A proposito di gatti. Memorie.

 

di Rita Simonitto

 

A Tuja
22.06.2007

“Tu non dovevi o cara
togliere la tua immagine dal mondo…” [1]

Ecco esplodere l’urlo
che poi s’acquieta
e si smorza il grido
carezzevole vagando
sul filo di dettagli
ormai perduti.
E poi ancora torna
sull’onda della pena.
Così pianse il poeta.

Muta invece io, orfana di sensi,
ti ho persa dappertutto e inutilmente
cerco tracce di te in ogni dove.

Eri la mia vite.
La cesura del tuo tralcio
ora non dà
pianto né uve.
Spreme infinita-
mente
una linfa oscura
che poi si allarga
e giorno dopo giorno invade
sorda
il suono.
Il senso.

 

[1]L’incipit in corsivo è preso dalla famosa poesia di Salvatore Quasimodo, “Nemica della morte”.

 

A Masha
27.01.2012

Nisba, kaputt, nein, nix
e quale altro no
che alla mia testardaggine dica
che non sei qui.
Più non ci sono passi,
vellutine ondeggianti, nè le tue
scorribande, nè la testa inclinata
interrogativo lo sguardo
verso un mondo che oggi raccoglie
il tuo vuoto, indifferente, perché niente
ci si porta via .
Indeferre. Pulvis.

Da qualche altra parte, invece,
si riapriranno ripostigli,
grumi di antiche lacrime salate
che fanno ghirigori bianchi alle pareti
dove ognuno a modo suo ti piange
sacrificata l’anima a inflessibili dèi.
E io per un momento, un momento.
Un momento ancora ti vorrei.

 

 

A Fiona
02.07.2012

Per te niente petali di rosa né Tea, né Mermaid,
né Chinensis, nè Rugosa. Non la bianca Claire Austin,
né Chapeau de Napoleon o la dolcissima
Cuisse de Ninphe. Né, a instupidire gli ultimi sensi,
la rosa delle rose, la Gloire di Dijon.

Eppure anche tu sei ascesa in non so quale cielo
fatto di prati di erba medica e tenere festuche
e lo sguardo si misura tra libellule, cavallette,
muretti a secco solo per giochi a nascondino
di lucertole e ramarri.

Mentre io sola, qui, canto le parole che ti dissi,
il lungo rosario di nomignoli,
suoni che senza carne sanno di frusta
che taglia l’aria ed il respiro.

Dolce nella mente pure il calvario
delle pene, stazioni in cui trovata
e poi perduta la speranza,
perché così vuole il destino degli umani.
Finchè ti dissi “Talità kum”, tesoro, e non ti alzasti.

 

 

A Ciro
07.10.2012

Già più non c’ero nei tuoi occhi velati,
cielo perso fra smorfie di dolore e il digrignare.
E mi hai piantato i denti nella carne.
Non urlo da me da valere il tuo,
di vita in battaglia con la morte
e inutili le lacrime già noto
il nome di chi avrebbe vinto.
Pulsa nel mio indice che sanguina e impazzito sbatte
il tuo patire di animale tradito dall’umana impotenza.

Fuori, l’umidiccia notte impassibile ha atteso
che un’altra recita di quest’anno delle morti,
dove morire è il prezzo della vita,
raccogliesse frammenti sbranati di ricordi.
E irriverente l’ultima nottola nell’aria
ha sferzato la mia identità tagliata
il cui suggello è la ferita-pulsa-cuore
inflitta alla carezza-dito.

Oh, quanto odio quest’olea fragrans che all’ottobre adegua
nebbie e profumi di mandorle e miele
e a terra lascia un biancore di caducità,
piccoli fiori esauriti
o non trattenuti dalla forza del ramo!
Anche le mie parole di commiato stanno cadendo
ad una ad una né faranno da cuscino ad una spoglia
relegata e stretta in una piccola urna di legno.
Senza cantore.

9 pensieri su “A proposito di gatti. Memorie.

  1. gentile signora mi permetto scriverle per farle capire quanto ho condiviso le sue poesie sui gatti

    Addio al gatto anarchico

    Sono quasi certo che Silvia
    prima di spegnere quel tuo cuore
    di gatto molto amato, ti ha soffiato
    nel respiro anche una fiala con tutti
    i ricordi della tua gattitudine selvaggia

    he ti spingeva ad allungarti sopra
    le foglie secche alla ricerca del fresco
    nell’estate, oppure a chiuderti
    a ciambella sul cuscino quando
    la stagione si faceva fredda.

    Hai avuto una vita libertaria
    di miagolii notturni per farti aprire,
    cacce alle farfalle, alle code di lucertola
    ed anche a qualche implume prima del volo,

    sei stato un gatto libero, forse perché castrato,
    senza smancerie da ruffiano, indipendente
    come tutti i soriani, e non cercavi carezze
    o segni di affezione, eri un anarchico
    solitario ed indipendente,

    ma quando il virus dell’ H.I.V.
    ha addentato con ostinazione
    nervi delle tue zampe ti abbiamo lasciato
    addormentare dentro il tuo riposo,

    sicuri che Qualcuno che ama tutti
    ti avrebbe ben accolto e indirizzato
    verso quel purgatorio ove s’inviano
    tutti i gatti liberi pensatori, quelli senza
    l’etichetta di “ buonisti “, anche se io ti vedo

    ancora qui, attorno a ogni mio passo, e non c’è
    porta, cestino o cuccia vuota che non mi rimandi
    te, ma ti ritrovo vivo nella memoria quando
    hai allungato la zampa sana quasi volessi dirmi
    “ è finita, portami a casa. “

    a Kri
    luglio 2002- novembre 2014

    e alla dott.ssa Silvia Beretta
    per le cure da sempre riservategli

  2. Ringrazio L. Paraboschi – che saluto con un ‘miao’ – per la sua sentita e struggente poesia che mi ha sollecitato, accanto a nuove onde di emozione, anche una ulteriore riflessione nel cercare di dare una aggiunta di senso ai versi che ho scritto.
    La poesia di Quasimodo – i cui primi versi sono messi in esergo al mio canto funebre per i gatti – è appunto “Nemica della morte”.
    Dunque il rapporto amore-morte.
    Ed era anche questo che volevo sottolineare: la difficoltà enorme che affrontiamo nelle separazioni che sono state caratterizzate da affetti ‘liberi’, senza *smancerie da ruffiano*; con figure cariche di mistero, erratiche, mentre noi siamo ancorati al bisogno di continuità e certezza. A differenza, dunque, dai *gatti liberi pensatori, quelli senza/l’etichetta di “ buonisti*.
    In quei luoghi ci siamo lasciati trascinare dalla bellezza, come fanciulli nella nostra anarchia ‘solitaria e indipendente’.
    E poi è arrivata la Morte, il confronto con i nostri limiti, la nostra impotenza di fronte alla quale anche il linguaggio si deve arrendere. E con la caducità che tentiamo invano di contrastare aggrappandoci ai dettagli concreti dell’esperienza con l’oggetto amato, oppure rinviandoci al ricordo di situazioni anch’esse concrete * se io ti vedo/ancora qui, attorno a ogni mio passo, e non c’è/
    porta, cestino o cuccia vuota che non mi rimandi/te, ma ti ritrovo vivo nella memoria quando/hai allungato la zampa sana quasi volessi dirmi/
    “ è finita, portami a casa. “*

    Grazie di nuovo a Paraboschi e grazie al ‘gattolicesimo’ che ci permette di entrare in contatto con questo trascinamento oscuro dentro meandri emotivi inimmaginabili.
    R.S.

  3. …ringrazio Rita per queste poesie in omaggio ai gatti, come a un’età dell’innocenza ormai perduta di cui troviamo tracce in questi sornioni felini…Non “buonisti”, hanno anche loro le prede in uccellini, topi e lucertole, eppure testimoni di un universo di grazia con le loro “vellutine ondeggianti” (A Masha) e l’amicizia che ci accordano…Rita li nomina ad uno ad uno, con una data perchè la loro scomparsa segnò un lutto profondo, una vera e vitale perdita: ” Eri la mia vite./ La cesura del tuo tralcio/ che non dà/ pianto nè uve./ Spreme infinita-/ mente/ una linfa oscura/ che poi si allarga/ e giorno dopo giorno invade/ sorda/ il suono./ Il senso (A Tuja).
    Masha, Fiona e Ciro riportano lo stesso anno, il 2012, di scomparsa e le date si collegano strettamente alle stagioni di riferimento: l’inverno, l’astate appena iniziata e l’autunno. Forse nati dalla stessa cucciolata hanno concluso insieme la loro stagione di vita, portando ciascuno il suo dono dalla natura? L’elenco di rose preziose per Fiona, come per una regina, sono un omaggio dovuto a colei che aveva ispirato “Il lungo rosario di nomignoli” (A Fiona) ed ora manca tanto…E c’è la sofferenza della loro agonia che suona come un tradimento ” Il tuo patire di animale tradito dall’umana impotenza” (A Ciro) a dover essere alla fine offerta alla natura, “dove il morire è il prezzo della via” (A Ciro) per ogni essere vivente.
    Bella anche la poesia dedicata al “gatto anarchico” di L. Paraboschi…

  4. Ho avuto molti gatti (gatte perlopiù come le tue)
    e mi ricordo della loro
    intelligenza in comunicare con me gioco serio
    e malattia – forasacco nell’occhio da cavare
    la randagia grigia vagabonda
    si lasciava lavare in acqua tepida e asciugare
    in straccio bianco e fugge dopo aver mangiato
    torna dopo quando e poi non torna più.
    E sua madre saggia salutava
    ogni mattina e stanava le vipere
    le lasciava morte sulla porta.
    L’offesa alla zampina color cipria uccisa
    dall’ultima padrona del cortile
    selvaggia signora della zona
    accolta come guardiana servitora
    non so se fiera opportunista
    o sprezzata e sopportata
    per mia stanchezza forestiera.
    Le bestie di una volta, la mia bianca cana
    le sue richieste sulla morte e la sua breve vita
    sulla mia durata e la sua dipartita.
    Più non mi importa più mi apprendo
    a consumare quella interpretata
    con voi signoria.

  5. Contribuisco a questa riflessione con:
    1) il mio botta e risposta con Rita precedente la pubblicazione del post;
    2) la mia immagine (non so quanto la differenza sia fondamentale…) rigorosamente e esclusivamente di *gatta* presente nella mia fantasia. Ciao

    1.
    Ennio –
    «devo confessarti il mio personale sconcerto per questi versi, che se non fosse per il titolo, mai assocerei ai gatti. Più che una umanizzazione degli animali c’è una loro – a me così pare – “divinizzazione poetica” che un po’ mi lascia perplesso».

    Rita –

    «Sui gatti. Mi fa ‘piacere’, per così dire, il tuo sconcerto […] Sì, hai ragione. A parte il fatto che il tema dello scoprire che il sentimento che veniamo sollecitati a provare non si riferisce ad un umano bensì ad un animale è la mia cifra (era presente anche nel libro di racconti “Vortici”). Ciò per dire come spesse volte il sentire, il pensare, vadano alla ricerca di un oggetto, persona, animale o cosa su cui depositarsi e assumere una forma sostenibile e comunicabile (proiezioni). Quella che tu chiami “divinizzazione poetica” può avere a che fare proprio con questo “divino” (o ‘mistero’) di traduzione, che però ha bisogno di farsi carne, di concretizzarsi per poterne parlare. Devo solo chiedere venia a S. Quasimodo proprio per aver utilizzato l’incipit della sua famosa “Nemica della morte” per creare questo straniamento».

    2.

    Gatta, madre infida,
    che abbandonasti
    in qualche stazioncina
    fra i grilli di campagna,
    il bimbetto
    con scarpette
    ripulite col gessetto,
    ahimè, di due numeri
    più grosse.

    E tu, gatta grigia,
    incognita mia compagna,
    apparenza del tempo,
    domestica per sbaglio,
    in agguato qui, sul davanzale,
    che adocchi implumi prede,
    così feroce sei rimasta?

    Punti un insetto, la cattura ne vuoi?
    O vorresti arrampicarti sulla tenda
    chiara di luce, sbattuta dal vento,
    ascendere anche tu,
    santerella animalesca?

    Spossato,
    sempre accorro a strapparti passerotti,
    a difendere fragilità neppure umanizzate;
    e povero (di poco amore nutrito), t’inseguo,
    come fossi cresciuta nei segnali del tradimento,
    inviati nel sole dai balconi.

    Io, tuo apparente padrone, non resisto.
    Ti colpisco, cara bestiola di sempre,
    sotto il cui pelo grigio,
    lisciato per domestiche ammirazioni,
    scorgo solo i chimismi della cacciatrice.

    E tu cadi.
    E nell’ombra della stanza ti trascini.
    Di nuovo ferita.
    Di nuovo da curare.
    Di nuovo il tuo essere elementare
    turba il mio falsato universo,
    che ti prevedeva domestica suppellettile,
    inodore, deliziosa allo sguardo,
    morbida serva della mia mano.

    ( da E.A., Donne seni petrosi, 2010)

  6. ma sono sorpresissimo da leggere quanti di noi nutrono una grande affezione per questi animali.

    peccato che non si faccia più il concorso di poesia sui gatti a Gatteo Mare, era piacevole.

    saluti

  7. Un elogio per le sue belle poesie sui gatti, da principio non avevo capito
    a chi fossero attribuiti quei nomi. Una bellissima sorpresa. Non sono un grande amante di quelle simpatiche bestiole, ma mi piace la simpatia di molti , come
    Eliot ad esempio. Ancora congratulazioni. Arnaldo Ederle

  8. Entrambe belle e significative queste risposte poetiche di Cristiana e Ennio (vi ringrazio) perché contemplano il passaggio da una visione misterica, ancestrale (mitico-divinizzata a cui spinge l’inquieta figura felina), al mondo dell’umano, alla sua lotta con la complessità, con l’articolarsi del doppio, ma, soprattutto con la gestione dell’infido che può nascondersi dietro la bellezza (vedi il concetto di “conflitto estetico” dello psicoanalista D. Meltzer, il quale sosteneva la priorità del conflitto estetico tra madre e bambino come nucleo originario della vita mentale: la madre che si offre bella agli organi sensitivi del bambini e l’interiorità di lei, enigmatica, che deve essere ipotizzata e costruita attraverso l’immaginazione creativa).

    Questo tipo di conflitto viene messo in evidenza nell’articolarsi del rapporto seduzione-tradimento soprattutto nella poesia di Ennio: *Spossato,/sempre accorro a strapparti passerotti,/a difendere fragilità neppure umanizzate;/e povero (di poco amore nutrito), t’inseguo,/come fossi cresciuta nei segnali del tradimento,/inviati nel sole dai balconi.* E, a seguire: *….. cara bestiola di sempre,/sotto il cui pelo grigio,/lisciato per domestiche ammirazioni,/scorgo solo i chimismi della cacciatrice.*
    Tutte sfaccettature utili a mostrare i nostri vissuti personali, ma anche importanti strumenti per raccontare in generale le vicissitudini umane.
    Come in questa mia, in cui intendevo rappresentare due modi diversi di vivere le stesse fasi della vita.

    Gatto

    Alle tre mattutine, alla finestra,
    il gatto annusa odori d’aria
    e arcuato offre il pelo all’avventura.

    Io guardo la luna già al suo pieno
    di lucentezza che mal si adegua
    all’immoto giallo dei lampioni.

    Siamo due vecchi, il gatto ed io.
    Ma chiediamo cose altre:
    lui ancora pronto al mondo,
    io che ancora non so
    districare
    le pennellate buie di dolore
    che il chiarore lunare non dissolve.

    Nell’acidulo bilico notte / alba
    comunque ci teniamo caldo:
    lui verso l’avanti, io verso l’indietro,
    solitudini estreme
    che il tempo che passa non redime.

    01.08.07

    Grazie ancora per l’attenzione.
    R.S.

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