Canto per Paola

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di Arnaldo Éderle

Ahi, la vita ti sostiene finché
la luce resta nelle stelle e nel sole
finché l’aria fresca dimora nei polmoni
finché tutto brilla nelle pupille e il cuore
pulsa i suoi piccoli battiti le labbra
s’aprono e si chiudono nella bella lingua.

Tutto è sereno e tutto compie
la sua bella funzione, il braccio la gamba
la mano il piede il cervello irrorato
dal caro sangue.
Tutto è variopinto come nei pacifici quadri
di chi lo dipinge per rammentare la vita
per farne il duplicato che resista al volere
del tempo e agli scherzi dell’esistenza,
tutto è fabbricato amorevole e pietosamente
come nella fabbrica dell’operaio per
allungare, e mai mai ci si aspetta
la tragedia il gravissimo sgarro della
deprecata fine.

Ahi, cara Paola, persino l’amore alle creature
come te come tutti si cancella lentamente,
mia amica
mia carissima compagna mio serio sostegno
mio alto palo diritto mia soccorrevole mano
mio solerte ingegno mio soccorrevole piede
mio pronto cuore che mi accompagnò nei vicoli
e nelle belle sale della nostra lunga vita.
Caro nome pronunciato da me negli oscuri
meandri del nostro cammino e nella
luce inebriante dei nostri cari percorsi.
Io li rivedo uno ad uno e li rimpiango.
Vie profumate dall’odore dei frutti
rossi e gialli e neri sparpagliati nei sentieri
della nostra vita e del nostro cercarla
come viandanti percossi dalla voglia
di viverla questa nostra esistenza e di odorarla
e di sentirla sulla nostra turgida pelle.

Oh, mio bianco viso, mia pelle bianca
miei occhi mesti e ascoltanti mie docili
pupille, vi ho pacificamente adorati
pacificamente aperti alle mie notti assonnate
ai miei sogni dimenticati a qualche risveglio
turbolento ancora pieno d’ansie notturne,
ora vi richiamo alla fine del sonno stravaganti
e liberi come allora, ma sempre appiccicati
alla tua chiara bellezza e al tuo fare
pensieroso, ma tenue e pieno di docili sorprese.

Poi, la tua breve fulminante malattia
il tuo inconsistente adagiarti sul letto
dell’oblio e del gracile imprevisto
dimenticarti della vita e della sua bellezza.
E il giungere dell’infinito, piano piano
senza clamori né grida né angustiati sospiri.

Poi il crepuscolo la sera la notte

30 pensieri su “Canto per Paola

  1. …bella e dolente questa poesia…Il poeta la dedica alla sua compagna di vita, Paola, e dice: “…mi accompagnò nei vicoli/ e nelle belle sale della nostra lunga vita”, sempre leggera e discreta come una farfalla. In lei “tutto è variopinto”. Gli volò attorno, “…la vita ti sostiene finché/…il cuore/pulsa i suoi piccoli battiti le labbra/ s’aprono e si chiudono nella bella lingua”, proprio come le ali di una farfalla. Così fu anche per la sua dipartita, dopo “lieve fulminante malattia”, discreta: “…piano piano/ senza clamori né grida né angustiati sospiri”. Ma poi per chi resta ” …il crepuscolo la sera la notte”, cala il sipario.
    A me sembrerebbe un onore morire quasi invisibili, alla maniera degli uccelli e degli insetti…

  2. una dichiarazione d’amore per una vita trascorsa assieme, e le dichiarazioni d’amore non si possono giudicare in base a criteri esclusivamente poetici, esse meritano solo l’ascolto silenzioso, in disparte, con la paura di entrare nell’intimità di due persone che vivono l’una per l’altro.

    Si può dire solamente ” grazie ” all’autore per averci mostrato il suo dolore, augurandoci che la condivisione della lettura gli possa servire ad alleviarlo un poco.

  3. Mi riferisco soltanto ai primi sei versi:

    Ahi, la vita ti sostiene finché
    la luce resta nelle stelle e nel sole
    finché l’aria fresca dimora nei polmoni
    finché tutto brilla nelle pupille e il cuore
    pulsa i suoi piccoli battiti le labbra
    s’aprono e si chiudono nella bella lingua.

    1) Banali quei tre “finché”
    2) mai associare a un sostantivo “vita” un verbo usato comunemente “sostenere”
    3) mai associare al termine “luce” sia le “stelle” che il “sole” , o viceversa
    4) e “l’aria fresca” è ridicolo
    5) e quel “dimora” è inappropriato se riferito ai “polmoni”
    6) poi “brilla nelle pupille” non si sopportano a vicenda
    7) e gli errori totali: associare il verbo pulsare al “cuore” e perfino i “battiti”!
    8) e i verbi ”aprire e chiudere” alle “labbra” è quanto mai di più inutile!
    9) e poi perché “piccoli” e la lingua “bella”?

    1. @ Sagredo

      Non è che dopo il ‘polically correct’ in politica ora vogliamo introdurre anche il “poeticamente correct” in poesia, eh!

      I poemetti di Ederle possono non piacere a tutti, ma fare la pulci su singoli termini o accostamenti di termini mi pare inutilmente pedante. A parte il fatto che una poesia può reggersi in piedi anche se ci fossero punti deboli.

        1. @ mayoor

          Se in ‘trova’ scrivi ‘Ederle’, compaiono tutti i post con sue poesie e poemetti. In alcuni sono intervenuto muovendo alcune critiche (argomentate). Ma, prima di esse, c’è il riconoscimento della validità della sua ricerca poetica. Per cui non ho mai esitato a pubblicarlo, pur sapendo che si muove su un piano (fondamentalmente lirico-narrativo) molto diverso e spesso lontano dal mio, dalle mie preoccupazioni “extra-poetiche” o dal mio sentire estetico-etico-politico. O dalle ricerche di altri che comunque m’intrigano di più.
          Poiché poi Ederle preferisce sottrarsi alle discussioni sulle poetiche, non è stato possibile affrontare con lui i temi più “teorici” che a me stanno a cuore (poesia esodante, rapporto tra poesia e storia e politica, formalismo estetizzante e forma in rapporto col vissuto individuale, il sociale, i conflitti). E ho rispettato questa sua volontà.
          Del resto non sono riuscito ad approfondirli neppure con altri interlocutori e la mia funzione di “critico militante” è rimasta del tutto episodica e solitaria. In assenza di criteri di giudizio sufficientemente condivisi ma non oscuri e non impressionistici, preferisco evitare di stabilire gerarchie tra Poesia e poesie o poeti di serie A o B; e limitarmi a letture occasionali e circoscritte di alcune delle raccolte che trovo il tempo di leggere con attenzione.

          P.s.
          Non era un convegno su Fortini ma una semplice presentazione di “Come ci siamo allontanati. Ragionamenti su Franco Fortini”.

    2. Come che sia, esistono poesie che non piacciono (al Croce, che definiva il secolo di Bernini, Borrommini e Caravaggio “senza poesia”, non piaceva il Paradiso di Dante) a Sagredo l’ultima composizione di Ederle. Posso permettermi, da medico ed esperto di neuroestetica (disciplina riconosciuta, in sede internazionale, quale costola della più nota”filosofia della mente”), dichiarare che tanta parte della produzione del Sagredo è, dal punto di vista neurofunzionale e psicofunzionale violenta e aberrante? Non è questione di gusto, ma di prospettiva estetica (vedasi l’ultimo Maurizio Ferraris). Sono entrato a gamba tesa? Poco male. Detesto il metodo di coloro i quali discettano, ti battono la mano sulla spalla e… tirano via. Per quieto vivere. Io, alla Bertoli, “non credo alla vita pacifica”. E, poi, “de gustibus” – il mio fra i tanti

  4. A Ederle rispondo con miei versi . Grazie per questa bella poesia che aleggia sopra ognuno di noi con tutto l’amore possibile e concreto. Complimenti-

    Taci

    Copro il silenzio
    quello della ricerca
    con foglie di tempi
    alla solitudine legati
    e fiori colorati di
    occhi sbarrati ai primi
    bagliori d’innocenza
    regalata sempre .
    Oggi infrango il sogno
    allo scoglio e accolgo
    un lontano rumore
    una musica quasi.
    Sembra sistemarsi la vita
    una semplice occasione
    Così nel non dire
    accolgo la mano
    amico mio stammi vicino.

    Emy 2001

  5. Per una ben strana coincidenza, nella giornata di ieri ho postato sul mio profilo facebook “Le mie parole” di Arnaldo Éderle, ritrovata su Poesia e Moltinpoesia, e oggi leggo qui un Canto d’amore struggente.
    L’elemento per me importante delle poesie di Éderle è quel suo saper rendere le immagini e le emozioni attraverso passaggi veloci, allo stesso modo in cui un bravo pittore sa ritrarre una scena con poche pennellate. E la poesia di oggi la figuro davvero come un quadro (“Tutto è variopinto come nei pacifici quadri/ di chi lo dipinge per rammentare la vita/ per farne il duplicato che resista al volere/ del tempo e agli scherzi dell’esistenza…”), un quadro che ‘esce dalla cornice’, e il poeta/pittore – alla maniera di Velasquez – è fermo e osserva in fondo. Ma dentro di sé. E penso che saper esprimere con tanta forza (e amore) ciò che non è facile dire merita solo un grande abbraccio.

  6. Novello D’Annunzio,
    che in ogni circostanza non manca di farsi seduttivo:
    “mio alto palo diritto mia soccorrevole mano”
    D’accordo, sembrerò un bacchettone moralista, ma per me queste sono solo profumate furberie.
    “Tutto è sereno e tutto compie
    la sua bella funzione”
    Come non essere d’accordo. Poi si scopre che il mondo abbonda di suicidi, anche tra chi questa bellezza conosce…

  7. Grazie Giuseppina, un commento che ho fortemente accettato. Anche per la tua evidente associazione del tuo sentire al mio pacato * dolore. Grazie ancora. Arnaldo

    *Nota di E.A.
    Ho corretto ‘pacto’ secondo le indicazioni di Ederle:
    arnaldo ederle 26 settembre 2016 alle 11:45 Modifica
    In una delle mie risposte ai commenti, c’è una richiesta di chiarire il significato di “pacto”. Si tratta di un errore di battuta la giusta parola era, ed è, “pacato”. Arnaldo Ederle

  8. caro Ennio, non mi hai compreso bene: non faccio le pulci a nessuno, se non a quelli che davvero ce le hanno…. quando Dante dice alla fine che escono fuori a rivedere le stelle, non dice il termine” luce” si capisce da sé cosa intende: oltre al toscano ci sono centinaia di grandi poeti che dicono di sole e di stelle e di labbra e di cuore senza nominarli…
    “hanno insanguinato il cielo come se fosse un mattatoio”…. il sangue non è versato ma è “crollato”… questo termine “crollare” accanto al sangue nessuno lo ha mai scritto ed è qui la modernità della Poesia, che si rinnova di continuo; ma non si rinnova affatto se il “poeta” usa frasi idiomatiche, fatte rifatte, insomma se una “rifritture di vecchie cotolette”… che poi sia un “canto struggente” non me ne importa un c…..o!!!!

  9. Grazie anche a Sagredo, anche se non sa che le “vecchie cotolette” possono essere rifritte. Basta saperlo fare. Ad ogni modo di queste “cotolette” non mi sono mai occupato più di tanto. Comunque, sono consapevole che, quando compaiono, so
    bene come ricuocerle. Arnaldo Ederle

  10. Sì , il contenuto dolente di questa poesia ( la morte della compagna della propria vita) può indurre ad un eccessivo rispetto («e le dichiarazioni d’amore non si possono giudicare in base a criteri esclusivamente poetici», Paraboschi) o a una condivisione tutta emotiva.
    Che non basta, non fa di per sé poesia. E fanno bene Mayoor e Sagredo a non fermarsi a questo aspetto.
    Proviamo però ad approfondire la riflessione, al di là degli schemi o delle idee di fondo che ci convincono di più.
    Poesia è solo la spoglia linguistica delle passioni umane che resta sulla carta, cioè del tutto decontestualizzata? E quella spoglia linguistica va confrontata solo con le altre spoglie linguistiche che ci sono rimaste degli altri (grandi veramente o tali considerati) poeti?
    Davvero Ederle è un « Novello D’Annunzio» e queste sue sono solo « profumate furberie». Mayoor non è che esageri?
    E Sagredo? Non si è auto recluso in una concezione della Poesia esclusivamente come “modernità”, per cui la trova esclusivamente nel rifiuto esplicito della tradizione, che gli appare una «rifritture di vecchie cotolette», nell’antisentimentalismo cinico alla futurista («che sia un “canto struggente” non me ne importa un c…..o!!!!»), nel rinnovamento linguistico o più precisamente lessicale (“hanno insanguinato il cielo come se fosse un mattatoio”…. il sangue non è versato ma è “crollato”… questo termine “crollare” accanto al sangue nessuno lo ha mai scritto ed è qui la modernità della Poesia»)?
    E non ha un po’ di ragione anche Ederle a rivendicare polemicamente che
    anche ricuocere vecchie cotolette (alias: insistere sulle forme consolidate della lirica amorosa) è un’arte non da tutti?
    Manca la mediazione possibile tra queste posizioni, ma converrebbe continuare a scavare nelle diverse ragioni di ciascuno.

  11. SEGNALAZIONE

    *In singolare coincidenza (sottolineature mie) con alcune delle brevi considerazioni che facevo nel commento del 23 settembre 2016 alle 21:24

    Infinito in quindici endecasillabi
    –di Alfonso Berardinelli
    http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-09-18/infinito-quindici-endecasillabi–160238.shtml?uuid=ADJ3LEMB

    Stralcio:

    Senza l’idea, senza il mito, senza un’idea mitica di poesia, sembra che questo genere letterario, che fu condotto dalla modernità a limiti estremi di essenzialità autoriflessa, sia oggi quasi impensabile. Dalla metà dell’Ottocento in poi (dopo Baudelaire), se non prima (dopo Novalis o Coleridge o Leopardi), i poeti hanno lavorato in presenza dell’idea di poesia. Un’idea asceticamente, realisticamente autolimitativa, eppure eroica e mistica. Hanno cercato protezione in una nuova idea di poesia e hanno lottato contro ingombranti eredità. Hanno scritto poesie per ubbidire a un’idea, per esemplificarla, o per spiegare, giustificare, celebrare il proprio fallimento sociale e la propria misantropica nausea del genere umano.
    È questo che ha trasformato molti dei maggiori poeti moderni in critici eccezionalmente audaci, acuti e severi. Il meglio della critica moderna è stato scritto in buona parte da poeti che hanno scelto e giudicato il proprio genere letterario come il primo o il solo capace di rivelare misteri e poteri del linguaggio e decidere che cos’è, in essenza, la letteratura, quale specifico inconfondibile uso della lingua fanno gli scrittori, o meglio “i più veri” scrittori, cioè i poeti.
    Così la filosofia, la teoria e la critica sono entrate nella poesia, l’hanno alimentata e identificata, dai primordi del romanticismo, già con Schiller, fino a metà Novecento. Nell’idea di lirica moderna erano contenute una volontà e una coscienza di discontinuità rispetto agli autori classici e a tutto il passato. Essere moderni voleva dire affrontare l’ignoto, azzerare la tradizione, reinventare le tecniche compositive, avventurarsi in zone inesplorate dell’immaginazione e dell’esperienza interiore, scegliere la libertà in solitudine, sfidare l’incomprensione del pubblico.
    Ma è anche vero che la tradizione secolare del poeta come sapiente, filosofo o erudito enciclopedico non solo è arrivata dalla classicità greco-latina fino a Dante, Milton, Goethe, ma in forme diverse, esoteriche, nichilistiche o neoilluministe, una tale tradizione è presente anche nei grandi moderni, Leopardi, Baudelaire, Valéry, Yeats, Eliot, Benn, fino a Auden, Czeslaw Milosz, Octavio Paz, Enzensberger. Questa lunghissima tradizione ha subito un crollo solo recentemente. In Italia sono stati poeti intellettuali, saggisti e critici di primo piano Montale e Saba, Luzi, Pasolini, Zanzotto e più limitatamente (perchè meno poeti) Fortini e Sanguineti.
    Due secoli fa e nella prima metà del Novecento i poeti ebbero bisogno di elaborare una nuova idea di sé perchè erano certi di essere una realtà nuova. Oggi una protettiva idea-mito di poesia prende il posto di una realtà poetica che non c’è, nonostante l’enorme quantità di testi pubblicati. A questo punto, nelle ultime propaggini di una postmodernità “mutata” perchè non più consapevole della modernità che l’ ha preceduta, l’idea di poesia si è ridotta a un fantasma nominale. Non è più teorizzazione in atto, è un principio vuoto su cui nessuno riflette perchè ha solo la funzione di giustificare a priori un’iperproduttività che, essendo culturalmente inspiegabile, non è neppure criticabile. È un fatto che la maggior parte dei critici ormai non si occupa più di poesia contemporanea. Dopo essere stata nel XX secolo al centro della cultura letteraria e degli interessi di chiunque si chiedesse «che cos’è la letteratura», la poesia scritta da autori nati dopo il 1940 è ridotta a una sopravvivenza marginale. Questo è dovuto senza dubbio anche all’indifferenza della critica e all’insipienza degli editori. Ma la causa è nel fatto che per riconoscere il valore, la qualità, la rilevanza e la stessa esistenza o meno di un poeta non si sa più quali argomenti e criteri usare. Criteri e argomenti condivisi non ce ne sono, di formazione del gusto è vietato parlare, e quindi qualunque giudizio critico competente può essere ritenuto del tutto arbitrario da chiunque, per qualunque ragione, non lo condivida.
    La lirica non è più un’“arte anacoreta” (come diceva Benn) né un uso autoriflessivo del linguaggio (come voleva Jakobson), ma un genere letterario autistico benché largamente praticato. Lo dimostra tra l’altro la stravagante attrazione che circola negli ambienti poetici per il genere di filosofia più gergale e tautologia: l’ontologia. Non c’è rivista di poesia che non esibisca Heidegger come santo protettore. È un guaio, una vera trappola. Un cercare di essere poeticamente senza vedere che dentro l’essere si spalanca il nulla, dato che l’uno e l’altro sono impensabili e indicibili.
    Si tratta invece di attenersi ai testi, al loro funzionamento, alla loro leggibilità, alle tecniche verbali, all’energia e vitalità linguistica, mimetica, espressiva, cognitiva, ludica di ogni singola poesia. La poesia ha sempre dimostrato che con la lingua si possono fare molte cose diverse, anche le acrobazie più sorprendenti. Si può dire moltissimo in un paio di versi o quasi niente in un libro intero. Si può riflettere, sognare, scherzare, inveire, raccontare. Proprio per questo, scrivendo poesia, anche fallire e barare è più facile e meno evidente che scrivendo saggi o romanzi. In mancanza di regole, in assenza di una comunità di lettori competenti e appassionati e di critici esigenti, per la poesia il rischio di autodistruggersi è sempre prossimo.

  12. ( riferendomi ai precedenti interventi ) :
    sono per le cotolette tradizionali , cucinate a regola d’arte , ma con l’apporto di quel quid di aromatico ( e di innovativo ) che faccia dire : ” caspita , ma solo tu sai farle così ! “

  13. Il fatto è che è complesso, complessissimo, dire in che cosa consista un rapporto amoroso che dura un lungo periodo di vita. Ederle dice il legame, e la reciprocità della consapevolezza. Tutto era chiaro, lui e lei sapevano l’identica tensione che occorre a far esistere la serenità e l’affetto “tutto è fabbricato amorevole e pietosamente/come nella fabbrica dell’operaio per/allungare”. La rettitudine che implica, il reciproco appoggio, la fiducia. A un certo punto Ederle parla dell’odorato “viandanti percossi dalla voglia/di viverla questa nostra esistenza e di odorarla/e di sentirla sulla nostra turgida pelle” e si sa che gli odori si sentono in parti primitive del cervello, è un senso antico e fondamentale per gli animali e per noi.
    La difficoltà di dire il rapporto è dovuta al fatto che l’altro è davvero un altro, un’altra nel caso in questione, irriducibile e estraneo. Ederle dice l’estraneità: il viso, la pelle, gli occhi, le pupille “ora vi richiamo alla fine del sonno stravaganti/e liberi come allora”, e racconta il patto: “tuo fare/pensieroso, ma tenue e pieno di docili sorprese”. Un rapporto amoroso che ha resistito alla voglia di inglobare e divorare, o ridurre a immaginetta sacra, a santino: “Oh, mio bianco viso, mia pelle bianca”.
    Poi la fulminante perdita “inconsistente adagiarti sul letto”, un “gracile imprevisto”, sullo sfondo dell’infinito cessare di ogni cosa.
    Che dire? A Mayoor, a proposito delle profumate furberie: il tutto sereno e funzionante erano braccio gamba mano piede e cervello, non il mondo in cui ci si suicida e ci si ammazza. Banale il “tutto sereno”? Perchè è banale che tutto sembri andare avanti come deve, anche variopinto, finchè si spezza, è uno sgarro e non c’è duplicato che tenga.
    A Sagredo, nell’espressione “le labbra/s’aprono e si chiudono nella bella lingua”, sottolineo il “nella” lingua, cioè Paola parlava il che si fa aprendo e chiudendo le labbra. Così come “tutto brilla nelle pupille” è l’osservare di lui il brillio degli occhi di Paola che segue con piacere lo svolgersi delle cose, e il cuore che “pulsa i suoi piccoli battiti” l’avrà sentito lui poggiando l’orecchio sul petto. Tutto molto concreto, indica l’accesso corporeo consentito entro la coppia. Ma se il problema è dire senza nominare, allora ripeto con Berardinelli:
    “Si tratta invece di attenersi ai testi, al loro funzionamento, alla loro leggibilità, alle tecniche verbali, all’energia e vitalità linguistica, mimetica, espressiva, cognitiva, ludica di ogni singola poesia”, tenendo lontana quella poesia “genere letterario autistico benché largamente praticato”.

  14. è ovvio che non ho nulla personalmente contro Ederle e i suoi sentimenti e ricordi ecc…. sono più nocive le parole citate del Berardinelli, che fra l’altro questi e tant’altri come lui – fossili che non hanno mai conosciuti la carnalità della Poesia – ancora credono di dire qualcosa che interessi la Poesia – sono stati sempre fuori luogo – logos della Poesia – quantunque ne abbiano parlato – e sempre a sproposito – nei loro anni mortali… questi critici che fanno e disfanno sono come quei professionisti del restauro che sfasciano città, opere d’arte e che architettonicamente conferiscono ai paesaggi brutture che spacciano per bellezza! Così anche in Poesia credono d’essere stati esaustivi con le loro indagini… altre “cotolette rimasticate” Majakovskij! – roba da intellettuali straparlare di Poesia senza essere Poeti, o meglio senza saper d’essere Poeti e così in tutte le altre arti… d’altro canto costoro sono esclusi dalla conoscenza del Canto.

    1. Potessi capire cosa corrisponde a “carnalità della Poesia”, che è bidimensionale su carta o aerea nel suono o mentale nella ricezione; e cos’è il logos della poesia fuori da Heidegger; e come si fa a capire se si tratta di brutture spacciate per bellezza o di bellezze spacciate per bruttura; e chi sono gli intellettuali che straparlano di Poesia (quelli so chi sono) ma “senza saper d’essere Poeti”: gente nella categoria del ferro di legno, no?; e di conseguenza: quale sarà la conoscenza o l’ignoranza del Canto?
      Difficile.

  15. @ Sagredo

    Ovvio che non sia Ederle persona coi suoi sentimenti e ricordi il tuo bersaglio. Ma bersaglio è il suo modo di fare poesia, che a te non va. E la critica a me pare cosa legittima, poiché ritengo che anche la poesia sia campo in cui si manifesta un conflitto. Preferisco però la critica argomentata e analitica a quella che, sulla base di alcuni dettagli, arriva immediatamente a stroncature sbrigative. Queste ultime ce le potremmo permettere solo se si avesse – cosa oggi impensabile – una certa condivisione su alcuni criteri di giudizio ritenuti validi da una parte significativa di quanti si occupano di poesia. E qui concordo con Berardinelli: « per riconoscere il valore, la qualità, la rilevanza e la stessa esistenza o meno di un poeta non si sa più quali argomenti e criteri usare. Criteri e argomenti condivisi non ce ne sono, di formazione del gusto è vietato parlare, e quindi qualunque giudizio critico competente può essere ritenuto del tutto arbitrario da chiunque, per qualunque ragione, non lo condivida».
    Siamo in un’epoca di caos e di confusione delle idee e delle pratiche (anche in poesia). E allora la visione della poesia che qui esponi (critici comunque “fossili” ma allo stesso tempo e contraddittoriamente “sfasciatori” di città o “rimasticatori di cotolette” o ovviamente “intellettuali” straparlanti a vuoto; Poesia “carnale”; logos estraneo alla Poesia; Poesia=Canto) guiderà la tua pratica poetica e avrà ascolto nell’area amicale di affini che la pensano quasi come te, ma non può pretendere, se non con un atto narcisistico inverificato o destinato ad essere verificato in un futuro insondabile, di parlare a nome della Poesia tutta. Ammesso che essa ci sia e ammesso che perseguirla oggi non comporti uno sbocco ipernostalgico e autodistruttivo. E qui prenderei in seria considerazione un’altra frase dell’articolo di Berardinelli, non citata nel mio stralcio: « In mancanza di regole, in assenza di una comunità di lettori competenti e appassionati e di critici esigenti, per la poesia il rischio di autodistruggersi è sempre prossimo».

    P.s.
    Anche le posizioni di Berardinelli (come la poesia di Ederle) andrebbero contestate o approvate, dopo averle lette con attenzione. In questo articolo, tra l’altro, quando scrive: «Ma è anche vero che la tradizione secolare del poeta come sapiente, filosofo o erudito enciclopedico non solo è arrivata dalla classicità greco-latina fino a Dante, Milton, Goethe, ma in forme diverse, esoteriche, nichilistiche o neoilluministe, una tale tradizione è presente anche nei grandi moderni, Leopardi, Baudelaire, Valéry, Yeats, Eliot, Benn, fino a Auden, Czeslaw Milosz, Octavio Paz, Enzensberger. Questa lunghissima tradizione ha subito un crollo solo recentemente», e accenna alle «forme diverse, esoteriche, nichiliste» si mostra più vicino di quanto tu possa pensare a quei filoni sapienziali, eruditi, enciclopedici che hanno alimentato la tua ricerca poetica.

  16. Via, non deviamo astutamente il flusso del discorso: dagli scritti di Ederle a quel che pontifica il Berardinelli. Non si pretende di dare giudizio della sua opera intera ma di quel che leggiamo qui, e delle altre poesie apparse su questa rivista.
    Già in Negrura Ederle descrive un ideale estetico del femminile che rimanda alle odalische di Ingres. Può piacere ma suona falso, come sono false le donne – che pure son bellissime – nei dipinti di Salvatore Fiume.

  17. Chiedo con forza alla poesia l’impossibile: che i “filoni sapienziali, eruditi, enciclopedici” scorrano in un dettato fresco e astuto, abbondante di limpida energia.

  18. Gentili signore,
    in passato avete commentato con favore imprevisto e con Vostra meraviglia i miei versi e avevate ragione… come critico sono colmo di errori poi che non è la mia professione… caro Ennio “di parlare a nome della Poesia tutta” non è una presunzione, ma è un dovere e un diritto allo stesso tempo ed io non mi sottraggo quando è necessario difenderla ed è quella “carnalità della Poesia” che il Poeta mette in atto… ma sono stanco e abbiate la compiacenza di leggere questi miei versi:

    Ai poeti grecolatini, i miei debiti

    Quel torpore che agli angeli dona un volo di disarmonie
    è l’istanza di una finzione che reclama un osceno canto,
    un salmodiare che nei miei impuri versi agli Enti Eterni
    lo sguardo distoglie dalle catastrofi tra ceneri di morti.

    Eppure io gradisco poco un verso fatto e limato,
    ma tu con le parole mi raggiri, e un patibolo per me,
    distratto, costruisci: tu sei il solo che dà retta alle mie inezie!
    La condanna è irriverente, come l’artiglio di una tragedia.

    La Notte che mi sfidava come il flauto di Marsia
    coronava di spazi strani i punti cardinali
    e la fronte di Antonio che crollava coi suoi natali –
    ma le sue pagine sono eterne, ben oltre la sua fine.

    Era quel rogo terminale tra coriandoli e scintille
    il capezzale dove la Trinità danzava come Valpurga,
    le mie narici si gonfiavano come vele infernali –
    sono stato inquietato dai canti e dai trionfi!

    Il sigillo dei miei canti mai spezzato da nessun oblio,
    né dal sole, non sarà più di una trascorsa terra,
    ma un pianeta altrove su altre cave orbite mi offrirà
    in ginocchio un’altra umanità –e sarò letto, io, ancora!

    E tra crudi inverni e balsami persiani saprò là
    ritrovare le mie cadenze, studieranno i lirici
    le mie canzoni, le elegie domino come i lauri,
    sarò sempre con voi, versi miei: schiavi, signori!

    antonio sagredo

    Vermicino, 28 febbraio 2008

  19. Ringrazio Antonio Sagredo per avere spiegato cosa intende per carnalità della poesia: la messa in atto, “ed io non mi sottraggo quando è necessario difenderla”. Questi versi “Ai poeti grecolatini, i miei debiti” chiariscono la sua idea, già per lui antica. Nella prima strofa “una finzione che reclama un osceno canto … impuri versi … lo sguardo distoglie dalle catastrofi tra ceneri di morti” e poi “tu sei il solo che dà retta alle mie inezie!/La condanna è irriverente, come l’artiglio di una tragedia”, sino al finale “il sigillo dei miei canti … mi offrirà/in ginocchio un’altra umanità –e sarò letto, io, ancora! … sarò sempre con voi, versi miei: schiavi, signori!”
    Mi scuso per avere ridotto in frammenti la sua elegia, solo per riassumere la sua pretesa di collegarsi e continuare un luogo mentale sempre abitato, “pianeta altrove”, con le sue cadenze e canzoni, E’ questo il Canto, su cui avevo ancora chiesto spiegazioni.

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