Trump e il Tonto

DIALOGANDO CON IL TONTO  (7)
*Articolo in evidenza

 di Giulio Toffoli

Negli ultimi due mesi del 2016 mi è capitato poche volte di incrociare il Tonto. Non si faceva vedere, mi raccontava di essere depresso; alcune piccole tragedie famigliari avevano scosso il suo normale ritmo di vita e non aveva proprio voglia di uscire dal suo guscio. Quando ci eravamo sentiti avevamo però convenuto che almeno tre avvenimenti avevano degnamente coronato quell’anno per molti versi infelice e su di essi, una volta che ci fossimo incontrati, avremmo dovuto necessariamente parlare.

Il primo ovviamente era l’inattesa elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il secondo la morte di Fidel Castro e infine, più in piccolo ma con una valenza da non sottovalutare, l’esito del referendum in Italia.

Proprio negli ultimi giorni dell’anno ci è capitato di incontrarci nelle vie del centro. La prima volta eravamo in piazza Duomo. Lo vedo camminare rapido rapido con qualche pacchetto fra le mani e allora lo apostrofo, come lui ha fatto infinite volte con me: “Ma Tonto come va? Scappi …”.

Si è voltato e mi ha detto: “No, certo che no, son qui. Solo che sai questi giorni sono convulsi, nonostante tutto si va di fretta … Se vuoi ho però qualche minuto per te”.

Ci siamo avviati verso il solito bar e abbiamo trovato, pur nella ressa, un tavolino ben riparato. Siamo entrambi freddolosi e ci siamo seduti davanti a uno strano marchingegno fatto con i resti di una macchina da cucire Borletti di quelle di mezzo secolo fa. Hanno eliminato la macchina e riadattato il tutto per consentire a due persone di sedersi in quello che si presenta come un vero e proprio tête à tête.

Ordinato un tè, ho attaccato senza indugio:

“Insomma Tonto, soddisfatto di vedere Trump seduto nella stanza ovale alla Casa Bianca?”

“Ma che fai … mi prendi per i fondelli? Fra i tanti farabutti che ci si sono seduti su quella sedia non è che Trump alla fine ci farà poi una cattiva figura. Sarà probabilmente nella media … Ma questo è un  discorso destinato al futuro. Solo quando sarà all’opera potremo giudicarlo. Non cercare di farmi diventare un fan di Trump. Ma se proprio vuoi parlare di questo argomento bisogna partire dall’inizio …”
“Ovvero …”

“Dal fatto che come mai prima la stampa, gli opinionisti di grido, i vari accademici più o meno accreditati e potremo aggiungere a questa lista una massa quasi infinita di altri ciarlatani di mezzo mondo non solo erano certi della vittoria della Clinton, ma per mesi hanno fatto campagna elettorale per lei. Una cosa mai successa prima. La Clinton è stata portata alle stelle, hanno cercato di santificarla ancora prima che avesse vinto senza alcun pudore. Obama lo hanno santificato appena dopo eletto con un incredibile premio Nobel per la pace. Con lei hanno puntato più in alto falsificando i dati, basti pensa alla prima candidata donna …, oppure nascondendo i fatti più o meno oscuri che girano intorno al clan dei Clinton, alla loro Foundation e alle e-mail che la signora ha variamente usato in modo più o meno irregolare nel periodo in cui faceva parte della amministrazione Obama.

Contro Trump è stata invece organizzata una vera e propria campagna di delegittimazione che è sostanzialmente iniziata il giorno stesso in cui si è presentato come candidato alla presidenza.

Pensa che la notte delle elezioni sono andato a letto con nelle orecchie le parole di un commentatore di una radio privata, così per dire, di sinistra che dava per certa, dati alla mano, la vittoria della Clinton. Mi sono messo l’anima in pace e ho fatto una bella dormita, fino a quando la mattina dopo ho scoperto che le cose erano andate diversamente.

Questo mi permette di dire che abbiamo una macchina dell’informazione che è per la maggior parte caratterizzata da un’opera massiva di manipolazione e di disinformazione. Insomma il caso Trump-Clinton sembra dimostrare che questa democrazia tanto decantata proprio non funziona …”

“In che senso – mi sono permesso di dire – affermi una cosa del genere? Sembri in  sintonia con Mario Monti che dopo le elezioni in Inghilterra, che si sono risolte con un successo degli euroscettici, ha detto che simili cose non possono essere sottoposte al giudizio del popolo, che evidentemente nella sua visione è troppo immaturo per decidere”.

“Sì, e allora lasciamo che decidano lor signori. Quella che mi si palesa davanti è l’immagine di una democrazia oligarchica. Scusami il bisticcio di parole, ma penso che tramite l’uso delle tecniche della manipolazione di massa, con un sistema che ricorda l’uso del bastone e della carota, una minoranza gestisca i giochi e di volta in volta, quando lo crede necessario, chiama il “parco buoi” a dare l’assenso a ciò che già è stato deciso nelle segrete stanze.

No. Il mio discorso era diametralmente opposto, ovvero segnalava come una casta, ampia e ben organizzata, di padroni e di loro servitori abbia ormai in mano gli strumenti per costruire una realtà fittizia e venderla alle più larghe masse come vera, manipolando nei fatti l’opinione pubblica o ciò che ne rimane. Non siamo forse nell’epoca della post-verità?”

“Vabbè … per tornare a noi, questo vuol dire che trovi positiva l’elezione di Trump?”

“Posto in questi termini il tuo discorso mi sembra fuorviante. Non sono io che posso trovare positiva o negativa la scelta che è stata fatta a favore di Trump, quella è una questione interna del popolo statunitense. Io semplicemente guardo i due contendenti, cerco di valutarne le proposte e cerco di capire perché la scelta sia caduta su Trump.

Ed allora mi sembra interessante partire dalla Clinton. Aveva dalla sua una lunga esperienza di governo, aveva un establishment democratico che la appoggiava toto corde, perfino una parte significativa di quello repubblicano era dalla sua parte. Non solo, aveva l’appoggio del presidente uscente. Insomma nulla sembrava impedirle di raggiungere la sua meta.

Allora ti chiedo: perché ha fallito? Questa mi pare la domanda giusta …

Guardiamo l’altro fronte. Trump è un homo novus, estraneo ai giochi della casta che nelle sue due varianti, repubblicana e democratica, gestisce il potere a Washington. Si presenta come un vero e proprio outsider.  Ha i soldi, ha ovviamente degli appoggi, ma rispetto al ceto che governa è un marziano. Ciò nonostante è riuscito a vincere l’uno dopo l’altro tutti i candidati che la macchina del partito repubblicano gli ha messo di fronte per contrastarlo. Il fior fiore dei suoi uomini di punta. Li ha surclassati e poi ha vinto le elezioni. Come ha detto di recente Bernie Sanders: “Ha sfidato, battendolo, l’establishment repubblicano; poi ha sfidato vincendo l’establishment democratico e infine ha vinto pure contro l’establishment dei media. Bisogna ammetterlo, è stata davvero una impresa straordinaria”.

 E’ evidente che c’è qualche cosa su cui val la pena di pensare …”.

“Ma ha ottenuto qualche cosa come due milioni di voti in meno della Clinton. Questo non lo metti nel conto?”.

“Anche questa espressione di una cultura da leccapiedi mi ha fatto davvero sorridere. Per decenni tromboni di ogni colore ci hanno ammorbato affermando che gli Stati Uniti sono una fra le più vecchie e solide democrazie, forse fin la prima, con delle istituzioni che se non sono perfette poco ci manca. Hanno raccontato, come fosse una virtù, che quasi nulla è stato mutato dalla fondazione della nazione e che il testo è ancora uguale a quello approvato sullo spirare del XVIII secolo.  Ora invece scoprono che c’è qualche cosa che non va … Ma, aggiungerei di più, questi sepolcri imbiancati vanno cercando ogni possibile pretesto per screditare il vincitore. Dalla patetica idea che bisogna ricontare i voti, a quella non meno criminale di poter manipolare l’elezione, proprio come si dice da noi, in zona Cesarini tramite lo spostamento del voto di un certo numero di grandi elettori repubblicani a favore della Clinton, secondo un modello che ben si avvicina all’idea di un colpo di stato istituzionale. Ed infine, summa di tutto ciò, non manca l’impegno di tutti i media e di parte dell’establishment che cercano di dimostrare che dietro l’elezione di Trump vi sia la mano dell’Impero del Male versione 2.0, nella figura di quel malvagio di Putin, incarnazione di ogni asiatica astuzia manipolatoria. Talché si arriva a ipotizzare, da parte di alcuni media e di molti potentati messi all’angolo dalla elezione di Trump, ma forse sarebbe più giusto dire si spera  in un impeachment  del presidente ancora prima che si sia insediato, cosa che se non fosse comica farebbe pensare a scenari che fino a tempi recenti erano caratteristici degli Stati del sud America.

Fino ad ora, per quel che ne so, nessuno è però arrivato a predire al presidente una breve futura esistenza. Certo che se fossi al suo posto cercherei un solido appoggio da parte di San Gennaro o di qualche altro santo capace di prevenire una morte più o meno accidentale”.

“Questo cosa vuol dire, che Trump ha ragione? E la povertà del suo programma politico dove la metti?”

“Non sono io a dire che ha ragione, è il popolo americano che lo ha votato secondo le regole del gioco che stanno alla base della cosiddetta democrazia statunitense. Poi vediamo cosa intendi tu quando parli di povertà del suo programma …”
“Negheresti che Trump abbia espresso posizioni razziste?”

“Forse è il caso di capirci. La società statunitense era e resta profondamente razzista e neppure la presidenza Obama è riuscita a modificare questo suo aspetto di fondo. Fatta la tara del can can mediatico ciò su cui dobbiamo fermare la nostra attenzione è, credo, il volto profondo della società statunitense, che è quello che la casta dei politicanti ha totalmente perso di vista. Quella USA è una società dominata da un durissimo darwinismo sociale che ha sempre generato e genera  fenomeni di emarginazione di larghe proporzioni. Ad una minoranza di superricchi corrisponde una condizione di sopravvivenza che interessa decide e decine di milioni di individui. Una massa depoliticizzata e spesso profondamente delusa. Obama ne ha sostanzialmente tradito le speranze, i politicanti non offrono alcuna fiducia e, questo è il fenomeno nuovo, la povertà non interessa più i soliti esclusi, ma lambisce fasce sempre più ampie di popolazione che dal secondo dopoguerra in poi avevano visto migliorare la loro condizione di vita. Si tratta di operai e contadini, uomini, donne e giovani che si vedono ridotti a una condizione di potenziale lumpenproletariat.

In questa situazione è quasi naturale che scatti un doppio razzismo etnico e sociale. Trump non ha fatto che quello che fanno tutti i politici, ha promesso ad alcuni sicurezza e migliori condizioni di vita, evidentemente con ciò riaffermando differenze e certo non ponendosi come paladino degli emarginati. Non lo vedo per nulla diverso dalla più parte dei suoi colleghi, forse solo un poco meno ipocrita”.

“Allora per te non è neanche xenofobo?”

“Questa è l’accusa più divertente fra tutte. Lui che è mezzo tedesco e che ha sposato una donna slovena?

Insomma, diciamocelo con onestà, la società statunitense è per sua essenza un tale miscuglio di genti che parlare di xenofobia è profondamente vero e falso insieme. Falso perché, se si esclude una risibile minoranza di indigeni, adeguatamente massacrati alla fine di XIX secolo, quello statunitense è un melting pot come pochi al mondo, che ha tagliato ogni legame con le sue radici profonde. Probabilmente non c’è gruppo etnico presente su questo pianeta che non abbia un suo corrispondente più  meno ampio in quello stato. Non solo, la logica economica che domina quel paese ha usato, decennio dopo decennio, l’afflusso di masse di immigrati per poter rispondere al bisogno di forza lavoro da immettere nella macchina produttiva. I nuovi venuti erano nella maggior parte dei casi forza lavoro senza alcuna qualificazione e che cercava una qualche forma di difesa nel mantenimento della identificazione etnica originaria. La dinamica economica del capitale ha avuto come inevitabile esito quello di contrapporre non solo individuo ad individuo, in una gara per la sopravvivenza senza fine, ma spesso anche i diversi gruppi identitari l’uno in contrapposizione con agli altri. Questo conflitto è stato di volta in vota assopito nei momenti in cui la macchina economica ha operato a pieno regime per poi esplodere, in modi più o meno duri, nelle fasi di naturale crisi del ciclo capitalistico. Trump ha semplicemente espresso le posizioni di quei settori della società statunitense colpiti dalla crisi di inizio XXI secolo e dalla concorrenza della forza lavoro immigrata irregolare. Ciò evidentemente può sembrare contrario ad astratti principi di cosmopolitismo, ma risponde alle richieste di quella parte della popolazione statunitense povera o impoverita che vede nella concorrenza degli immigrati un ulteriore fattore di potenziale impoverimento.

Lo so che il problema è complesso e scottante e non ho intenzione di sollevarlo. Voglio solo farti notare che c’è il rischio di affrontarlo da un punto di vista sbagliato, lo definirei ideologico. Negli USA nessuno, davvero nessuno, se si escludono minoranze risicate di intellettuali, mette in discussione la logica di inclusione/esclusione che domina quella società. Intendo dire che l’immigrato irregolare che ottiene la cittadinanza non fa della sua esperienza uno strumento di una lettura critica delle fondamenta di quella società.  Semplicemente trova la sua nicchia e in essa si muove per guadagnarsi da vivere accettando pienamente le regole del gioco che prima ne facevano un emarginato e poi gli concedono una specie di privilegio. Se poi diventa ricco meglio per lui … Il ceto politico è pienamente corresponsabile di questa realtà e ha fatto ben poco per mutarla. Trump è forse semplicemente più esplicito degli altri nel riconoscere che alla fondamenta del patto sociale statunitense vi è un principio di esclusione”.

“E cosa ne dici dell’accusa di sessismo e di irridere a coloro che presentano degli handicap?”

“Direi che taccio e mi vergogno sempre più di una società, ma qui non ci sono confini, dove il gioco politico si serve di tanta bassezza. A questo livello l’ipocrisia giunge al suo zenit e non c’è più nulla da dire se non che la politica spazzatura seguita dal giornalismo spazzatura usa il sistema di sbattere il mostro in prima pagina … sapendo che vera o falsa che sia, ciò che conta è l’impatto che la notizia ottiene sul lettore, considerato poco più o poco meno di un idiota. No, su questo terreno non ti seguo …”.

“Insomma, dal tuo punto di vista le critiche rivolte a Trump sono del tutto senza fondamento?”

“Credo di non aver detto questo … Ho semplicemente sottolineato come corrispondano alle reazioni scomposte di un establishment che è ferito e furente perché qualcuno gli ha rotto le uova nel paniere. La successione era già stabilita, i giochi fatti, la politica di egemonia tramite l’uso di guerre locali impostata, la criminalizzazione della Russia già ampiamente implementata ed ecco uscire uno qualunque, un  Trump, che lancia la sua sfida e come in una partita a poker  guarda il bluff e vince.

Certo tutto è da ridefinire e non so quanto il quadriennio di Trump, se arriverà vivo e vegeto alla fine, sarà un elemento di discontinuità rispetto alle politiche dei decenni successivi a Reagan, ma credo sia una bella scommessa.

La Clinton ci annunciava un quadriennio caratterizzato da una politica liberista in economia  e aggressiva dal punto di vista militare, costellata da future guerre e da un pericoloso confronto con la Russia e potenzialmente con la Cina. Un clima tragico da guerra guerreggiata …

Trump non possiamo dire cosa vorrà fare in modo chiaro, sia perché una cosa sono le dichiarazioni un’altra l’attività di governo, sia perché credo si trovi alle prese con tante ma tante grane da chiedersi se ne valeva poi la pena di sedere nella stanza ovale. Evidentemente si deve trattare di uno di quei capitalisti che amano il rischio più della vita stessa. La posta è fra le più alte: il governo del suo paese e il ridisegno della politica mondiale.

Qualche segnale farebbe pensare che almeno a livello internazionale non sia portato a puntare sull’uso della strategia bellica costi quel che costi e questo non può che essere un bene. A livello interno sembra deciso a difendere l’economia nazionale anche con l’uso di strumenti di contenimento delle importazioni. A cosa possa portare questo mix è difficile da dire, si tratta davvero prevedere il domani e neppure il grande Nostradamus saprebbe darci delle risposte. Non ci rimane che attendere e sperare che il buon senso abbia a prevalere sui disegni dei guerrafondai che hanno la loro sede a Washington”.

Con queste parole il Tonto si è alzato e come fa di solito mi ha mandato un cenno di saluto aggiungendo:

“Il conto lo paghi tu … o se vuoi puoi inviarlo alla Clinton Foundation perché ti rifondano, è una organizzazione filantropica così attenta ai destini del mondo che può darsi ti venga in soccorso … “.

 30 dicembre 2016

32 pensieri su “Trump e il Tonto

  1. Da osservatore mediaticamente disinformato resto della vecchia idea che quel che accade in America, prima o poi, anzi poi, accade anche qui da noi. Mi distrae da questa preoccupazione un’altra, quella della politica internazionale e degli “equilibri” che si andranno a creare tra i principali padroni del mondo: USA, Russia e Cina, dove Europa sarebbe la meno importante perché occupata a cucire le pezze della propria economia sfilando soldi a paesi che già non ne hanno – dal che alla classe politica di questi paesi, Italia in testa, non resta altro da fare che occuparsi del proprio indebitamento. Ma tornando a Trump: va detto che non è stato eletto in alternativa alla Clinton ma in opposizione, e senza che abbia ottenuto una vera maggioranza. Questo significa che l’America è spaccata in due. Vero è che in America si dà grande potere al Presidente, ma questa volta non mi sento di scommettere che Trump avrà una presidenza tranquilla. Niente di più facile che si avranno scontri tra le diverse parti sociali, cosa che con Obama non era accaduta. Se così sarà, l’America non potrà presentarsi come forza stabile in quanto Trump avrebbe da preoccuparsi delle faccende interne più che delle esterne. E già lo ha dichiarato. Sul piano internazionale m’aspetto che Trump cambi indirizzo alla politica di Obama; ancora non s’è insediato ma già ci sono segnali di vicinanza – ovviamente d’interessi – con Putin a discapito della Cina. E di riflesso, noi qui stiamo discutendo sulle sanzioni alla Russia e quel che ci abbiamo rimesso a seguire il branco. Per me, con la presidenza Trump, si annuncia un catafascio generale a cui non potremo porre rimedio se non ricorrendo a politiche locali di protezione ( quanto efficaci è tutto da vedere). Ad esempio ponendo in discussione i nostri rapporti con la Nato. Non era un vecchio slogan quello che diceva “Fuori l’Italia dalla Nato”? Ma tornando alle politiche interne, voi pensate che in Italia non ci troveremo presto a doverci confrontare con spaccature sociali, poniamo nel caso che alle prossime elezioni vincessero i 5stelle?

  2. La situazione evolve. Si legga sul Corriere l’articolo di Federico Fubini (pro Clinton) da Davos, dove il presidente Xi Jinping “avvocato dei valori che hanno creato le fortune della platea seduta, letteralmente, ai suoi piedi”, sfida Trump sui vantaggi della apertura dei mercati internazionali.
    Da che pulpito di liberismo ideale dei valori viene la predica!

    1. Credo che la prossima, decisiva partita anche per noi (Europa), si giocherà tra gli Stati Uniti della (nuova) politica protezionista e anti-globalista di Trump e la Cina attuale campione della globalizzazione del capitale. Inoltre, Trump ne ha dette quattro anche alla Merkel, espressione (in declino, ma staremo a vedere) del mercantilismo tedesco e della sciagurata politica di austerità europea.

  3. …trovo che sia presto pronunciarsi su Trump, anche se è interessante il discorso del Tonto che sostanzialmente si interroga sul perchè, contrariamente a quanto sembrava già stabilito dalle “segrete trame” e sostenuto dalla campagna pubblicitaria, Trump abbia vinto e Clinton perso…Oggi qualcosa che sfugge al controllo dei poteri riuniti può essere davvero interessante, tuttavia non vedo la possibilità di un vero cambiamento all’interno di un paese come gli Stati Uniti, se continua a imperversare la dinamica includente-escludente e come linea di spartiacque la corsa al denaro, al successo, al potere: l’unica differenza può essere solo su quale fronte peserànno maggiormente l’ingiustizia e la disumanità…Se migliorano le condizioni per una fetta o un’area di popolazione, ma peggiorano per un’altra non si può parlare di un vero miglioramento e si vedrà prima o poi…se questo è stato un risultato di voto “ribelle”, potrebbe succedere che altri, in corso di amministrazione, si ribellino, per esempio chi resta privo di assistenza sanitaria, i nuovi migranti oppure chi sente l’importanza di difendere gli interessi ambientali…Spero che almeno Trump non deluda nella politica estera, liberando il suo paese e noi tutti dall’imperialismo americano, con la minaccia nucleare sempre aperta…Fosse vero che potessimo uscire dalla Nato!

  4. Forse al pubblico televisivo americano mancava tanto John Wayne, così come da noi manca Sandro Pertini, il capo buono e onesto che ha fatto la Resistenza. Insieme all’apparizione della Madonna, naturalmente.

    1. No Mayoor, non manca proprio nulla: “Xi Jinping ormai ha ghost writers sofisticati almeno quanto quelli della Casa Bianca o di Downing Street. Migliaia di manager della finanza o dell’industria con redditi di milioni o decine di milioni l’anno hanno risposto con applausi ripetuti e a scena aperta. Si sarebbe quasi detto che davvero il leader del mondo economicamente libero è questo funzionario di partito dalla cravatta rossa, i movimenti robotici e gli occhi addestrati da decenni a non tradire emozioni”.
      Questo è F. Fubini sul Corriere di oggi, “i manager della finanza”, i “ghost Writers sofisticati” provvederanno a fare innamorare il colto e l’inclita dell’idolo giusto.

  5. trumputin (storicamente per dire di una era torbida )
    t/rasputin
    tran/s/putin (tra uno spuntino e l’altro)
    ras-putin (dal russo: ras : una volta…) : una volta putin
    ecc.

  6. Ho letto con attenzione il dialogo di Giulio Toffoli col Tonto. Ecco, i punti sui quali massima è la mia perplessità o il mio dissenso:
    1) Tutto fa brodo!… «Fra i tanti farabutti che ci si sono seduti su quella sedia non è che Trump alla fine ci farà poi una cattiva figura. Sarà probabilmente nella media … Ma questo è un discorso destinato al futuro. Solo quando sarà all’opera potremo giudicarlo. Non cercare di farmi diventare un fan di Trump.»
    Fan di Trump il Tonto probabilmente non lo diventerà, ma tutta la sua macchina argomentativa è volta a difenderlo e a legittimarlo contro chi vorrebbe delegittimarlo (l’establishment, la casta, ecc.). Anzi, in questo o quel passaggio, il Tonto introietta la retorica dell’homo novus – la stessa retorica sostenuta dal cosiddetto establishment – per tenerlo fuori dalla Casa Bianca:
    “Trump è un homo novus, estraneo ai giochi della casta che nelle sue due varianti, repubblicana e democratica, gestisce il potere a Washington. Si presenta come un vero e proprio outsider. Ha i soldi, ha ovviamente degli appoggi, ma rispetto al ceto che governa è un marziano. Ciò nonostante è riuscito a vincere l’uno dopo l’altro tutti i candidati che la macchina del partito repubblicano gli ha messo di fronte per contrastarlo. Il fior fiore dei suoi uomini di punta. Li ha surclassati e poi ha vinto le elezioni.”
    Ma davvero è così?…Davvero Trump è estraneo ai giochi della casta?… Davvero è un otusider?…Come si può pensare che un costruttore miliardario possa tirar su grattacieli e una Tower Trump senza aver rapporti con la casta?…Il Tonto accenna a degli “appoggi”, ma tace su questi appoggi, non approfondisce. Non sarebbe il caso di documentarsi di più?
    2) La campagna di delegittimazione liberaldemocratica viene considerata e giudicata, ma non viene altrettanto considerata e giudicata la costante campagna di comunicazione di Trump. Il Tonto non mette in relazione gli attori politici, non sembra comprendere che il ceto dirigente liberal-democratico insieme a parte di quello repubblicano si siano allarmati proprio quando hanno dovuto constatare che stava diventando efficace la campagna di Trump.
    Non sarebbe interessante, a questo punto, a cose fatte (Toffoli scrive il 30 dicembre), concentrasi di più sul funzionamento della campagna di comunicazione di Trump, invece di attardarsi sulle mosse sbagliate dei perdenti. Tanto per dirne una: il Tonto mi appare sensibilizzato sui “fatti più o meno oscuri che girano intorno al clan dei Clinton, alla loro Foundation” e non può fare a meno di accennarvi, ma è del tutto insensibile alla storia della famiglia Trump e sui fatti abbastanza chiari e documentati che girano intorno a The Donald (contatti con uomini legati alle famiglie mafiose newyorkesi, protezioni politiche, affari col mondo dei Casinò, ecc.)
    3) L’apparente neutralismo del Tonto: «Non sono io che posso trovare positiva o negativa la scelta che è stata fatta a favore di Trump, quella è una questione interna del popolo statunitense. Io semplicemente guardo i due contendenti, cerco di valutarne le proposte e cerco di capire perché la scelta sia caduta su Trump.» L’elite liberal-democratica credo che ormai abbia capito per quali ragioni abbia perso le elezioni. Ma noi che non facciamo parte di nessuna di queste elite: né di quelle liberaldemocratiche (Clinton) né di quelle conservatrici e reazionarie (Trump) possiamo sforzarci di entrare più nel merito? Possiamo cercar di capire cosa ci accadrà con Trump?
    4) Il programma politico di Trump. Il Tonto si limita a difenderlo dall’accusa di razzismo, xenofobia, sessismo, ecc. Ma, di fatti non ci dice nulla sui suoi contenuti. Non sarebbe opportuno farlo? Ad esempio, Trump quale visione ha del ruolo degli USA?… Abbandona il neoliberismo?…Farà gli interessi di quali ceti sociali?…Ecc. ecc.
    5) Mi permetto, infine,una segnalazione: sul Manifesto di oggi, Guido Caldiron recensisce un libro di David Cay Johnston, uno dei maggiori giornalisti investigativi statunitensi (Premio Pulitzer 2001), che conosce Donald Trump dalla fine degli anni Ottanta. Il titolo, infatti, è: “Donald Trump” (Einaudi).
    «Con questo libro – spiega l’autore – voglio assicurarmi che tutti nel mondo conoscano una storia di Donald Trump più ricca e dettagliata di quella che lui ha confezionato ad arte e promosso con abilità e determinazioni eccezionali.» Visto che Trump «presenta se stesso come un moderno re Mida anche quando la maggior parte di ciò che tocca si trasforma in spazzatura», ma che soprattutto «ha lavorato duramente affinché poche persone sapessero dei suoi rapporti con uno dei maggiori trafficanti di cocaina, con criminali russi e americani, esponenti della mafia, artisti del raggiro e truffatori.» Allo stesso modo, denunciato migliaia di volti da dipendenti e fornitori che non erano stati pagati come da investitori che lo accusavano di averlo truffato, «tra le capacità maggiori di Trump c’è l’abilità di deviare o far archiviare le indagini condotte su di lui dalle forze di polizia», mentre usa la minaccia di querele milionarie per evitare che i media sbircino dietro la tenda delle sue attività.
    Ecco, visto che da domani, si insedierà alla Casa Bianca, mi pare prioritario capire con chi avremo a che fare.

  7. Viene spontaneo il paragone con Berlusconi, con la sua disinvoltura nei rapporti, nei debiti, nella corruzione. Anche Berlusconi ha attratto agli inizi persone di sinistra che non tolleravano più la cappa di conformismo e di vuota ideologia della “sinistra” italiana all’epoca. Non lo ho mai votato, e considero terrificante il “libera tutti” introdotto nella cultura popolare (antropologicamente parlando) da Berlusconi con le sue televisioni e i suoi comportamenti pubblici ostentati. Questo sì, populismo, e becero. Gli esclusi sono stati convinti che la fortuna e la piaggeria sono la strada per affermarsi socialmente.
    Sui lati “morali” della sua parabola ha, ovviamente, poggiato l’attacco per farlo cadere. Per far cadere anche la sua politica estera, ondivaga e tuttavia disturbante.
    Su Trump, e la conversione che propone con la sua politica: lasciar cadere la Nato e la UE a guida germanica, stabilire un legame preferenziale con la Russia in funzione anticinese (e si leggano le reazioni di Xi Jinping), scelte che suscitano una opposizione finora mai vista da parte dei precedenti gruppi di potere, ecco, su questo quadro occorre ragionare. Non si tratta di “difenderlo e legittimarlo”, ma neanche di condannarlo sul piano dei vizi pubblici e privati. Ma di capire cosa rappresenta questa svolta, che ci riguarda da vicino.
    Disegna uno scenario possibile Giulio Sapelli in un articolo sul Sussidiario di oggi, non posso mettere il link, invito chi vuole a leggerlo direttamente.
    “Grazie ai rapporti precedentemente stabiliti con Pechino, infatti, il ruolo del Regno Unito è oggi quello di essere un lungo ponte tra gli Usa e la Cina, un ponte che tuttavia non passa più per l’Unione europea, ma per Londra. La stessa cosa sta capitando con la Francia che, come ha ribadito recentemente Hollande nel suo incontro africano in Mali, si candida a essere il ponte occidentale in Africa rispetto ai cinesi: gli Usa, se vorranno negoziare con gli stati africani, dovranno parlare con i francesi che si autodefiniscono come gli interlocutori del dialogo Usa-Cina in Africa.
    L’Europa va in frantumi e la Germania è destinata a essere conficcata nell’angolo del rapporto con la Russia, proprio nel tempo in cui Mosca è destinata a essere l’interlocutore negoziale principale degli Stati Uniti nello scacchiere internazionale, grazie al diverso ruolo che gli Usa medesimi hanno deciso di avere con essa, la Russia, e tramite essa con il Medio Oriente, e quindi con la Turchia, gli stati arabi del Golfo e, lo vogliano o no, con l’Iran, con cui far la pace è solo una questione di tempo, anche per Trump.

    1. Dunque, dopo lo spargimento di sangue s’accomoderanno tutti sulle poche sedie disponibili? E gli italiani al seguito di chi?

      1. In un articolo precedente (titolo: Italia, la “via di fuga” dalla schiavitù della Germania, 11 gennaio) lo stesso Sapelli scriveva: ” Tutte le situazioni storiche vanno studiate empiricamente e non è possibile dettare una legge universale astratta come accade nei modelli neoclassici oggi in voga. La politica ha sempre l’ultima parola.”
        La politica ha sempre l’ultima parola, direi che è così..

        1. E’ stato appena eletto il berlusconiano Tajani alla presidenza del parlamento europeo… non so se questo basti a rendere l’idea sull’ultima parola della nostra politica.

  8. A Giulio Toffoli, già in fase di pubblicazione del suo “Trump e il Tonto” avevo mandato questo parere:

    «Il pezzo su Trump, anche se il Tonto non è filo Trump, ha il limite di riportare quasi tutti gli argomenti dei filo-Trump ( e quindi di convalidarli implicitamente, malgrado pur essi siano – sempre secondo me – inquinati dalla propaganda) e poi mi pare gli conceda un po’ troppo quando conclude con “Trump non possiamo dire cosa vorrà fare in modo chiaro”, accogliendo anche in questo caso le sue posizioni di chiusura perché fanno parte della mentalità dell’ “America profonda”. Io mi chiedo se, appunto per il fatto che non siamo americani e possiamo vedere almeno le cose più dall’esterno, non valga la pena di criticare sia Trump che la Clinton. Che è stato da subito istintivamente il mio atteggiamento. Ma l’autore sei tu e tocca a te dire quello che senti. Poi magari nei commenti possiamo dibattere e approfondire».

    Condivido pertanto le obiezioni di Donato [Salzarulo] coincidenti con le mie almeno sul punto in cui sottolineo il rischio di “essere parlati” dal filo-trumpismo. Che ora, tra l’altro, viene accolto “da sinistra” quasi con lo stesso puerile entusiasmo di quando si insediò Obama alla presidenza degli USA. In questa discussione non dovremmo cedere. “Il meno peggio” che molti si attendevano da Obama non c’è stato, come prova l’articolo di John Pilger, che qui sotto segnalo. Perché dovremmo attendercelo da Trump?

    P.s.
    Per riflettere su come altre volte abbiamo discusso dei “potenti”, mi pare utile rimeditare i nostri commenti a questo post del marzo 2016:
    https://www.poliscritture.it/2016/03/11/discussione-il-corriere-della-sera-censura-obama/

    SEGNALAZIONE

    Il problema non è Trump. Siamo noi

    Stralcio:
    I semi del fascismo del 21° secolo sono stati piantati, fertilizzati e innaffiati dall’amministrazione Obama e dalla politica fallimentare dell’élite liberale.
    (http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=127193&amp%3Btypeb=0)
    di John Pilger

    Traduzione a cura di ComeDonChisciotte

    Stralcio:

    Uno dei filoni ricorrenti nella vita politica americana è un estremismo semi-cult che si avvicina al fascismo. Si è visto e rafforzato durante i due mandati di Barack Obama. “Credo nell’eccezionalismo americano con ogni fibra del mio essere”, disse Obama, che ha ampliato il passatempo militare americano preferito, i bombardamenti, e gli squadroni della morte (“operazioni speciali”) come nessun altro presidente dai tempi della guerra fredda.
    Secondo un’indagine del Council on Foreign Relations, solo nel 2016 Obama ha lanciato 26,171 bombe. Cioè 72 bombe al giorno. Ha bombardato le persone più povere della terra, in Afghanistan, Libia, Yemen, Somalia, Siria, Iraq, Pakistan.
    Come riportato sul New York Times, ogni martedì [Obama] selezionava personalmente quelli che sarebbero stati uccisi, soprattutto da missili Hellfire lanciati da droni. Furono annientati matrimoni, funerali, pastori al pascolo, insieme a coloro che tentavano di raccogliere le parti dei corpi mutilati che ricoprivano il cosiddetto “bersaglio terrorista”. Uno tra i più noti senatori repubblicani, Lindsey Graham, stimava, e approvava, che i droni di Obama avessero ucciso 4.700 persone. “A volte si colpiscono persone innocenti, cosa che odio”, disse, “ma abbiamo fatto fuori alcuni membri molto importanti di Al Qaeda”.

    Come durante il fascismo degli anni ’30, grandi menzogne vengono fornite con la precisione di un metronomo: grazie ad un supporto mediatico onnipresente la cui descrizione adesso calza perfettamente quella fatta dal procuratore [del processo] di Norimberga: “Prima di ogni rilevante aggressione, con alcune poche eccezioni basate sull’opportunità, avviavano una campagna stampa calcolata per indebolire le loro vittime e per preparare il popolo tedesco psicologicamente. Nel sistema di propaganda. sono state la stampa quotidiana e la radio ad essere le armi più importanti”.
    Prendiamo la catastrofe in Libia. Nel 2011, Obama disse che il presidente libico Muammar Gheddafi stava progettando un “genocidio” contro il suo stesso popolo. “Sapevamo. che se avessimo aspettato un altro giorno, Bengasi, una città delle dimensioni di Charlotte, avrebbe potuto subire un massacro il cui eco avrebbe percorso tutta la regione e macchiato la coscienza del mondo.”

    Questa fu la nota menzogna raccontata dalle milizie islamiche di fronte alla sconfitta dalle forze governative libiche. Divenne la storia dei media; e la Nato – guidata da Obama e Hillary Clinton – effettuò 9.700 attacchi contro la Libia, di cui più di un terzo finalizzati ad obiettivi civili. Furono utilizzate testate all’uranio impoverito; le città di Misurata e Sirte furono bombardate a tappeto. La Croce Rossa identificò fosse comuni, e l’Unicef riferì che “la maggior parte [dei bambini uccisi] erano di età inferiore ai dieci anni”.
    Durante i mandati di Obama, gli Stati Uniti hanno ampliato le operazioni segrete delle “forze speciali” a 138 paesi, o al 70 per cento della popolazione mondiale. Il primo presidente afro-americano ha avviato quella che è stata pari ad un’invasione su larga scala dell’Africa. In qualcosa che ricorda lo Scramble for Africa del tardo 19° secolo, il Comando Africano degli Stati Uniti (Africom) ha costruito una rete di sudditanza supplichevole tra i regimi africani collaborazionisti bramosi di bustarelle e di armamenti americani. Il dogma “da soldato a soldato” dell’Africom ingloba ufficiali USA a tutti i livelli di comando, dal generale al maresciallo. Mancano soltanto i caschi coloniali.

    È come se l’orgogliosa storia della liberazione dell’Africa, da Patrice Lumumba a Nelson Mandela, venisse consegnata all’oblio da una nuova élite coloniale nera, la cui “missione storica”, ammoniva Frantz Fanon già mezzo secolo fa, è la promozione di “un capitalismo dilagante ancorché camuffato”.
    È stato Obama che, nel 2011, annunciò quello che divenne noto come il “perno dell’Asia”, in cui quasi due terzi delle forze navali USA sarebbero state trasferite nella regione Asia-Pacifico per “confrontarsi con la Cina”, nelle parole del suo Segretario alla Difesa. Non c’era alcuna minaccia da parte della Cina; l’intera impresa non era necessaria. È stata una provocazione estrema per far contenti il Pentagono e i suoi dementi pezzi grossi.
    Nel 2014, l’amministrazione di Obama ha progettato e finanziato un colpo di stato guidato da fascisti in Ucraina contro il governo democraticamente eletto, minacciando la Russia al confine occidentale attraverso cui Hitler invase l’Unione Sovietica, che causò una perdita di 27 milioni di vite. È stato Obama a piazzare nell’Europa orientale missili rivolti alla Russia, ed è stato lo stesso vincitore del premio Nobel per la pace ad aumentare la spesa per testate nucleari a un livello superiore a quello di qualsiasi altra amministrazione dalla fine della guerra fredda – dopo aver promesso, in un emozionante discorso a Praga, di “aiutare a liberare il mondo dalle armi nucleari”.

    L’avvocato costituzionale Obama ha perseguito più informatori di ogni altro presidente della storia, nonostante la Costituzione degli Stati Uniti li protegga. Ha dichiarato Bradley Manning colpevole prima del termine di un processo-farsa. Ha rifiutato di perdonare Manning, che ha subito anni di trattamento disumano che l’ONU definisce tortura. Ha montato un caso del tutto fasullo contro Julian Assange. Ha promesso di chiudere il campo di concentramento di Guantanamo e non lo ha fatto.
    In seguito al disastro delle pubbliche relazioni di George W. Bush, Obama, il ragazzo in gamba di Chicago via Harvard, è stato arruolato per ripristinare ciò che egli chiama la “leadership” in tutto il mondo. La decisione del comitato del premio Nobel è stata parte di questo: del tipo di stucchevole razzismo alla rovescia che ha beatificato l’uomo per il solo motivo che piaceva alle sensibilità liberali e, naturalmente, al potere dell’America, se non ai bambini che uccide per lo più in poveri paesi musulmani.

    È questo il richiamo di Obama. Non è diverso da quello di un fischietto per cani: impercettibile ai più, irresistibile per gli infatuati e i fessi, in particolare per “i cervelli liberali messi nella salamoia di formaldeide della politica dell’identità”, come disse Luciana Bohne. “Quando Obama entra in una stanza”, diceva estasiato George Clooney, “lo vuoi seguire da qualche parte, da qualsiasi parte.”
    William I. Robinson, professore presso l’Università della California, e componente di un gruppo incontaminato di pensatori strategici americani che hanno mantenuto la loro indipendenza durante gli anni dei richiami per cani intellettuali dal 9/11, la settimana scorsa ha scritto: “Il presidente Barack Obama. potrebbe aver fatto più di chiunque altro per assicurare la vittoria di [Donald] Trump. Mentre l’elezione di Trump ha innescato una rapida espansione delle correnti fasciste della società civile negli Stati Uniti, un risultato fascista per il sistema politico è tutt’altro che inevitabile. Ma combatterlo richiede chiarezza su come ci siamo arrivati ad un precipizio così pericoloso. I semi del fascismo del 21° secolo sono stati piantati, fertilizzati e innaffiati dall’amministrazione Obama e dalla politica fallimentare dell’élite liberale”.

    Robinson sottolinea che “sia nel 20° secolo che nelle sue emergenti varianti del 21° secolo, il fascismo è, soprattutto, una risposta alla profonda crisi strutturale del capitalismo, come quella del 1930 e quella che ha avuto inizio con la crisi finanziaria nel 2008. C’è una linea quasi retta qui da Obama a Trump. il rifiuto delle élite liberali di sfidare la rapacità del capitale transnazionale, e il suo marchio di identità politica è servito a nascondere il linguaggio delle classi lavoratrici e popolari. spingendo i lavoratori bianchi dentro una ‘identita’ di nazionalismo bianco e aiutando i neofascisti ad organizzarli”.
    Il semenzaio è la Repubblica di Weimar di Obama, un paesaggio di povertà endemica, di polizia militarizzata e di prigioni barbariche: è la conseguenza di un estremismo “di mercato”, che, sotto la sua presidenza, ha indotto il trasferimento di $14 miliardi di dollari di denaro pubblico alle imprese criminali di Wall Street.
    Il suo più grande “lascito” è forse la cooptazione e il disorientamento di una vera opposizione. La “rivoluzione” illusoria di Bernie Sanders non fa testo. La propaganda è il suo trionfo.

    Le fandonie sulla Russia – nelle cui elezioni gli Stati Uniti sono apertamente intervenuti – hanno reso i giornalisti più boriosi al mondo lo zimbello di tutti. Nel paese con la stampa più libera al mondo costituzionalmente, il giornalismo libero ora esiste solo nelle sue lodevoli eccezioni.
    L’ossessione con Trump è una copertura per molti di coloro che si definiscono “liberali di sinistra”, quasi a rivendicare una decenza politica. Essi non sono “di sinistra”, e non sono neppure particolarmente “liberali”. Gran parte delle aggressioni degli Stati Uniti verso il resto dell’umanità è venuto dalle cosiddette amministrazioni democratiche liberali – come quella di Obama. Lo spettro politico americano si estende dal mitico centro ad una destra lunare. La “sinistra” sono i rinnegati senzatetto descritti da Martha Gellhorn come “una rara e totalmente lodevole fratellanza”. Escludeva chi confonde la politica con il proprio ombelico.
    Mentre “guariscono” e “vanno avanti”, gli attivisti di Writer Resist ed altri anti-Trumpisti rifletteranno su tutto questo? Più precisamente: quando sorgerà un vero e proprio movimento di opposizione? Arrabbiato, eloquente, tutti-per-uno-e-uno-per tutti. Fino a quando la vera politica non torna nella vita delle persone, il nemico non è Trump, siamo noi stessi.

    Fonte: http://comedonchisciotte.org/il-problema-non-e-trump-siamo-noi/
    Fonte originale:http://www.counterpunch.org/2017/01/17/the-issue-is-not-trump-it-is-us/
    Tradotto da Gianni Ellena

    1. Ennio Abate: “Il meno peggio” che molti si attendevano da Obama non c’è stato … perché dovremmo attendercelo da Trump?”
      Ma c’è davvero chi ci spera? Marcello Foa è uno dei più favorevoli alla nuova presidenza: “nuove priorità politiche e geostrategiche, che ci riguardano. Un freno alla globalizzazione, difesa della sovranità dei singoli Paesi, maggior interesse e considerazione per l’economia reale, più crescita e meno austerity, più occupazione”. Però Foa sintetizza: “Sarà un presidente memorabile o disastroso? Nessuno oggi può dirlo con sicurezza. Mettiamolo alla prova e vediamo cosa combina” (dalla sua bacheca su FB).
      Si può parteggiare per il fatto che la nuova presidenza configura posizioni nuove quindi una ridislocazione dei rapporti tra potenze, e questo fa affacciare su scenari che ci riguardano.
      In proposito è interessante l’analisi di A. Visalli sul discorso di Teresa May del 17 gennaio alla Lancaster House, sulla strategia e gli obiettivi del negoziato per l’uscita dalla Unione Europea: la Gran Bretagna “parte di un’azione condotta per accerchiare la fortezza europea germanizzata, e ridurla a più miti consigli, insieme a quella cinese”. http://tempofertile.blogspot.it/2017/01/theresa-may-discorso-sul-negoziato-per.html#!/2017/01/theresa-may-discorso-sul-negoziato-per.html
      Confinamento della Germania al nord europa e legame dell’Italia con Inghilterra e USA è la prospettiva necessaria secondo Sapelli.
      Direi che si prospetta un quadro mobile su cui ragionare, mentre il vecchio quadro Obama-Clinton è noto, nelle sue qualità ben descritte da J. Pilger.
      Escluderei quindi che la favorevole disposizione di attesa nei confronti di Trump, da sinistra e da destra, abbia a che vedere con “puerile entusiasmo”, e che si tratti o meno di “cedere”. (Il verbo è usato in senso intransitivo e rimanda a una posizione di resistenza… morale?)

  9. “Direi che si prospetta un quadro mobile su cui ragionare” (Fischer)

    Oh, sì! Basta sentire il diretto interessato:

    Il discorso di Donald Trump dopo il suo giuramento
    (http://www.internazionale.it/notizie/2017/01/20/il-discorso-di-donald-trump)

    Stralcio:

    “Per molti anni abbiamo arricchito l’industria straniera a scapito di quella statunitense, abbiamo difeso i confini di altre nazioni e non i nostri. Da oggi ci sarà una nuova visione: l’America viene prima. Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, in materia di immigrazione, sugli esteri sarà presa a beneficio dei lavoratori americani e deòle famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dalle devastazioni di altri paesi che distruggono i nostri prodotti, rubano le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro. L’America tornerà a vincere, come mai prima. Ci riprenderemo i nostri posti di lavoro. Ci riprenderemo i nostri confini. Ci riprenderemo la nostra ricchezza. E ci riprenderemo i nostri sogni. Ricostruiremo il nostro paese con mani americane e lavoro americano. Seguiremo due semplici regole: compra americano e assumi americano”.

    1. Mi pareva di essermi riferita ai nuovi rapporti in politica estera e alle conseguenze per Europa e Italia.

  10. * L’aria che tira…

    SCRAP-BOOK MINIMO E AMPLIABILE. COMMENTI FB SU TRUMP PRESIDENTE

    1.
    …certamente dobbiamo aspettare per vedere quanto e come del suo programma sarà sviluppato, ma intanto ha enunciato un programma che non è male…ne vedremo delle belle, mi aspetto la furiosa reazione dei globalisti finti democratici.

    2.
    Certo che per i filo americani della sinistra rosé decantatori del capitalismo, del libero mercato, del libero scambismo, dell’esportazione di democrazia, dei diritti umani (per i ricchi) deve essere un trauma grosso.

    3.
    La vittoria di Trump, la cui nomina con una cerimonia che ricorda un’incoronazione, è stata resa possibile da un sistema elettorale ultramaggioritario settecentesco, visto che la pur debole Hillary ha ottenuto circa 3 milioni di voti in più. Questo sistema viene mantenuto in vita perché consente una gestione oligarchica del paese non troppo dissimile da quella della Russia putiniana. Il fatto che questa volta abbia vinto l’ala più retriva dell’oligarchia si spiega con la caduta dei profitti, insomma con una crisi di accumulazione. La caduta del plusvalore ha reso una parte di miliardari inclini a credere alle formule magiche e a piccoli guadagni di breve respiro.
    Quanto a noi speriamo di cavarcela sotto questo Berlusconi con i missili nucleari.

    4.
    Mi fanno particolarmente schifo (in America come in Italia) i sinistrati snob e di grande competenza sugli affari degli States che ora rimpiangono il fatto che Sanders avrebbe vinto se fosse stato candidato e che, però, hanno votato la Clinton alle primarie convinti che si sarebbe affermata a mani basse e che già oggi hanno nostalgia della non eccelsa presidenza Obama…

  11. Che dire? L’analisi al punto 3 la condivido nella seconda parte (nella prima… la democrazia rappresentativa ha i suoi trucchi, i suoi sistemi, che però si equivalgono), che cioè si tratti della caduta dei profitti. Però un sistema imperiale ha dei limiti tra potenza e raccolta delle risorse che lo fanno implodere.
    Invece il punto 4 mi fa rallegrare: sterilita’ della miserabile e sinistra ideologia delle differenze universali.

  12. * L’aria che tira…

    SCRAP-BOOK MINIMO E AMPLIABILE. COMMENTI FB SU TRUMP PRESIDENTE
    AGGIUNTA 1

    5.
    Dici che sia razzista,forse lo è.
    Dicono che sia un fascista,staremo a vedere cosa farà.
    Dicono che sia protezionista,non riesco a dar gli torto.
    non so cosa accadrà con i rapporti con l’europa anzi con l’Italia,speriamo bene,ma se il presidente del consiglio italiano dicesse che vorrebbe salvaguardare il popolo italiano non mi dispiacerebbe,forse al mercato troverei le arance siciliane e non quelle marocchine,troverei i pomodori di pachino e non quelli turchi o vietnamiti,forse le scarpe che compro verrebbero dalla manifattura italiana e non dalla Cina,i pantaloni dalla Turchia,le magliette dal Bangladesh,ecc,con buona pace delle fabbriche e dei lavoratori italiani.E’ contro la Cina? Anch’io,sono convinta che con i loro prodotti scopiazzati,tossici,sottoprezzati e fabbricati da persone ,anche bambini,che lavorano con gli stessi diritti degli schiavi cioè nessun diritto,abbiano rovinato l’economia mondiale.
    Staremo a vedere cosa farà Trumph,speriamo bene,per il momento è stato giudicato,condannato e giustiziato per quello che non ha fatto.
    Io dopo un nobel per la pace che ha scatenato tante guerre e si apprestava a scatenare la peggiore,quella con la Russia,spero che faccia qualcosa di buono.

    6.
    si capisce benissimo che lei e’ un anti Trump, bene in linea con il 90% del giornalismo italiano radical chic con pensiero unico politicamente corretto. Io non so come sara’ Trump, ma per dare un qualche giudizio aspetto.
    Voi invece lo avete gia’ condannato e incomincia la demonizzazione. Si il comunismo non c’è’ piu’,ma i suoi metodi distruttivi delle persone che non sono sinistri rimangono e voi liberal( non liberali ma liberal che e’ una cosa ben diversa) li avete copiati e assorbiti tutti.

    7.
    Gentile signore faccio l’inviato di guerra da oltre 30 anni: e parlo di quel che vedo; dove vado io di radical chic non ce ne sono, mi creda. Quindi primo impari a non etichettare le persone poi anche a ragionare. Ma siccome ho a che fare con miriadi di screanzati nella vita e su Facebook le rispondo adeguatamente. Non sono contro Trump più di quanto sia stato contro Obama perché entrambi non hanno il coraggio di cambiare la politica estera americana: La Casa Bianca ha appena annunciato uno scudo spaziale contro Iran e Corea del Nord, l’asse del male di Bush junior. L’Iran deve essere per forza uno stato fuorilegge perché non ha mai avuto bisogno per sopravvivere degli Usa. Con la nomina del genero con delega sul Medio Oriente, un ragazzetto di 35 anni, e l’annuncio di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme si è già capito dove va a parare Trump. Vedremo cosa fa con la Russia. Siamo passati da Obama, il Cavalier Tentenna, a un orecchiante che farà campagna elettorale ancora per mesi per convincere gli altri che non è finto, circondato da uno staff dove si salva solo Speacer, il portavoce.

    7. 1.
    Il punto dove si concentrerà Trump non è tanto quello dell’economia produttiva, che non conosce, ma quello finanziario con un obiettivo: attirare capitali negli Usa facendo tagliando la corporate tax e facilitando gli investimenti finanziari, immobiliari e i lavori pubblici, Ci sarà tanta Goldman Sachs quanto ne abbiamo vista in passato, mi sbaglierò ma io la penso così.

    8.
    Che Obama abbia fatto molti errori e’ peraltro indubbio e Alberto lo dice da sempre, chiamandolo ironicamente cavalier tentenna (Che mi pare appropriato: Obama ha peccato di ignavia e spesso si è trovato contro e stretto nella Morsa delle varie agenzie americane, oltre ad essere stato in minoranza al congresso per 6 anni di 8), ma la invito a ricordarsi quale situazione ha ereditato Obama stesso. Prima di lui c’era un certo Bush jr (uno che parla come lei, con la paranoia dei “comunisti”, o come Berlusconi), che di disastri e’ campione mondiale. Disastri non certo per ignavia, per indecisione, ma proprio per malafede. Aspettiamo cosa farà trump, ma qualche indizio (ambasciata a Gerusalemme su tutti) ce lo ha già dato per farci un’idea, oltre a discorsi deliranti, sconnessi e spia di una ignoranza conclamata, persino rivendicata, non riscontrabile in alcun presidente americano (e ce ne vuole). Un consiglio: abbandoni le frasi predefinite, i radical chic e stronzate varie, e ripassi un pochino la storia. Qui non si tratta di essere anti trump: se lo si ascolta, trump (e noi giornalisti anche questo dobbiamo fare, ascoltare), un’idea su chi sia e’ molto facile farsela. Poi dovrà governare, e vediamo cosa combinerà. Dopo aver ripassato la storia prenda anche un buon manuale di scienza politica e studi la differenza tra comunisti e liberal, che mi pare che a occhio non ce l’abbia ben chiara.

    9.
    io non so cosa sia in realtà Trump ed ho un sacco di dubbi. Però qualche speranza recondita che dietro di lui si muova un America profonda stanca di farsi trascinare in guerre in giro per il mondo dove non cava un ragno dal buco e che finiscono puntualmente per fiaccarla a vantaggio del solito noto “alleato” ce l’ho. Così come spero che questa fazione si batta per riposizionare gli USA su un piano più sostenibile. Per essere ancora la prima potenza ma non l’unica a menare le danze. E questo per me sarebbe già un bel passo in avanti.

    10.
    La realtà vedeva contrapposti una donna che aveva nel proprio programma una dichiarazione di guerra a Russia, Siria, Iran e Turchia (no fly zone), contro Trump che da questo punto di vista aveva dato garanzia di una distensione nei rapporti con i russi.
    Solo questo fatto per noi europei non lascia dubbi sulla preferenza. Se fossi stato palestinese, latinoamericano o cinese, sicuramente il mio giudizio sarebbe stato diverso.
    Quello che suona “strano”, è il fatto che davanti a quanto accaduto coi democratici non sia successo praticamente nulla del genere.
    Chi manifesta ora in modo telecomandato dai media, per me ha stima politica e sociale pari a zero, proprio non ce la faccio.
    Nella vita reale a volte esistono delle scelte, che è ciò di cui si sta parlando. Se si pensa che qualcuno faccia un manifesto a Trump, ha parecchie carenze nella visione d’insieme.
    Nessuno si illude che gli USA cambino radicalmente il loro modo di intendere i rapporti con gli altri Paesi, ma piccoli segnali sono stati lanciati dopo anni di ipocrisia spudorata. Non ci resta che sperare che un minimo di queste premesse venga mantenuto. Da come il mainstream si è comportato nei suoi confronti, è naturale ipotizzare che il potere che ha Trump come rappresentante, evidentemente a qualche big da parecchio fastidio.

  13. Segnalo due interessanti articoli che analizzano il *discorso* di Trump, per immaginare un suo possibile percorso politico.
    Il primo è di Paolo Valesio, scrittore e critico letterario, sul Sussidiario di oggi, titolo: IL FUTURO DI TRUMP/ Da oggi comincia la metamorfosi di Donald. “Il discorso d’insediamento del presidente americano deve avere un requisito fondamentale: essere vacuo (…) Ma vacuità non è sinonimo di nullità o vuoto assoluto (…) Il suo ultimo momento di piena presenza in quanto individuo politico, per ogni neo-eletto presidente, è quella dilazione di otto-nove settimane che intercorre fra l’elezione e l’insediamento (…) In quella dilazione o proroga di meno che Cento Giorni napoleonici il vincitore può essere ancora se stesso. E poi? Poi, comincia a correre davanti -non più dietro- alla valanga che egli stesso ha creato.”
    Come si capisce questa prefigurazione è uno schizzo, che vuole individuare le linee dinamiche del ritratto completo, come si disvelerà nel futuro. Infatti Valesio prosegue: “A proposito del movimento, si sono già notate certe somiglianze fra lo stile di Trump e il linguaggio di un certo comico italiano inizialmente sottovalutato (…) ci sarà pure qualcuno, in qualche loft o scantinato di Manhattan -magari non lontano dalle Trump Towers- che comincerà ad abbozzarlo, questo romanzo politicamente eterodosso”.

    La seconda analisi è di Alessandro Visalli che in un articolo del suo blog stabilisce queste opposizioni tra i discorsi di Obama e quello di Trump: “Si oppongono due discorsi di Obama: universalisti, tecnocratici, basati sull’indicazione di una ‘agenda’, che scelgono dei valori come forza motivante, astratti, radicati nella libertà come destino storico.
    Ad un discorso di Trump: nazionalista, populista, basato sull’indicazione di un nemico, che sceglie come forza motivante l’indicazione di un meccanismo, concreto, radicato nella promessa della protezione.”
    Visalli riporta alcune frasi di Obama a chiusura dei suoi due discorsi di insediamento: “Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà…” .
    Parole simili nel secondo: “Che ciascuno di noi abbracci, con solenne dovere e meravigliosa gioia, ciò che è il nostro retaggio permanente”.
    Visalli trae questa conclusione, che implica l’inizio di un percorso radicale e probabilmente non scontato (se si accetta la verità della seconda proposizione del distico):
    “Il vento della reazione, credo, reagisce all’altezza inumana di questo ideale.
    Ciò da cui fugge è la bassezza del suo fallimento.” http://tempofertile.blogspot.it/2017/01/donald-trump-barac-obama-discorsi-di.html#!/2017/01/donald-trump-barac-obama-discorsi-di.html

  14. SEGNALAZIONE

    Leggetevi cosa scrive Claudio Giunta su LE PAROLE E LE COSE a proposito di Trump: Donald Trump. Che cosa avrebbe detto Lasch?http://www.leparoleelecose.it/?p=25893

    Utilizza la critica alla sinistra liberal americana “illuminista” di un “conservatore moderato” come Christopher Lasch:

    “In che cosa consisterebbe questo tradimento? Nell’essersi schierati dalla parte di un malinteso ‘progresso’ che ha distrutto quello spirito comunitario che univa un tempo i cittadini americani trasformandoli in consumatori egoisti e nevrotici; nell’aver contribuito a spezzare quel legame di fedeltà col passato e col luogo d’origine senza il quale la vita di una nazione finisce per assomigliare a quella che si può vivere in un grande aeroporto internazionale; e nell’aver aderito con entusiasmo a tutti quei dispositivi della modernità che hanno reso impossibile la vita famigliare”

    Denuncia l’ipocrisia della destra:

    “La destra professa rispetto per i valori tradizionali che stanno a cuore alla gente comune (la famiglia, la patria, la religione, il senso del dovere e dell’onore, la fedeltà alla comunità d’origine), ma insieme difende un sistema socio-economico che di quei valori non sa che farsene, e anzi li liquida come obsoleti. ”

    Ricorre a Rorty, che paventava un “fascismo americano” e difendeva ” il successo che le élite hanno avuto nell’ampliare il raggio della libertà umana sfidando l’opinione della massa nella lotta contro la pena di morte e l’odio razziale, e in favore della tolleranza religiosa”.

    E conclude in modo desolante così:

    “A più di vent’anni dalla sua morte, pochi libri sono tanto utili quanto i suoi [di Christopher Lasch] per capire l’aria che tira oggi nel mondo occidentale. Ma è molto dubbio che nelle loro pagine si possa trovare il modo per renderla meno irrespirabile”.

    Un colpo al cerchio e uno alla botte, rimanendo nella bolla del pensiero liberal, mi pare.
    Consigliare a Giunta di scrivere un “Donald Trump. Che cosa avrebbe detto Marx?” ( o Lenin, o Gramsci?). Inutile. Non ascolterebbe. Ci dovremmo pensare noi, se ne siamo ancora capaci.

  15. Ecco, proviamoci, Abate, proviamoci. La prima misura da prendere, però, è linguistica. Ripulire le nostre scritture da pseudo-concetti come “casta”, “élite”, ecc. ecc. Utilizzare le categorie messe a punto nelle loro varie opere da Marx, Lenin e Gramsci. Ad esempio, ha fatto bene Guido Moltedo a scomodare Gramsci e a richiamare per Trump la categoria di “sovversivo”: «Nel senso che nelle condizioni storiche e politiche attuali, rappresenta il “sovversivismo delle classi dirigenti” descritto sull’”Ordine Nuovo”, che non è per sé sinonimo di rivoluzione o di rinnovamento, ma spesso è tutto il contrario, il sovversivismo delle classi subalterne che si salda con quello delle classi dirigenti e dalla miscela deflagra il fascismo.» So già che basta usare le parole “fascismo” o “nazismo” e subito vetero stalinisti e liberali conservatori saltano su per spiegarci che il fenomeno è inedito, nuovo, rivoluzionario, che sono analogie improponibili e che il Papa (l’ultimo ad essere redarguito da questi maestri-di-pensiero) sicuramente sbaglia a sostenere che «le crisi provocano delle paure, delle allerte. Per me l’esempio più tipico dei populismi europei è quello tedesco del ’33. Dopo […] la crisi del ’30, la Germania è in frantumi, cerca di rialzarsi, cerca la sua identità, cerca un leader, qualcuno che gli ridia la sua identità e c’è un ragazzetto di nome Adolf Hitler che dice “io posso, io posso”. E tutta la Germania vota Hitler. Hitler non rubò il potere, fu votato dal suo popolo, e poi distrusse il suo popolo.» (La Repubblica, 22 gennaio, pag. 11)
    Suvvia, Santità!…Paragonare Trump a Hitler!…
    D’accordo. Trump non è né Mussolini, né Hitler. Ma non potrebbe ispirarsi al fascismo e al nazismo?…Le idee (e le ideologie) non muoiono coi loro portatori. Come ci ha insegnato Althusser sono “eterne”. Quindi, Trump, potrebbe essere tranquillamente un “fascista” o un “nazista” come altri sono “liberali”, “democratici”, “socialisti”, “comunisti”, ecc. Che non si abbia il coraggio di qualificare le sue posizioni politico-culturali come reazionarie e di destra, è davvero stupefacente.
    Scrive Moltedo: «Che cosa significherà di fatto il “fascismo” nella versione trumpista, lo vedremo assai presto. Ma alcuni ingredienti sono evidenti nei propositi reiterati. L’isolazionismo in Trump, nella fase storica attuale, non è l’attenzione prevalente agli affari domestici e la riluttanza a intervenire nel mondo, com’era in una certa tradizione repubblicana, ma diventa una versione moderna dell’autarchia, dell’avversione al cosmopolitismo e alla contaminazione con altre culture. […] Dietro Trump si muovono superpoteri dell’economia e della finanza, ben rappresentati dai capi di aziende multinazionali e banche d’affari in dicasteri-chiave del suo governo, e Trump stesso è un super-ricco ». (Il Manifesto, 20 gennaio, pag. 9)
    Marx, Lenin e Gramsci (gli autori citati da Abate) ci hanno insegnato che esistono classi sociali dominanti e dominate, frazioni di classe, ceti politici e gruppi dirigenti che, in vario modo, ne fanno, più o meno efficacemente, gli interessi. Che Trump nella sua campagna elettorale sia stato capace di saldare gli interessi delle frazioni di capitale che rappresenta col ceto medio bianco delle aree deindustrializzate degli Usa (la famosa “gente”) è indubbio. Ma da qui a pensare che sarà meno “imperialista” di Obama, che farà gli interessi di questo ceto, ecc. ecc. ne passa.
    Al momento, l’unica cosa chiara è la divisione fortissima fra classi e gruppi sociali, «la “guerra civile strisciante” che la sua elezione e il suo programma politico in qualche modo provocano».
    A me interessa chi si oppone a Trump dal punto di vista delle donne e dei gruppi sociali subalterni. Bia Sarasini sul Manifesto del 22 gennaio sostiene che la “marcia delle donne” sia stata caratterizzata da un programma politico inedito che «dai diritti delle donne si allarga e include tutte le minoranze». La marcia, recita l’appello che l’ha promossa, «è un movimento guidato da donne che porta nella capitale persone di ogni genere, razza, cultura, appartenenza politica per affermare la comune umanità e un messaggio di resistenza e auto-determinazione.» «Riconosciamo – scrive il documento – che le donne di colore sostengono il maggior peso del lavoro di cura, in patria e nel mondo globale. Sosteniamo che il lavoro di cura è lavoro, un lavoro quasi tutto sulle spalle delle donne, in particolare donne di colore.»
    Per finire: «Migrare è un diritto umano e nessun essere umano è illegale.»

  16. …non che prima dell’arrivo di Tramp[Trump!] le cose andassero bene: il fuoco è esploso in buona parte del mondo e molto covava sotto ceneri apparentemente tranquille…tuttavia temo anch’io l’estremizzarsi delle contrapposizioni e, soprattutto, l’interrompersi di ogni possibilità di dialogo dalla base…e non solo in America. In questi giorni a Milano nel mio quartiere, in particolare in Piazzale Corvetto, sono comparsi numerosi manifesti di Ordine Nuovo: le sole gambe divaricate di uno squadrista in nero e, sullo sfondo, la piazza Duomo…Un programma? Una minaccia? O un’offerta di “aiuto”? Aiuto!!! Chi ci aiuta da chi ? Se si pensa che la mia periferia presenta una vasta fetta di popolazione immigrata, l’immagine suona come una grave provocazione..

  17. Noi eravamo in opera per l’attesa del regno dell’uomo

    così come i cristiani del regno di dio.

    In questa speranza che era volontà e progetto della

    mente e del cuore operava

    ciascuno come poteva e sapeva ma cercando l’aiuto

    e non lesinando al compagno.

    Caduta questa speranza della volontà

    giacche golfini scarpe vestiti; e ori.

    La Merica è grande non finisce mai

    per avere paura della Merica

    devi andare da oceano a oceano

    lì sulla riva guardare la schiena della terra che cala nell’infinito.

    (da “L’Italia sepolta sotto la neve” di Roberto Roversi)

  18. Il “meno peggio” di Trump c’è già stato, per noi europei in special modo: salvo imprevisti, si evita lo scontro diretto USA-Russia, probabile con la Clinton. Secondo me basta e avanza. Sul resto ci dobbiamo arrangiare noi.

  19. Quella del 21 gennaio, a Washington e in altre città, è stata una marcia “caratterizzata da un programma politico inedito, che dai diritti delle donne si allarga e include tutte le minoranze”, scrive Bia Sarasini sul Manifesto, lo ricorda Donato Salzarulo (23 gennaio, 16.55).
    La politica femminista di nuova generazione mostra di essere una forza egemonica, così recita il documento di appello: “Raccogliamo l’eredità dei movimenti suffragisti e abolizionisti, dei diritti civili, del femminismo, dei nativi americani, di Occupy Wall Street”.
    Ho costatato che la marcia ha scatenato reazioni violente in qualche blog. Alcune foto di signore non particolarmente seducenti, in giarrettiere e mutande, anzichè essere lette come un burlesque nei confronti del sessismo di Trump, hanno fatto scrivere di “immonde streghe, cretine abissali senza cervello”, il loro evidente intento satirico trasformato in “grottesche caricature di ciò che dovrebbe essere il femminino” e i berretti rosa indossati come “il ridicolo prepuzio rosa di maglia che, assieme ai loro compari emasculati condotti al guinzaglio assieme ai loro volpini altrettanto tinti di rosa, indossano giustamente in testa”.
    Analogo respiro anima la manifestazione che molti gruppi femministi stanno preparando sotto l’etichetta Nonunadimeno per l’8 marzo. La confederazione USB, unione sindacale di base, indice per quel giorno uno sciopero generale:
    ° contro la violenza maschile sulle donne e i femminicidi;
    ° contro ogni discriminazione di genere nei luoghi di lavoro;
    ° contro la chiusura dei centri antiviolenza;
    ° contro l’obiezione di coscienza nei servizi sanitari pubblici;
    ° contro la precarietà e la privatizzazione del welfare;
    ° per il diritto a servizi pubblici gratuiti e accessibili; al reddito, alla casa, al lavoro e alla parità salariale; all’educazione scolastica, alla formazione di Operatori sociali, sanitari e del diritto;
    ° per il riconoscimento e il finanziamento dei centri antiviolenza e il sostegno economico per le donne che denunciano le violenze.
    Anche questa mobilitazione femminile parla a tutte e a tutti.
    Per questo Donato Salzarulo non può scrivere “a me interessa chi si oppone a Trump dal punto di vista delle donne *e* dei gruppi sociali subalterni”, un momento: le donne non sono un *gruppo sociale*! (Tanto meno, oggi, gruppo sociale subalterno.)
    Le donne sono uno dei due sessi. Per la riproduzione, se l’ingegneria genetica non arriverà a cancellare la differenza sessuale, la specie umana è due, non è Uno. I *generi* sessuali sono le interpretazioni che donne e uomini si danno nella storia e nella cultura.
    La mobilitazione femminile attuale mette i problemi della differenza e delle differenze, dei sessi e dei generi, del rapporto tra il femminismo degli anni ’70 e i movimenti lgbt, all’ordine del giorno.

  20. Infatti, Cristiana, scrivevo “delle donne e dei gruppi sociali subalterni”. La congiunzione non intendeva riportare le donne dentro i gruppi sociali subalterni, ma distinguerle. So bene che sono “uno dei due sessi”…
    Giacchè mi trovo, un’annotazione per Buffagni. Egli scrive: «Il “meno peggio” di Trump c’è già stato, per noi europei in special modo: salvo imprevisti, si evita lo scontro diretto USA-Russia, probabile con la Clinton. Secondo me basta e avanza. Sul resto ci dobbiamo arrangiare noi.» Strano modo di ragionare. Come se lo scontro Cina-Usa non riguardasse anche “noi europei” e come se la dissoluzione dell’Unione Europea, obiettivo per cui Buffagni si spende (d’accordo con Trump), non avesse come conseguenza il nostro indebolimento strategico. Cosa vuol dire dobbiamo “arrangiarci noi”? Dobbiamo ragionare come “europei” o “italiani”? Oppure come “italiani europei”?…

    1. Mi aspettavo l’obiezione… ma prova a ribaltare la frase: “A me interessa chi si oppone a Trump dal punto di vista degli uomini e dei gruppi sociali subalterni”, e ti accorgi che quell'”et” precedente non ha un valore “debole” ma piuttosto è un “con”.

      Anticipo subito la possibile ulteriore obiezione: che per “gli uomini” si intende l’umanità in generale, homo e non vir, mensch e non mann.
      Appunto, universale maschile. Universale e maschile.
      Andiamo all’origine di molte lingue, sai? Il femminile come modifica del maschile. Anzi, a Eva tratta dalla costola di Adamo. (Ma c’è in Genesi 1,27 un’altra versione della creazione dei due sessi: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”.)
      Che dire per noi oggi, donne e uomini? Oppure dimmelo tu.

    2. Non credo proprio che la dissoluzione della UE sia un “indebolimento strategico” di noi europei. La UE è un dispositivo di neutralizzazione politica dell’Europa, e come tale ha funzionato benissimo. Siccome io non credo che possa essere riformata, nè in senso autenticamente federale, nè in senso confederale, secondo me va anzitutto dissolta. Dopo si ragiona su come rimetterla insieme, magari secondo le linee direttrici della realtà. La quale realtà ci dice che di Europe ce ne sono almeno tre, la Europa del Nord (con la Scandinavia che forse è dentro forse no), la Mitteleuropa, e l’Europa Mediterranea. Personalmente, sarei favorevole a un’ Europa Mediterranea (alleanza di Stati neutrali, Italia+Austria+sponda adriatica+sponda africana). Ma se l’UE si dissolve, tutto ritorna in gioco, anzitutto il problema numero 1 dell’Europa, cioè 80 milioni di tedeschi.

  21. Per quanto mi riguarda, sono d’accordo con la versione di Genesi 1,27: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”.

  22. Continuano le manifestazioni e le prese di posizione contro Trump, ieri e oggi contro il decreto di respingimento dei migranti da sette paesi con maggioranza musulmana. I procuratori generali di 16 stati hanno emesso una dichiarazione congiunta di condanna dell’ordinanza. Una giudice di New York ha ordinato una sospensione di emergenza di parte del decreto. Hollande, Merkel, Gentiloni, il governo inglese, i capi della Silicon Valley hanno espresso (alcuni con cautela) il loro dissenso.
    Non c’è da stupirsi, il partito democratico, parte di quello repubblicano, il finanziere Soros, alcuni servizi, e quanti altri, soffiano sul fuoco.
    Ma Bia Sarasini, a proposito delle manifestazioni di centinaia di migliaia di donne a Washington e in altra città, impiega altri tipi di parole, parole importanti: “politica femminista di nuova generazione” e “movimento guidato da donne”. A un signore che sosteneva “i diritti delle donne sono solo un pretesto anzi, trattasi di una strumentalizzazione alla lotta di potere tra sinistri e destrorsi”, sulla sua bacheca di Facebook il 23 gennaio Ida Dominijanni risponde così: “Sono 40 anni che noi donne facciamo politica autonomamente, senza farci strumentalizzare proprio da nessuno”.
    Quello che vorrei si vedesse è che *la politica femminista di nuova generazione* si dimostra un soggetto forte, capace di parlare a tutte e tutti, con iniziativa politica e perfino con egemonia. Con le manifestazioni del 21 gennaio le femministe hanno esercitato una leadership sulle altre componenti. Persino inconsapevole per alcuni, ma reale. Questo è dimostrato persino dagli attacchi ricevuti e che continuano a ricevere da parte di uomini e anche donne, politicizzati e preparati.
    Non basta più accostare le lotte delle donne a quelle di altri gruppi, la politica femminista mostra di essere autonoma e di non limitarsi alle battaglie per i diritti. Il sessismo e la violenza sono obiettivi politici da attaccare più ampi dell’elezione di Trump.
    Un secondo aspetto del riconoscimento di questo emergere dei femminismi di nuova generazione coinvolge la lingua. La lingua resiste nelle sue strutture profonde ai cambiamenti. Occorre lavorare perchè un nuovo rapporto tra soggetti trovi spazi adeguati. Riconoscimenti a livello lessicale, nella grammatica e nella sintassi, nella costruzione logica, immaginaria e nella retorica. Questo avverrà, con il tempo, ma intanto avviene sorvegliando il proprio linguaggio, anche per me donna, non solo per i maschi. Scegliere le parole e le costruzioni perchè la realtà femminile sia riconosciuta nella sua (di lei) autonomia e non in derivazione o complementarità.
    Un compito, per il linguaggio, da poco, occuparsi de omnibus rebus et de quibusdam aliis, di ogni cosa e di qualche altra ancora (Pico della Mirandola).

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