La favorita del Sultano

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di Arnaldo Éderle

365 erano le mogli del Sultano,
ognuna con la sua personale camera
da letto, vetri oscurati tende di raso
sanguigno ornate di draghi blu.
Nessuno le aveva già viste nessuno
le conosceva. Era un serraglio senza
alcuna via di uscita, tale quale
una magnifica prigione (ma si sa
le mogli del sultano non hanno uscita
se non alla loro sontuosa morte).
Una soltanto aveva il permesso di sortire
quando il grande Sultano lo desiderava:
la sua Favorita, donna splendida
con occhi di giada nera un petto
strabiliante e una pancia rotonda
morbida da toccare e piena di produnefumo
da odorare come un magnifico fiore.

Ma storie come questa ce ne sono mille
là, in quel luogo tra le dune
dei vani deserti, nelle fresche oasi
sotto palme verdi, nei santuari
del grande piacere tra cuscini e
materassi tra candidi tavolini di cristallo
posati su tappeti rossi frangiati su
gambe sottili e lavorate.

La Favorita però aveva di più, aveva
i suoi schiavi con enormi pettorali
e una gran borsa in mezzo
alle cosce, sempre pronti a obbedirle
a farla godere la loro magnifica padrona
nei lunghi intervalli d’amore del Sultano.
Ce n’erano altre 364 che aspettavano
il grande privilegio sdraiate nelle
loro stanze, nude e senza il minimo
pudore.
Ma forse è tempo di virare da questa
storia, di scovare la sua faccia torbida,
di scoprire il fallo del narratore
di dare la stura alle obiezioni
di questi frastornanti pensieri, in nome
della povertà e della presenza inumana
di queste frottole che ci infliggono vane
e insostenibili credenze come uccellini
vibranti nelle loro caste melodie.

Chi li segue questi trilli chi li
approva e li gode come annunci
di gioia e di ristoro senza porsi
domande, non sa quanto priva la vita
di soccorso quanto la priva
di sostanze di bontà di affetto
di comunità.
Oh, è vero, anche i poeti si riempiono
le orecchie di sultani e favorite, anche loro
le desiderano queste piacevoli esaltanti
storie, anche loro le sognano come eccitanti
paradisi.
Ma le gambe degli uomini non hanno più
muscoli per quelle ginnastiche
per quegli esercizi virulenti che eccitano
le folli fantasie corporali, non le pensano
non le sentono formicolare tra le cosce,
pensano ad altro alle loro spese ai loro
obblighi alle case,
e alle fameliche botteghe dove tutto supera
la loro forza la loro proprietà.
Lasciamola pure ai caldi deserti e
alle trepide palme la festa dei sensi,
delle favorite e dei loro sultani.

Oh, lo so, sono quadri che odorano di
arance mature, schizzi di miele condito
gracili frammenti di frenesie che esaltano
i corpi dentro le loro pelli amorose
nei loro fasci flosci e pronti al nascosto
piacere alle barbe stanche d’immobilità.
Coloro che vedono questi stanchi amori
ne sono abbagliati e li desiderano
come spicchi di fradice arance dentro
ceste d’oro e di grossi diamanti,
grappoli d’uva e pampini attorcigliati.
Ma il loro sapore è aspro forte e infocato,
chi li assaggia rimane in quel fuoco
non ha più tempo per il mondo,
forse non lo ama più.
Le frutta degli alberi le verzure le piante
non sono che fronzoli naturali che
non interessano più le loro gole il loro
stomaco indurito da sterili paglie.

Ah, dove sono le loro magnifiche
filosofie i loro stupendi affreschi
di parole riuniti da leggeri tratti
vergati sopra, appesi negli eleganti
drappi orizzontali come figure,
come segni d’intelligenza e di aerea
leggerezza?
Noi li ammiriamo e li adoriamo, sublimi
responsi divini, pratici esempi di umana
sollecitudine, e di esercizio impareggiabile
di beltà.

Coloro che non vedono più i vecchi sprazzi
di piacere condito, di palme intrise
di calori di vampate delle mani appiccicate
a pelli vogliose e baci languidi
e lunghi come la loro lunga fame di nulla,
sostengono ora la loro triste vita
in grigi cunicoli di fame e stenti la loro
tristezza, e cantano sommessi melodie
di lutto, e in quell’infinito lutto
spengono la loro amarissima vita.

Vale miei cari amici, vale miei dolci
compagni, l’Angela custode della
povera nostra esistenza vi accompagni
ancora
per il resto della strada.

5 pensieri su “La favorita del Sultano

  1. Seguo le altalene del tono, ad ampi pezzi lussureggianti, minati da sarcasmi e doppi sensi, seguono ripiegamenti, con accenni kirkegardiani, si susseguono eccitazione e ritiri, fantasie coloniali e ripiegamenti borghesi

    pensano ad altro alle loro spese ai loro
    obblighi alle case,
    e alle fameliche botteghe dove tutto supera
    la loro forza la loro proprietà.
    Lasciamola pure ai caldi deserti e
    alle trepide palme la festa dei sensi,
    delle favorite e dei loro sultani.

    Non c’è successione narrativa, ma sprazzi di fantasie e posizionamenti, slanci

    Ah, dove sono le loro magnifiche
    filosofie i loro stupendi affreschi
    di parole riuniti da leggeri tratti
    vergati sopra, appesi negli eleganti
    drappi orizzontali come figure,
    come segni d’intelligenza e di aerea
    leggerezza?

    e rinunce, fino al sincero finale affidamento dei “cari amici” e dei “dolci compagni” all’Angela che “vi accompagni/ancora/per il resto della strada”.
    L’Angela che è femminile perchè non fa parte della consunta maschile schiera degli angeli, ma di una una visione naturalistica, ovviamente e strategicamente sessuata.

  2. …in questa poesia i toni altalenanti e l’atmosfera irreale e persa di un harem da mille e una notte sembrano introdurre in un sogno inebriante e perverso, da cui ci si può risvegliare poveri e soli. La figura femminile prima declassata ad inflazionato oggetto di piacere, viene poi riscattata nell’immagine protettiva dell’Angela…
    Sacro e profano sono spesso accostati nella poesia di Arnaldo Ederle…

  3. Bravo Ederle come al solito.
    Sesso e basta come fosse l’unica scelta, la vita-
    Non demonizzato ma proposto nella sua visione più maschilista.
    Là in quel luogo dove le fiabe hanno un inizio e una fine dolorosa.
    Ma noi qui, siamo davvero diversi?
    Nessun serraglio per le nostre donne usate e poi uccise, migliaia ai bordi delle strade.
    Pochi soldi ma molto orrore.
    Ederle mi fa sempre andare oltre. Forse troppo oltre. Grazie

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