la discesa scende fino/a mezza costa, case nude senza uomini”), gli espone riflessioni, ricordi (“Ecco, ritorna il suono, ecco/torna il colore lo splendore”), si mostra con la sua esperienza di vita e la maturità raggiunta, la sua psicologia e filosofia.
Cosa conta per il poeta? La natura, soprattutto primaverile.

Il verso dell’usignolo,
che si perde tra le fronde delle foreste
in cima alle onde del mare come brezza
volante sulle creste della risacca
che piove con gocce dorate dall’azzurro
del cielo, sarà la loro voce
un fischio limpido modulato
un canto ansioso ansioso e infinito
l’essenza della gioia
la sua sintesi la sua parafrasi.

Conta l’amore, che è energia e felicità, la bellezza che salva ogni cosa, anche la catastrofe la miseria e la brutalità, se solo è possibile vedere dei segni significativi, forse intenzioni.
Nella seconda parte del libro, sette lunghi Racconti in versi, Ederle fissa luoghi dell’immaginario, propri della tradizione letteraria, animati da pulsioni profonde, pre-culturali al confine tra animale e civile: l’incesto madre figlio e padre figlia, l’animale crudele e irragionevole in ognuno di noi, l’eros nella sua versione pura e tragica oppure voglia cieca e ridicola, la memoria ancestrale e inconscia del mondo dei morti in ciascuno.
Nella prima parte invece, più lunga, i poemetti si raggruppano intorno al femminile e al maschile, alla storia dell’avidità e della bestialità, alla musica, alla natura, al divino, all’identità e alla morte.
Due esempi della condizione di solitudine e abbandono in cui l’umano precipita senza colpe individuali né accettabili ragioni, sono due creature sole e senza niente: l’uomo solo
“… un gatto/piuttosto consumato e mansueto ma/non si può accarezzare, è brutto,/però è dritto eretto con la schiena/ritta e il passo del penitente/pensante non pigro ma lento.”
Quell’uomo di “Silenzio a bocca aperta”, scrive il poeta,

Io lo amo quest’uomo, lo adoro,
la sua mansuetudine la sua
solitudine il suo non senso della sua
povera vita senza presunzione senza
slanci senza desideri, forse.
Ma non so se è proprio così se
nasconde qualche magia qualche magia
che non comprendo e che naviga
nel suo cuore e nel suo squinternato
cervello, ma qualcosa di strano
dev’esserci.

Altrettanto sola e misera “La zingara del cimitero”: “Sta lì seduta su quella/fioriera come un corvo sorridente/e mi saluta come un parente/o perlomeno uno che conosce da molti/
secoli”. Contigua alla morte, mendicante infelice e sradicata, sogna forse nel dopomorte

… cose tante cose
che ti appartengono e ti danno
calore, magari vedrai gente conosciuta
che ti circonda e ti parla con
gioia e affabilità, cara gente che
ti ama….

In altri Poemetti il male storico e sociale è collegato al bestiale all’ottuso all’avido (“Questo non lo capirò mai, non riesco/a indurlo nel mio poco cervello, non so/come fare non so come si possa credere/all’abbraccio dell’oro”. Delle guerre, e della miseria che ne segue, Ederle fissa lo svuotamento vitale “sembrano muti/pare che ascoltino qualcosa/che non si vede, che stentino/a capire il rumore di fondo”, e la sofferenza infantile “i bambini che raschiano/la miseria e sporgono la testa/nei cassonetti, che entrano/con gambe e corpo” (da “Le fosse della fame”).
Mentre il femminile è piuttosto riportato a un divino soccorrevole, rinforzante, energia che apre, pacifica e regola. Dal “Canto dell’angela”:

Angela, sei tu che insegnavi
ai cari bambini la cara allegria
che li difendevi dai lupi
e dai cinghiali della brutta esistenza
che li accoglievi tra le braccia
tremanti di terrore
distolti dai giochi della buona
natura. Eri tu, angela, che li prendevi
in custodia con la tua
fiocina e gli schinieri
da guerriero.

Meno tranquillo verso il maschile Ederle ne disegna una metafora vitale e primitiva nel poemetto Parallelepipedi, i camion con le “facce trasparenti e fiere” sono “senza peccato” e con la loro forza e mobile-immobilità sono come bimbi “cresciuti a dismisura”, violenti e discoli, ma coccolati dalla madre, in gesti senza consapevolezza. I guidatori diventano badanti stanchi:

Ma quando scendono, i badanti
sono liberi d’infilarsi una pompa
di vetro in bocca e inghiottirla tutta
la loro grande birra e magari
scoparsi una scopa o una fanciulla
(…)
le gambe fiacche vacillano e fra poco
devono ridare alle grosse gomme
dei loro bimbi l’ebbrezza la gioia
della corsa sulle doppie strade”.

Il segreto è nella nostra natura, nel primitivismo e cecità in cui si vive, oppure si sceglie (quando è possibile!) di gioire della pace e della bellezza: la “promessa del cielo della terra”, una “verità inflessibile: la nostra vita”. Anche il poeta ha dubitato, cercando un altro sé “il mio secondo/per sostituirmi per darmi/un aspetto più solido” e confrontandosi alle paure della fine: ma “C’è ancora tempo”.

Quando si gioca nella baracca dell’aria
non si spreca la scienza né la serietà
del buon senso, nemmeno un solo pensiero
viene speso nei grandi dubbi nei
respiri sospesi dei massimi timori.

Quindi il suo mondo consiste di creazione, immaginazione e scrittura “Ah, pensieri nostri pensieri”, e personaggi con la “loro importanza nella mia vita” e il “loro amore per me/che non conoscono e che io non conosco”.

Oh, amore mio, mio caro mucchio di sillabe
mio estroso alfabeto mia unica speranza
mio petroso morbido colorato grigio
mucchio di sillabe, sì ti amo
e non smetterò di amarti finché il sole
e la poggia non cesseranno di popolare
il mondo come migliaia di infiniti
esseri grigi e variopinti, finché
questi fratelli naturali
non sceglieranno di cambiare pianeta. (“Il mio pensiero”)*

* Eco inevitabile dei versi “fin che il sole/risplenderà sulle sciagure umane” (che chiudono I Sepolcri di U. Foscolo).

4 pensieri su “Su “Poemetti e Racconti in versi” di A. Éderle

  1. Che meravigliosa lettura! Il femminile incide profondamente e viene esaltato . Dolce ,amorevole,forte ma anche disincantato.
    Grazie

  2. …bella questa presentazione che Cristiana ci offre dell’ultima raccolta di poemetti e di racconti di Arnaldo Ederle. Riesce a cogliere, secondo me, la grande ricchezza e varietà di anime che si muove e si agita nella poesia di A. Ederle. Anime alla ricerca spasmodica di amore, anime che sanno come respingere, fiori femminili lascivi e caritatevoli, sacro e profano sempre mescolati, uomini primitivi, vitali, ma anche perdenti…La vita che si reclama oltre la morte…Il disprezzo dell’oro per l’oro…Questi alcuni tra i molti temi lunghi un’esistenza

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