Poesie e Paroleggiando mestamente

di Rita Simonitto

…Orfeo fu a incominciare…

… e noi s’andava come per mannelle
lasciate o sottratte dalla falce
all’ostrica terra che giù ingoia
nelle viscere profonde i semi
come ha sempre fatto d’ogni cosa
lasciandone polvere su polvere.

Tempo era di trapassi e voci
insistenti di pargoli cocciuti.
Sfumati i bisogni di certezza,
nell’aria muta di fine giorno
tra i muri sghembi del ritorno
e ombre lunghe
componemmo ghirlande
infiorando i passi di canzoni.
Strappata al silenzio la doratura della spiga
che sfidò freddo di venti e il fulmine
e le mirabolanti carrozze della grandine
non vincemmo, no, l’arcana sorte.
Nell’assenza di sguardo fu perdere la voce.
Nel delirio del dio la nostra paralisi.

Se ne partì sola

Se ne partì sola. La riportarono in due.
Uno la trascinava per i piedi
l’altro portava le parole
“Casa senza finestre per guardare dentro,
casa senza porta per uscire fuori”.

Chino sotto l’albero fra ciclamini sfranti,
un uomo aveva strisce gialle alle ginocchia
quasi non avesse gambe.

Con una mano gettava petali di dalie
assopite nel mezzogiorno,
martelli nell’altra a scandire l’urlo:
“Casa senza porta per entrare dentro,
Casa senza finestre per guardare fuori”.

Quando passò l’interprete,
la ragazza era l’uomo
e l’uomo la ragazza.
Tutti e due erano nessuno.
Di loro restavano insensatezze
e per terra petali di dalie
assopite nel mezzogiorno.

Suicidio a luglio.

(Luglio 1972)

Metamorfosi

Ricordi quando povero cane
dalle reti di vaghe somiglianze
implorasti il tuo Mago di Oz
a rendere giustizia alle sembianti forme
degne dell’umano consesso?

Non ti spaventò la probabile
immagine distorta. Né valutasti il rischio
che il filtro magico rafforzasse
le indoli di razza scavando
trincee di supina obbedienza e al collo
le trine colorate del padrone buono.

Ti bastavano in fondo
dita prensili a trasformare in atto
le fantasmatiche forme della mente
o la musica del verbo
che incanta oltre la rigidità del segno.

Non valse la pena
presupporre per te fluire d’ironia
bisognosa di una storia,
non spariglio di carte al punto tale
che i colori dell’Ego migrassero
su Alterità ben adombrate.
Né l’arte del politico
che ammanta la ragione di belletti
e la costringe a darsi davanti a tutti.
Né girasti lo specchio a cercare un passato
per fissare all’indietro le forme del presente.
Ti bastava l’essere.
Adesso. E qui.

Perso dentro il sogno,
ora segui limacce rosse
senza casa
incantato dalla luminescente bava…

(Aprile 1973)

Vite a perdere

Sciogliete l’assedio dalle torri
quando il non fine dalla fine
sopravanza per stanchezza,
sonnolenta cavalli dai garretti
impazienti. E il suon dell’ora adegua
stralci di passato a un pallido futuro
che il presente accusa d’impreveggenza.

Cammineranno altri in questo luogo
accendendo fuochi ad evocare
mefistofeliche presenze
traditrici di promesse.
O aspetteranno in sincera allegria
che gioiosi destini trovino la strada
senza ridurli prigionieri
di nuovo dentro i sogni.

Ma io adesso sono qui,
sola,
e un filo rosso mi corre
per i polsi.

(26.08.1983)

Memento reminiscere semper

Dalle finestre oggi non è cielo
che traspare.
Sagome invertite di camini
affondano radici di fumo
nella bastarda coralità del tempo.
Grigio su grigio.

Solo echi di memoria possono guidarci
nella selva dei segni rovesciati.

Memento reminiscere semper.

(14.02.1989)

Grande Arche

Su dalla Grande Arche
Parigi tossica scompare
chiusa in reticoli e losanghe.

Vetrate nere spingono fuori
le allergie del tempo.
L’antico Arco di Trionfo
stretto di misura in un triangolo
così lontano da cancellare il suono
del pesante passo dell’Armata Tedesca.

Su nell’aria rarefatta
fra le curate stanze dell’estetica
trovano ampi spazi
le tragedie del mondo
letterariamente presentabili.

Tormentose vite siglate al margine da appunti
che rimandano ad altri siti, a luoghi altri
dove la vittoria acceca e la verità nasconde.

(Ottobre 1989)

Spettri

Anima mia, perché oggi mi chiedi
se la vita terrà?

Forse perché hai visto ragni neri
in velenosa attesa sopra le porte,
e le cutrettole impazzite senza il compagno
hanno sbattuto a lungo
sui confini di vetro, spento anemone di cielo?

O perché non sogno più e la notte
tiene in mano solo le redini del buio?

Lo sgomento di un mondo a se stesso
prigioniero più non sgomitola matasse
dove fili di memoria, speranze e delusioni
coprono e scoprono il senso della vita.

Che guerra è mai questa
dove morti trascinano altri morti
e non veleggiano nubi all’orizzonte
ma acidi fumi, fuligginosi residui
di impari violenza.

Stanco matador di futili vittorie
nella pupilla umida del toro
lì mi ravvedo. Mio è il suo inservibile corno
sconfitto da una impari battaglia,
ma ambedue perduti nel tossico Olè
che ha scardinato i sensi.

Forse, anima mia, stenderò il mio sangue
non più come rossa muleta
ma come un egro e vischioso addio ai colori.
Non chiamerò la luna che scuote invano
il sonno dalle ciglia e corre a vedere fuori
prima che lo scempio si compia.

Non più maratoneta, nulla da legare ora è possibile,
diventerò io braciere e fiamma
inizio e fine
gelido calore.

03.01.2011

Meglio le foglie

Anche il vento sarebbe tremebondo
se per aspera inceppasse nei cristalli
smarriti di sintassi
facies perduta eppure riprodotta
in specchi-abili frammenti

Meglio le foglie che al turbine
felici della danza vanno
non si oppongono, no, ai granelli senza nome
macinata polvere di un tempo inequi-
vocabile.

(04.08.2011)

Paure

Aforisma di te stesso
dopo giorno giorno
hai raspato il fondo a croste
bruciate le narici nell’acido
odore dei trapassi.

Da oggi che altro inventerai?
Non più declinazioni dell’azzurro
che nel celeste sfiora aguzzi i monti.
Nemmeno le tempeste
perché non più tempeste ormai
solo grigiori, o il catrame nero,
insolenti carene delle barche
a sgretolarsi al sole senza più viaggi.
Giocherai d’alterigia o di distacco,
d’indifferenza che come panno sporco
asciuga i piatti e lascia l’unto?

Sconfitto dal tuo gioco
nascosto il capo nella veste
affronterai così la doppia morte
del tradimento spacciato per rivoluzione.

05.01.2012

Alla foce

Sulla riva del fiume aspetto
il cadavere di me
a me stessa nemica
e tu
non sederti qui
non chiedermi la storia.
Là dietro c’è solo acqua morta.

Oggi alle rime approdo
come a rive scivolose
dove la rossa salicornia dà colore
e una fragranza lieve quando la sfiori
grondante dei sudori estivi.

Poi anch’essa si stese
appiattita su se stessa.
Incatramata.
Non agili vele al largo
ma i neri castelli delle petroliere.

Forse fu troppo
Troppo per troppo poco e stupida mi dico,
stupita che lo Sturm und drang
che trascinò il cuore
scorresse ancora nelle azzurre vene
e che fu sogno.
E reminiscere ormai
gira lente
opache lame.

01.02.2013

Appendice

 

PAROLEGGIANDO MESTAMENTE
10.10.16

Dalle finestre del tempo, oggi ho guardato fuori.
Speranzosa eppure titubante.
Poi, sia pure con disagio, ho chiuso. Ancora.
La non corrispondenza di quel luogo esterno con un interno sentire, le palesi dissonanze con aspettative altre in merito alle relazioni sociali, che non riguardano soltanto me ma anche altri, oggi hanno lacerato senza alcuna pietà anche l’insistenza delle mie domande aperte.

Vita, parlami! Se non un senso, dammi almeno un segno di esistenza!
Ma quale? Quella che vorrei io o quella che invece scorre indifferente agli altrui desideri?
Ma non è questo a stupirmi: anche questo ho messo in conto. Allora che cosa è cambiato, oggi, di così radicale? E’ solo la reiterazione, la trappola di un destino, che mi disturba tanto? La reiterazione che significa aver tralasciato (rimosso?) qualche cosa che non si è capito o non si è voluto accettare?.

Pseudo certezza, non rimarrebbe allora che riaggrapparsi al passato. Andare a vedere là? Ma è proprio questo il passaggio che si deve compiere per trovare un senso e dare una continuità alle esperienze?
O forse, in questo voltarmi indietro, insicuro Orfeo, c’è soltanto la ricerca di una giustificazione egoistica: non fu incuria… non fu inezia… non fu tradimento!
Ma soltanto una lettura interpretativa diversa!

Ma perché poi le mie domande si rivolgono alla poesia?
Che cosa vado cercando, ovvero che risposte credo di trovare, indagando nelle sperimentazioni poetiche di un tempo che è ‘passato’ ormai in tutti i sensi e considerando il fatto che adesso non faccio più nemmeno ‘prove tecniche di trasmissione’?
Vado alla ricerca della verità, nel senso inteso da Lucini (*La ricerca della verità è compito primo ed esclusivo della Poesia*), o perché lo sguardo all’indietro mi permette benjaminianamente di trovare qualche cosa (Annamaria) per poter andare avanti?
Ma non c’è verità là che non possa esserci anche qui, anzi è proprio qui che si invera il grosso equivoco legato alla piena affidabilità che si era concessa a *una ricerca che deve coinvolgere la cosiddetta parte a-logica: le emozioni, le sensazioni, i sentimenti, la percezione, persino le pulsioni, ecc., ossia la parte “pazza” di noi” la “pazza di casa”» (sempre Lucini).
Forse perché, nonostante tutto, più di quanto non possa accadere in prosa, in poesia è più facile materializzare la follia senza aver bisogno di renderne di conto; il rovesciare il dentro verso il fuori o il fuori verso il dentro senza soluzione di continuità, senza rischiare granché, e approfittare della comicità legata ai doppi sensi così amati e ammiccati da Petrolini (“non fermarsi alla superficie, ascoltare bene quello che c’è dentro, quello che c’è sotto, è il mio motto: *sempre più dentro, sempre più sotto*). E pertanto legittimare gli sperimentalismi che servono non soltanto ‘pour épater le bourgeois’ ma anche per il popolo, “che più gli parli difficile e più ti si affeziona”. (sempre Petrolini in “Nerone”).
Raccolgo invece uno spunto da Celan quando intendeva chiarire “che la sua poesia è di per sé una stretta di mano, la possibilità di incontro fra un io – che non è già più il poeta, cui la poesia non appartiene più, una volta che essa sia scritta – e un altro, un tu, di cui la poesia è sempre in cerca”.
Nello stesso tempo si tratta di un incontro tra due irriducibilità (l’io e l’altro). E ciò che può verificarsi nell’impatto poetico è solo la concretizzazione di una testimonianza.

4 pensieri su “Poesie e Paroleggiando mestamente

  1. …sono poesie e prosa queste di Rita che esprimono un senso tragico dell’esistenza ma anche un accorato desiderio di vivere che si esprime nell’invocazione tutta personale “Vita, parlami!”…Lei a tratti si sente estranea a se stessa e non si salva più di quanto non lo facciano i personaggi dai tragici destini che inscena, vittime di un sogno reiterato che diventa una trappola, una sorte da cui spesso se ne esce solo quando si prende consapevolezza, ma allora per la vita non c’è più spazio, come in “Vite a perdere”, “Metamorfosi”…Sogni degenerati che diventano “Spettri”, visioni di violenza e di morte da non confondere con i sogni salutari che sgomitolano matasse “…dove fili di memoria, speranze e delusioni/ coprono e scoprono il senso della vita…” Alcune poesie si esprimono attraverso riti funebri, epitaffi di una Spoon River di disperati…Straordinariamente potente è la poesia “Se ne partì sola”, che restituisce un’immagine in movimento, ma scolpita sulla lapide di una tomba che si richiude “Casa senza porta per entrare dentro,/ Casa senza finestre per uscire fuori” e un uomo in apparenza senza gambe che ” con una mano gettava petali di dalie/ assopite nel mezzogiorno, / martelli nell’altra a scandire l’urlo…” richiama fortemente le parole scolpite sulla porta dell’inferno dantesco: “Per me si va tra la perduta gente…lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Il suicidio sancisce così la non vita dell’incomunicabilità e dell’insensatezza…”Alla foce”: Sulle rive del fiume aspetto/ il cadavere di me/ a me stessa nemica/ non sederti qui/ non chiedermi la storia…”, la poetessa abbandona la speranza di una salvezza, anche lei rimasta vittima di un sogno senza un reale valore in cui aveva investito tutta se stessa “E reminiscere ormai/ gira lente/ opache lame”…Si deve ritornare alla prima poesia: “…Orfeo fu a incominciare” per capire forse un percorso tormentoso e circolare: “Nell’assenza di sguardo fu perdere la voce./ Nel delirio del dio la nostra paralisi”, un pensiero che sembra ribadito in “Paroleggiando mestamente” in cui la prosa rende omaggio alla poesia, sostenendo (da vari scelti e condivisi autori) che è lei deputata a ricercare e ad esprimere la verità, ma è anche il canale espressivo della “pazza di casa”, che ora al presente, e non solo scavando nel passato, ha diritto a una voce…ma la poesia è molto di più ancora: si apre agli sperimentalismi anche comici,ai doppi sensi…è la possibilità di un incontro tra un io e un altro, un tu, che comunque conservano la loro irriducibilità…Ringrazio Rita Simonitto per queste bellissime poesie-prosa che sono nella direzione di un avanzamento umano, anche se “Nella pupilla umida del toro/ lì mi ravvedo…”
    ( Spettri” )

  2. “Vita, parlami! Se non un senso, dammi almeno un segno di esistenza!
    Ma quale? Quella che vorrei io o quella che invece scorre indifferente agli altrui desideri?”
    In questa frase i tre iati nei due segmenti “vorrei io” e “agli altrui”, indicano un possibile (“vorrei”) che lega io ad altrui (a un tu e a sé come altro).
    Nel doppio tempo del suono (“la musica del verbo/che incanta oltre la rigidità del segno”) e dell’ironia, nello sguardo rivolto all’indietro e al presente in cui “è più facile materializzare la follia senza aver bisogno di renderne conto”, la poesia ha cercato l’incontro, una stretta di mano, “fra un io – che non è già più il poeta, cui la poesia non appartiene più, una volta che essa sia scritta – e un altro, un tu, di cui la poesia è sempre in cerca” (Celan).
    La poesia, “lo *sturm und drang*/che trascinò il cuore”, ha fissato lucidi paesaggi di bellezza mentale
    “Anche il vento sarebbe tremebondo
    se per aspera inceppasse nei cristalli
    smarriti di sintassi
    facies perduta eppure riprodotta
    in specchi-abili frammenti”
    bellezza ancora tracciata nei fumi grigi e neri dei tempi più recenti:
    “Nemmeno le tempeste
    perché non più tempeste ormai
    solo grigiori, o il catrame nero,
    insolenti carene delle barche
    a sgretolarsi al sole senza più viaggi.”
    Ma questa ultima poesia dice “non più tempeste”, e il testo in prosa conferma che l’incontro con l’altro (il tu e l’altro di sè) è tra due irriducibilità, e la poesia solo “la concretizzazione di una testimonianza”.

  3. @ Annamaria e Cristiana

    Mi hanno fatto molto piacere i vostri commenti che esulano dal puro ‘mi piace’ ma cercano di entrare nel merito.
    Mi ha dato da pensare quella ‘circolarità’ a cui fa riferimento Annamaria quando dice che *Si deve ritornare alla prima poesia: “…Orfeo fu a incominciare” per capire forse un percorso tormentoso e circolare: “Nell’assenza di sguardo fu perdere la voce./ Nel delirio del dio la nostra paralisi”*.
    Se non c’è lo scambio relazionale con l’altro, non basta solo il passaggio dalla lirica tout court (quella di Orfeo) ad una poesia di contenuti perché il messaggio poetico sia incisivo. Infatti *Nell’assenza di sguardo fu perdere la voce./Nel delirio del dio la nostra paralisi.* Ovvero quando la poesia è autoreferenziale e non contempla la reciprocità diventa inutile, sterile.
    Ma qui ci viene in soccorso l’intervento di Cristiana quando, lei pure, sottolinea l’importanza dell’incontro con l’altro, ma nello stesso tempo ne sottolinea la difficoltà, l’irriducibililità e l’esistenza di tre iati * In questa frase i tre iati nei due segmenti “vorrei io” e “agli altrui”, indicano un possibile (“vorrei”) che lega io ad altrui (a un tu e a sé come altro).*

    Grazie di nuovo.
    R.S.

  4. ..grazie Rita per quel “vorrei io” che mi sembra fondamentale per un incontro e segna come una linea d’intersezione tra esperienze, vissuti e idee che possono essere le piu’ diverse ma trovano delle vibrazioni comuni…Testimonianze di e tra esseri irriducibili che possono avviare modalità di incontro…Credo pure io che la poesia sia particolarmente adatta a creare ponti tra le tre componenti essenziali di un dialogo; quando genera fratture è sempre confronto…ma “Nell’assenza di sguardo fu perdere la voce…”

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