“Senza pace”: un’altra difesa è possibile?

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Anticipazione dal prossimo numero 12 di “Poliscritture” cartaceo in uscita prossimamente

Non poteva mancare tra le riflessioni proposte nel prossimo numero 12 di “Poliscritture”, dedicato ai temi della pace e della guerra e alle risposte che alla guerra si possono dare, l’approfondimento dei metodi per la risoluzione dei conflitti alternativi a quelli armati. In questa intervista a cura di Luca Chiarei ne abbiamo parlato con Mao Valpiana, presidente nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile “Azione nonviolenta”, fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari, Valpiana ha partecipato nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui è stato segretario nazionale. In questo post vi proponiamo uno stralcio della lunga intervista, che potrete leggere integralmente nel prossimo numero (L.C.)

Intervista a cura di Luca Chiarei

In questi anni il Movimento Nonviolento si è attivato nella Campagna “Un’altra difesa è possibile” per l’istituzione della la difesa civile non armata e nonviolenta. Che cosa si intende con questa definizione?

La “difesa civile” è una difesa che viene fatta dai civili, non dai militari, che è quello che dice la Costituzione, che affida al cittadino, non al militare, il sacro dovere della difesa della patria. “Non armata” vuol dire che non usa lo strumento militare (perché c’è anche una difesa civile armata, come quella applicata da una parte della Resistenza: i partigiani erano civili che usavano le armi. Andrebbe sottolineato come si sia trattato in gran parte di una resistenza civile e non armata. Essendo i Partigiani solo una piccola percentuale, avrebbero potuto fare poco e nulla se alla base non ci fosse stata una resistenza di tipo civile e rurale). “Nonviolenta” perché usa i metodi e le tecniche della nonviolenza. La Campagna per l’istituzione della Difesa Civile Non armata e Nonviolenta richiede tutta una riflessione, un coinvolgimento del Paese per aprire un dibattito sui concetti base, quali la difesa, la sicurezza di cui oggi si parla quotidianamente.
Ma il concetto non è astruso: se ci pensiamo bene uno degli elementi che maggiormente la caratterizzano esiste già. Quando noi ci affidiamo alla Protezione Civile, richiamiamo una parte di questo concetto. Ma anche quando il Paese si mobilita per aiutare L’Aquila, magari ospitando a casa gente che ha subito il terremoto e si crea un contesto di solidarietà; andiamo a ricostruire le scuole, aiutare gli studenti etc… questa è una difesa civile e non armata e fatta con i metodi della nonviolenza. La Protezione Civile in Italia l’abbiamo costruita così. Non esisteva ai tempi del terremoto dell’Irpinia. Nacque a seguito di quella sciagura poiché ci si rese conto del fatto che fosse necessaria un’organizzazione a tutela dei cittadini colpiti da calamità naturali, che allora non esisteva. In Irpinia mandarono i militari che non sapevano da che parte cominciare. Infatti fu un disastro. In alcuni paesi si arrivò a portare aiuto con tre settimane di ritardo. Ci fu anche il noto caso in cui l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, si sfogò dicendo che la situazione era inaccettabile. Da lì nacque l’idea di una struttura non militare per organizzare gli aiuti e gli interventi emergenziali. (Prima ancora successe un altro fatto drammatico a Firenze, dove a far fronte all’alluvione furono i giovani di tutta Europa spalando fango. Il governo italiano non sapeva come reagire).
Noi però siamo convinti che la Protezione Civile potrebbe fare molto meglio e molto di più, soprattutto sul lavoro di prevenzione: oggi abbiamo un corpo che interviene solo a disastro avvenuto. Sarebbe certamente meglio se il disastro venisse evitato del tutto, laddove possibile. Non possiamo prevedere tutto, ma tante cose sì: le frane ad esempio possiamo individuarle prima ed evitarle; quanto all’esondazione dei fiumi, sappiamo quali sono e perché esondano (prevalentemente per ostruzione e cementificazione). Ecco, l’organizzazione di una difesa territoriale di questo tipo, va sotto il nome di Difesa Civile non armata e nonviolenta (d’ora in poi DCNN). Noi sappiamo anche che ci costa molto di più ricostruire dopo, almeno dieci volte tanto secondo le stime, piuttosto che fare lavori di prevenzione o di sostegno preventivo. Allora investire sul territorio oggi, costa meno che intervenire sui disastri poi, come è facile dedurre dalle recenti alluvioni di Genova, La Spezia, Massa Carrara ed altre città. Stesso discorso vale naturalmente per i terremoti: costruire in modo oculato costa molto meno che dover ricostruire tutta la zona tra Modena e Ferrara (in cui si vedono ancora tutti i cantieri) come stiamo facendo. A L’Aquila poi non ne parliamo! Quindi è una questione anche di costi: con questo tipo di organizzazione non si spende 1 euro di più e nello stesso tempo si spende meglio, facendo risparmiare sia in termini di vite umane che di costi materiali.

A questo proposito La redazione di Poliscritture ha affermato in premessa a questo numero che «le guerre sono diventate “una caratteristica strutturale dell’ordine globale”. Pensiamo che studiare “il pensiero strategico contemporaneo, in massima parte americano”, non significa condividerlo, farlo proprio. Anzi conoscerlo, è il modo migliore per combatterlo». Tu che sei uno dei principali esponenti della nonviolenza organizzata in Italia ti senti di condividere con noi questa premessa?

Per attuare la nonviolenza, prima va fatta una buona analisi della situazione, altrimenti non si sa come affrontarla e si fanno disastri. Ora il contesto è indubbiamente molto complesso. Ciononostante possiamo certamente delineare alcuni elementi chiave: quindi prima di andare a contrastare l’Isis (o chi per loro) sul piano militare, cerchiamo di bloccar loro i finanziamenti; capiamo da dove arrivano o in taluni casi evitiamo di darglieli direttamente, smettiamo di fornirgli le armi, blocchiamo il mercato internazionale delle armi. In Libia le armi ad es. sono italiane o francesi. Quindi parlare oggi di difesa nazionale sul piano internazionale è diverso dalla difesa popolare dei confini. Una cosa non fatta e che bisogna fare tuttora è il sostegno anche finanziario, oltre che culturale dei gruppi di resistenza nonviolenta, civile e democratica che ci sono ad esempio in tutti i Paesi del Maghreb: sono stati lasciati a se stessi tanti giovani, studenti e così via. Della cosiddetta “Primavera Araba” dopo un mese se ne erano già dimenticati tutti. Di conseguenza, non avendo avuto il sostegno sono stati travolti dagli eventi.

Come ti spieghi che nonostante la condizione quasi permanente di conflitto che attraversa il nostro mondo, Europa e Italia compresa, sia scomparso pressoché totalmente un ampio movimento per la pace di massa come abbiamo conosciuto negli anni ’80?

Indubbiamente la situazione è molto diversa, sia sul fronte della geopolitica internazionale, sia sul piano del pericolo delle guerre di allora, che è molto diverso da quello delle guerre di adesso. Negli anni ’80 paventavamo possibile uno scontro nucleare con l’Unione Sovietica, e poi il muro di Berlino, i missili a Comiso ecc.. ecc… Era tutto uno scenario diverso. Adesso ci troviamo di fronte ad uno scenario della cosiddetta guerra infinita, dottrina politica avviata nel 1991: dalla prima guerra del Golfo in poi è stato tutto un continuo ed un crescendo. Dunque essendo mutata la situazione internazionale è cambiato anche il movimento per la pace e oggi non c’è più correlazione rispetto a quella situazione, quindi su questo sono d’accordo con te. Contesto invece che il movimento per la pace, per il fatto che non si senta, non ci sia. Diciamo che non si fa sentire con quei metodi, con quei numeri, con quella audience nell’opinione pubblica. Oggi sarebbe impensabile convocare manifestazioni in tutte le capitali europee con milioni di persone, non ce la faremo mai, questo è evidente. La realtà è che non c’è neanche la volontà di farle quelle manifestazioni perché ormai il movimento ha cambiato pelle, e secondo me non c’è neanche più la necessità di fare iniziative o avere una presenza sulla scena politica o culturale per dire no alla guerra, affermare le motivazioni profonde per essere contro…A mio parere queste cose oggi sono date per acquisite, fanno parte della struttura dei movimenti stessi, i quali da qualche decennio ormai cercano di elaborare una loro proposta e delle vere e proprie alternative come fare delle esperienze nei luoghi dei conflitti, e tessere relazioni. Diciamo che prima era un movimento molto ideologico che aveva necessità di andare in piazza e affermarsi e dire noi siamo questo, noi pensiamo questa cosa ecc… Ciò è servito a maturare, a crescere, a creare una classe dirigente del movimento per la pace (con il termine movimento per la pace si deve chiarire che si intendono molte cose, c’è di tutto e andrebbero fatte molte distinzioni). Conclusa quella fase il movimento per la pace ha assunto una strategia diversa, che è certamente meno visibile da quel punto di vista: non siamo nei giornali, non siamo invitati nei talk show e quindi sembra che non ci siamo per chi giudica la politica da quello che passa sulla stampa. Ma questo non significa che non esista, anzi per me è anche molto maturato rispetto a quegli anni. Ne sono passati quasi quaranta, nei quali c’è stata tutta una maturazione politica per la quale si è investito molto nel lavoro di elaborazione della strategia della nonviolenza ma anche di analisi rispetto a quello che succede, come ad esempio i dati sulle armi, sulle spese militari e le strategie militari.

Continua sul numero 12 cartaceo (uscita prevista: gennaio 2017)

2 pensieri su ““Senza pace”: un’altra difesa è possibile?

  1. Articolo interessante; tuttavia devo rimarcare un piccolo appunto storico: la Resistenza ha potuto molto perché supportata da un enorme sforzo militare di coordinazione, intelligence, logistica da parte di un colossale esercito alleato invasore che ha respinto i tedeschi e i fascisti dallo sbarco in Sicilia (quest’ultimo oltretutto fu favorito da accordi con la mafia, non dai partigiani…). Questo spiega il successo delle formazioni partigiane nel centronord.

  2. ….mi chiedo se non possa essere utile anche oggi un movimento mondiale per il disarmo, sia che si riferisca alle armi che
    esplodono e urlano nei vari conflitti, sia a quelle latenti e “silenziose”(le testate nucleari, le armi non convenzionali o quelle
    mediatiche ad espugnare direttamente i cervelli), le prime a oscurare il potenziale distruttivo delle seconde…ma poi mi
    chiedo se sia ancora possibile e quali gli ostacoli…

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