Loop

MATTONELLE FISCHER

di Franci La Media

 

Mi sento sola e sono disperata
uno mi dice combattiamo
ma non indica un luogo e tutto intorno
è pieno di nemici
un altro imbroglia con gli ambasciatori
il territorio di conquista trattative
illudono seducono
col pregio degli scambi i territori.
Altro so: che cultura
guerresca mai si spenga in mercatura
e altro ancora so: che dio del mondo
lontano vicino dal cielo profondo
ci chiami all’altra vita che ci ispira
da qui alla dipartita
con tutta la ragione efficiente
che per cause risale
alla ragione onnipotente
e alla mente assassina
che in amore scioglie e il senso toglie.

 

*

No non lo so
accetto ritirando
lo sguardo dentro agli occhi
piccoli rimorsi che a grandezza
non hanno saputo transitare
traguardi appena intesi
sconosciute comunità di sguardi
che non mi contemplano.
Superiore umanità pretende
adesione o assimilazione tra i comandi
di radice umana in terra.
Da origini variate la mia guerra
alle ragioni: di nazioni in pretese di unità
di imperi in difficoltà.
La natura del tempo della vita
mi assicura che esterno
è l’ordine insinuato e lo schema
di successione intemporale
senza il sesso materiale
non ha scena né vita.

 

*

questo isolamento necessario
il caro amore dal cielo
ispirerà si ricongiunga
a niente, la mia fine, perché quella
è solo storia di fantasia
non solo della vita mia
ma di ogni storia che ripete
il sogno di continuità di ogni specie
umana – fino a quando
animalità percorrendo correremo
in materia e immaginiamo
come passi in salute
metamorfosi in spiritualità
amore senza corpi di mezzo

 

*

Non riesco a scegliere tra la materia
che mi ricicla e annulla la mia mente
-un unico che come me
ne tiene conto-
e una materia eterna di cui origine
non è se non pensiero
che la riflette e interroga.
Come se materia intelligente
che ha dato luogo a me e alla mia storia
non fosse in qualche modo
dio che intelligenza
concede a chi la pensa.
Se l’essere che è che si concentra
in un nucleo essenziale di energia
è il limite del mio pensiero
oltre lo chiamo dio di cui non so
altra fabbrica o cucina o cerimonia
che mi chiarisca la faccenda –
e tutti come me a immaginare
la singolarità per originare.

 

*

Le forze confliggenti del passato
nella mia mente e la coscienza
dei miei avversari allora come ora
sciolgono l’interpretazione: differenza
umana nel tempo
arricchisce ragione
la misera che guida nella storia
crociate di memoria.
Non sono i saecula saeculorum
ma un tempo più lungo che i loro
alfieri di possesso
fanno scordare: il divino
da meditare.

22 pensieri su “Loop

  1. Si può sapere di più di questa interessante poeta? Ho molto apprezzato l’io silenzioso e meditativo che, senza ostentazione e inutili giri di parole, s’interroga e medita su temi che riguardano tutti. Non capita spesso, né collettivamente né, diciamolo, tra i poeti, che si vada in cerca di senso.

  2. …certo sono poesie che incuriosiscono, ma ne trapela uno spirito così ripiegato! : “Mi sento sola e disperata…No non lo so…Questo isolamento necessario…”, con “…lo sguardo dentro agli occhi…” che non sa o non vuole transitare altri sguardi..” L’autrice non sa, eppure è alla ricerca del significato ultimo delle cose: “…il divino /da meditare”, che sfugge al senso comune della specie umana, affatto concentrata sulla spiritualità…Pensieri che volano alti ma forse trascurano qualcosa…o forse non le ho capite?

  3. « Si può sapere di più di questa interessante poeta?» (Mayoor).

    Beh, la conosco appena pure io. Mi ha proposto queste cinque poesie, precisandomi che nella prima, con «mente assassina/ che in amore scioglie e il senso toglie» si riferisce al «terrorismo (dei droni e degli sgozzatori»; che, nella quarta, « la singolarità» è « anche il limite a cui si arresta, o ricorre, la fisica in relatività e in teoria quantistica, e si incontra in matematica»; e che col titolo «Loop» intende i loop (strutture o circuiti ad anelli) metafisici e storici in cui siamo immersi. Mi ha detto che preferisce non intervenire sugli eventuali commenti che le sue poesie potevano suscitare.
    Ha una formazione filosofica, vive ora in Francia ma è stata per molti decenni in Italia e si occupa di giardinaggio e poesia.
    A me queste poesie colpiscono per una loro durezza e scabrosità tutta mentale, che vuole orgogliosamente rimanere tale. Sì, come ha detto Mayoor, sono poesie « senza ostentazione e inutili giri di parole», ma io direi anche aggressive (verso il mondo) e niente affatto disperate o ripiegate, come pare a Annamaria (Locatelli).

  4. Colgo anch’io una “durezza”, come scrive Ennio, in queste poesie, forse dovuta al loop del titolo, cioè alla gabbia mentale in cui si dibattono. Noto anche un ritmo fluido e le rime, che forse quella durezza attenuano, e parrebbe un rimpianto di fronte alla durezza delle trappole senza uscita di quei ragionamenti.
    Però rime e ritmi, sottolineando la contraddizione, in realtà confermano la durezza.

  5. Poesie che a me sembrano scritte in unità di ragione e ispirazione. Sì, il pensiero potrebbe essere arrivato prima di scrivere, ma è maturato scrivendo, nel momento stesso della scrittura. Per poter fare questo è meglio averci uno stile che sostenga. Va bene, sto dicendo ovvietà.
    Ma Franci La Media un bello stile ce l’ha. E’ la prima cosa che ho notato, come lettore. Come detective ho invece pensato che questo linguaggio (teniamo da parte lo stile) potrebbe derivare da una traduzione: poesie che sarebbero nate in altra lingua, tradotte e poi riaggiustate.
    Ma no, i versi di queste poesie, talmente densi di significato detto in modo tanto conciso e dettagliato, devono essere stati scritti direttamente, per pensiero poetico. E scusate ancora l’ovvietà, ché questo è solitamente lo scrivere poesia.
    Accanto a qualche nota colloquiale ” mi sento sola e disperata”, ” No non lo so”, s’accompagnano versi, peraltro parecchio ironici, principalmente filosofici, che pongono domande a cui è terribilmente difficile poter rispondere.
    Quanto allo stile, e lo dico sempre da lettore, vorrei tanto l’elemosina di qualche virgola in più. Questo fatto, aggiunto a un ritmo che a me fa ricordare la Rosselli, scritto però in un verso libero più attuale – ma potrebbe trattarsi di diversa partitura – forse svela qualche sua, del poeta, provenienza. Ma questa mia è solo curiosità.

  6. Il “Mi sento sola e sono disperata” si lega a “Altro so” e a “altro ancora so” in una logica tanto stringente quanto individualmente e universalmente sofferta. Non ho avvertito nei cinque testi di Franci La Media alcuna “durezza” o “scabrosità”, men che meno ho ravvisato cedimenti all’”aggressività” (… e posso così intuire le preventive ragioni della poetessa di non voler intervenire sugli eventuali commenti…) Piuttosto mi colpisce la straordinaria tenacia e lo sguardo metastorico – “Non sono i saecula saeculorum”- nel vivere e descrivere il razionale e disperato tentativo dell’umanità di liberarsi dal cappio (loop, appunto!) che la tiene prigioniera. E tutto infine mi pare stemprarsi in una femminile, pacificata e pugnace, contemplazione, nell’incessante ricerca di un “divino / da meditare”. Complimenti vivissimi alla poetessa.

  7. una prima lettura mi ha lasciato come un poco di irritazione, appena ammorbidita dall’intuizione che il contenuto c’era.

    con la seconda ho capito le ragioni di quella irritazione : nasceva dal modo in cui sono costruiti i versi, spezzati in modo anomalo, senza quel minimo di punteggiatura che aiuta il pensiero e farsi chiaro, con gli enjambements spesso duri per l’occhio.

    al terzo passaggio mi sono quasi reso conto che si tratta di poesie molto profonde e piene di quel senso religioso , e delle domande che ne conseguono spesso, che amo ricercare in ogni poesia, e che io sento come indispensabili per il mio personale vissuto.

    quindi mi complimento con l’autrice.

  8. ..non ho mai dubitato del pregio poetico dei versi di Franci La Madia, ma non riuscivo a coglierne il significato e la cifra emotiva…Ho seguito l’ottimo suggerimento di Luigi Paraboschi, li ho riletti. Certo la lettura è costretta ad inseguire, in una sorta di corsa affannosa, l’accavallarsi di pensieri impegnati in una ricerca stringente sul senso della realtà, in “…un tempo più lungo”( di quello storico)…il divino da meditare”, così sfociano in uno sconcerto o cortocircuito, se vogliamo, molto umano…

  9. …Un mio, mi auguro ancora in vita ma ormai vecchio professore di liceo, soleva ripetere: “prima di commentare una poesia occorrerebbe sempre impararla a memoria”…

  10. Ringrazio chi ha letto, e chi con costanza ha riletto, queste poesie, in effetti affannose come ha rilevato Anna Maria Locatelli, nate come riflessioni perdurate in stati di incertezza, e quindi del pensiero poetico di cui mi gratifica Mayoor. Interrogazioni religiose, certamente, come hanno individuato Paolo Ottaviani e Luigi Paraboschi, tuttavia non confessionali, in un cappio, una trappola, che è lo scambio continuo tra l’evidenza cristallina che ha senso la nostra ricerca di senso del vivere e pensare, versus l’altra opzione, leopardiana, di misera esistenza entro la cieca materia. Perché non sono più, questi, tempi di ateismo operoso. Se mai di agnosticismo palpitante, come il mio.

  11. “agnosticismo palpitante” e interrogazioni “non confessionali” sono condizioni nelle quali mi riconosco e che avevo intuito essere presenti nella poetica di Franci La Media… ma non so se siano davvero generalizzabili a questi nostri tempi…

  12. Non me ne vorrà la nuova amica appena arrivata Franci la Media ma l’ “agnosticismo” quanto mai può essere “palpitante”…

  13. A questo proposito sarebbe interessante, per me, conoscere il suo punto di vista su “Il divino da meditare” in chiave non religiosa. Mi rendo conto che l’argomento è complesso perché rimanda al Dio morto di nietzschiana memoria, alla grecità e al significato degli dei… e molto altro ancora.
    Anche se risposte se ne trovano nelle sue poesie, qui ad esempio:
    questo isolamento necessario
    il caro amore dal cielo
    ispirerà si ricongiunga
    a niente, la mia fine, perché quella
    è solo storia di fantasia
    non solo della vita mia
    ma di ogni storia che ripete
    il sogno di continuità di ogni specie
    umana – fino a quando
    animalità percorrendo correremo
    in materia e immaginiamo
    come passi in salute
    metamorfosi in spiritualità
    amore senza corpi di mezzo

  14. “A questo proposito sarebbe interessante, per me, conoscere il suo punto di vista su “Il divino da meditare” in chiave non religiosa.” (Mayoor)

    Nasciamo e facciamo nascere, la continuità biologica si impone alla nostra immaginazione come la copia di una continuità intemporale (?!), immaginiamo che l’universo abbia un inizio di cui però non abbiamo conoscenza né sperimentale né razionale, una singolarità. Il mondo ricomincia per ciascuno e di sicuro finisce, poi sappiamo dell’eredità genetica e culturale (ma di questo a chi è morto non importa nulla). In questo senso anche io sono una singolarità, come tutti, perché la domanda ricomincia con ogni creatura.
    Cosa vuol dire allora meditare il divino? Due cose: meditare una proiezione immaginaria dell’identità singolare; meditare l’eredità propria della specie. E comunque tutto fa parte dell’eredità che mi appartiene come singola.
    Neanche i sistemi materialisti danno vere risposte: pur ammettendo l’eternità della materia, non posso non domandare la ragione di tale eternità, di tale esistenza, della fatticità di tale esistenza.
    Oppure, assumendo che la vita materiale sia un sogno, che comprende tutto l’universo, mi chiederei sempre: il sogno di chi?
    Se invece mi prendo come un atomo di vita trascinato in una massa enorme di processi e mi rivolgo a migliorare le condizioni circostanziate in cui mi trovo a vivere con gli altri, sono l’atea operosa e fiduciosa nella ragione. (Molte persone religiose sono così, attive e operose, riconoscono dio nell’altro e non mettono -forse- dio in questione.)
    Per l’ateo operoso i problemi precedenti non si annullano, forse li allontana e tanto basta, anche se il pensiero può andare oltre. Un oltre frequentato da moltissimi, in modo più o meno perverso o umano.
    Per cui in definitiva mi vedo come su un ponte, che avanza sul mare, o sul vuoto… ma il ponte non ha una fine, si sporge e finisce in un nulla, in nebbia, in vuoto. Tanto, a un certo punto tutti sapremo… se saremo allora in condizione di “sapere” qualcosa.

  15. La logica della prosa è parimenti stringente di quella della poesia, coinvolgente e “palpitante”… ma per nulla “affannosa”. Ancora complimenti!

  16. Grazie, mi trovo d’accordo con quanto ha scritto. Tranne, forse, per quell’ombra di fatalismo, “su un ponte”. Ma è vero che nell’incessante esperire si può giungere, se non a toccarlo, a percepire l’atomo vivente che ci costituisce; e da qui – pure giocando con l’io – essere operosi (termine esatto per il quale mi complimento). Personalmente, non medito Dio ma la follia, che per me son la stessa cosa. Le auguro buon viaggio, spero di poterla rileggere presto.

  17. mi scuso se torno ancora una volta con una breve osservazione, ma ho riflettuto in questo giorni sull’osservazione mossa da Abate attorno all’ agnosticismo palpitante “.

    A parte che io trovo questa espressione di una poeticità eccezionale, vorrei dire che la risposta che la signora Franci successivamente ci ha fornito è molto intensa e chiarificatrice ( per me, almeno ) attorno alla sua posizione di ” atea alla ricerca di risposte “, che mi rimanda ad una felice espressione sul tema che dice ” non mi cercheresti se non mi avessi già trovato ”
    Ecco, in questo senso intendo e condivido quell’agnosticismo palpitante, fatto di continue domande, ricerche, dubbi, incertezze che rendono la vita di molte persone così angustiata, e questo finale della signora Franci che scrive

    “Per cui in definitiva mi vedo come su un ponte, che avanza sul mare, o sul vuoto… ma il ponte non ha una fine, si sporge e finisce in un nulla, in nebbia, in vuoto. Tanto, a un certo punto tutti sapremo… se saremo allora in condizione di “sapere” qualcosa. ”

    io lo trovo grandioso, perché rappresenta anche la mia sensazione quasi continua di un viaggio alla ricerca del senso, e di trovarlo, alla fine proprio dentro quel vivere e sentirsi spesso racchiusi come dentro una lama di coltello.

    Grazie per il bel dibattito che le sue poesie ci hanno regalato.
    Rispondi

  18. …devo ringraziarla anch’io Franci La Media in quanto confrontandomi con il pensiero espresso nelle sue poesie, mi sono scoperta a rivolgermi delle domande sul mio agnosticismo, scoprendo che non è palpitante ma una sorta di guscio protettivo da cui, come pacificata con i grandi interrogativi, mi muovo con disinvoltura, senza rinunciare al senso del sacro, a volte a tradizioni religiose che mi riportano ad atmosfere care e familiari, e sentendomi facente parte di una natura non antropocentrica…più in là non vado, mi fermo sulla soglia dell’angoscia. Non che poi non ci siano altre ragioni per sperimentarla…
    Ma ricordo che anche il mio agnosticismo fu palpitante, essendo stata una scelta…Come lei mi avventuravo su quel ponte..a volte mi prefiguravo invece la discesa su un pianeta sconosciuto, dove tutto era “altro”, anche il silenzio era diverso, solo lontano lontano baluginavano delle stelline…era là da ricercare il senso? O sarei stata rimbalzata su altri pianeti?
    La ringrazio molto perché certe ricerche non bisognerebbe mai abbandonarle del tutto…

    1. Mi associo anch’io ai ringraziamenti di Lucio Mayor Tosi, Luigi Paraboschi e Annamaria Locatelli. Ricordo però che il dibattito, bello, pacato e “costruttivo” – se pur solo di un ponte che “si sporge e finisce in un nulla” – era partito parlando, in modo assai superficiale e vagamente provocatorio, di “durezza”, “scabrosità” e poesie “aggressive”. Doppio merito di Franci La Media di aver ignorato questi grossolani errori e di aver condotto il dibattito là dove era giusto che si sviluppasse. A tutti, anche e soprattutto a Ennio Abate che ha avuto l’indubbio merito di pubblicare i testi, il mio grazie affettuoso.

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