Teorizzazione della contraddizione nell’opera di Franco Fortini

di Erminia Passannanti

Con una Nota di Ennio Abate in Appendice

“Credo alla verità di alcune mie poesie
perché ogni loro verso porta
il segno della contraddizione.
(F. Fortini)

Impegnato nei dibattiti tra gli intellettuali della nuova sinistra su Quaderni piacentini, negli anni Sessanta Fortini inizia a sostenere che la lotta di classe non può essere condotta solo con il discorso oppositivo e dialettico, ma dalle trasformazioni determinate dalla rivoluzione culturale a cui pensava Mao Tze Tung, come si evince dal brano “Per la morte di un maestro”, ne L’Ospite ingrato:

“Nelle aule della scuola dove Mao aveva studiato e insegnato, in una città della Cina, abbiamo visto insegnare ai figli dei suoi nipoti. Questa distanza fa parte della figura di Mao. La coscienza della distanza ha sempre accompagnato il suo genio come vibrazione e rifrazione che impediva di vedere in lui solamente il politico, il capo di un popolo, che dava ad ogni sua azione o parola più di un senso e più di una durata. Era lui a prendere distanza da noi e dalle circostanze, ad alterare i contorni delle azioni con l’unione dei linguaggi antichi e modernissimi, di favola popolare, di saggistica intellettuale, di dialettica delicata o violenta, confondendo i secoli e le culture, le categorie, i morti e i vivi.”[1]

Senza volere definire Fortini il “poeta” della contraddizione permanente, essendo all’epoca già pensato come tale il marxista Giancarlo Ciabatti, Fortini fu certo il saggista che ne discusse ampiamente come categoria nelle sedi non solo politico-ideologiche ma nelle istituzioni letterarie. In ambito teorico, e di riflesso nei suoi versi, Fortini chiedeva alla poesia di rendere giustizia al suo fine ultimo, ovvero quello di conferire senso e ragione ai conflitti e alle contraddizioni del presente, senza trascurare un dialogo costruttivo con i valori della tradizione: “A loro (i versi) chiedo aiuto perché siano visibili / contraddizioni e identità fra noi. / Se un senso esiste, è questo.” (Fortini, L’ospite ingrato. Testi e note per versi ironici, 1966)

Anche come poeta, dunque, Fortini procede lungo un percorso che chiama in causa gli opposti nella struttura lirica. La verità della poesia è complessa e conflittuale perché in sé assorbe misura formale e caos, volontà di conciliazione e lotta all’ordine regolatore. La categoria della contraddizione, sembrava dire Fortini con uno dei suoi usuali paradossi, è difficile ed insieme facile da frequentare: nella sua logica è consentito l’errore. La frequentazione della contraddizione può portare ad uno stato di conflitto permanente, la cui conclusione è sempre uguale a zero, o può dirci, al contrario, quel che di stabile nel conflitto procede e supera sempre e di continuo i propri opposti.[2] In poesia, ragione e sentimento sono, di conseguenza, forze essenziali ed interagenti.

Conoscitore dei disequilibri nell’opera di Leopardi, Fortini affida alla contraddizione la sua stessa poesia, cogliendo il senso e la necessità di ogni umano conflitto. Utile a comprendere il valore di ciò che è problematico e disarmonico negli scritti di Fortini è l’aforisma di Blaise Pascal: “Né la contraddizione è indice di falsità, né la coerenza è segno di verità.”

Se l’“agire lirico”, come “onda” cupa e potente, consolida la propria originalità nel trovare un suo assetto formale negli inevitabili legami con la lingua e la letteratura da cui deriva i suoi strumenti, nel trasgredirne sottilmente i canoni, esso procede anche per scontri e opposizioni, come suggerisce la poesia “Metrica e biografia” (Poesia e errore): “nelle grotte più chiuse dove cupa / molto contro le mura, onda, tu tuoni”.

La percezione della figura di Fortini fu complicata da questa sua quasi totale fiducia nell’efficacia della “contraddizione”. Tale tendenza emerge infratestualmente non solo nella poesia,  ma anche nella saggistica ed, in modo inequivocabile, in Verifica dei poteri (1965), L’ospite ingrato (1966), Questioni di Frontiera (1977), fino ad Insistenze (l985). Nel saggio “Contro tiepidi spade”, Gian Carlo Ferretti così commentava questi elementi nella scrittura fortiniana:

“Ma si tratta di una contraddizione feconda; non soltanto perché Fortini la vive pur sempre con una consapevole tensione di superamento, e di un superamento che dei due momenti contrastanti, la letteratura e l’altro, si arricchisca intimamente (significativa la sua ricorrente, appassionata e lucida ricerca di un nesso tra tempi brevi e tempi lunghi, funzione sociale dell’intellettuale e “disegno strategico” del poeta); ma perché, nel sostenere la “insostituibilità del discorso poetico e letterario” nel quadro della trasformazione rivoluzionaria della società, egli assume al tempo stesso quella contraddizione e quella tensione di superamento come momenti attivi all’interno stesso della sua poesia. Questo muro ne fornisce del resto prove di grande significato, dalle più implicite e sottili alle più trasparenti e quasi programmatiche.” [3]  

Nella poesia di Fortini emergono, a fasi interconnesse, spesso nello stesso testo, il momento della predominanza del logos, che impone al linguaggio lirico il raziocinio etico, e il momento psichico-affettivo, che dà espressione al lato oscuro dell’esperienza esistenziale, come ha notato Luperini in La lotta mentale (1986). Se lo scrivere versi per Fortini si traduceva in poesia della realtà, questa rimaneva una zona inconciliata, a rendere problematico il contatto con le cose del mondo, segnando una difficoltà a cui il poeta, che si ammette senza riserve come “uomo tra gli uomini”, immerso nella realtà capitalistica reificata, non può fare fronte. Questo conflitto non si appaga nemmeno con l’impegno civile. Nell’introduzione all’intervista Il dolore della Verità, Maurizio Maggiani incontra Franco Fortini, Erminio Risso nota:

“Volendo fotografare questo modo di operare, si potrebbe ricorrere all’immagine del dialogo, dove a una voce che tenta una interpretazione esaustiva del mondo ne segue immediatamente un’altra che propone una serie infinita di obiezioni, pronte a smontare quello che pareva un momento di equilibrio, sebbene instabile.”[4] 

La poesia del conflitto, pregna di umori e veleni, come emerge da “L’animale”, è “verità necessaria”, che segna il “rifiuto” dell’arte a porsi al servizio dei potenti. La “contraddizione”, in campo lirico è, pertanto, sentimento del reale, proposto in “forma etica” contro ogni falsa metafisica, come recita la poesia del 1958 “Il comunismo”: “Vivo, ho vissuto abbastanza per vedere da scienza orrenda percossi i compagni che m’hanno piagato. Ma dite: lo sapevate che ero dei vostri, voi, no?/ Per questo mi odiavate?/ Oh, la mia verità è necessaria, dissolta in tempo e aria, cuori più attenti a educare.”

La funzione poetica che Fortini teorizza nutre, dunque, la vocazione a rilevare le contraddizioni di ciò che è dato per scontato, per ricostituire le realtà del presente alla luce della critica: poesia che si concepisce come forza oppositiva. Tale funzione si attua nel simultaneo cedere e resistere alla seduzione della forma tramite la figura della “contraddizione irrisolta”, portatrice di antinomie. Nella prefazione a L’ospite ingrato, Fortini scriveva:

“Altro ancora ero venuto scrivendo, quasi con la mano sinistra: poesie che soprattutto stavano a provare momenti di fastidio per una qualche mia identità, metrica, stilistica; versi pseudonimi; prove di possibili traduzioni immaginarie; smentite alla coerenza manieristica, che è la più facile. […] Ma sembra che ad una coerenza qualsiasi o alla sua intenzione sia impossibile sfuggire. Come si fa con le carte non col vino, “taglio” allora in questo libretto un certo numero di quei versi con quanto può parere più lontano da loro, (vale a dire) note di raziocinio o di ideologia, dispute su passioni colpite da morte apparente, fogli che pretenderebbero sollevarsi dal confuso diario immaginario che chiunque redige: per tendere dissonanze, spezzare ogni accento melodico, costringere a un doppio gusto, a un dissapore”. (Fortini, L’ospite ingrato, prima edizione, 1966, pp. 9-10)

La citazione suggerisce che Fortini, come poeta in conflitto anche con gli stessi dettami del marxismo militante delle teorie di Lukács sull’impegno (realismo sociale), giudica un antagonista il poeta formalista che vede in sé.  Il poeta  borghese non farebbe che riprodurre la sottomissione della sovrastruttura che lo Stato subordina agli interessi economici delle classi dominanti. Ne consegue che Fortini si scopre a condurre  in primis la sua lotta contro se stesso. La logica che Fortini dice di avere infine seguito in questo ordine di giudizi, è stata quella del marxismo dei pensatori francofortesi, che giustificano l’arte da una prospettiva che procede per via negativa: “La contraddizione in questi pensatori non è più scandalosa, ma istituzionale”.[5]

Il tema della contraddizione nella poesia di Fortini acquista importanza nella citata raccolta Poesia e errore (1959, sec. ed. 1969), incentrata sulla natura sostanzialmente instabile del reale e sul rapporto di questa natura ingannevole con il mondo dell’arte. Per Fortini, l’agire lirico è intrinsecamente rivelatore di tale inganno e, dunque, trasgressivo, muovendosi, come fa, in modo inversamente proporzionale al suo assetto formale. La pretesa d’assoluto della parola lirica, di qualsiasi epoca, si disgrega proprio nel suo darsi come evento estemporaneo, circostanziale, personale: “Come l’azione politica, la poesia è il risultato di operazioni combinatorie, compiute su un definito numero di dati e di termini.

Le verità vi si fanno a partire dagli errori”.[6] Paradossalmente, afferma Fortini, è l’errore che garantisce credibilità a ciò che chiamiamo verità: “Nessun errore, si sa, è più grave di quelli che nascono da una verità, ma guai a chi, per evitare gli errori, rinviasse l’apparizione della verità”.[7] Anche il succedersi di tradizioni nell’ambito della cultura non rappresenta altro che una serie di malintesi della sfera logica, che avrebbero luogo nell’esercizio del linguaggio. La poesia romantica, con la sua fede nella forza del sentimento e del dominio dell’irrazionale, ha nutrito la speranza di pervenire al senso del mondo, armonizzando la sfera ideale con quella dell’errore insito nelle cose umane. Ciò non costituisce per Fortini il vero limite di questa tradizione, in quanto si tratta di un difetto teorico, indotto dalla filosofia idealista, che ha speculato sulla funzione conciliativa dell’arte. La poesia romantica, per Fortini, ha valore, al contrario, perché, in ogni sua espressione, è indizio dell’autoinganno, insito nella forzata volontà della ragione di una conciliazione degli opposti.

Mentre mantiene stretti legami di deferenza con la lingua letteraria e la tradizione, da cui attinge i suoi strumenti, il poeta lirico che sappia progredire oltre la mera imitazione, deve al contrario contravvenire ai canoni, in base agli ostacoli in cui si imbatte, come recita “Metrica e biografia”, in Poesia e errore, del 1959, “nelle grotte più chiuse dove cupa / molto contro le mura, onda, tu tuoni.

Prendendo spunto dalla lirica leopardiana dei Canti, interprete d’una dissociazione tragica fra poesia e verità, Fortini sottolineava come la poesia conceda la consumazione estetica di un’esperienza “totalizzante”, che in passato era stata privilegio esclusivo degli spazi sacri, la quale non può non tradire la sua natura ingannevole. Lo dirà anche Jorge Luis Borges di Invenzione della poesia. Lezioni americane (2004), la poesia non può avere la pretesa di essere “verità”. Il nostro autore riflette:

“La poesia parla di qualcosa e nello stesso tempo parla di se stessa. La voce della poesia dice questo o quello, ma lo dice in modo che un effetto d’eco ci ricorda sempre che non la si può prendere in parola”.[8] 

Fortini metteva in guardia i poeti contro la mera gratificazione della forma. Cosciente della natura dialettica del reale, seguendo Brecht e Benjamin, ma rifacendosi ugualmente a Hegel, Schiller, Schelling e Marcuse, Fortini ricordava che il compito di chi scrive versi non deve essere quello di cercare alcuna ricompensa nel linguaggio della poesia, ma collocare nella contraddizione il senso della sua ricerca estetica.[9]

Schiller, autore amato da Fortini, ne I Masnadieri, parlava della “sete insaziabile di perfezione” quale esito “del disordine nel sistema delle passioni buone”.[10] Tuttavia, diversamente dai romantici, che nella dimensione tragica vagheggiavano la possibilità del superamento della frattura tra estetica ed etica, Fortini non cercava di conciliarne gli opposti, bensì, di drammatizzarne la separazione. Il teorizzare un conflitto costante ed irrisolto tra eticità, pragmatismo e spiritualità riporta il discorso sulla preferenza di Fortini per la dimensione tragica.[11]

In “Canzone” una poesia del 1959, inclusa in Poesie ed errore, Fortini anticipava il tema della perdita del senno come cedimento della ragione sotto il peso dell’angoscia e delle contraddizioni (“Uomini usciti di pianto e di ragione”), laddove il pianto e il fallimento emancipano l’artista, secondo formule tassiane, goethiane o leopardiane. Fortini faceva notare:

“Non sarebbe immaginabile una sinfonia che non smettesse mai. All’interno di qualunque lirica, la divisione in parti è già questo, ma che dico in parti: nelle parti delle parti, nel sistema delle battute, dei ritorni. È lo stesso con la poesia, con tutto.” (Fortini, L’ospite ingrato, p. 162)

La forma poetica trarrebbe vantaggio, paradossalmente, dal pensiero della fine, che le aggiunge direzione e sostanza. Ne consegue che il tema della morte sia finitezza, ed insieme garanzia di vita ed universalità  come comprova L’infinito di Leopardi (Fortini, Dei confini della poesia, 1986). Tale polarità, Fortini spiega in Verifica dei poteri, rafforzerebbe la funzione tragica del linguaggio poetico:

“(La poesia) assolve l’uffizio di essere un assillo ad un adempimento reale, interumano, della propria immagine formale e ad un tempo luogo di consumazione anticipata (quindi mistificata come quella di una droga o di un’ostia) d’una pienezza fulminea e immaginaria.” (Fortini, Verifica dei poteri, 1965, p. 254)

Fortini precisa: “Questa distinzione parrà sottile e sofisticata […] Eppure non andrà molto tempo e quanto vado dicendo, ossia ripetendo, da pensieri più ricchi e coerenti dei miei comincerà ad essere meglio inteso”.[12] Qui non si ricerca, né apprezza, la spontaneità o il vitalismo del linguaggio lirico romantico, né s’inganna sulla poesia quale lingua di eletti, ma, come Benjamin, sostiene la forza lirica della realtà nei suoi conflitti e paradossi. Il contrasto tra l’esigenza di libertà espressiva del poeta e l’etica dell’intellettuale impegnato riassume il tema principale del poemetto del 1962, La poesia delle rose,[13] dove Fortini dubita che la poesia possa mai pervenire ad una conciliazione di sentimento e ragione, pur tendendovi tramite la forma. Come egli suggerisce ne La poesia delle rose, la più efficace destabilizzazione che il poeta possa fare dello status quo non si pratica con la forzata conciliazione degli opposti, ma spingendo fino ad un limite estremo, sul piano formale, la loro complessa relazione. Nella ricerca di un’impossibile, conciliata verità, il poeta, che precede per indizi, è condannato ad imbattersi nell’errore. Ne La poesia delle rose, Fortini ribadisce l’utilità di “verità” in conflitto:

“Ma riconosci questo indizio. Da grotte, fontane
i contrari respirano immobili.
Dove si schiude una rosa decade una rosa
e uno è il tempo ma è di due verità.”

 Il bisogno di mantenere irrisolta la tensione della contraddizione permane, di fatto, in tutta l’opera di Fortini. Portare sempre in primo piano la disarmonia, il disequilibrio, l’errore nei contesti storici, sociali e culturali di cui fu testimone e protagonista, rappresentò per Fortini, instancabilmente, come per Montale, una scelta a segnalare la fallibilità del dire poetico. La poesia, riuscendo a catturare quotidianità e totalità, stabilisce, infatti, una comunicazione più tragica, ma anche più vera con l’esistenza lacerata dell’esistente. La poesia “Sopra questa pietra”, pubblicata in Composita Solvantur, nel 1994, coerentemente con quanto ritenuto per tutta una vita recita:

“Sopra questa pietra
posso ora fermarmi. Dico alcune parole
nello spazio vuoto preciso.
Le grandi storie
tentennano in sonno, vacillano
nelle teche i crani
dei poeti sovrani.
L’enigma verde ride la sua promessa.

[…]
Lo spazio dei dilemmi è verde e vuoto.
Non può vedermi più nessuno qui, nessuno
mi farà male mai più.”

Come ne l’Ungaretti di “Sono una creatura”, in questa lirica ricorre il lemma “pietra”, come simbolo della progressiva riduzione a simulacro della parola poetica. Quindi Fortini ricorre alla contraddizione per denunciare il “vuoto” su cui si affaccia ogni umano dilemma, mettendo in risalto il suo essere fulcro della resistenza della parola ad ogni semplice conciliazione. La poesia “La partenza”, inclusa in Una volta per sempre, Poesie, 1938-197, che verrà discussa nella sezione 2.7.a. (Analisi testuale), mette a nudo il senso goethiano della contraddizione come “(ri)morso”.

Erminia Passannanti (c) 2004

Capitolo II della tesi di dottorato di ricerca Ph.D. In Italianistica

Dal titolo

SCRITTURA SAGGISTICA, LINGUAGGIO LIRICO E TRADUZIONE POETICA NELL’OPERA DI FRANCO FORTINI

University College London (UK)

1999-2004

Supervisor prof. David Forgacs

 All Rights Reserved

 

 

[1] OI, p. 152.

[2] Fortini, “Niente di personale”, cit., p.12. La definizione si trova in un commento di Fortini sulla poesia di Cianfranco Ciabatti.

[3] Lo scritto di Franco Ferretti è pubblicato nel volume di saggi Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, a cura di Carlo Fini, 1980, pp. 73-76.

[4] Maurizio Maggiani, Il dolore della Verità, 2000, p.15.

[5] VDP, p. 225.

[6] FV, p. 9.

[7] ER, p. 94.

[8] Ibidem.

[9] Cfr. Luperini, La lotta mentale. Per un profilo di Franco Fortini, cit. 1986.

[10] Schillers Werke, Nationalausgabe, Weimer, 1962, p. 56.

[11] Si vedano i saggi di Fortini inclusi in Verifica dei poteri che discutono la tesi schilleriana dell’esigenza di un’educazione estetica dell’umanità, in Lettere sull’educazione estetica del genere umano (1795), opera che sostiene il valore formativo dell’arte tragica.

[12] Mi riferisco agli scritti di Walter Benjamin sui linguaggi poetici, nei saggi “Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini”, del 1916, “Il compito del traduttore”, del 1923, e “Il dramma barocco”, del 1928. Per Benjamin, la verità, l’unità e la totalità delle cose sono enfatizzate dalla dimensione enigmatica dell’opera d’arte nel suo rapportarsi al presente massificato.

[13] La questione è affrontata da Fortini ne La poesia delle rose, sui cui contenuti mi permetto di rimandare al mio volume Poem of the Roses, Linguistic Expressionism in the Work of Franco Fortini, Troubador, Leicester 2004.

APPENDICE

Nota di Ennio Abate

Questo saggio di Erminia Passannanti affronta il tema della «contraddizione», fondamentale per capire la figura e l’opera di Franco Fortini, «comunista speciale» (cioè antistalinista) e, anche per questo, “poeta speciale” (cioè estraneo sia alla visione crociana di una poesia pacificata, lirica e a-razionale che a quella heideggeriana, sacerdotale e per eletti). Siccome temo che, leggendolo, i lettori “ingenui” potrebbe arrivare alla conclusione spiccia: Fortini in fondo non è stato né carne né pesce, né politico né poeta, mentre alcuni di quelli più scafati penseranno ad un Fortini indeciso tra il realismo socialista di un Lukács e il formalismo  di per sé rivoluzionario di Adorno, tengo ad avvertire che entrambe queste interpretazioni sono sbagliate. In vita e in morte Fortini è stato scomodo, odiato o mal compreso sia dai politici moderati che dai poeti e letterati accademici per questa scelta di non cancellare – come essi, appunto, hanno fatto – la contraddizione né dall’analisi della realtà né dalla poesia. Egli, cioè, non si è affatto dibattuto sterilmente tra « la spontaneità o il vitalismo del linguaggio lirico romantico» e una concezione della «poesia quale lingua di eletti», ma ha contrastato entrambe queste tendenze. Ed è stato capace di ereditare la lezione romantica di Schiller (il «conflitto tra eticità, pragmatismo e spiritualità») senza mai appiattirsi su di essa, perché, come scrive Passannanti, «diversamente dai romantici, che nella dimensione tragica vagheggiavano la possibilità del superamento della frattura tra estetica ed etica» – un «autoinganno» per Fortini – non ha mai cercato di «conciliarne gli opposti, bensì – e in modo forse più kantiano che nello stesso Schiller – di drammatizzarne la separazione». Ha saputo, dunque, mantenere aperta la contraddizione tra la politica (comunista) e la tradizione poetica, per mille fili legata alle classi dei Signori. Evitando, in poesia, di «cedere alla gratificazione della forma che ogni scrittura, nel suo consolidarsi, sottende» e rimanendo fedele, in politica, alla prospettiva del comunismo, malgrado la  sua precoce tragedia già evidente ai tempi di Stalin e poi esplosa con la fine dell’Urss, quando, come scrive ancora Passannanti, nei suoi ultimi anni di vita ha assistito al «compiersi della crisi della dottrina marxista fagocitata dai quei processi di falsificazione del reale che andavano chiarendosi negli anni Ottanta grazie alle tesi sulla postmodernità di Jean-François Lyotard». Perciò coerentemente ha potuto dire di sé: «Credo alla verità di alcune mie poesie perché ogni loro verso porta il segno della contraddizione». Per me questa sua posizione è stata più innovativa e più coraggiosa degli sperimentalismi della neoavanguardia. Certo ci si può chiedere, come si sta facendo nella nostra discussione sul suo articolo intitolato proprio «Comunismo» (qui e qui), che senso abbia mantenere aperta (e irrisolta) questa contraddizione. Perché vivere sempre in questa inquietudine? Tanto – dicono alcuni – il comunismo non è venuto e non verrà mai; e sarebbe meglio non parlarne più e occuparsi invece soltanto della Poesia, che c’è e anzi ha un suo bel loculo gratificante nella comunicazione globalizzata.  Eppure, fare poesia  senza strapparsi quella «spina nel fianco», restare attento al «morso» della contraddizione, senza ricorrere a facili rimedi, muoversi in una «dimensione complessa e conflittuale che in sé assimila armonia e caos, volontà di conciliazione e lotta», fare interagire in poesia «ragione e sentimento», costruire una poesia che non è stata «un sogno fatto in presenza della ragione», ma «un ragionamento fatto in presenza di un sogno» è stato il grande merito di Franco Fortini. E da questo saggio risulta chiaro quanto siano importanti e niente affatto accessorie quelle sue « note di raziocinio o di ideologia». Sono esse che preparano la sua poesia ad accogliere in se stessa la contraddizione della *realtà* dell’epoca capitalistica e a farla vivere fin nei versi: quelli di «Metrica e biografia» (Poesia e errore, 1959)» o del poemetto del 1962, «La poesia delle rose» o della raccolta «Poesia e errore» ( non per caso del 1969) fino a «Composita solvantur». [E. A.]

3 pensieri su “Teorizzazione della contraddizione nell’opera di Franco Fortini

  1. Spero non dispiaccia a nessuno se accomuno a questo bel testo miei versi:

    Incognite (per F. Fortini)

    Una parzialità l’errore.
    Ora lo strazio è il rossore
    che gli tocchi durata al vero intero.

    Sempre lo strazio è il pauroso stato
    di sgridarlo l’errore
    da un’incognita parzialità seconda.

    Posso sempre uscire e bere un caffè
    anche se nevica nel falso vento
    della città fumosa
    dai suoi satelliti serrata

    Disperante o cinico se vivo
    nutro sottecchi l’illusione
    nel chiasso che fanno le vetrine
    di spartirmi parzialità divine.
    (Milano 1988)

  2. …l’attribuire importanza alla compresenza delle contraddizioni (l’errore e il vero, il contenuto di fatto e il contenuto di verità a disputarsi il campo) nella poesia, come nei vari ambiti dell’esperienza umana, secondo me, avvicina il pensiero di Franco Fortini al pensiero orientale. In particolare al Tao che ci parla di una realtà di opposti in bilico e complementari…

  3. Un bell’articolo.
    Rilevo solo, da vecchio filosofo, che la contraddizione, in Hegel come in Adorno, è (quasi) sempre uno scontro tra concetto e esperienza, e (quasi) mai una contrapposizione tra due “idee”…

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