Su “PARTITA Penelope” di Simone Di Biasio

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di Luigi Paraboschi

Come appare dal sottotitolo (monologo in versi) questa breve silloge  di poesie si può definire “ monologo “ in  quanto l” IO narrante è quello di Ulisse,  sgomento e abbattuto  di fronte alla scoperta che al suo ritorno dopo venti anni,  la  consorte tanto vagheggiata nel tempo,  se ne è andata ,  come si legge nel suo cantare  sconsolato :

                                      ma io aspetto qui la tua assenza /  aspetto su questo sradicato ulivo la tua essenza

Confesso che a me,  uomo del nostro tempo ma ancora memore di ricordi scolastici, la figura di questo guerriero  un poco troppo furbastro non ha mai convinto completamente. La lettura dell’Odissea fatta a quindici anni poteva ingigantire nella fantasia di un ragazzo del ‘900 l’immagine dell’ astuto  avventuriero che partito al  seguito dell’imperialista (diremmo oggi) Agamennone,   più  fanatico di guerra del   giovane G. W. Bush,  artefice dell’espugnazione di Troia  per merito di uno stratagemma che soltanto degli ingenui (cosa che i Troiani, antichi precursori degli attuali Turchi, non dovevano essere di certo) avrebbero potuto considerare un ”dono“, senza effettuare  i  debiti  controlli   fuori del mura della città.
La fantasia del ragazzo di allora  accostava le gesta di questo guerriero  a certi  tipi riscontrati  nei romanzi di Hemingway , mentre  le tappe  scolastiche successive, formatisi su qualche veloce lettura di Dante, si soffermavano sulla figura di Ulisse  e lo tramutavano in una sorta di Marco Polo ante litteram,   espressione della volontà di conoscenza ,  della necessità di “ non viver come bruti “. Ma gli anni ’60 del secolo scorso  hanno riletto la figura dell’eroe omerico, come rileva molto intelligentemente Alessia Pizzi nella prefazione a questa silloge, quando scrive “ ……all’uomo non resta che imparare a fare gloriosamente la tela, in attesa di un ritorno che non è proprio tipico dell’animo femminile baciato dall’emancipazione.
E infatti l’uomo ritratto da Di Biasio è un redivivo che fa rientro a casa,  dopo venti anni  di  peripezie (a suo dire)  oppure ( a detta dei soliti maligni nella cui categoria ci iscriviamo per quello  scetticismo dovuto  all’età)  di bella vita trascorsa a fare il play boy in barca per il Mediterraneo. Ma suvvia, è la fantasia creativa della poesia a farci immaginare un tale che non si comprende come abbia potuto compiere tante imprese belliche ed erotiche nello spazio di quattro lustri, quando si sa che l’età media dei greci a quell’epoca si aggirava attorno ai vent’anni,  e quindi la contraddizione tra lo svolgersi degli avvenimenti del libro e la realtà del vivere rende evidente che la poesia, a partire da Omero fino a Di Basio, non è altro che una splendida invenzione al cui fascino è difficile resistere.

 L’autore di questa raccolta non ha saputo vincere la tentazione di smitizzare l’eroe greco,  e infatti lo rende ai nostri occhi un perdente (finalmente),  un tale che torna a casa dopo tutto quel vagare per mari e per terre e, dopo aver ritrovato cane e Proci,  dopo aver  rigustato il  letto  nuziale scavato nel tronco dell’ ulivo (ecologista ante litteram quell’Omero), scopre al risveglio che è stato lasciato dalla dolce Penelope. E qui mi piace citare  ancora la Pizzi nella prefazione che afferma molto  intelligentemente: “Come auspicava una lungimirante Virginia Woolf, gli uomini devono essere femminili e le donne maschili, per insinuare nella rigidità dei noiosi, intramontabili e obsoleti schemi la stuzzicante possibilità di poter imparare gli uni dagli altri. ” confermando in Di Biasio una chiara adesione al femminismo illustrata nella prosa poetica che segue:

 “Hai lasciato le tue cose, di là, anche i miei messaggi/ e nella cucina i bicchieri sono ancora di vino:/ nessuno sapeva delle tue carte cucite a mano/ vent’anni sono una carriera da navigatrice solitaria/ a corte ho ucciso quel finto re che sapeva a memoria il mondo/ e adesso i tuoi ditali sono sparsi a terra:/ non posso dirti se la gravità sia una forza o l’isolamento/ o se quest’isola mente che siamo mai esistiti”.

 E,  d’altro canto cosa poteva aspettarsi colui che afferma  che:
…………………….
col ventre a favore approdavo dentro le case
ho sfondato porte che credevo tue
entravo sempre in parti annunciate da acque rotte
non sapevo quali figli stessi mettendo al mondo

Verrebbe da commentare di fronte a tanto “ machismo” : “ te la sei cercata,  mio caro guerriero “, e mi sembra che questa sia anche  la posizione di Di Biasio che mette in bocca all’eroe una giustificazione di maniera come questa , visto che   non sa capire la differenza tra un sostantivo ed un aggettivo :

“è stata grata” – mi riferivano – e io non capivo
accostando per molto troppo tempo, grata di un muro
grata su una stanza sempre umida
grata su un buco in cui restare di notte affossata
e scusa, scusa ma non potevo sapere che
tessere non era atto, ma elenco di cocci
chiamata a raccolta delle sparizioni
non potevo sapere dei danni degli anni…

Un reduce che sa di avere la coscienza sporca, visto che per giustificare i venti anni di silenzio ha detto  di sé:
non potevo sapere i danni degli anni “

un avventuriero che  fa questa  sfacciata dichiarazione
…………………
io tuo burattino aprivo golfi come le tue cosce
ammaravo nelle insenature del tuo petto
col ventre a favore approdavo dentro le case
ho sfondato porte che credevo tue
entravo sempre in parti annunciate da acque rotte
non sapevo quali figli stessi mettendo al mondo

non può affatto meravigliarsi che sua moglie , al ritorno – non dimentichiamolo – e dopo avergli concesso ancora una volta la gioia del letto ritrovato:
…………………………………….
ricorderai i lunghi abbracci /tra Itaca e Troia, tra terra e oceano /ricorderai la notte d’amore più lunga /che ci rifece carne nelle carni /e sentimmo quell’ulivo così indurito /ora maestoso, cresciuto, come un figlio / ricorderai pure le telepatie le morbosità i silenzi

abbia deciso di “ partire “ come afferma il titolo della silloge.

E’ il caso di concedere uno sguardo indulgente  a questo povero diavolo di Ulisse, il quale giunto ormai ad un’età che comporta spesso qualche problema alle giunture e forse  anche qualche incontinenza alla vescica,  recita il suo atto di contrizione ed ammette la sue colpe  come un ometto del nostro tempo,  facendo considerazioni di  tipo metafisico  come in questo finale di partita:

“e voi cosa cazzo cantate?
cosa contate? cosa contate in questo viaggio?”
ho scoperto con mie mille perizie
come distinguere continenti e perdenti:
i primi non possono invadersi
perché il possesso è un’assenza
poiché niente è nostro, amore…
niente di quello che vedi ci appartiene
nemmeno questa zattera che mi sopravvive
nemmeno questo tizzone che mi solleva
nemmeno quell’ulivo che ci elevava
e la morte, persino la morte, a sopravviverci
questa svista che continua a vederci dacché
forse guardando basso troppo parliamo dell’alto
proprio come fosse tutto nostro
anche il mio cuore di ferro…

Non gli resta altro che attendere. Assiso sopra  quel mitico letto, sommerso da una serie di domande,  deve scontare le sue pene, invocando un aiuto, una risposta che forse non verranno mai,  ma credo sia questo il significato nascosto che l’autore vuole trasmetterci:

ora sciolgo la tua chioma, Penelope,
i capelli di Itaca sono recisi per sempre
taglio netto, come di chi abbatte sé stesso
ma il gesto risuona vuoto, irreperibile,
lacrima che non tocca terra: per dove sei partita?
dove? quale guerra combatti?

recami un ramo di quell’ulivo
o un messaggio in radiovisione:
a mare sarà inquieto viaggio
perché mai io vidi albe senza scosse
o tramonti che non invecchiassero
ma io aspetto qui la tua assenza
aspetto su questo sradicato ulivo la tua essenza
dove le ansie che ti davano il fianco hanno disegnato la
posizione del mio contorno, del mio ritorno .

 Concludo  il mio  girovagare tra le poesie di Di Biasio,  e cerco di uscire dal tono ironico che ho usato nella decodificazione del suo Ulisse per riconoscere all’autore una buona capacità di costruire il suo personaggio con una chiave di lettura molto  orientata a valorizzare il  punto di vista femminile ( e ciò farà felici le sue lettrici)  e non posso ignorare la notevole abilità di versificazione legata al verso libero  non priva di musicalità e ritmo che affiorano durante la lettura ad alta voce.

 

2 pensieri su “Su “PARTITA Penelope” di Simone Di Biasio

  1. ……davvero insolito e ironico il ritratto di Ulisse che Luigi Paraboschi ci restituisce dall’attenta lettura di “PARTITA Penelope” di Simone Di Biasio Un ritratto più umano e antieroico rispetto a quello della tradizione, dove l’eroe greco gioca sempre un ruolo da vincente: nelle guerra contro i troiani, contro gli dei avversi al suo ritorno ad Itaca, nei confronti del fascino femminile…in questi versi, invece, appare perdente nella “PARTITA Penelope”. Lei lo ha richiamato con tutta la sua forza a quel talamo in cui sta impresso il calco dei loro corpi, ma poi è “PARTITA”. Ulisse sembra perdere baldanza o, forse, si rende consapevole della sua sempre esistita paura ( di annullarsi nell’altro?)e fragilità “…poiché niente è nostro, amore/ niente di quello che vedi ci appartiene/ nemmeno questa zattera che mi sopravvive…” e, rivolgendosi a Penelope “…dove sei partita”/ dove? Quale guerra combatti?”
    Sembra un invito rivolto a Penelope perché, a sua volta, racconti la “PARTITA Ulisse”

  2. Il soggetto parlante è un uomo che non incontra, oggi, davvero, la donna, anche oltre “la notte d’amore più lunga /che ci rifece carne nelle carni”. Dopo ventanni Ulisse ritorna, cioè dopo la fine del lungo patriarcato, l’uomo torna a cercare un incontro vero, ma lei è altrove, in luoghi che lui non conosce.
    Ha vagabondato soltanto per sapere che “il possesso è un’assenza/ poiché niente è nostro, amore”, nemmeno la morte “questa svista che continua a vederci”.
    Qui io credo di poter leggere che il poeta è consapevole che la storia (la svista che continua a vederci), la tradizione, costruita per credere di sopravvivere, è una storia che è stata solo maschile, in cui lei non c’era, perché “guardando basso troppo parliamo dell’alto/ proprio come fosse tutto nostro/ anche il mio cuore di ferro”.
    Lei manca perché non c’era nei suoi vent’anni, nel percorso storico maschile.
    E ora lui può solo aspettare una assenza che è però “essenza”, nella ipotesi che la figura che lei accennava, il contorno che le ansie di lei disegnavano (e qui c’è un’allusione e un rovesciamento di Eva tratta dal costato di Adamo), la sua vuota forma, venga riempita, colmata, con il suo ritorno.

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