Traccia per coro peripoetico

Dialogo tra un passeggiatore di cani, un peripoeta e Federico, con coro

di Luca Ferrieri

Questo testo costituisce il copione di una rappresentazione poetica realizzata dalla biblioteca di Cologno Monzese per la serata conclusiva del progetto europeo La poesia cammina per le strade, tenutasi l’8 aprile 2017, con la regia di Roberto Anglisani

*

Il dialogo inizia come quello tra due accompagnatori di cani nel parco, all’imbrunire.

Il passeggiatore ha in mano un guinzaglio, il peripoeta un quaderno. Il coro stormisce nel buio.

Passeggiatore di cani – Ah, questa è bella. La poesia cammina per le strade. Cos’è, siete in marcia, siete in piazza, un’altra volta? Ma forse non ci sono più strade, eh? E non c’è più nemmeno la poesia…

Peripoeta – Che dici, la poesia ci sarà sempre. [Aulico, perché sta citando delle affermazioni in cui non crede tanto nemmeno lui] La poesia è intuizione, intuizione pura, cosmica… La poesia “è tutto ciò che suscita emozioni di natura estetica”, è “una forma d’arte che crea, con la scelta e l’accostamento di parole secondo particolari leggi metriche un componimento fatto di frasi dette versi”. [1]

Coro – “Cos’è la poesia? dici mentre fissi / nei miei occhi l’azzurro dei tuoi occhi. / Cos’è la poesia? E tu me lo domandi? / La poesia sei tu!” [2]

Passeggiatore di cani – Oh, dai, tu pensi ancora di poter distinguere ciò che è poesia da ciò che è “non-poesia”? E come: da una metrica? da una versificazione? o da un’emozione? Ma lasciamo perdere. Io volevo parlare d’altro: di questa “camminata” …

Peripoeta – Le due cose sono collegate: la poesia forse si distingue proprio dal fatto che le parole prendono un ritmo, danzano, camminano… non marciano, per carità, questo te lo sei inventato tu… anzi forse ciò che le mette in movimento è la libertà, la poesia libera il linguaggio, dagli asservimenti, dalle prigioni del senso comune…

Passeggiatore di cani – Parole in libertà, eh? Proprio quello che il senso comune indica come sbrodolamento parolaio, suoni senza significato, esibizionismo verbale, in termini clinici: glossolalia…

Peripoeta – Dai, che paroloni… Vuoi fare il professore, il medico, il poeta laureato, tu…? E invece ti dico che proprio lo stato di licenza – che non a caso si definisce poetica – caratterizza la poesia…

Coro – Cucù rurù, / rurù cucù, / cuccuccurucù! / Cosa sono queste indecenze? / Queste strofe / bisbetiche? / Licenze, licenze, / licenze poetiche. / Sono la mia passione” [3].
“Perché tu mi dici poeta?” [4] / “Son forse un poeta? No, certo” [5]
“Tri, tri tri / Fru fru fru, / uhi uhi uhi, / ihu ihu, ihu. / Il poeta si diverte, / pazzamente, / smisuratamente. / Non lo state a insolentire, / lasciatelo divertire / poveretto, / queste piccole / corbellerie / sono il suo diletto” [6].

Passeggiatore di cani – State dunque dicendo che qualunque *ata  uno spari, ci mette su l’etichetta di poesia, ed è fatta? Basta che la faccia camminare un po’? Come i cani che portiamo a spasso alla sera qui nel parco, per fargli fare la pipì?

Peripoeta – Anche se non sembra, non stai dicendo proprio una gran *ata…

Passeggiatore di cani – Sto facendo poesia? [dando un giro di danza] Sto facendo poesia! [come rivolto al pubblico] Pensavo di star portando il cane a far la pipì…

Peripoeta – Beh non è così semplice…ma sei sulla strada, stai camminando. Devi darle un ritmo, però…

Passeggiatore di cani – Il mio cane ritma l’erogazione un tanto ad albero, a cespuglio, a stelo…

Peripoeta – Bravo così, vai di metafora, di iperbole, sfodera l’arsenale delle figure retoriche…

Passeggiatore di cani – Ma non ha senso…

Peripoeta – Ecco, bravo, sfida il senso, libera il linguaggio…

Passeggiatore di cani – Ma dai… E dai! Dai! Dagli! Daje! Daje al prossimo albero, al prossimo stelo…! Daje de poesia!

Peripoeta – Non fare il buffone… Ripartiamo dal punto: La poesia cammina per le strade. Non era questa la tua domanda? Non era di questo che volevi parlare? Che cosa significa? Che cosa può significare…

[dal coro si stacca Federico]

Passeggiatore di cani – E tu chi sei?

Federico – Sono Federico, vengo da Fuente Vaqueros

Passeggiatore di cani – Fuente Vaqueros? Sei proprio un immigrato, eh?

Federico – Siccome questa cosa del camminare forse l’ho detta io, un po’ di tempo fa, volevo provare a spiegarmela, a capirla meglio, … con voi…

Passeggiatore di cani – Se l’hai detta tu e non sai cosa vuol dire, siamo a posto… siamo proprio poeti, qui

Federico – Quando l’ho detto, c’era molta gente per le strade…

Passeggiatore di cani – Ce n’è anche adesso… guarda che traffico in ’sto parco… Tra uomini, cani, coppiette e poeti…

Federico – Io adesso la vedrei come un decalogo… no, un decalogo no, por el amor de dios, che dico, una strofa, una strofa in dieci versi, per fare un po’ il saltimbanco dell’anima mia…

Passeggiatore di cani – Spara, allora. Spara il primo verso. Magari con te si fa di meglio che con questo peripoeta qui…

Peripoeta – Son forse un poeta? No certo [7] [si fa serio, rivolto a Federico]. Ma tu sei Federico, quel Federico…?

Passeggiatore di cani – Già, Federico d’Aragona… Non vedi che parla spagnolo??

Federico – “Io son colui che tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo” [8]… questo è italiano puro…eh… [dà in una carcajada] … Io sono l’altro… quello di Svevia ah…ah…

Passeggiatore di cani – Sei quel che sia, sia quel che sei… spara. Se no qui ci inchiodiamo al primo verso.

Peripoeta [in sottofondo] – Ma certo che sei tu… Qui al parco, por las calles, chi l’avrebbe detto… [si corregge] chi non l’avrebbe detto… come poteva essere diversamente

Federico [dopo una pausa di silenzio] – Volete sapere cosa vuol dire camminare per le strade? Battere all’uscio dell’uno e dei molti. Golpear la puerta del uno y de los muchos.

[Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 1. Battere all’uscio dell’uno e dei molti]

Peripoeta [dopo una pausa di riflessione] Sì mi va…

Passeggiatore di cani [di rincalzo] – Sì, ci sto…

Peripoeta – Sì mi va… perché la poesia batte gli usci, bussa alle porte di chi si è chiuso in casa, percuote le coscienze… Ma tu sei un poeta colto, eh Federico, …

Federico – Popolare!

Peripoeta – Popolare del cante jondo, eh…

Federico – Colto del cante jondo, oy yeah

Peripoeta – E poi ci sono gli uni e i molti… Oggi ci sono i molti-in-poesia, oggi la poesia è dovunque, schiere di scriventi part-time, poeti dal basso, poeti del basso, che bussano alle porte … È il momento della moltitudine… poetante…[9] Però poi la poesia parla sempre da uno a uno, nel silenzio, nell’intimità. Ti sei aggiornato, Federico… sempre informato, di porta in porta, dall’università alle bettole, il tuo riso è un nardo di sale e d’intelligenza [10]. Come Ignacio, il tuo torero en la plaza,

Federico [cercando di interrompere] Io all’università ci sono stato, ma solo alla “Residencia de estudiantes”, io…Non sono un poeta laureato, io… non sono un putrefatto [11], io… [pausa] Oh Ignacio… Ignacio Sánchez Mejías… mi amigo, qué gran torero en la plaza

Coro
¡Qué gran torero en la plaza!
¡Qué gran serrano en la sierra!
¡Qué blando con las espigas!
¡Qué duro con las espuelas!
¡Qué tierno con el rocío!
¡Qué deslumbrante en la feria!
¡Qué tremendo con las últimas
banderillas de tiniebla! [12]

Passeggiatore di cani [irrompe come dopo un istante di assopimento] – Camminare per le strade… Il mio “comandamento” è: Risuonare a lungo negli angoli ciechi.

[Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 2. Risuonare a lungo negli angoli ciechi]

Federico [dopo una pausa] – Eso es muy bueno, amigo. La poesia è una risonanza, qualcosa che trema a lungo, che si fa sentire anche quando ti allontani, anche se ti tappano le orecchie. También si la matan. Si te matan. [fa il segno della mitragliatrice: pum pum pum].

Peripoeta – E negli angoli ciechi, dove non c’è uscita, dove c’è l’ultima fonte. Fuente de Aynadamar, Federico. La “Fuente de las lágrimas”. Così vicino a Fuente Vaqueros, dove sei nato tu.

Federico – Non voglio parlare di questo. Por favor.

Peripoeta – Ma il mondo deve sapere. È da lì che la tua poesia è uscita per le strade, Federico, è venuta cantando per maremme e praterie. Perché tu eri un boccone troppo ghiotto per i generali – hanno detto proprio così loro. Repubblicano, antifranquista, omosessuale, e poeta!

Federico ¡Que no quiero oírte! ¡Que no quiero oírte!

Coro – ¡Oh sangre dura de Ignacio! / ¡Oh ruiseñor de sus venas! / No. /¡Que no quiero verla!
Oh sangue forte di Ignacio  / Non voglio vederlo / Non v’è calice che lo contenga, / non rondini che se lo bevano, / non v’è brina di luce che lo ghiacci, / né canto né diluvio di gigli, / non v’è cristallo che lo copra d’argento. / No / Io non voglio vederlo!! [13]

Passeggiatore di cani [interrompe] – Sentite, se avete qualche conto in sospeso, voi due, se vi siete conosciuti al servizio militare, se dovete parlare dei fatti vostri, andatevene al cespuglio più avanti, perché io adesso questa poesia voglio proprio farla camminare, perdinci, e prima di andartene però tocca te, peripoeta!

Peripoeta – okkey, okkey… ecco qui. Farsi ala del cambiamento.

[Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 3. Farsi ala del cambiamento]

Passeggiatore di cani – Qui più che camminare stiamo volando. Volando basso, però. Perché ala? Perché fiancheggiare? Perché limitarsi ad accompagnarlo, usarlo, esibirlo… e non invece farlo, una buona volta, questo cambiamento?

Peripoeta –Perché la poesia non è una mosca cocchiera, non dà ordini e non li riceve. Partecipa. Da sola non basta. Con un’ala sola non si vola lontano. Dai, Federico, tocca a te.

Federico – Passo.

Peripoeta – Passi? Qué pasa?

Federico – Non ho ali, ora.

Passeggiatore di cani – Allora volo io. Farsi molti amici e anche qualche nemico.

[Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 4. Farsi molti amici e anche qualche nemico]

Federico – Coltelli per tagliare il pane dell’amicizia e del sangue pulito per lavar la sporcizia…[14] [lo dice canterellando la canzone]

Passeggiatore di cani – Anche la poesia ha i suoi nemici…

Federico – Magari tra i suoi paladini…

Peripoeta – Risponderò così: Farsi riconoscere a un verso. [Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 5. Farsi riconoscere a un verso] Se lì fuori si acquattano i nemici, la poesia, quando cammina per la strada, quando bussa all’uscio, deve farsi riconoscere, no? E come? Con un verso, uno solo, il suo verso.

Passeggiatore di cani – Hai una visione complottista della poesia, non c’è verso.

Federico – Sì che c’è verso, qualche verso animale, magari.

Peripoeta – Che verso fa la poesia?

Federico – Quello dell’usignolo delle mie vene, della golondrina, del gallo… che ci sveglia dal mare ghiacciato che è in noi

Passeggiatore di cani – Se lo senti cantare tre volte…sei fatto. Non c’è verso che tenga.

Peripoeta – Giusto, eccone un altro: Prestarsi alle traduzioni e ribellarsi ai tradimenti.

[Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 6. Prestarsi alle traduzioni e ribellarsi ai tradimenti]

Passeggiatore di cani – Quelli acquattati sono i traditori, allora… Gente che era poeta e adesso è passata alla prosa… Canaglie…

Peripoeta – Gente che pensa che la poesia distrae, distoglie, fomenta … che è roba senza senso, trastullo, azioni senza mercato…

Passeggiatore di cani – Anche i traduttori però son traditori: spezzano un verso, mancano una parola, frullano un a capo

Federico – Fanno dell’oscuro il chiaro e del chiaro l’oscuro…

Peripoeta – Ma dei traduttori c’è un disperato bisogno, fanno un lavoro ingrato, difficilissimo, impagabile

Passeggiatore di cani – Soprattutto impagato. (Almeno un voucher, però…)

Peripoeta – Senza i traduttori dove camminerebbe la poesia? Si ferma alle frontiere? Paga dazio? Paga il copyright? Come il prestito a pagamento che vogliono mettere nelle biblioteche… vuoi leggere poesia? allora paga, … paga lo stato… paga pantalone… pagano i cittadini in realtà… intanto i poeti muoiono di fame

Federico – “Se io avessi fame non chiederei un pane, ma mezzo pane e un libro. E non sopporto quelli che avanzano solo rivendicazioni economiche, senza nominare mai quelle culturali. Gli uomini non si nutrono di solo pane, ma anche di conoscenza!” [15]

Passeggiatore di cani – Dai, dai, continuiamo con le briciole che sommate fanno già mezzo pane e mezzo libro. Adelante con il decalogo! Settimo…

Peripoeta – … non rubare…, ma in poesia il furto è derubricato, anche se ci sono quelli che vanno alla SgAE per brevettare un verso e la SgAE quella sì che ci ruba sopra [sghignazza]

Passeggiatore di cani – ridi, ridi, ma il settimo non me lo ruba nessuno: Essere di strada quando si piange e si ride

[Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 7. Essere di strada quando si piange e si ride]

Peripoeta – Sì, ma spiegalo, però

Federico – Oh, yo lo entiendo, lo entiendo…

Passeggiatore di cani – E non c’è niente da spiegare… È una roba da passeggiatori di cani, come noi, qui, adesso, siamo di strada,

Peripoeta – Siamo di strada, che vuol dire anche: siamo giusto di passaggio, siamo dalle tue parti, cogli l’attimo poetico

Passeggiatore di cani – e tu pensi ognuno è solo nel cuor della strada, ognuno per conto suo, mani in tasca, via di fretta, ma no; eh, come va il tuo cane, sei andato dal veterinario, ma cos’ha fatto al pelo, e poi ne vedi certi, certi zoppi, certi ciechi, si piange, si ride, certi che s’arrampicano su un albero, fan pipì sulla gamba del padrone per la fretta, poveretti chiusi in casa tutto il giorno, qui il parco è libero, è l’ora d’aria, per i cani, per gli uomini…

Federico – Oh, yo te entiendo, te entiendo… Quest’odore della strada… ti riempie i polmoni, questa campagna di città, odore d’erba, odore d’alberi, arbolé arbolé, odori di uomini, di cani, caballos, jinete del pueblo, olor de cuero caliente, de azucena y de incienso, questa fragranza di fraternità, y el llanto sempre mescolato alla risa, quel riso che nasce dal profondo, come un fiume, come il Guadalquivir de las estrellas

Coro  – Arbolé, arbolé / seco y verdé.  // Alberò alberò, / secco e fruttò. // La fanciulla dal bel viso / raccoglie raccoglie olive. / Il vento, amante di torri, / la prende per la cintura. […] / Passan quattro cavalieri / sopra cavalle andaluse, / […] / “Vièntene a Granada, bella”. / Ma lei non lo sta a sentire. / La giovane dal bel viso / séguita a cogliere olive, / il braccio grigio del vento / avvolto alla sua cintura [16].

Federico – Eso me dice algo, amigos… E ve lo dico: camminare vuol dire anche farsi rapire dal vento, mescolarsi alle cattive compagnie di prosa e di giro, ecco l’ottavo estribillo. [Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 8. Mescolarsi alle cattive compagnie di prosa e di giro]. Camminando, la poesia conosce la miseria, conosce la paura, conosce la gioia, si mescola e si rimescola, altro che poesia pura, i frutti puri impazziscono, questo è il sale della poesia che frequenta le cattive compagnie, l’amore oscuro, ciò che il mondo mette al bando, e che la poesia mette al centro della scena

Peripoeta – Tu stai parlando di teatro, Federico…

Federico – Claro que sí, la strada è il teatro della poesia, la poesia è il teatro de la calle, il teatro è la poesia che si fa umana…

Peripoeta – Questo intendevi con la poesia che cammina per le strade…

Federico –  La poesía es algo que anda por las calles. Que se mueve, que pasa a nuestro lado. Tutte le cose hanno il loro mistero e la poesia è il mistero che hanno tutte le cose. Si passa vicino a un uomo, si guarda una donna, si indovina il passo obliquo di un cane e in ognuna di queste cose vi è la poesia [17].

Peripoeta – Però questo mistero lo devi nutrire di solitudine, se vuoi farne poesia…

Passeggiatore di cani – Se tu non ti gòngoli un po’ in questa solitudine non stai bene

Peripoeta – La solitudine è la strada, te ne accorgi se solo alzi lo sguardo. Io farei il nono motto col botto: trasformare la solitudine in incantesimo. [Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 9. Trasformare la solitudine in incantesimo]

Federico –  Lo dici a un gongorino di rango …

Peripoeta – Lo dici a un leopardiano di passo …

Passeggiatore di cani – Fatelo allora quest’incantesimo!

[pausa]

Peripoeta – Io solitario in questa / rimota parte

Federico – oh solitudine delle mie pene

Peripoeta – Solo e pensoso i più deserti campi

Federico – oh solitudine senza arco

Peripoeta – passero solitario, alla campagna…

Federico – cavallo che perde il morso,

Peripoeta – Che fai tu, luna, in ciel?

Federico –  La luna si spalanca.

Peripoeta – e l’atra notte e la silente riva

Federico – Cuore ferito a morte da cinque spade

[pausa]

Passeggiatore di cani – Questo sì è un botto col fiocco. Ti meriti l’ultimo, Federico. Hai vinto lo slam e devi chiudere la decima. [Finge un tono da intervistatore, da paparazzo] Deve dirci dove andrà oggigiorno la poesia, come può camminare quando è braccata…

Peripoeta – quando le strade sono bloccate…

Passeggiatore di cani – … le macchine parcheggiano sui marciapiedi…

Peripoeta – … i generali presidiano le biblioteche…

Passeggiatore di cani – sole e sangue di scolo / fuori dal mattatoio [18]

Federico – … la fonte è muta… (Qué no quiero verla)

Passeggiatore di cani – l’aria piena di grida [19],

Peripoeta – popolata da uccelli di piombo.

Coro­ – Guardateli al lavoro i fabbricanti di macerie / Ricchi pazienti ordinati neri e idioti / Fanno del loro meglio per restar soli al mondo / Ai margini dell’uomo lo colmano di sterco / Piegano senza cervello palazzi fino a terra [20].

Federico. È allora che bisogna cercare un’altra strada per la poesia. Dove confondersi, confonderci.  Darsi alla macchia se necessario… macchiare il bianco, manchar el silencio, credevo che fossi poesia quando ti ho portato al fiume [Intanto sullo schermo, appare, come battuta da una macchina da scrivere, la scritta 10. Darsi alla macchia se necessario]

Passeggiatore di cani – Darsi alla macchia se necessario. È il tuo ultimo endecasillabo? La tua formula finale? Il tuo congedo?

Federico – Non c’è nulla di definitivo, soprattutto in poesia, la poesia è un passaggio, un passaggio stretto, lo stretto necessario.

Peripoeta – Dobbiamo dirlo a tutti, allora, tenerci pronti: prendete lo stretto necessario,

[Il coro annuisce, si passa parola l’un l’altro, si prepara per il cammino. Qualcuno ha una valigia di cartone, qualcuno un fardello]

Uno del coro [con una valigia di cartone]  Forse noi europei dovremmo metterci in cammino, partire dall’Europa, andare via…

Coro – Addio Europa bella o dolce terra mia… [sull’aria di Addio a Lugano]

Federico – Si esta Europa cierra sus puertas, chiude le frontiere… No hay poesía si no puede andar, se non può camminare…

Coro – la poesía, la poesía, ya no puede caminar… [sull’aria de La cucaracha]

Un altro del coro [con una maschera nera e/o un fardello]  Noi migranti non abbiamo scelta, l’Europa è la nostra America, cerchiamo pace, cerchiamo pane,

Federico – Medio pan y un libro!

Coro – Partire partirò partir bisogna… [sull’aria de Il canto dei coscritti]

[Il coro si divide in due gruppi che partono e si incrociano, quelli con la valigia di cartone vanno quelli con il fardello vengono, e incrociandosi si salutano coi fazzoletti]

Passeggiatore di cani – Forse saranno loro i nuovi europei, forse faranno meglio di noi…

Federico – come è successo qui in Andalusia tanti anni fa… sono venuti gli ebrei, gli arabi, i mori, ci siamo fatti la guerra, ci siamo fatti la pace, ora siamo árabes, judíos, castellanos, … somos gitanos…

Peripoeta – Quest’Europa che abbiamo difeso, che i nostri padri hanno salvato, deve tornare a essere una terra accogliente, una patria per chi non ha patria, una casa per chi non ha casa

Coro – Non sa più nulla, è alto sulle ali / il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna. / Per questo qualcuno stanotte / mi toccava sulla spalla mormorando / di pregar per l’Europa / mentre la Nuova Armada / si presentava alla costa di Francia. [21]

[Mentre parla il coro, Federico si butta bocconi per terra e il passeggiatore di cani gli tocca ripetutamente la spalla]

Un altro del coro –  È il vento / il vento che fa musiche bizzarre. / Ma se tu fossi davvero / il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna / prega tu se lo puoi, io sono morto / alla guerra e alla pace” [22].

[Mentre parla il coro, Federico si alza, e si vede che ha la maschera nera e un sacchetto da migrante]

[Il coro si mette in cammino ma ognuno in una direzione diversa, chi avanti, chi indietro, chi tornando sui suoi passi, mescolandosi tutti. Poi si ricompongono in due gruppi misti, senza valigie, senza fardelli. Uno canta/parla in spagnolo, l’altro canta/parla in italiano. La poesia è La poesia es un arma cargada de futuro, di Gabriel Celaya – la versione musicata e cantata da Paco Ibañez si può ascoltare qui: https://www.youtube.com/watch?v=bKnEaCweikg]

[…]
No es una poesía gota a gota pensada.
No es un bello producto. No es un fruto perfecto.
Es lo más necesario: lo que no tiene nombre.
Son gritos en el cielo, y en la tierra son actos.

[…]
Non è una poesia goccia a goccia pensata.
Nemmeno un bel prodotto. Non un frutto perfetto.
È il più necessario: quello che non ha un nome.
Sono grida nel cielo e, in terra, sono atti.

——————————-

[1] Dalla definizione di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Poesia.

[2] Gustavo Adolfo Bécquer, Rime, Napoli, Liguori, 1995.

[3] Aldo Palazzeschi, E lasciatemi divertire (1910) in “Tutte le poesie”, Milano, Mondadori, 2003

[4] Sergio Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale (1906) in “Piccolo libro inutile”, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2013.

[5] A. Palazzeschi, Chi sono? (1909), cit.

[6] Idem, E lasciatemi divertire (1910), cit.

[7] Idem, Chi sono? (1909), cit.

[8] Dante Alighieri, La Commedia, Roma, Carocci, 2016, Inferno, 13, vv. 58-59.

[9] Cfr. Ennio Abate, Poesia moltitudine esodo, “Inoltre”, inverno 2003-2004, pp.129-148 (oltre ai contributi apparsi su “Poliscritture”, ad esempio qui e qui).

[10] Federico García Lorca, Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (1935), Barcelona, Círculo de Lectores, 1987 (tr.it. di Carlo Bo, 1967). Di seguito le varie riprese di versi ed espressioni lorchiane non vengono citate espressamente per non appesantire il testo.

[11] Federico, con il gruppo della Residencia de estudiantes, e in particolare con Salvador Dalí, coniò il termine per alludere alla variopinta galassia di personaggi ingessati e conservatori che popolavano la società spagnola del tempo. Poi il termine, specie nelle caricature di Dalì (l’unica testimonianza scritta che ci resta, visto che il famoso prologo di Federico alla collezione non fu mai scritto o ritrovato), mutò parzialmente di significato, caricandosi di una sfumatura quasi empatica, dettata dal naturale destino di consunzione che attende l’umanità “in carne e ossa”. La “controestetica della putrefazione” di Lorca e Dalì è stata oggetto di una mostra alla Residencia (cfr. Salvador Dalí e Federico García Lorca, Los putrefactos. Dibujos y documentos, Madrid, Residencia de Estudiantes, 1995).

[12] F. García Lorca, Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (1935), cit.

[13] Idem, Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (1935), cit.

[14] Léo Ferré, Les anarchistes (canzone, 1964) in L’Été 68, Paris, 1969 (“Testo e musica: Tutti. Léo Ferré però ci ha messo qualche cosa”). Versione italiana di Enrico Medail.

[15] Federico García Lorca, Medio pan y un libro. Discurso pronunciado por Federico Garcia Lorca en la inauguración de la biblioteca de su pueblo natal, Fuente Vaqueros (Granada),1931, https://goo.gl/R3RrVt.

[16] Federico García Lorca, Arbolé, arbolé in “Obras completas”, vol. 1°, Madrid, Aguilar, 1974, p. 315.

[17] Idem, Conversaciones literarias. Al habla con Federico García Lorca (1936) in “Obras”, vol. VI – Prosa, 1, a cura di Miguel García Posada, Madrid, Akal, 1994, pp. 728-733.

[18] Seamus Heaney, Poesie (1966-2013), Milano, Mondadori, 2016 (traduzione di Luca Guerneri).

[19] Antonella Anedda, L’aria è piena di grida in “Dal balcone del corpo”, Milano, Mondadori, 2007.

[20] Paul Éluard, Novembre 1936 in “Poesie con l’aggiunta di alcuni scritti di poetica”, a cura di Franco Fortini, Torino, Einaudi, 1966 (nella traduzione, però, di Dario Puccini).

[21] Vittorio Sereni, Non sa più nulla (1947) in “Diario d’Algeria”, Milano, Mondadori, 1973.

[22] Idem, Non sa più nulla (1947), cit.

2 pensieri su “Traccia per coro peripoetico

  1. Oltre che interessante e di piacevole lettura, è anche ‘educativo’ questo lavoro teatrale, perché si colloca, nella pubblicazione su Poliscritture, a ridosso di due eventi carichi di significato e in aperta contraddizione tra loro: la vittoria di Renzi alle primarie del PD (30 Aprile) e la festa del Primo Maggio, che non so se oggi possa più essere considerata come festa dei lavoratori visto lo scempio che ne è stato fatto (e non parlo solo dell’abolizione dell’art. 18) proprio per mano di chi avrebbe dovuti tutelarli.
    Se la poesia non è oggi in grado di entrare in narrazione con questi tradimenti storici (non voglio parlare qui degli ultimi dettagli), con la sofferenza, con lo strazio, per una rivoluzione che si è ridotta al lumicino e poi trasformata a livello Orwelliano, capovolgendo il valore e il senso delle cose per cui i ‘rivoluzionari’ sono diventati ‘reazionari’ (prendendo la citazione di Federico Garcia Lorca, nel testo sopracitato: *fanno dell’oscuro il chiaro e del chiaro l’oscuro*), allora significa che si è persa la storicità del soggetto: perché esso, metaforicamente parlando, si è trasformato nel cane che porta a spasso il suo padrone, perché anche quello è condizionato da un altro padrone, più in alto, che mena il tutto per un variegato parco dove, apparentemente, non ci sono catene. E di questa schiavitù, paga le spese lo stesso poetare.
    Sì, quando *c’era molta gente per le strade*, quella camminava guidata da qualche cosa di interno e non di indotto dall’esterno, dalla paura di non avere un ‘nome’ (una etichetta anziché il senso di una appartenenza, che si fa ‘storicamente’ e non nei ‘qui ed ora’ dei gazebo!); o dall’avere una collocazione ‘sicura’ (un piccolo frammento di potere, ad esempio). E, pertanto, la stessa poesia poteva essere *una risonanza, qualcosa che trema a lungo, che si fa sentire anche quando ti allontani, anche se ti tappano le orecchie* (Citazione dal testo, da Federico Garcia Lorca). E in ciò si ribadisce che i suoi non-confini sono interiori, non esteriori.
    Meglio che Federico sia morto ‘gloriosamente’ per mano nemica, piuttosto che morire oggi, in questo modo strisciante, per mano di falsi amici.
    Scusate lo sfogo (e anche dell’OT che non vorrei penalizzasse questo lavoro teatrale) ma non ne posso più della retorica!

    R.S.

  2. …veramente vergognoso mantenere ancora la festa del primo maggio: si doveva piuttosto far sfilare cortei funebri in tutte le vie e le piazze d’italia.
    Mi ha molto coinvolto la lettura del testo teatrale di Luca Ferrieri che sembra scritto a più mani, nato da un incontro casuale in un parco tra persone smarrite, come il Peripoeta, o prese nella loro quotidianità, come chi porta il cane a fare pipì, ma da subito coinvolte in una ricerca comune sulla poesia che cammina per le strade del mondo e cerca la sintonia con il passo del migrante che fu, che è e che sarà…Raccoglie più voci, perchè la poesia è della moltitudine, ma anche di poeti che hanno lasciato una forte testimonianza del loro tempo spesso a prezzo della vita, in testa Federico che si mescola al coro…Sara replicata?

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