La Rivolta

rivolta-2-oldani

Testi inediti  per “Poliscritture”

di Guido Oldani

La rivolta

i social, come tanti tritacarne,
annullano i giornali in carta e inchiostro
e il parlottare dei televisori,
sfiancati buttafuori dei poteri.
e i computer, se una parola sola,
al cittadino pur così imbeccato,
dicessero ma vera sui denari,
allora il meteo si prodigherebbe:
rosso allarme, pericolo di spari.

La festa

il mare è un giardino di colori,
quasi una festa delle spazzature
in cui stare tra vele e pesci veri.
tintinna tutto quello che galleggia,
riflette il sole in abbaglianti stelle
fatte con sacchettini e scatolame
fra il tiremolla goffo delle onde,
dove è rimessa a nuovo la balena
che, lustrata, glorifica la scena.

Luna di cera

i pioppi spogli sono delle forche
rivolte ad infilzare il nuvolame
per farne fieno utile al bestiame.
o candelabri sembrano, d’argento
frutto di una rapina e poi lasciati
senza candele che le spegne il vento.
e la nebbia, sipario che nasconde,
quasi una vista senza su gli occhiali,
toglie una luna bianca come un osso,
mentre la rana stona nel suo fosso.

Una stanza

dal lampadario appeso su per aria
cala la luce come panni stesi
ad asciugare al buio che si squaglia.
e il calorifero somiglia a volte
ad una fisarmonica dischiusa
da cui decolla in alto il suo calore
simile ad un soffiare lentamente,
che sale senza fare alcun rumore
su al soffitto da riscaldarci i piedi
e il rubinetto aperto ha un do di petto.

Il soffio

il gatto nero soffia minaccioso
uguale ad una pentola a pressione
ma senza che prometta cose buone.
tante mani gli danno le carezze,
da tempo non sa nulla più dei topi
e ha un livello di vita medioalto,
a volte rompe il niente, con un salto.

La motocicletta

come uova cadute da un ripiano
o lampadine da quell’altro accanto
si schiantano le gocce della pioggia
che cade e imbratta tutto ciò che trova.
e vola dritto in cielo la colomba
che pare sia un aereo passeggeri,
ci piace perché è un simbolo di pace
e tutto scorre dentro nel reale
che è più di roba, che non di natura,
perciò di questa mia motocicletta
che non di te, amore ho maggior cura.

Il ring

io solo i pesi massimi li amo
stanno sul ring come due cattedrali
le braccia sono archi a volte travi.
il sangue è rosso a gocce su per aria,
simili ai palloncini delle fiere
e la luce è pesante, come specchi
sui due che non dicono parola,
la gente grida e beve cocacola.

La fantasia

guarda il soffitto, mentre ozia a letto,
gli sembra il cielo quando ha poca luce
e sente che ogni cosa è lì per caso.
gli si allenta il pensare dalla mente,
come un bullone, tolto da un traliccio;
la fantasia va, trapana i muri
e segue libertaria le sue rotte,
come un vino, da un foro nella botte.

Il conto

è un’unica città il mondo intero,
libera che assomiglia ad una tazza
con al fondo la roba in cui si sguazza.
e poi la specie umana tutta quanta
non può di cose e cibi fare senza
va a rovesciarsi sopra al recipiente.
fra quelli che vi trovano rifugio
i cuori si scazzottano a vicenda,
dei fuori sparsi non si tiene conto,
essendo che nessuno ha più pazienza:
democrazia, quasi delinquenza.

Gli ulisse

arrivano annegati o senza testa,
ulisse in molti sulle nostre coste
e vivi o morti si è una sola festa.
siamo come una grande pastasciutta
in dove i santi salvano chi nuota
mentre la mafia con il nostro fiato
gestisce i lager d’accoglienza buona
ma chi è come me, non li perdona.

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA DI GUIDO OLDANI.

E’ nato nel 1947 a Melegnano (Milano). Ha pubblicato sulle principali riviste letterarie del secondo Novecento ed è autore delle raccolte Stilnostro (CENS, 1985, prefazione di Giovanni Raboni), Sapone (Kamen’, 2001), La betoniera (LietoColle, 2005). E’ curatore dell’Annuario di Poesia Crocetti ed è presente in alcune antologie, tra cui Il pensiero dominante (Garzanti, 2001), Tutto l’amore che c’è (Einaudi, 2003), Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2008), Antologia di poeti contemporanei (Mursia 2016), Poesia d’oggi (Elliot, 2016). E’ l’ideatore del realismo terminale e l’inventore della similitudine rovesciata. Con Mursia ha inaugurato la Collana Argani, che dirige, pubblicando Il cielo di lardo e, nel 2010, Il Realismo Terminale, saggio-pamphlet tradotto negli USA a cura di Alessandro Carrera dell’università di Houston in Texas. Nel 2013, sempre per Mursia, è uscita la raccolta di scritti sullo stesso Realismo terminale, dal titolo La Faraona ripiena, a cura degli italianisti Elena Salibra e Giuseppe Langella. La sua poetica degli ultimi anni è diventata uno spettacolo teatrale dal titolo “Millennio III nostra Meraviglia”, scritto e interpretato da Gilberto Colla. E’ direttore del Festival Internazionale Traghetti di Poesia e fondatore del Tribunale della Poesia. Collabora con alcuni quotidiani tra cui L’Avvenire e Affari Italiani. Suoi testi sono tradotti in spagnolo, inglese, tedesco, svedese, russo.

10 pensieri su “La Rivolta

  1. …le poesie di Guido Oldani sono davvero sorprendenti, in rivolta contro il mondo d’oggi e le sue mistificazioni, che siano quelle dell’informazione “…al cittadino pur così imbeccato…( ” La rivolta”) da ogni sorta di mezzo di comunicazione, sia di una realtà, forse quella un tempo più decantata dai poeti, stravolta dall’inquinamento: ” Il mare è un giardino di colori/ quasi una festa delle spazzature…” (La festa), o anche la natura, dove tutto sembra snaturato e meccanico, persino la pioggia, il volo della colomba e si preferisce la motocicletta all’essere umano ( La motocicletta)…o contro le vergognose ingiustizie di un mondo dove i conti non tornano e la “democrazia, quasi delinquenza” permette profondi squilibri sulle cose, sul cibo ( “Il conto”) o lascia ai “santi” il compito di salvare gli “ulisse” che annegano in mare…
    In rivolta sembra anche il punto di vista del poeta sulle cose, viste come da una telecamera di regia, ma anche restituite alla loro autonomia di vita: si spostano, si animano, si umanizzano. Una fantasia “libertaria”, zampillante, “come il vino da un foro della botte”(“La fantasia”). Tra quest’ultime in particolare ammiro: “Luna di cera”, che descrive un paesaggio quasi lunare avvolto dal nebbione della “bassa”, il gatto nero, che ha “un livello di vita medio-alto “(“Il soffio), I pugili, vere roccaforti sul “Ring”, “Una stanza” i cui oggetti si presentano con grazia sorniona, ma anche con una loro anarchia…L’essere umano vi è molto ridimensionato

  2. Provo rispetto per le poesie di Guido Oldani; ci trovo spesso un parlar chiaro e senso di appartenenza a popolo e tradizioni italiane che male non fa, anzi ci aiuta a ricordare un modo dell’essere, di quando non ancora non era svalvolato e uniformato dalla globalizzazione commerciale e culturale. Tuttavia non amo molto la scrittura in metrica, nel senso che oltre a non essere portatrice di novità – il che a ben vedere non sarebbe necessario – a mio parere poco corrisponde alle modalità comunicative che ci stanno trasformando: sul breve che non precisa ma subito risponde e altre quisquilie iniziate però negli anni ’90, con gli sms ad esempio, che poi diventano maniere di pensare; non amo le poesie scritte come fossero casette a schiera, poco più grandi di un aforisma, perché piegano la parola al verso: lì deve stare e non si discute. Ciò non toglie che siano perfette per chi le sa indossare, fanno stile e creano identità (almeno finché sono di Guido Oldani). Ma sarei per una poesia più libera, senza intendere con questo il verso libero ( che oggi s’è fatto sofisticato e tanto libero non è più nemmeno quello). Magari ne discutiamo…

  3. @ Mayoor

    Brevemente:
    1. È contraddittorio il «rispetto per le poesie di Guido Oldani» da te considerate schiette e legate a « popolo e tradizioni italiane» ancora non “svalvolate” e globalizzate con il disamore nei confronti della «scrittura in metrica», inseparabile proprio da quelle tradizioni e da quel mondo.

    2. Una poesia « più libera» non verrà in automatico dagli esperimenti dei poeti che adotteranno acriticamente le « modalità comunicative che ci stanno trasformando». Una “poesia-sms» perché sarebbe superiore o più interessante delle « poesie scritte come fossero casette a schiera»?

    3. Sento sempre troppo formalismo nei tuoi commenti. Sei pronto a cogliere le differenze degli abiti (le forme), meno propenso a vedere quali corpi li possono indossare o quanto si deformino i corpi (individuali e sociali) rivestendosi di certi abiti.

    1. Concordo sul fatto che non si possono introdurre novità in modo acritico.
      La scrittura in metrica appartiene certamente al mondo delle tradizioni di cui si parla, le hanno accompagnate e gli hanno dato voce, ma letti attentamente si coprirà [capirà?]che sono sempre stati un passo avanti al loro tempo.
      Nel riferirmi agli sms non tentavo un elogio alla modernità, indicavo soltanto una diversa velocità nella sintesi tra domanda e risposta; che può sembrare formalismo, ma solo a prima vista in quanto si dovrebbe parlare di linguaggio e modalità cognitive in evidente trasformazione.

  4. …se posso azzardare un paragone, queste mi sembrano poesie-francobolli, squadrate ad angolo retto, ma dalle immagini ben incise, dai messaggi trasparenti, adatte a valicare frontiere in libera circolazione…Un realismo terminale che forse trascura il travaglio del soggetto-poeta, sono impersonali, come delle icone: ma nel limite la loro bellezza. Se son semi fioriranno, sembrano dirci…

  5. Volendo andare oltre le mie preferenze – anche se le ho un po’ motivate – trovo queste poesie sociali, pubbliche, non impegnate o politiche ma moraleggianti; impersonali, come ben dice Annamaria, ma fortemente connotate dall’autore ( lo stile fa la sua parte), dove si ricercano valori che sembrano perduti, forse sulla scia di poetiche pasoliniane ma senza quel pathos, quell’urgenza e disperazione e senza una lucida e aggiornata analisi.

    sui due che non dicono parola,
    la gente grida e beve cocacola.

    Si motteggia, si fa quasi della satira. Certo non vi ritroviamo il decadentismo di Pascoli ma pare a me che si vada per quella strada; guardando al popolo bistrattato nei suoi usi e costumi, più che nei bisogni, portando a modello un’etica che non si riesco a definire, che non pare soggettiva – forse solo un poco anticata – ma rivolta al nazional buon senso, per usare un termine oggi in voga direi che si fa del generico populismo. Tuttavia firmato da un autore capace di agilità metrica, con buona padronanza delle metafore cui non manca l’ironia.

  6. Un motivo ricorrente di alcune favole novecentesche, presente anche in alcuni vecchi film di Disney, è quello degli oggetti che, di notte, quando tutti dormono, si animano e si mettono a ballare nei casi più allegri (allegria stile totentanz), oppure intrecciano storie amorose, o avventure, tra di loro. Poi, verso l’alba, tutti fermi e abbandonati, muti.
    Età di moltiplicazione degli oggetti in nascente produzione seriale, e  stuporoso stato di intontimento dei primi consumatori compratori. Ho letto di filosofie del supermercato in cui massaie in trance tra gli scaffali di prodotti, scelgono in stato di inconscia smemoratezza.(Poi chi ne scrive mangia il pranzo da loro preparato.)
    Gli oggetti di queste poesie di Oldani non sono però il soldatino di piombo senza una gamba e la ballerina del carillon, ma orchi e streghe, social televisori poteri e denari,che si mangerebbero Pollicino e i suoi fratelli se non fuggissero nella foresta.
    Ma anche di foreste non ce ne sono più, anche il mare con le sue balene è fatto di plastica e cartone, e quando ci sono alberi e bestie sono cose anche loro, luna-osso pioppi-candelabri uova-lampadine e rane meccaniche stonate.
    Più crudele ancora, Oldani non dimentica certe categorie di oggetti come le forche, i lager, e l’universale immondizia di resti.
    E come gli oggetti evaporano si squagliano soffiano e implodono, in mezzo a tanto mondo completamente ritrasformato in prodotti, in cose, anche il corpo si presenta in pezzi, piedi, braccia, un cuore, gocce di sangue che salgono, ulissi senza testa, pensare-mente come bullone-traliccio.
    La gestione della gente spezzata, decisamente morti cioè cose,  è in mano a chi dispone gli oggetti in luoghi, come i prodotti negli scaffali. In tanto mondo di cuori che si scazzottano e niente è il fuori, i soggetti sono la mafia buona che dispone la gente-cose nei suoi magazzini, e qualcuno capace di dichiarare in prima persona, “ma chi è come me non li perdona”.
    A Mayoor che “non ama la scrittura in metrica” direi che naturalmente queste poesie non possono che essere conformate a “pacchetti” confezionati tutti uguali, con le loro belle etichette di richiamo in rime e quasi rime sgargianti: pastasciutta nuota, tazza sguazza, osso fosso nuvolame bestiame aria squaglia.
    “e tutto scorre dentro nel reale/che è più di roba che non di natura”

    1. Cara Cristiana,
      intendi dire che queste poesie si uniformano stilisticamente al prodotto seriale, quindi sarebbero di un moderno pop? Mi fai pensare a una mia amica consumatrice di una nota marca di pasta italiana, la quale non sopporta le promozioni, i due per tre, perché da fedelissima non ama essere sollecitata in a un acquisto che lei già compie in piena coscienza. Forse Oldani crea lettori fedeli alla marca. Be’, sarebbe una curiosa novità.

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