Appunti politici (1): su Bifo

populismo-2

Da Poliscritture FB a Poliscritture sito

di Ennio Abate

E’ uscito su “alfabeta 2” un articolo di  Franco Berardi Bifo, “Il populismo al tempo degli algoritmi / 2: Il diciassette che viene” (https://www.alfabeta2.it/…/speciale-populismo-al-tempo-deg…/). Ne riporto in maiuscolo  i passi più importanti (per me) con le mie obiezioni [E. A.]

1. Assenza di un «soggettività progettuale».

IN ASSENZA DI UNA SOGGETTIVITÀ PROGETTUALE CAPACE DI RICOMPORRE I PROCESSI SOCIALI SECONDO UN MODELLO DIVERSO DA QUELLO CHE SI STA DECOMPONENDO, IL CROLLO DEL CAPITALISMO PUÒ ESSERE INTERMINABILE E INFINITAMENTE DISTRUTTIVO. QUESTA SOGGETTIVITÀ, CHE NEL VENTESIMO SECOLO SI RICONOBBE NEL MOVIMENTO OPERAIO, OGGI APPARE DISGREGATA FINO AL PUNTO CHE NON RIUSCIAMO A INTRAVEDERE POSSIBILI LINEE DI RICOMPOSIZIONE.

Il succo non è diverso da quello che io ho sintetizzato con la mia battuta: « prepariamoci al “peggio” (il “trumpismo all’italiana” appunto!)». O da quanto ha scritto Badiou (nello stralcio da me riportato): « abbiamo la frustrazione popolare, la sensazione di un disordine oscuro, nell’opinione pubblica di molte persone, e principalmente nei meno abbienti, i cittadini degli stati di provincia, i contadini delle campagne, negli operai senza lavoro e così via – tutta la popolazione, che è progressivamente ridotta dalla brutalità del capitalismo, al nulla, che non ha possibilità di esistere, e che resta, in alcuni luoghi, senza lavoro, senza soldi, senza orientamento, senza una direzione esistenziale. E questo terzo punto è una condizione molto importante della situazione globale di oggi. La mancanza di direzione, di stabilità, il senso di distruzione del loro mondo, senza la costruzione di un altro mondo, quindi una sorta di vuoto disfacimento» (http://sinistrainrete.info/…/8513-alain-badiou-riflessioni-…)

2. Partiti di sinistra (europei e italiani)

QUANTO AI PARTITI DELLA SINISTRA EUROPEI, SI SONO FATTI STRUMENTO DELLA VIOLENZA FINANZIARIA, SI SONO PIEGATI AL FISCAL COMPACT E ALLE POLITICHE AUSTERITARIE ANCHE A COSTO DI SCOMPARIRE COME STA ACCADENDO.

Bifo ne certifica la morte o il suicidio. Si può pensare che la colpa sia stata dei «puristi di sinistra» che non hanno voluto sporcarsi le mani « con un po’ di pragmatica socialdemocrazia» (Ciriachi in un precedente commento). Resta da capire e pronunciarsi su questa morte o suicidio. Io personalmente propendo per il sì.

3. Ritorno al fascismo?

LA STORIA MOSTRA DI NON AVERE MOLTA FANTASIA, E STA RIPROPONENDO LA DINAMICA CHE PORTÒ AL NAZISMO E POI ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE.

È una posizione anche questa affine a quella di Badiou, che nell’articolo citato ha scritto: « In un certo senso, queste nuove figure politiche – Trump, ma molti altri oggi – sono vicine al fascista degli anni Trenta. C’è qualcosa di simile. Ma ora senza, ahimè, i loro nemici deli anni Trenta, che erano i partiti comunisti. È una sorta di fascismo democratico – una risoluzione paradossale – una sorta di fascismo democratico che è, loro sono all’interno del piano democratico, all’interno dell’apparato democratico, ma suonano qualcosa di diverso, un’altra musica, in quel contesto. ». Ne siamo sicuri? Non è un riflesso pavloviano sia quello di Bifo che di Badiou? È un punto molto delicato e difficile da chiarire. Perché entra in gioco l’immaginario di partenza di ciascuno di noi che potrebbe ostacolare un’analisi più lucida dei processi in corso. Non so se sia la storia che non ha molta fantasia o ne abbiano troppa Bifo e Badiou. E poi anche la definizione di «fascismo democratico» è talmente ambigua che va presa con le molle. E se quello che sta maturando fosse peggio del fascismo (storico)? E quindi fossero insufficienti anche le forme d’opposizione per così dire “antifasciste”?

4. Nazionalismo, sovranismo, populismo.

L’IDEA DI RESTAURARE LA SOVRANITÀ POPOLARE È UNA SCEMENZA. LA SOVRANITÀ, IN QUANTO FACOLTÀ DI GOVERNARE LA VITA SOCIALE SECONDO LE LINEE DELLA VOLONTÀ SOVRANA, È IRREVERSIBILMENTE PERDUTA PERCHÉ NELLE CONDIZIONI DI ACCELERAZIONE IPERCOMPLESSA LA VOLONTÀ È IMPOTENTE, E VIENE SOSTITUITA DA AUTOMATISMI TECNICI E LINGUISTICI AI QUALI LA SOCIETÀ NON PUÒ CHE SOTTOSTARE. INUTILE SPAZIENTIRSI E PROVARE FRUSTRAZIONE. L’IMPOTENZA NON SI CURA CON L’IMPAZIENZA NÉ COL VIAGRA DELL’IDENTITÀ NAZIONALE E POPOLARE.
IL POPOLO, LA NAZIONE SONO NOZIONI ROMANTICHE CHE IDENTIFICANO UN COACERVO DI SOGGETTIVITÀ SOCIALMENTE PRIVE DI POTENZA SOLIDALE. IL PROBLEMA CHE IL POPULISMO NON SA AFFRONTARE, FIGURIAMOCI POI RISOLVERE, È PROPRIO QUELLO DELLA SOLIDARIETÀ, O MEGLIO DELLA RICOMPOSIZIONE DELLE FORZE SOGGETTIVE DEL LAVORO. POPOLO E NAZIONE RITORNANO COME TENTATIVO REAZIONARIO DI RITERRITORIALIZZARE FORZE SOCIALI CHE HANNO PERDUTO OGNI RAPPORTO CON LA TERRITORIALITÀ.

Altro punto aggrovigliato. Il ritorno alla *sovranità* (nazional-patrottica o statalista o popolar progressista) è indicato come rimedio al neoliberismo globalizzante in vari modi. Seguo e cerco di confrontarmi ( ma con riserve e – sinceramente – sospetti) le variegate posizioni di Buffagni, di La Grassa, del FSI (Fronte sovranista italiano) di Formenti. Non mi sento di dire, come fa Bifo, che si tratta di scemenze, ma, pur nelle forme meno estremizzate ( ad es. questa segnalata su FB da Formenti: «Post-neoliberismo e la politica della sovranità» di Paolo Gerbaudo http://www.eunews.it/2016/12/02/73420/73420) sento qualcosa che cozza con la mia formazione di “marxista critico”.

5. Che fare e su chi puntare?

SOLO LA RICOMPOSIZIONE DELLA MINORANZA SOCIALE COSTITUITA DAI LAVORATORI COGNITIVI, CIOÈ COLORO CHE PROGRAMMANO LA MACCHINA GLOBALE E LE PERMETTONO DI EVOLVERSI E DI FUNZIONARE, POTRÀ METTERE IN MOTO UN PROCESSO DI TRASFORMAZIONE REALE. […]EPPURE LA POSSIBILITÀ DEL COMUNISMO, CIOÈ DI UNA SOCIETÀ LIBERA DAL RICATTO DEL SALARIO E CAPACE DI SOPPERIRE AI SUOI BISOGNI CON L’ESERCIZIO LIBERO DELL’ATTIVITÀ INTELLIGENTE IN RETE, RIMANE ISCRITTA NELLA CONOSCENZA E NELLA TECNOLOGIA, ANCHE SE L’ATTUALIZZAZIONE DI QUELLA POSSIBILITÀ È RESA TERRIBILMENTE IMPROBABILE DALLA COMPOSIZIONE CULTURALE E PSICHICA DEL LAVORO COGNITIVO PRECARIO E FRATTALIZZATO. […]
DOBBIAMO PENSARE ALLA SILICON VALLEY GLOBALE COME NEL ’17 PENSAVAMO ALLE OFFICINE PUTILOV E NEGLI ANNI ’70 PENSAVAMO A MIRAFIORI: IL REPARTO CENTRALE DELLA RIPRODUZIONE DEL MONDO, IL LUOGO IN CUI SI CONCENTRA IL MASSIMO DI SFRUTTAMENTO E IL MASSIMO DI POTENZA TRASFORMATIVA.

Se diffido della prospettiva sovranista altrettanto diffido di questa prospettiva “cognitivista” di Bifo, per quanto possa simpatizzare (ma poco) col suo immaginario utopistico. Non credo che è « dal risveglio etico di cento milioni di lavoratori cognitivi, di ingegneri e di artisti» che verrà «la sola possibilità di evitare una regressione spaventosa, di cui cominciamo a vedere i contorni». Il risveglio etico non basta. E l’esaltazione profetico-utopistica del soggetto sociale “decisivo” ( in questo caso i «lavoratori cognitivi», altre volte indicati dallo stesso Bifo con un termine ancora più astratto e indefinito: “cognitariato”) è in Bifo enfatizzata troppo unilateralmente grazie alla lettura fortemente antileninista che egli fa della storia del socialismo. (Cfr. prossimo punto 6)

6. Non liquidatemi Lenin [nota a]

TRASFORMARE LA GUERRA CIVILE IMPERIALISTA IN GUERRA CIVILE RIVOLUZIONARIA, DISSE LENIN, INTUENDO LA POSSIBILITÀ DI USARE LA GUERRA CONTRO IL CAPITALISMO. LE CONDIZIONI DELLA GUERRA SI RIPRODUCONO OGGI SU SCALA PLANETARIA, MA NON POSSIAMO RIPROPORRE IL ROVESCIAMENTO LENINISTA, PERCHÉ LA PRESA DEL PALAZZO D’INVERNO NON HA PIÙ ALCUN SIGNIFICATO NELL’EPOCA DEL DECENTRAMENTO BIO-INFO-POLITICO DEL POTERE. MA OCCORRE RIPENSARE IL SENSO DI QUELL’EVENTO. NELLA RIVOLUZIONE SOVIETICA È ISCRITTO IL DISPOSITIVO CHE HA MODELLATO L’INTERO VENTESIMO SECOLO: LA RIVOLUZIONE DI LENIN IMPOSE UN’IDENTIFICAZIONE MILITARE DELLE CLASSI SOCIALI. QUESTA FU LA SUA FORZA TATTICA CHE PERMISE AI BOLSCEVICHI DI PRENDERE IL POTERE. QUESTO FU IL SUO ERRORE STRATEGICO, E FORSE IL SUO CRIMINE. IL PARTITO OPERAIO SI IMPADRONÌ DELLO STATO, DELLA SUA STRUTTURA BUROCRATICA, DEL SUO ESERCITO, E SI CONTRAPPOSE MILITARMENTE ALL’IMPERIALISMO MONDIALE, TRASFORMANDO LA LOTTA DI CLASSE IN GUERRA NAZIONALE, E SOFFOCANDO I PROCESSI DI AUTONOMIA RIVOLUZIONARIA IN GERMANIA, NEGLI STATI UNITI E IN MOLTI ALTRI PAESI DEL MONDO.
NEL CORSO DI QUELLA GUERRA IL CAPITALE SUSCITÒ LE FORZE DEL FASCISMO PER SCONFIGGERE LA CLASSE OPERAIA. COM’È FINITA LO SAPPIAMO. IL COMUNISMO DI STALIN SI ALLEÒ CON LA DEMOCRAZIA ANGLO-AMERICANA PER SCONFIGGERE IL NAZISMO. IN SEGUITO LA DEMOCRAZIA CAPITALISTA HA SCONFITTO IL COMUNISMO SOVIETICO, E LA DEMOCRAZIA DIVENNE IL MITO POLITICO FONDAMENTALE DELLA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO. MA PRESTO SI RIVELÒ UN’ILLUSIONE: LA RIFORMA NEOLIBERISTA COMINCIÒ A CANCELLARE LA DEMOCRAZIA CON IL COLPO DI STATO IN CILE L’11 SETTEMBRE 1973, E CONTINUÒ A CANCELLARLA SISTEMATICAMENTE FINO AL LUGLIO DEL 2015 IN GRECIA.

Questa lettura a me pare riduca la posizione di Lenin a un piatto militarismo. Già ai tempi della Guerra del Golfo (1990) Fortini analizzò criticamente la formula di Lenin ( Cfr. «Otto motivi contro la guerra», in Disobbedienze II, pagg. 126-132, manifesto libri, Roma 1996) ma mai arrivò a dire, come Bifo fa oggi, che « la rivoluzione di Lenin impose un’identificazione militare delle classi sociali. questa fu la sua forza tattica che permise ai bolscevichi di prendere il potere. questo fu il suo errore strategico, e forse il suo crimine» e allineando disinvoltamente e sbrigativamente in un fascio unico Lenin, Stalin, il colpo di stato in Cile del 1973 e la Grecia del 2015. Sì, come dice Bifo, « il comunismo è stato sconfitto, e ora dobbiamo affrontare la guerra di tutti contro tutti», ma, per favore, non «in nome di niente». Qualcosa nella *nostra” storia ( e del pensiero di Lenin, genio politico e non ottuso militarista) può guidarci nel buio attuale.

[nota a]
Sempre in difesa di Lenin recupero quanto detto a proposito di Fidel Castro:

“Ho spesso citato il detto di Brecht: «Anders als die Kämpfe der Höne sine die Kämpfe der Tiefe! » (Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo![1]). Per dire che le nostre lotte – sicuramente sul fondo – hanno una loro specificità di cui va tenuto conto e non devono essere disprezzate. Ma – e le reazioni alla morte di Castro sono un’occasione per precisarlo – specifiche sono anche «le lotte sulle cime». E le scelte dei vari leader con gli errori e gli orrori che a volte comportano vanno giudicate alla luce di quel loro specifico contesto, diverso da quello in cui noi agiamo”.

[1] Bertolt Brecht, dal frammento La bottega del fornaio

16 pensieri su “Appunti politici (1): su Bifo

  1. Per allargare il discorso anche ad altre voci,riporto da “alfabeta 2” questo commento di Paolo Rabissi, redattore di Over Left:

    Paolo Rabissi scrive:
    4 dicembre 2016 alle 12:33
    A parte che sembra di leggere un romanzo di P.Dick (male minore peraltro) riporto due passi che mi sembrano emblematici:

    “Ma col secondo cervello dobbiamo confidare nella forza
    dell’imprevedibile: un movimento internazionale dei lavoro precario e
    cognitivo che stravolga dall’interno il funzionamento della macchina
    finanziaria globale e inizi un processo di solidarietà
    internazionalista”
    e:
    “Un processo di soggettivazione cosciente nella sfera del lavoro
    cognitivo nascerà forse come cura della sofferenza psichica, e quindi
    attraverso la riattivazione della corporeità erotica collettiva, e
    solo quando la mente collettiva interconnessa sarà in grado di
    riconoscersi socialmente ed eroticamente in una corporeità collettiva
    emergerà l’energia necessaria per un movimento di fuoriuscita
    dall’ordine distopico che si sta instaurando. L’attività di
    trasformazione si manifesterà allora come forza di ri-programmazione”

    sono due passaggi che mostrano l’impasse di un pensiero incapace di rendere concreto un discorso che nelle sue affermazioni generali, a parte certi discutibili giudizi storici (per i quali valgono le osservazioni di Abate), posso anche condividere. Non riesce a porsi la domanda giusta e cioè: in che modo è possibile pensare a un processo di soggettivizzazione organizzativa del lavoro cognitivo e precario? L’astrattezza del prendere come punto di partenza il lavoro generico ci porta molto ma molto indietro, a un livello premarxista, preleninista e, con quella riattivazione della corporeità erotica collettiva anche pre-psicanalisi. Si può e si deve ripartire dal lavoro cognitivo e precario ma solo a patto che la si smetta di parlarne in astratto, occorre ricominciare dalla composizione di classe, occorre cominciare a parlare prima di tutto di lavoro produttivo e lavoro riproduttivo, di lavoro di genere, di lavoro di etnie, di lavoro immigrato. Qualcosa proponiamo nel numero 12 di http://www.overleft.it

  2. Più lo rileggo e meno mi convince, questo articolo di Bifo, e per me non varrebbe la pena di ragionarci sopra, se non fosse che più di qualcuno lo ha trovato utile e buono. Quindi cercherò di mostrare la trappola logica su cui il discorso di Bifo poggia, per cui arriva poi ad analisi cieche e a prospettive improbabili.
    Bifo parte da tre termini importanti, una impalcatura su cui svilupperà l’argomentazione. I tre termini, o meglio idee, sono: 1) ricomposizione delle forze soggettive del lavoro, o anche solidarietà; 2) territorialità, popolo e nazione come “tentativo reazionario di riterritorializzare forze sociali che hanno perduto ogni rapporto con la territorialità”; 3) corpo demente correlato all’astrazione, “sulla scena globale si muovono oggi due attori: l’astrazione globalizzante e i corpi identitari incapaci di universalità. La corporeità demente confligge con l’astrazione prodotta dal cervello finanziario: un’onda identitaria nazionalista sessista e religiosa monta nel mondo”. Si noti: astrazione e demenza sono legati in una coppia, come dritto e rovescio, come in una moneta (!), e sono ognuno solo mezza realtà, impossibili l’uno senza l’altra.
    Dunque: la ricomposizione è impossibile, la territorialità è illusoria, il corpo demente è la conseguenza; ma il corpo demente rende impossibile la ricomposizione, che solo si illude di ricostituirsi in identità territoriale, e il cerchio si chiude.
    Un altro errore logico di Bifo è quello di fare suo il quadro minaccioso disegnato da un articolo di Brzezinski. Brzezinski vuole allarmare l’America e prepararla a reagire, quella analisi serve a Bifo solo per scavare in uno sterile senso di colpa.
    La descrizione dei processi politici in corso, come della realtà storica passata, sono quadri allucinatori di cui i soggetti sono entità astratte. Per esempio: “Dobbiamo imparare a ragionare con *due cervelli*. Il primo cervello deve avere piena coscienza della deriva disastrosa in cui siamo entrati, e della nostra impotenza a fermarla… Ma col secondo cervello dobbiamo confidare nella forza dell’imprevedibile…”.
    Il soggetto due cervelli implica: a) scissione, tra b) analisi devastante e c) ricorso alla *magia dell’imprevedibile*. Imprevedibile sarebbe così quella che è invece l’ipotesi di Bifo per una concreta ricomposizione: “un movimento internazionale dei lavoro precario e cognitivo che stravolga dall’interno il funzionamento della macchina finanziaria globale e inizi un processo di solidarietà internazionalista”.
    Queste realtà fantastiche sono utili solo a fondare svalutazione e senso di colpa.
    Indico allora tre linee lungo le quali non si incontrano corpi dementi, ma reali e intelligenti. Il primo tipo di corpi reali e intelligenti sono, per esempio, quelli che hanno resistito nei territori occupati dai nazisti nella IIGM. Il secondo tipo sono i corpi capaci di sublimarsi in idealità, intellettuali, mentali, spirituali. Il terzo tipo sono i corpi fisici capaci di impegnarsi volontariamente nel lavoro, nell’opera, nell’allevamento, nell’educazione. Donne e uomini.

  3. Per giocare all’Angiolieri (Cecco):
    “S’io fossi” un lavoratore o precario o disoccupato statunitense costretto alla canna del gas dalle politiche economiche della globalizzazione (leggasi compressione dei salari e utilizzazione dell’emigrazione come esercito salariale di riserva – e qui mi viene in mente il film di Monicelli, “I compagni”, coi crumiri che… ma lasciamo perdere), al momento del voto, o non andrei a votare (e infatti gli Usa hanno un’alta percentuale di astensione) o, accettando il giogo del bipartitismo, per chi voterei per esprimere la mia rabbia? Non certo per la farlocca Clinton, socia del farlocco Obama. Quindi…
    “S’io fossi” un lavoratore o precario o disoccupato francese o italiano (vedi sopra per i requisiti), al netto dell’astensione per chi andrei a votare? Per il traditore di lungo corso PS (ricordiamo l’archetipo: Mitterand) Hollande, o il discepolo Walls? Per il PD, la cui subordinazione ai poteri forti (meglio: dominanti, “poteri forti” è una tautologia, s’è mai visto comandare un “potere debole”?) è sotto gli occhi di tutti, anche dei ciechi? Per un PD che ha fatto e fa, con accelerazione dal 2002, il gioco sporco per le élite (in neo-lingua, altrimenti leggasi “poteri finanziari”) europee e transeuropee? Il seguito è da tempo noto, e per questo la Le Pen in Francia, La Lega e i 5S in Italia sono così gettonati. E proprio da coloro che hanno avuto un trascorso di sinistra.
    Ma, si dirà, la “soggettività progettuale” si colloca a monte di questa realtà fenomenica. E la sinistra dovrebbe farsi carico di ricomporre i processi sociali secondo un modello diverso, di guidare, di dirigere, ecc.
    Falso problema. La sinistra non può farlo perché non esiste (più). Non nel senso che non ci sono più né sinistra né destra, ma nel senso che oggi ci sono solo destra e destra. Al netto dell’esistenza d’una sinistra immaginaria, che sopravvive quale idealità nell’animo di pochi, la sinistra reale, quella “di massa”, più che suicidata si è dissolta al termine d’un lungo percorso di revisioni profonde del suo pensiero (non già tradimenti: quelli sono effetti), abiure, cambiamenti sostanziali della sua composizione sociale, cambio di “padrone” internazionale, ecc. Risultato? Una sinistra filo-capitalismo finanziario e industriale, che è una contraddizione in termini, e che quindi come sinistra non esiste più. Ci si metta una pietra sopra. Del resto, come può esistere una sinistra che rivendica orgogliosamente di aver presieduto alla nascita dell’euro e della UE? Il capitalismo reale oggi in Europa per mantenere il suo dominio ha bisogno di strumenti adeguati, e l’euro gli assicura la compressione dei salari, la precarietà del lavoro, la disoccupazione strutturale e le politiche di austerità. Il Trattato di Maastricht poi gli assicura la mobilità del lavoro, e la BCE l’indipendenza dagli stati. Se questa è la situazione reale, e se si vuole lottare contro il capitalismo del Duemila e non quello dell’Ottocento, appellarsi a un internazionalismo dei lavoratori è perdente, oltreché illusorio. Non riesco a vedere armate di proletari in marcia sul palazzo d’Inverno a Bruxelles. E guidate poi da chi? Da partitini di sinistra la cui percentuale elettorale è da prefisso telefonico? E che tale resta malgrado tutte le ri-fondazioni della sinistra? Mentre vedo la fattibilità d’una lotta nazionale, d’una presa di coscienza nazionale (e qui lo studio delle nuove composizioni sociali sarebbe importante) volta al recupero della sovranità economica, monetaria, legislativa, costituzionale. Non è un mistero che la Costituzione italiana configga con i trattati europei. E non è un caso che la destra (quella ex di sinistra) voglia abolire la Costituzione (troppo “socialista”, secondo quanto ha detto una società finanziaria “amica” della destra ex-sinistra). Questo, a mio avviso, è l’unico punto di partenza possibile. Altrimenti, per citare un mio economista di riferimento, le politiche di destra continueranno ad aiutare la destra. E altrimenti dopo Hollande ci sarà la Le Pen, dopo Tsipras Alba Dorata, dopo Renzi il M5S, dopo Obama Trump… anzi quest’ultimo c’è già.

  4. …nell’articolo di Bifo non mi convince quel riferirsi alla Silicon Valley, riconosciuto luogo di potere virtuale che si trasforma in reale finanziario, decisionale, di manipolazione dei cervelli (in grande misura), come unico possibile luogo di riscossa contro lo stesso strapotere ad opera dei lavoratori cognitivi che recuperassero quel sentimento di solidarietà tra umani che è venuto a mancare…Non sono convinta perchè l’operazione non passerebbe attraverso la coscienza dei singoli, che rimarrebbero asserviti al potere ipnotico della macchina, nel male come nel bene…Insomma bisognerebbe cercare di togliere lo scettro all’elettronica…Ma poi mi dico: ed io in questo momento cosa sto facendo?

  5. Bifo con le sue teorie, era per me assurdo ed incomprensibile fin dagli anni 70 ( ma di certo il limite era ed è ancora mio ) e quindi ammetto di non essere mai stato in grado di capire né lui, né altre menti molto più preparate della mia che scrivono qui, però mi sento di sottoscrivere in pieno la chiarezza e l’analisi di quanto espresso su questo sito da Roberto Bugliani [non Buffagni. Correzione di E. A.] nel suo intervento precedente, e mi complimento con lui per la sua analisi, lucida, semplice, e soprattutto comprensibile. quando dice ” La sinistra non può farlo perché non esiste (più). Non nel senso che non ci sono più né sinistra né destra, ma nel senso che oggi ci sono solo destra e destra. ”
    ( applaudo n.d.r. )

  6. @ Bugliani

    «“S’io fossi” un lavoratore o precario o disoccupato»…
    Ma non lo sei, non lo siamo e forse parlare a loro nome significa semplificare l’oscura realtà che viviamo dalla nostra collocazione ( di pensionati, scrittori, intellettuali senza più mandato, ecc)…
    E poi – questo è il mio dubbio più grosso – davvero i personaggi o l’ideologia, in cui questo tuo * ipotetico* lavoratore precario o disoccupato riponesse le sue speranze o a cui affidasse la sua protesta, le gestiranno a suo vantaggio (anche minimo)? Accettando, come tu dici, « il giogo del bipartitismo o l’astensionismo» si esce davvero dalla (cattiva) globalizzazione? E davvero si troverà un rifugio nazionale o patriottico sicuro? Non è che oltre alla Clinton e ad Obama è «farlocco» anche il miliardario Trump (o da noi la LePen o Salvini o il M5S)?
    Siamo in una pessima situazione, che ci spinge a scegliere. Ma la scelta è tra la padella e la brace. A me pare che manchi l’alternativa che fa per noi e eventualmente per i lavoratori i precari e i disoccupati. (Cfr. lo scritto di Badiou che ho segnalato: (http://sinistrainrete.info/…/8513-alain-badiou-riflessioni-…). E, in mancanza dell’alternativa, siamo sollecitati, in modi bruschi o suadenti, a scegliere il meno peggio. (Che, a seconda dei casi e delle nostre paure o dei nostri immaginari di partenza, può essere Renzi o Salvini o Grillo). Quelli che “la politica la fanno”.
    Che siano tanto «gettonati» i “protestanti” d’oggi («la Le Pen in Francia, La Lega e i 5S in Italia») non garantisce, secondo me, che il gettone funzioni e, inserito nella loro macchinetta politica, ci dia qualcosa che davvero desideriamo. Come non funziona più il gettone della “sinistra”, che – appunto – non esiste più da tempo. (Già Marco Revelli negli anni ’90 parlò di “due destre”). Se non come «sinistra immaginaria» e « sinistra filo-capitalismo finanziario e industriale». Tant’è che, da tempo, su Poliscritture ci siamo dibattuti ( in verità sempre più stancamente e disperatamente) di fronte all’aut aut : rifondazione ( della sinistra, del comunismo) o esodo. Di « armate di proletari in marcia sul palazzo d’Inverno a Bruxelles» non ne vedo neppure io. E su questo concordiamo. Non concordo, invece, con la soluzione che, in tanto buio, fai (miracolosamente?) comparire: «la fattibilità d’una lotta nazionale, d’una presa di coscienza nazionale (e qui lo studio delle nuove composizioni sociali sarebbe importante) volta al recupero della sovranità economica, monetaria, legislativa, costituzionale».
    Riprenderò la questione in un Appunto (2) che sto preparando. Ma per ora ti chiedo: perché, secondo te, sarebbe più “fattibile” questa ipotesi? Perché sarebbe « l’unico punto di partenza possibile» e non sarebbe illusoria e perdente ( per il tuo ipotetico precario o disoccupato) quanto lo è l’ « appellarsi a un internazionalismo dei lavoratori»?

  7. Credo che dopo le analisi che hanno portato al postmodernismo prima e alla società “fluida” poi, serva ora un’azione, per così dire, di condensazione. Non a caso si discute di sinistra e destra, si ragiona per blocchi, per contrapposizioni di elementi, anche mobili, ma su scacchiere forse obsolete, o rese tali da vecchie procedure: certezze da rivedere perché ormai troppo corrose dal dubbio. La vecchia sinistra, la sola capace di vedere ovunque il fascismo, esiste ancora; come esiste la destra che si vede circondata da comunismo. Punti di vista opposti ma simili.
    Personalmente non credo ai miraggi della Silicon Valley. Cristiana Fischer da un lato ha ragione – da un lato del cervello – dall’altro secondo me sbaglia a pensare alla politica come operosità, se ho ben capito, nel muoversi sui bisogni perché anche questo deriva da mentalità corrose, oltretutto difficili da praticare perché ci si trova immediatamente a dover fare i conti, in senso letterale, con la disponibilità del sistema finanziario il quale ha perso ogni interesse per le vicende umane. Insomma, chi volesse non ce la può fare: questi sono i soldi, al massimo ci sta la paghetta, 80 euro per un fine settimana a Mestre, neanche a Venezia.
    Tuttavia penso di Bifo abbia ragione quando sostiene che serve “un movimento internazionale dei lavoro precario e cognitivo che stravolga dall’interno il funzionamento della macchina finanziaria”, perché così dicendo Bifo tenta di sottrarsi al pensiero puramente economicistico; poi, dove vada a parare non so, non ho letto il suo articolo. Non mi sconvolge tanto la «riattivazione della corporeità erotica collettiva» perché la trovo conseguente all’abbandono di vecchie mentalità; più che altro mi infastidisce che a conclusione si giunga sempre a confidare su “l’imprevedibile”, cosa che ogni tanto mi sembra fare anche La Grassa. Anche l’imprevedibile appartiene secondo me a vecchia mentalità: un riflesso ideologico, come destra e sinistra, che inquina il necessario pragmatismo appellandosi a speranza e buona volontà, mentre invece servirebbero idee. Almeno questo Bifo l’ha capito, d’altra parte, se non ricordo male, era nell’ala “creativa” negli anni che furono. Lo dimostra l’invenzione del termine “cognitariato”.

  8. … intanto salutiamo la nascita del partito Democrazia Renziana; parola d’ordine Rinnovamento, con regolare mandato da parte di numerosi elettori ma senza il mandato di quelli che dall’alto posero Renzi a Presidente del Consiglio.
    Sappiano però che anche la fame aguzza l’ingegno.

  9. @ Ennio,
    nemmeno Cecco Angiolieri era “foco, vento, acqua…”, eccetera, ma ciò non toglie che la sua irata immaginazione ha segnato una pietra miliare nella storia letteraria. Vabbe’, dirai, quella è poesia, il mio solo un commento irato (ma tale distinzione non è detto che funzioni sempre, perché la poesia tardomoderna può avere anche la forma d’un commento).
    Comunque, voglio risponderti citandoti una mail che ho ricevuto ieri:
    “Sconfitto Renzi, ora al lavoro a creare le condizioni per costituire un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate e attuare direttamente le parti progressiste della Costituzione del 1948 fino a costituire il Governo di Blocco Popolare!
    Con l’attuazione diretta e da subito nella misura più larga possibile delle parti progressiste della Costituzione del 1948, le masse popolari organizzate creano le condizioni per la costituzione del loro governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare! Le Sei Misure Principali del GBP traducono in misure pratiche le parti progressiste delle Costituzione del 1948 che la Repubblica Pontificia ha violato o eluso e consolidano adeguandole alle condizioni attuali le conquiste che le masse popolari hanno già strappato”.
    A me queste parole, suggellate dal simbolo della falce e martello, paiono né più né meno che deliranti. E non perché il mio vecchio, nostalgico animo comunista non ne condivida l’idealità, ma semplicemente perché sono destinate alla sconfitta. La gente, il popolo, le masse (o i cosiddetti votanti), oggi, dopo decenni di bombardamento mediatico e politico anticomunista (giusto o sbagliato che fosse), e soprattutto dopo decenni di abiure, inganni, voltafaccia e lavoro sporco della “sinistra-destra”, ha il rigetto di questi simboli, di questi discorsi che, per sancire l’appartenenza, si fanno precedere da connotazioni politiche a vario modo screditate. Se alla gente ti presenti con un apparato di simboli e riferimenti così inadeguato rispetto alla realtà odierna, è logico che il tuo seguito politico in percentuale sarà quello da prefisso telefonico.
    Quindi, e concludo stringendo sulla tua domanda, ritengo che, se oggi bisogna lottare (per chi vuole farlo, e ciascuno a suo modo) contro gli strumenti attuali (e sottolineo attuali) del capitalismo, e non contro quelli utilizzati dal sior padron “dalle belle braghe bianche” d’ottocentesca memoria, colla speranza di costruire un mondo diverso (e ciascuno qui ci può mettere i suoi motivi d’opposizione e di lotta), ebbene questi strumenti sono, nello spicchio d’emisfero in cui viviamo, l’euro e l’UE. Perché sono l’UE e l’euro, e non certo lo “spirito” astorico del capitalismo, a comprimere i salari, i diritti sociali e la sovranità nazionale, nello scontro (attuale) tra capitale e lavoro. E questa lotta non può che avere una dimensione nazionale, sia politica che culturale.
    Ah, come poscritto: Non ho mai pensato, scrivendo il mio commento, d’essere originale. Molte cose che mi citi non le conosco per ignoranza, per altre, come lo scritto di Badiou, mi dispiace dire, perché è un autore che stimo molto, che stavolta non ci ha capito un cazzo, e a suo modo indulge anche lui al cliché “Trump brutto”. E preciso: non che per me Trump sia bello, ma può svolgere un ruolo positivo nella attuale geopolitica (rapporti con la Russia, sconfitta dei neocon clintoniani, ecc.)

  10. @ Bugliani

    « A me queste parole, suggellate dal simbolo della falce e martello, paiono né più né meno che deliranti» (Bugliani)

    Anche a me. Ma perché dobbiamo pedinare i deliranti che pensano di stare ancora nell’Ottocento e vedono padroni ancora “dalle belle braghe bianche”?
    Io però ti ho fatto una domanda precisa. La ripeto: una «lotta nazionale», «una coscienza nazionale» che prevede il « recupero della sovranità economica, monetaria, legislativa, costituzionale» è davvero « l’unico punto di partenza possibile»? E perché? C’è davvero coincidenza d’interessi tra chi vorrebbe lottare contro la compressione dei salari e dei diritti sociali e chi vuole la «sovranità nazionale»?
    Quanto a Badiou. Sì, indulge al cliché “Trump brutto” o “fascista” ( ma quelli che presentano il suo articolo prendono le distanze e io pure avanzo dubbi sulla definizione) ma sei proprio convinto che Trump svolgerà « un ruolo positivo nella attuale geopolitica»? Io no.

  11. @ Ennio,
    la coincidenza di interessi tra chi vorrebbe lottare contro la compressione dei salari e dei diritti sociali e chi vuole la sovranità nazionale, se riguarda i dirigenti politici non mi interessa, se riguarda invece il miglioramento delle condizioni materiali dei ceti sociali lavorativi (o precarizzati, o disoccupati), è nei fatti. Il recupero della sovranità monetaria, economica, politica e costituzionale va di pari passo con l’abolizione dei vincoli esterni (il cui vincolo esteno principale è la moneta unica), da Maastricht in poi, vincoli che la storia italiana ed europea, dal 2011 almeno (la defenestrazione di Berlusconi, o “La liberazione” montiana, come aveva titolato “L’Unità”), ci ha dimostrato essere inemendabile, mentre nel contempo la “vicenda” Tsipras ci ha mostrato che un’altra Europa NON è possibile. Se l’effetto sostanziale del cambio fisso è che, non potendo svalutare la moneta, svaluti il salario per recuperare posizioni di competitività sui mercati, specie dopo uno shock esterno (la crisi del 2007-8), restaurando una dinamica ordinaria del cambio fluttuante, il conflitto capitale/lavoro non si troverebbe nella condizione in cui è, ossia col capitale vittorioso su tutta la linea grazie a questi strumenti che si coniugano perfettamente con la globalizzazione. Certo, il capitalismo esisterebbe (ed è esistito) anche senza l’euro, ma senza aggredire questa punta di diamante attuale del capitalismo, le condizioni materiali e la qualità della vita dei lavoratori sono destinate a peggiorare. Senza il vincolo esterno della moneta unica, ritengo che la dialettica capitale/lavoro riprenderebbe il suo cursus storico altalenante, dove sarebbe possibile, se i rapporti di forza sono favorevoli, registrare anche vittorie del lavoro (come alla fine degli anni ’60). Invece in questa situazione bloccata artificialmente, si ha solo un susseguirsi di sconfitte.
    Inviterei anche a non considerare pregiudizialmente il nazionalismo come un elemento screditato da un passato politico negativo. Oggi un nazionalismo fondato sul recupero della sovranità nazionale è un obiettivo imprescindibile. Questa tensione nazionalista va contro i disegni e le dinamiche messe in atto dal grande capitale. Inoltre, il termine nazionalismo sconta la negatività di cui è stato caricato dalla vulgata marxista. Ma mi risulta che anche Marx abbia salutato con entusiasmo le lotte di liberazione nazionale del 1848 in Europa. E la lotta di liberazione nazionale (anche quella di oggi contro l’€pa a suo modo la è) ha sempre preceduto la nascita d’una società socialista. Anche Cuba è diventata socialista non seguendo pedisequamente un progetto iniziale, ma in virtù della dinamica politica post-rivoluzionaria che ha visto gli Stati Uniti allontanarsi e osteggiare il nuovo stato cubano. Il mito dell’internazionalismo (“proletari di tutti i paesi unitevi” – sì, ma dove? e come?) è stato fortemente ridimensionato dalla storia. La rivolta spartachista nella Germania del ’19 (cioè in uno stato europeo fortemente industralizzato che avrebbe dovuto dare il là alla rivoluzione mondiale, secondo la visione internazionalista) è stata soffocata nel sangue. Il risultato è che l’Unione Sovietica ha dovuto prenderne atto e mettersi a costruire il socialismo in un paese solo. Vogliamo riprovarci? D’accordo, ma, ripeto, non vedo armate internazionali di proletari marciare su Bruxelles. Mentre vedo in Italia profilarsi un’opposizione alle politiche di austerità indotte dall’euro e causata da un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, per ora espressa dal NO al referendum. Che arriverà anche a Bruxelles, perché in UE tout se tient, ma che avrà come campo d’azione il territorio nazionale. Ma non ditelo alla gauche caviar:
    http://www.leparoleelecose.it/?p=25334#more-25334
    Per un’analisi del voto referendario consiglierei:
    http://goofynomics.blogspot.it/2016/12/la-semplice-economia-del-referendum.html#comment-form

  12. Condivido gli argomenti di Bugliani:
    “sono l’UE e l’euro, e non certo lo ‘spirito’ astorico del capitalismo, a comprimere i salari, i diritti sociali e la sovranità nazionale, nello scontro (attuale) tra capitale e lavoro. E questa lotta non può che avere una dimensione nazionale, sia politica che culturale” (6 dic 14,49).
    Nell’espressione di Bugliani “l’unico punto di partenza possibile” (5 dic 17.06), metto l’accento sul *possibile* non -forse- sull’*unico*, mi sembra però sicuro che
    “questa tensione nazionalista va contro i disegni e le dinamiche messe in atto dal grande capitale”,
    e anche che
    “la dialettica capitale/lavoro riprenderebbe il suo cursus storico altalenante, dove sarebbe possibile, se i rapporti di forza sono favorevoli, registrare anche vittorie del lavoro (come alla fine degli anni ’60)” (7 dic 16.30).
    Chiaramente questo tipo di lotta, da praticare entro la sovranità nazionale, è socialdemocrazia e riformismo, non rivoluzione.
    Riferendomi alle tesi di V. Giacchè in Anschluss, valide anche per la formazione dello stato italiano, le estendo alla UE, e al drenaggio di risorse (capitali e forzalavoro) dai paesi più deboli verso quello egemone.
    Questo meccanismo, messo in opera dopo il ’90, potrebbe gettare un pesante discredito sul sovranismo in quanto tale. Ma dall’altra parte, proprio le lotte capitale/lavoro del II dopoguerra danno forza all’ipotesi sovranista.

  13. @ cristiana fischer,
    “Chiaramente questo tipo di lotta, da praticare entro la sovranità nazionale, è socialdemocrazia e riformismo, non rivoluzione”. Chiaramente sì. ho cercato di esporre una dinamica post-euro “socialdemocratica”, in una prospettiva sindacalista, per così dire, ma dove la dinamica conflittuale capitale/lavoro riprenderebbe il suo cursus “normale”, e i lavoratori potrebbero ritornare protagonisti di vittorie naturalmente nell’ambito del sistema. E’, per così dire, il minimo sindacale. Di rivoluzioni mi astengo dal parlare.
    Una cosa che vorrei aggiungere per evitare che il mio discorso sia monco, a proposito di vincolo etserno, è che l’Italia un vincolo esterno ce l’ha a partire dal 1945. Ma non vedo il motivo d’accettarne un altro legato alla moneta unica. Penso che si possa combattere l’uno e l’altro vincolo, quello Nato-Usa e quello euro-tedesco.
    “Anschluss” di V. Giacché non l’ho letto. Conosco la tematica e alcuni sunti, perché il libro è molto citato, ma il “sovranismo” tedesco s’è sviluppato in colonialismo all’interno dell’Europa, e il sovranismo italiano non è di quella natura. Si deve lottare per il superamento della moneta unica, non già per la sua imposizione, come ha fatto la Germania che, sia ben chiaro, ha perseguito i suoi interessi nazionali, per l’appunto.

  14. @ Bugliani

    1.
    «, il capitalismo esisterebbe (ed è esistito) anche senza l’euro, ma senza aggredire questa punta di diamante attuale del capitalismo, le condizioni materiali e la qualità della vita dei lavoratori sono destinate a peggiorare».

    Mi pare di capire che dai un’enorme importanza al «vincolo esterno della moneta unica», che lo consideri come un intoppo che impedisca alla «dialettica capitale lavoro» di riprendere «il suo cursus storico altalenante dove sarebbe possibile, se i rapporti di forza sono favorevoli, registrare anche vittorie del lavoro (come alla fine degli anni ’60)». Ma come non vedere che a quella dialettica ne è stata sostituita un’altra, appunto quella indotta dalla globalizzazione e che il ritorno ad una dialettica capitale/lavoro precedente o “tradizionale” non è possibile. E,per quel poco che capisco, perché il capitale (ex nazionale o sempre “internazionale”) si accresce nei processi “globalizzati” a cui partecipa con enormi vantaggi.

    2.
    «Inviterei anche a non considerare pregiudizialmente il nazionalismo come un elemento screditato da un passato politico negativo. Oggi un nazionalismo fondato sul recupero della sovranità nazionale è un obiettivo imprescindibile. Questa tensione nazionalista va contro i disegni e le dinamiche messe in atto dal grande capitale».

    È di questo che non riesco a convincermi. Altre volte ho obiettato ( a Buffagni) che un obiettivo del genere ( il recupero della sovranità nazionale) è fuori tempo, è come un tentativo di chiudere la stalla quando i buoi ( i capitali più imponenti) sono già scappati (mondializzati o globalizzati).

    3.
    «il termine nazionalismo sconta la negatività di cui è stato caricato dalla vulgata marxista. Ma mi risulta che anche Marx abbia salutato con entusiasmo le lotte di liberazione nazionale del 1848 in Europa. E la lotta di liberazione nazionale (anche quella di oggi contro l’€pa a suo modo la è) ha sempre preceduto la nascita d’una società socialista».

    Vedo che in tanti tirano in direzione “nazionalista” anche i testi di Marx. Ho appena letto – senza trovare chiarimenti convincenti, devo dire – questa ricostruzione storico-filologica del rapporto tra i concetti di popolo e proletariato in Marx : http://www.sinistrainrete.info/marxismo/8615-isabelle-garo-la-nozione-di-popolo-in-marx-tra-proletariato-e-nazione.html.
    E vedo che anche Cesaratto parte in quarta nel recupero dello Stato nazionale ( e dello Stato tout court!):
    « Il punto è che anche la quasi totalità di ciò che rimane della sinistra più radicale ha introiettato il liberismo. Le sue parole d’ordine sono il cosmopolitismo, l’irreversibilità della globalizzazione, la libertà di circolazione del lavoro, la scomparsa dello Stato nazionale come asse politico arrivando all’odio politico per lo Stato tout court in nome della libertà individuale. Questo è liberismo puro! Le radici di questo sono lontane. Storicamente sono due le correnti di pensiero cosmopolitiche: quella liberale e quella marxista. In pratica, tuttavia, il movimento operaio, specie nelle sue frange più sensibili agli avanzamenti concreti nelle condizioni di vita dei lavoratori, ha individuato la sua sfera d’azione nei confini della comunità nazionale, guidando anzi le lotte di liberazione nazionale. Senza naturalmente rinunciare a ideali universalistici, ma mai sacrificando il bene dei propri ceti popolari a ideali astratti. Ubriacata dal liberismo, la sinistra antagonista persegue oggi questi principi astratti. Che poi astratti non sono poiché la connivenza alla /(de facto) libera circolazione del lavoro ha devastato il nostro mercato del lavoro, e mina anche le relazioni sociali (il che vuol dire minare le relazioni di solidarietà alla base, ad esempio, dello Stato Sociale). Dobbiamo rimettere dei paletti.». O, più avanti: « Va ricostruita la centralità dello Stato, di uno Stato democratico. Se non si crede a queste cose, non capisco perché si voti NO il 4 dicembre. Dispiace che l’unico quotidiano “di sinistra” mortifichi il dibattito, ospitando un confuso pensiero unico, cosmopolitico e neo-liberista de facto.» (http://www.sinistrainrete.info/europa/8613-sergio-cesaratto-la-sinistra-non-la-si-ricostruisce-solo-sul-no-euro.html)

    Eppure non capisco come si fa ad approvare questa tendenza e a dargli una patina “marxisteggiante”, vedendovi addirittura una premessa della « nascita d’una società socialista», quando l’ipotesi socialista è fallita. È come indirizzare la gente o il “popolo” o il tuo * ipotetico* lavoratore precario o disoccupato sul sentiero del (neo?)nazionalismo assicurandogli che poi sboccherà sul viale del socialismo, quando si sa che lì si è aperto un baratro.
    Certo è facile oggi sbeffeggiare il « Il mito dell’internazionalismo (“proletari di tutti i paesi unitevi”» e ricordare- giustamente in questo caso – la tragedia della rivolta spartachista. Ma qualcosa – la dico così senza argomentare per ora – mi trattiene dal lasciar perdere le “nostre” rovine e affidarsi a quelle nazionaliste. E qui la «gauche caviar» non c’entra.

    @ Fischer

    « Chiaramente questo tipo di lotta, da praticare entro la sovranità nazionale, è socialdemocrazia e riformismo, non rivoluzione».

    Ecco, così la mia diffidenza verso il nazionalismo e il sovranismo non fa che aumentare! Non perché veda la rivoluzione dietro l’angolo, ma perché nazionalismo e socialdemocrazia a me continuano a sembrare in partenza alleati o succubi del grande capitale.

    1. “nazionalismo e socialdemocrazia a me continuano a sembrare in partenza alleati o succubi del grande capitale”, il tema è: identificare il nemico. Sapere chi è in concreto, persone e azioni, non più il generico “mondialismo/neoliberismo per un sicuro progresso/correttezza politica”.
      È forse una questione di psicologica di massa il bisogno di un nemico, per uscire dalla angoscia? Forse anche questo, ma intanto è successo che si è usciti dall’inerzia, dalla generica impotenza. Alcuni obiettivi sono stati identificati, diversi in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Italia, ma c’è stata una reazione.
      La delega alle élites è cessata, la passività incosciente, lo stuporoso finto benessere, l’intontimento ideologico attraverso i media-circenses (violenza e terrore annichilente) anche.
      Mi interrogo su due che potrebbero essere errori seri: 1) che sia necessario “avere un nemico”, però la sofferenza chiede una causa, le distruzioni sociali non le hanno prodotte tzunami o carestie o cavallette,  ma azioni sociali che sono ormai state conosciute; 2) se il nemico individuato, poniamo per il momento la UE, non sia una apparenza di qualcos’altro, se cioè non si individui il nemico sbagliato.
      Sono spaventata all’idea che bisogna combattere, d’altra parte la guerra me la dichiara chi vuole cacciarmi in questa posizione: “Non raccontiamoci la storia che la linea divisoria passa tra un’élite che si è chiusa nella torre d’avorio e il popolo, lasciamo queste terminologie da marxismo per gli asili. La linea divisoria passa tra chi vuole cambiare e chi stava bene quando stava peggio […] Babbo Natale non esiste. Dal treno della globalizzazione non si può scendere. Le leggi dell’economia sono inesorabili quanto quelle della fisica, e non sono imposte dalla Goldman Sachs, dalla Merkel e dalla dittatura dei mercati” (Anna Zafesova, 24ilmagazine.ilsole24ore.com). Si usa dire: cornuti e mazziati, no?
      La riduzione e impoverimento del ceto medio polarizza e fa emergere il conflitto. Per decenni la violenza insufflata da film libri video è stata digerita e resa inoffensiva da  un ceto medio che la riteneva uno sfogo da restare chiuso nell’immaginario, soprattutto perché la guerra vera la facevano gli altri e si poteva sottovalutare l’impatto intimidente che comunque l’immaginario assicurava. Ma ormai quel comodo pacifismo, che assorbiva e eliminava quei messaggi, sta evaporando. Il circuito infernale per cui la guerra cresce perché è sempre il nemico che la ha iniziata, si è messo in moto.
      Mi aggrappo però anche a questa frase di Roberto Buffagni “siamo in guerra, anche se non si spara. Scopo della guerra è imporre la propria volontà al nemico, i mezzi dipendono dalle circostanze. La guerra oggi in corso, che vede in un campo la UE e i ceti dirigenti proUE (alle spalle dei quali stanno gli USA), e nell’altro le nazioni e i popoli d’Europa, viene condotta con mezzi economici, giuridici, amministrativi, psicologici; il fatto che sia una guerra che non osa dire il proprio nome non la rende meno pericolosa e meno aspra” . http://www.conflittiestrategie.it/destra-e-sinistra-di-r-buffagni.
      Spero che continui ad essere guerra politica, aspra a piacere, ma non in armi.

  15. In un ideale leggio ho messo da un lato alcune frasi di BIFO
    a. *soggettività progettuale capace di ricomporre i processi sociali secondo un modello diverso da quello che si sta decomponendo*
    (a seguito di ogni termine io metterei un punto di domanda, perché non si capisce che cosa si intende per ‘soggettività progettuale’, per ‘ricomposizione dei processi sociali’ e in quale modo il modello di ricomposizione sarà diverso da quello che si sta decomponendo visto che di quest’ultimo non c’è sul mercato, al momento, alcuna ‘dignitosa’ analisi. Certo, siamo in un blog e non in un consesso scientifico, però mi dà tanto l’impressione di parole usate con disinvoltura);
    b. *la Storia mostra di non avere molta fantasia, e sta riproponendo la dinamica che portò al nazismo e poi alla seconda guerra mondiale*
    (affermare questo senza aver approfondito che cosa rappresentò davvero la scelta nazista e come si svilupparono i giochi di potere a livello geostrategico della seconda guerra mondiale, è come sventolare la paura del babau davanti a poveri bambini mentecatti)
    c. *Il Popolo, la Nazione sono nozioni romantiche che identificano un coacervo di soggettività socialmente prive di potenza solidale. Il problema che il populismo non sa come affrontare, figuriamoci poi risolvere, è proprio quello della solidarietà, o meglio della ricomposizione delle forze soggettive del lavoro. Popolo e Nazione ritornano come tentativo reazionario di riterritorializzare forze sociali che hanno perduto ogni rapporto con la territorialità*
    (mettere come centrale il problema della ricomposizione delle forze soggettive del lavoro mi sembra peccare di romanticismo – peraltro superato dai fatti: dove si trovano le forze soggettive del lavoro, oggi? -. Ed è più di quanto esso si possa trovare nel riattualizzare il concetto di Nazione).
    d. *Solo la ricomposizione della minoranza sociale costituita dai lavoratori cognitivi, cioè coloro che programmano la macchina globale e le permettono di evolversi e di funzionare, potrà mettere in moto un processo di trasformazione reale*
    (che il processo di trasformazione reale – sono parole impegnative! – possa avvenire seguendo questa traccia, mi sembra l’esito del salto da “l’immaginazione al potere” a “l’intelligenza al potere”. Qui do ragione a Ennio quando scrive * Non credo che è « dal risveglio etico di cento milioni di lavoratori cognitivi, di ingegneri e di artisti» che verrà «la sola possibilità di evitare una regressione spaventosa, di cui cominciamo a vedere i contorni». Il risveglio etico non basta.*
    O si adombra, invece, l’idea di un partito che si costituisce a partire dal vertice?)

    Dall’altra parte del leggio, metto le due esperienze referendarie, quella inglese (la Brexit) e quella italiana.
    Da un lato, dunque, ci sono le parole (in libertà) e dall’altra dei fatti, interpretabili come si vuole, ma sempre fatti. Che dichiarano in modo esplicito la completa esautorazione della volontà del cittadino che in maggioranza, risicata oppure no, giustificata oppure no, ha fatto una scelta. A questo cittadino viene detto che i cambiamenti non possono essere fatti subito (ma questo non si sapeva fin da prima e da ambedue le parti contendenti?), che ci sono dei cavilli da superare e che Istituti, ovviamente super partes, analizzeranno e cercheranno di risolvere.
    La percezione che ne ricava colui che si è impegnato per il cambiamento è quella di impotenza e di abbandono perché, povero tra poveri, non serve a nessuno se non come massa di manovra, e la sua idealità è moneta che non vale più nulla. Mentre l’altra moneta, quella ‘cattiva’ (e si sa che la moneta cattiva caccia quella buona) continua imperterrita la sua dominazione.
    Roberto Bugliani (5.12 h. 17.06) scrive – e concordo: * la sinistra reale, quella “di massa”, più che suicidata si è dissolta al termine d’un lungo percorso di revisioni profonde del suo pensiero (non già tradimenti: quelli sono effetti), abiure, cambiamenti sostanziali della sua composizione sociale, cambio di “padrone” internazionale, ecc. Risultato? Una sinistra filo-capitalismo finanziario e industriale, che è una contraddizione in termini, e che quindi come sinistra non esiste più. Ci si metta una pietra sopra. Del resto, come può esistere una sinistra che rivendica orgogliosamente di aver presieduto alla nascita dell’euro e della UE? Il capitalismo reale oggi in Europa per mantenere il suo dominio ha bisogno di strumenti adeguati, e l’euro gli assicura la compressione dei salari, la precarietà del lavoro, la disoccupazione strutturale e le politiche di austerità.*
    Ennio chiede: * una «lotta nazionale», «una coscienza nazionale» che prevede il « recupero della sovranità economica, monetaria, legislativa, costituzionale» è davvero « l’unico punto di partenza possibile»? (Ennio, 7.12 h. 13.21)
    Risponderei con Cristiana (7.12 h. 19.02): *Condivido gli argomenti di Bugliani:
    “sono l’UE e l’euro, e non certo lo ‘spirito’ astorico del capitalismo, a comprimere i salari, i diritti sociali e la sovranità nazionale, nello scontro (attuale) tra capitale e lavoro. E questa lotta non può che avere una dimensione nazionale, sia politica che culturale” (6 dic 14,49)*. E dove, sempre Cristiana, sottolinea che : *Nell’espressione di Bugliani “l’unico punto di partenza possibile” (5 dic 17.06), metto l’accento sul *possibile* non -forse- sull’*unico*, mi sembra però sicuro che “questa tensione nazionalista va contro i disegni e le dinamiche messe in atto dal grande capitale”*.
    Pertanto, ciò che vedo nell’altra parte del leggio, è la perdita di ogni capacità decisionale (anche se dal basso) e rappresentativa da parte del cittadino (a meno che non voglia aggregarsi ai movimenti di protesta che lasciano il tempo che trovano).
    E, come scrive Buffagni: “siamo in guerra, anche se non si spara. Scopo della guerra è imporre la propria volontà al nemico, i mezzi dipendono dalle circostanze. La guerra oggi in corso, che vede in un campo la UE e i ceti dirigenti proUE (alle spalle dei quali stanno gli USA), e nell’altro le nazioni e i popoli d’Europa, viene condotta con mezzi economici, giuridici, amministrativi, psicologici; il fatto che sia una guerra che non osa dire il proprio nome non la rende meno pericolosa e meno aspra”.
    Allora cerchiamo di capire, nei limiti del possibile, quali sono le dinamiche in gioco e il posto che noi, come nazione nello scacchiere, occupiamo.
    R.S.

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