L’angelo della morte

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di Francesco Di Stefano

 

L’angelo della morte

Nessun patriarca ha ordinato
di tracciare sulle case di Amatrice
il segno distintivo di un popolo
eletto del Signore
affinché l’angelo passando
lo risparmiasse dalla più tremenda
delle piaghe.

Così quando l’angelo è arrivato
senza distinzione ha colpito duro nel mucchio
pago non soltanto della primogenitura
e alla fine dell’opera soddisfatto
è risalito al suo cielo
lasciando i superstiti a scontare
un ergastolo di dolore
settanta volte sette più intenso
della morte.

 

In cerca

la casa da sé scrolla le mura
come un cane zuppo l’acqua
nella notte che sbriciola mattoni
il tempo è lungo grido senza voce
masticando calcinacci con la bocca
che ha perso quasi tutti i denti
quando è esploso l’ultimo diaframma
fra la vita e la morte
e nessuno sa quale parte del tunnel
gli è toccata in sorte
nel buio a respirare nebbia polverosa
fino all’avarizia dell’alba
e al suo disastro
con scene da Platoon
in cerca di improbabile nemico
in cerca di un Dio che gioca a nascondino
da non fargli mai tana
in cerca nelle macerie
a mani nude
In cerca

 

Il dolore

il dolore non ha vasi comunicanti
per espandersi
come la vita è immanente
nidifica nel cuore raschiando
il midollo nelle ossa
quello di chi è sopravvissuto ai figli
e di chi precocemente è orfano
e di altri non meno intenso
con la ragione torturata dal perchè
madre terra si è trasformata in matrigna
facendo scattare la trappola
proprio sotto questo splendido paesaggio
con scene di guerra
di case bombardate e persone
ma non è la terra il nemico
di certo il marcio è in superficie
nell’arrembaggio del profitto
diffusamente condiviso
nell’arrogante pressapochismo e ignoranza
assurti a cultura dominante
dopo l’emozione globale
e l’etichetta rispettata fino in fondo
resta solo il dolore
destinato all’anestesia del tempo
e la cronaca che insegna
che tante promesse saranno marinare
e che l’eccezione spodesterà la regola
per discriminare

 

 

Il viaggio

del disastro nessuno ha cognizione precisa
Amatrice da sempre è terra di confine
la provincia estrema dell’impero
tenuta a bada da cani sonnacchiosi
con un occhio aperto e l’altro chiuso
per non vederci bene
adesso è Sub-Saharian d’Italia
un niente a confronto con le grandi migrazioni
ma ugualmente allo stremo anche senza guerra
con assenza di futuro e sindrome da cuculo
meglio raccogliere briciole e stracci
e affrontare il deserto sognando la costa
sud del mediterraneo
mettersi in mano ai trafficanti di uomini
bastano soltanto 2 barconi
magari assiepati fino all’inverosimile
per ricchi e privilegiati i posti sicuri
per tutti gli altri la tomba della stiva
in salamoia a gas combusti e nafta
nell’azzardo di calma di mare e felice traversata
con l’approdo finale a Lampedusa
isola generosa
Itaca di ogni rifugiato

 

 

Il sogno

La notte cerchiamo in un abbraccio
di unire le nostre paure
per farci coraggio
quello che conta è che siamo vivi
era scritto da qualche parte
che il terremoto non ci avrebbe avuto
la casa si è comportata bene
fedele fino all’ultimo respiro
tessiamone l’elogio e andiamo avanti
nel segno della corce dormiamo adesso
il sonno degli onesti e della speranza
che brilli ancora il sole sulle torri
quella di Amatrice nonostante tutto
pur se ferita
sopra le macerie è in piedi
del resto nel corso della storia
ne ha sopportate tante
ma non ha mai ceduto
che sia di esempio
adesso insieme è l’ora di sognare
ma non nella mano
che questo è solamente un freddo inverno
quando la terra in letargo si riposa
aspettando che arrivi primavera
per tornare di nuovo a fiorire
come noi amore

2 pensieri su “L’angelo della morte

  1. Alla tua bravura aggiungo la mia forte commozione. Una poesia alla forza, alla perseveranza, al grande amore per una terra che tornerà ad onorare i suoi abitanti. Grazie

  2. …una scrittura molto intensa che riflette quella che è stata una sventura collettiva di proporzioni inaudite vissuta in prima persona dal poeta Francesco Di Stefano. Non può esserci ombra di retorica nei versi di chi ha visto l’angelo della morte mentre agiva, fulmineo “…ha colpito duro nel mucchio” lasciando alle spalle un dolore immenso, a tratti inumano e “innaturale”, come per togliere un figlio al genitore e rendere orfano un figlio: “Il dolore non ha vasi comunicanti/ per espandersi/come la vita è immanente/ nidifica nel cuore raschiando/ il midollo dalle ossa” “in cerca” di corpi vivi e non più da disseppellire dalle macerie…Le poesie esprimono anche una parabola di consapevolezza di come alcune sventure siano da collocare nel panorama di una umanità “in viaggio” sempre dislocata per fame per guerre, e il terremoto lascia vittime e territori devastati come dopo bombardamenti, e mette in luce la corruzione e sopraffazione umana più che la violenza della natura…L’ultima poesia, “Il sogno”, vuole restituire un barlume di speranza a chi ha vissuto tanto orrore, speranza che dopo l’inverno la terra ritorni madre a ridonare i suoi frutti…Ringrazio

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